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Divorare la storia dell’arte

La vita degli oggett

3.3. Divorare la storia dell’arte

Nella dimensione sferica della computer grafica i tempi si riverbera- no costantemente. Nature morte, del 1990, di Georges La Piouffle, è un’interessante riflessione su come gli oggetti della computer grafica si rapportano alla tradizione dell’arte pittorica figurativa.

Il video si apre con l’immagine di un lungo tavolo imbandito, con piatti e candelabri pieni di ragnatele: il tavolo è appoggiato a un muro in cui campeggia un quadro di Arcimboldo. Mentre un dettaglio del candelabro ci mostra un ragno costruire la sua tela, compare il suono di un metronomo, a cui segue quello di un pianoforte che comincia a eseguire una serie di scale. Mentre vediamo l’ombra di una tenda mossa dal vento, comincia una panoramica sugli oggetti polverosi del tavolo: vediamo un piatto d’argento antico, un coltello e una forchetta, e finalmente un dettaglio del quadro visto precedentemente.

Accompagnato da un errore dell’invisibile pianista, dal quadro piut- tosto rovinato cade un pezzo di tela vicino al coltello e alla forchetta. I due oggetti, accompagnati da un rumore di sala da pranzo con molta gente, quasi un enorme ristorante, si muovono secondo la dinamica già vista delle “forme molli”: si storcono, come se si stessero svegliando, e guarda- no, ovvero rivolgono quella parte di oggetto assimilabile alla testa, verso l’alto. L’inquadratura successiva è il quadro di Arcimboldo visto dal basso verso l’alto: sembrerebbe quasi una soggettiva di uno dei due oggetti; la camera si sposta leggermente verso l’alto, compaiono in primissimo piano il coltello e la forchetta che si sono alzati in piedi, per mostrare il riflesso del quadro sul metallo degli oggetti.

Il quadro, lentamente, si anima, accompagnato dal rumore di una porta di legno che stride: il viso di profilo, fatto di una composizione di frutta, accenna a un’espressione indefinita, infine una pesca si stacca dal quadro e cade sul tavolo. La pesca è tridimensionale. Il coltello e la forchetta la attaccano; l’inseguimento dura poco: la pesca si infila in un anfratto buio fra la tavola e la parete, il coltello e la forchetta, che

corrono saltellando, la trovano rapidamente, tremante in un angolo. Un attimo di suspense, e poi la soggettiva della pesca ci fa vedere la forchetta avventarsi su di lei.

Dall’angolo nascosto escono fuori il coltello e la forchetta mutati: hanno un gonfiore molle sul corpo, la loro pancia è piena. Nel frattempo il rumore della sala è scomparso ed è tornato il pianoforte che esegue le sue scale. Un’ampia carrellata ci mostra che sul tavolo ci sono resti di frutta varia, e che dai quadri delle pareti, la maggior parte nature morte, mancano proprio le immagini della frutta, evidentemente man- giate dalle posate.

La metafora è chiara: il digitale vive di immaginari del passato. Se ne nutre voracemente: cannibalizza le immagini della storia dell’arte per poter rimanere in vita. Ma in realtà ci sono altri livelli più sotti- li dentro a questo discorso generale. Innanzitutto: cos’è una natura morta? La rappresentazione di una serie di oggetti inanimati messi in bella forma davanti agli occhi dello spettatore: frutta, ortaggi, selvag- gina morta, vasi, libri e oggetti vari. Sembrerebbe già una similitudine perfetta per definire il mondo delle immagini digitali, se non che que- ste simulano la vita attraverso il movimento, e hanno a che fare con oggetti che occupano uno spazio tridimensionale e non sono una rap- presentazione bidimensionale. Su questa interessante contraddizione si basa tutto il video.

Innanzitutto, la prima inquadratura è una citazione nella citazio- ne: è già di per sé, vista con lo sguardo della storia dell’arte, una natura morta. La tovaglia bianca sulla tavola imbandita può anche semplice- mente essere un abbellimento tipico di questo genere di composizioni; ci sono oggetti inanimati sparsi qua e là: piatti, candelabri, e una parete piena di quadri di nature morte. L’unico elemento che si muove, per ora, è un ragno. Ma è tutto impolverato, abbandonato, vecchio. Solo le posate sembrano nuove di zecca. La bidimensionalità sta cadendo a pezzi, e quel pianoforte che stancamente ripete le sue scale, al ritmo del metronomo, non suggerisce altro che l’iterazione mortifera di un sistema di rappresentazione dell’immagine che non ha più senso.

Anche il quadro di Arcimboldo vive di una contraddizione utile a complessificare la tessitura della metafora del video: è un profilo di un viso, quindi di qualcosa che solitamente non intendiamo come un oggetto inanimato, fatto però da una collage di frutta. Qualcosa di vivo, simulato da oggetti. Il pezzo di tela di questo dipinto, cascando, attiva la narrazione effettiva del video.

Le posate si risvegliano. Erano inermi, insieme a tutto il resto. Stavano effettivamente dormendo o si stavano solo mimetizzando, facen- do finta di essere una natura morta, ovvero degli oggetti immobili? Nel

momento in cui si svegliano richiamano il vociare e i rumori di un ristoran- te in piena attività: sono quindi portatori di una memoria di qualcosa di animato, di vivente, che non c’è più. In effetti, mentre tutto l’arredamento dell’ambiente è antico, e di buon gusto, queste posate hanno un design semplice, moderno, non appartengono al tempo di quell’arredamento. E quando queste posano il loro sguardo sull’opera di Arcimboldo, e l’immagi- ne del dipinto si riflette sulla loro superficie metallica come uno specchio, allora succede il fatto più sorprendente del video.

Nel momento in qui il quadro si anima davvero, cioè quando i singoli frutti si muovono, la pesca che si stacca dalla superficie bidi- mensionale della tela è già 3D. Ha mutato sostanza, ha “attraversato lo specchio”, si è riflessa in qualche cosa che può simulare la vita me- glio di un’immagine bidimensionale. E ancora: le posate hanno attuato questa trasformazione per poter completare il loro sacrificio simbolico. Un pezzo di natura morta diventa vivo, per essere sacrificato alla tec- nologia che simula la vita. Non a caso queste posate hanno fame: si sono appena svegliate da un lungo sonno. Soprattutto sono vive, e lo dimostrano non solo muovendosi ma cercando di soddisfare il bisogno primario che ogni forma di vita ha: quello di cibarsi. Istinto di sopravvi- venza che diventa vorace, come tutte le cose nella sfera digitale, ten- dente all’infinito, per cui ai quadri vengono risparmiate poche immagini di oggetti commestibili.

Per simulare la vita, c’è bisogno di vita. Il digitale può imitare vari elementi: le nature morte (l’immagine iniziale), e quindi l’inanimato, ma può trasformarsi in uno strumento potente che simula ciò che è animato, a patto di cibarsi, trasformandolo in oggetto, della tradizione figurativa che sta dietro le sue spalle. Di fatto, il digitale fa così anche con la cosiddetta realtà: il passaggio dell’immagine da forma bidimen- sionale a oggetto che occupa uno spazio è il passaggio fondamentale per creare forme al computer.

Al di là della metafora fin qui ipotizzata, il video è comunque una chiara riflessione sul fatto che le immagini nuove, per poter restare in vita e non addormentarsi inerti, hanno bisogno del cibo della tradizio- ne, o di modelli di riferimento che derivano dalla storia dell’arte. Edin effetti, se è vero che per la computer grafica astratta il riferimento alla tradizione pittorica delle avanguardie del Novecento è istantanea e quasi necessaria, esiste molta computer grafica referenziale che ha ra- gionato sul rapporto che si può instaurare fra questa nuova tecnologia e la tradizione bidimensionale.