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Gli oggetti sognano

La vita degli oggett

3.2. Gli oggetti sognano

Con Luxo jr., John Lasseter ha reinventato, e non solo dal punto di vista tecnologico, il genere del cartoon. Da questo momento in poi saranno in molti a riprendere questa idea modulandola nei modi più diversi.

Locomotion, di Steve Goldberg, del 1989, realizzato dalla Pacific Data

Images2, fa parte di quelle produzioni indipendenti che hanno segnato

gli inizi della computer grafica narrativa e rappresentativa di un mondo che risponde a un’esigenza di effetto di realtà tramite il realismo del disegno. Da questo punto di vista anche il lavoro sul suono diventa più tradizionale, come in questo caso, dove c’è un’articolazione fra una musica dallo stile folk americano e suoni diegetici. Insomma il suono ritorna a essere colonna sonora.

Il video inizia con la presentazione dei personaggi della vicenda. Una locomotiva a vapore trasporta tre carrozze: una vuota, una con un carico di tronchi, e un’altra un po’ più grande, di legno, con una serie di finestrini lungo tutti i lati. In realtà, i protagonisti sono la locomotiva, che si muove in maniera allegra e un po’ tronfia sui binari, e la carrozza di legno, che sembra un po’ più circospetta: quest’ultima, più che un corpo vero e proprio, sembra un viso, poiché i finestrini sono usati come riferimento per gli occhi. L’antropomorfizzazione conferita agli oggetti ha un segno diverso rispetto a quella di Lasseter. Se in Luxo jr. viene ri- spettata e sfruttata la meccanica degli oggetti, qui si lavora sulla solita ambivalenza di materia che abbiamo già incontrato:sono oggetti solidi, eppure si muovono come se fossero di gomma. Involontariamente c’è un riferimento alle “forme molli” della pittura di Salvador Dalí. Il treno si aggira su binari sospesi, un po’ pericolanti, in un paesaggio pieno di alberi dal contorno sfumato, come se fossero elementi bidimensiona- li ritagliati e piazzati in un ambiente 3D, e conferiscono al paesaggio un’apparenza più pittorica che foto-realistica.

All’improvviso, la locomotiva si accorge che un tratto dei binari è spezzato, e, guardando verso il basso, si accorge del baratro sotto- stante: anche in questo caso il faro centrale dell’oggetto viene sfruttato come occhio, mentre la parte principale del vagone come testa di un ipotetico corpo. Anche il vagone di legno guarda verso il basso e fa un

2 La Pacific Data Images è stata acquistata dalla Dreamworks: http://www.

sobbalzo di terrore. La locomotiva esprime chiaramente con un gesto che quell’ostacolo si può superare, e si volta per cercare il consenso dell’ultimo vagone che, impaurito, fa un cenno negativo. È evidente che fra i due vagoni c’è una relazione simile alle due lampade di Lasseter: se non proprio da genitore a figlio, da figura più esperta a un’altra più insicura e paurosa. La locomotiva, sconsolata, riporta tutti i vagoni indietro rinunciando a qualsiasi mossa. Il vagone di legno segue il mo- vimento all’indietro con andatura soddisfatta.

Ma succede qualche cosa di inaspettato: la camera entra nel gran- de tubo di scappamento (idealmente, nel cervello della testa dell’ipote- tico corpo-locomotiva) e lo stile del video cambia radicalmente: su uno sfondo fumoso e scuro vediamo galleggiare una serie di immagini 2D e 3D. Lancette di orologi, orologi da taschino molto simili a quelli usati da Dalí, un timbro che imprime su un foglio di carta la parola “late” (in ritardo); vari testi, sempre la parola “late” scritti con stili diversi; una ragnatela di binari lungo i quali il punto di vista cade, e qui l’ordito visivo diventa quasi astratto; poi delle assi di legno malamente assemblate, sulle quali è appesa una triste lanterna giallognola che illumina la scrit- ta “scrap” (in demolizione, rottamato); fulmini minacciosi annuncia- no l’immagine di una locomotiva rotta, nera, abbandonata, dietro alla quale sovrasta la struttura semplice del capolinea dei binari, che qui somiglia molto a una stele funeraria, con la scritta “Engine n. 9. He was late once too often”. (“Locomotiva n. 9. In ritardo una volta di troppo”). Da notare l’uso di “he”, “egli”, al posto di “it”, “esso”. Evidentemente il corpo-locomotiva è assimilato al conduttore stesso del treno, o comun- que a una persona.

Tutta questa parte è trattata come una sorta di pianosequenza condotto da una camera che vola letteralmente di scena in scena, pro- ponendo di volta in volta punti di vista molto diversi (dal basso verso l’alto e viceversa) in un ambiente in cui gli oggetti galleggiano, contor- nati dal fumo che fa in alcuni casi da sipario visivo fra una situazione e l’altra. In generale, l’articolazione di montaggio in questo video è molto più complessa rispetto a quelli esaminati finora: se è vero che il linguaggio di accostamento delle immagini si riferisce a quello più tra- dizionalmente cinematografico, la libertà dei punti di vista della camera ci fa capire che siamo dentro a uno spazio artificiale in cui lo sguardo può levitare liberamente.

La locomotiva ha sognato la propria morte. E infatti si risveglia bruscamente, mentre ancora sta facendo marcia indietro. E cambia idea: rabbiosamente carica le ruote di forza, facendo scoccare scintille dalle rotaie, mentre il vagone di legno tenta disperatamente di svicolare da quello che evidentemente considera un sicuro fallimento. In realtà la

locomotiva “solleva una gamba”, e così facendo fa ruotare l’asse a tutti i convogli, per evitare il binario rotto. Superato in maniera coraggiosa l’ostacolo, la locomotiva si gira indietro per verificare che vada tutto bene: il vagone di legno guarda in basso, poi indietro, incredulo, tira un sospiro di sollievo e fa un gesto di fiero assenso, saltellando contento, quasi come se quello che è accaduto fosse merito suo, nel momento in cui la locomotiva riparte in maniera decisa e sicura di sé.

Locomotion, dal punto di vista concettuale, compie un decisivo

passo avanti per quello che riguarda il discorso sulla vita degli oggetti. Qui non si tratta più di far muovere gli oggetti come fossero dei corpi e di dar loro delle caratteristiche psicologiche a partire dai loro movimen- ti. Qui c’è una reale personificazione di un oggetto, che diventa un “lui” e non un “esso”, ma che soprattutto gode di una vita inconscia: sogna, e visualizza la sua attività onirica con immagini scoordinate, galleggian- ti, che ragionano con la logica delle associazioni di idee; insomma, so- gna come un essere umano. Anche perché il concetto di fine, in teoria, per un oggetto non dovrebbe avere il significato luttuoso visualizzato nel sogno. Il fatto è che la fine, per questo oggetto che si comporta come una persona a tutti gli effetti, equivale alla morte. Per evitare la morte la locomotiva trova il coraggio: è la percezione della morte che dà un senso alla vita e spinge l’essere umano ad atti coraggiosi, a

rischio della vita. Il tema della morte, variamente trattato, è ricorrente

in molta computer grafica.

Se gli oggetti possono vivere, sono in grado anche di morire, di avere paura, e di sognare. Anche in questo video ci sono echi di un cinema in un qualche modo innervato nella memoria dello spettatore, soprattutto nella sequenza del sogno. Innanzitutto, l’uso del lettering richiama il cine- ma muto, e infatti in questa parte del video anche l’illuminazione segue degli effetti di atmosfera da cinema espressionista, svincolati dalla narra- zione e più vicini a un concetto emotivo di messa in scena.

Un altro elemento interessante è il passaggio dal sogno alla realtà. L’ultima immagine (il capolinea con la scritta “Engine n. 9. He was late once too often”) si stacca dal mondo onirico per piazzarsi come oggetto realistico sui binari della scena in cui si svolge il video: la camera si al- lontana, il capolinea svanisce, e la locomotiva si risveglia. Se gli oggetti sognano, i “residui” di attività onirica che si possono avere in fase di veglia diventano, a loro volta, degli elementi concreti della scena. Oggetti sim- bolici, perché il capolinea è piazzato appena dopo l’interruzione dei binari, come per dire: per superare l’ostacolo si rischia la vita, ma se non si prova a superarlo, allora il futuro è morte certa.

Rimanendo sul piano narrativo, di nuovo gli oggetti esprimono caratteristiche psicologiche a seconda dei movimenti che fanno: da un

lato la locomotiva esperta e coraggiosa, che per un attimo si lascia irretire dalla paura dell’ostacolo da superare; dall’altro il vagone un po’ scansafatiche, timido e impaurito, che però, anche se incredulo del successo ottenuto, diventa quasi fiero di se stesso dopo essere stato trascinato controvoglia a superare l’ostacolo. Si tratta ovviamente di psicologie semplici, quasi primitive, eppure capaci di sfumature: qui la computer grafica, come il cinema muto, rinuncia, anche per motivi tecnici, alla parola, basandosi su dinamiche di coppia (come in Luxo Jr.) che facilitano lo svolgersi di una possibile narrazione.