Copiare il mondo: la simulazione foto-realistica
5.1. Sostituire il mondo: un’utopia cinematografica
L’ansia della simulazione foto-realistica ha per anni dominato l’estetica della computer grafica. Fenomeno curioso per un medium che nasce producendo immagini astratte, ma non così illogico se si riflette sull’im- portanza che l’oggetto ha dal punto di vista teorico e tecnologico. Tutti i mezzi audiovisivi (e anche solo visivi) in varie fasi della loro storia hanno riflettuto sul proprio linguaggio cercando di copiare il mondo, di sostituirsi allo specchio. L’analogico ha suggerito che il mondo si può “appoggiare” punto per punto sulla superficie della pellicola fotografica o cinematografica, o essere reinterpretato in forma di matrice di pixel dall’immagine elettronica; per la computer grafica il mondo, in teoria, non è più necessario, perché tutto può, e per alcuni deve, essere co-
struito. Il mondo, al limite, può diventare un puro riferimento ideale,
una memoria residua utile a simularne uno più efficiente.
Eppure, è lecito domandarsi perché mai un mezzo così adatto a rappresentare l’artificiale, le meraviglie dell’universo delle idee, e così potente come il computer, una macchina che crea linguaggi in grado di gestire l’infinito, si debba occupare in maniera così indaffarata di un oggetto talmente quotidiano, e finito, come il mondo. Perché mai un medium capace di attraversare lo specchio dovrebbe rimanere sulla soglia, a riflettere il mondo? Per imparare a usare gli oggetti, si potreb- be rispondere. O per sostituirsi al mondo: per essere esso stesso lo specchio, e attraversarsi.
Fare a meno del mondo è un’utopia principalmente teatrale. La scenografia disegnata è il tentativo di sostituire lo spazio con qualche cosa di grafico, mentre la marionetta è un oggetto che sostituisce l’at- tore in scena. Al di là del cosiddetto teatro di figura, sono sempre stati movimenti o personaggi legati alle avanguardie (e quindi alle forzature del linguaggio) a tentare di sostituire con oggetti le presenze del mon- do, o a difendere la causa di un teatro di puri oggetti. Il mondo in una stanza: il palco.
Il cinema, dal canto suo, sta sempre di più riflettendo sul fatto che i set, il mondo reale, ma soprattutto gli attori stanno diventando sempre di più elementi ingombranti. Poco funzionali. Quindi, la tentazione di rivol- gersi a una tecnologia in grado di simularli è diventata sempre più forte. La “tracotanza” degli alchimisti della computer grafica che osano mutare la materia e generare la vita può rivelarsi un’arma utile contro quel mondo che si ribella ai voleri del regista, o forse meglio, della produzione.
Il cinema che vuole fare a meno del mondo ha però subito un processo inaspettato: come spesso avviene, la trasformazione della materia non dà sempre i risultati sperati, e quindi il mondo simulato più o meno foto-realisticamente dalla computer grafica si tuffa più volen- tieri non nell’ambito del cinema, ma in quello dei videogiochi. Il mondo digitale sta un po’ stretto dentro il campo dello schermo cinematogra- fico e soprattutto non ammette il suo movimento “forzato”, registrato. Costruito un mondo che funziona, perché non lasciarlo tale e quindi offrirlo alla gestione della consolle dei videogiocatori?
Il cinema può anche idealmente fare a meno del mondo, ma non gioca a “fare il mondo”, come il videogioco, un medium che oggi si sta sostituendo, in termini di vendite, di pubblico, e di capacità di costruzio- ne di immaginari, a quello cinematografico. Tanto che i vari tentativi, un po’ goffi e tardivi, del cinema di portare sul grande schermo personaggi nati nel mondo dei videogiochi, come Lara Croft, sono fondamental- mente falliti, nonostante l’attrice impegnata nell’operazione, Angelina Jolie, fosse il corpo di riferimento del personaggio usato nel videogioco. Vince il modello digitale sull’originale in carne e ossa.
La ricerca sulla simulazione foto-realistica comunque fa sicuramen- te parte di un atteggiamento estetico che, per i motivi che ho già accen- nato, ha affascinato grandemente molti di quelli che usano la computer grafica, al di là delle “tentazioni” offerte dal mercato dei media, sia cine- matografico, che televisivo, che videoludico. La ricerca è andata avanti per anni nel tentativo di simulare paesaggi e corpi “partendo da zero”, modellando, animando, inventandosi texture il più possibile funzionali. Per un certo numero di anni si sono visti paesaggi e personaggi più o meno credibili, tentativi più o meno efficienti, che non potevano competere con la realtà se non a un livello di percezione cartoonistico.
Col tempo la ricerca e il mercato hanno dialogato per inventarsi soluzioni più praticabili. Per quello che riguarda gli ambienti, anche se la tecnica dei frattali ha facilitato la costruzione di modelli caotici che asso- migliano a certi elementi naturali come le nuvole o le montagne, e i siste- mi di generazione particellare hanno agevolato la creazione di elementi complessi come l’acqua e il fuoco, la texture, la superficie, e il suo modo di reagire alla luce, sono sempre stati un problema. A un certo punto si è
pensato che, forse, usare delle foto prese dal mondo reale e usarle come texture avrebbe facilitato molto il compito di assomigliare al mondo. E col tempo, miscelando tecniche diverse, la rappresentazione del paesaggio ha conquistato un livello di foto-realismo più che accettabile.
Il problema vero sta nella rappresentazione del corpo umano: l’introduzione della tecnologia della motion capture rappresenta una vera rivoluzione per la computer grafica. Non esiste animazione più re- alistica di quella di un corpo umano che si muove sul serio. Ma di questo corpo si estrae, appunto, solo il suo movimento, e lo si sovrappone a un modello digitale. Si estrae la vita (il movimento) da un corpo vero per inserirla nel modello di un corpo artificiale. Se poi, invece di inventarsi texture estremamente complesse, si riveste questo corpo con foto pre- se da un corpo reale, allora il risultato cambia notevolmente.
Come l’ansia di simulazione, che tanto piace al cinema, ha de- terminato una spinta propulsiva per il settore dei videogiochi, così ora i videogiochi, forse loro malgrado, hanno fatto nascere il fenomeno dei Machinima, ovvero di quella computer grafica fatta interamente di elementi recuperati da un database, in parte modificati, ma soprattutto ricombinati con una logica che appartiene al singolo utente.
Perché il centro della questione è proprio questo: il singolo uten- te inventa o gestisce il proprio mondo. Non importa come. E non im- porta più neanche a che scopo, se per fare arte, raccontare una storia o divertirsi. Nessun medium dialoga a tu per tu con lo spettatore come il digitale. Perché qui si è andati oltre il dialogo, ovvero il parlare e l’ascol- tare: il digitale impone allo spettatore il fare. Non è un caso che gli ultimi modelli di consolle per videogiochi tendano a nascondere sempre di più l’interfaccia e a richiamare in causa i movimenti del giocatore, il suo corpo. E che molti film fatti interamente in computer grafica insi- stano così tanto sull’uso delle soggettive, meglio se di personaggi sulle montagne russe: si vuole eccitare sempre di più il corpo, o la visione dello spettatore-giocatore-utente.
Ma, ancora, non è un caso che il settore dei videogiochi si stia comportando sempre di più come quello cinematografico, copiando, è proprio il caso di usare questo termine, le sue stesse strategie di mer- cato. Fino a qualche anno fa nessuno avrebbe pensato che i videogio- chi potessero essere pubblicizzati con delle anticipazioni, esattamente come i film. I cinematic trailer dei videogiochi sono a tutt’oggi i più in- teressanti, e per certi versi impressionanti, esempi di computer grafica foto-realistica. Questi trailer sono dei video realizzati con una logica di ripresa e di montaggio squisitamente cinematografica: oramai la con- quista reale non è più la simulazione del mondo, ma la simulazione dei linguaggi, degli stili, delle estetiche degli altri media.