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1 Il corso del Reno in età medievale

LA QUESTIONE DEL RENO E LA VISITA CONT

I. 1 Il corso del Reno in età medievale

Nel Medioevo, venuta meno l’efficienza delle antiche vie di terra, le vie d’acqua tornarono ad avere una funzione primaria. Tra il XIII ed il XIV secolo nelle comunità cittadine venete e padane si risvegliò l’interesse per la messa a punto di una efficiente rete idrografica, che consentisse rapidi e sicuri collegamenti con i territorio vicini. Esso si concretizzò con l’apertura di numerosi canali, i più antichi risalivano alla seconda metà dell’undicesimo secolo. Tale crescente interesse era legato ad interessi economici e commerciali: le vie d’acqua infatti costituivano il mezzo più rapido e sicuro per i trasporti e le comunicazioni all’interno di un territorio, in particolare la pianura padana.312 Sul basso corso del Po Ferrara rappresentò nel Medioevo il principale nodo dei traffici idroviari, punto di incontro tra quelli che risalivano dai porti adriatici e quelli che da qui si dirigevano verso l’interno della pianura padana, verso il Veneto e verso la zona reggiana e bolognese.

A seguito della rotta di Ficarolo (1152) e all’apertura del nuovo ramo principale del Po, l’attuale Po grande o Po di Venezia, a circa quindici miglia sopra Ferrara, la città estense continuò per quasi due secoli ad essere il principale nodo idroviario.

Tre diverse fonti testimoniano l’importanza della rete idroviaria nel territorio di Ferrara nel XIII e XIV secolo: gli statuti di Ferrara del 1287, la Chronica Parva Ferrariensis (1309-1317) e la carta di Fra Paolino Minorita, che documentava la navigazione padana (secondo decennio del XIV secolo). Gli Statuti si limitano a documentare il sistema di trasporti interni alla città, ma non contengono alcun riferimento alle comunicazioni con l’esterno. La Chronica, documento di maggiore interesse, attribuita al ferrarese Riccobaldo, presenta una ricca descrizione di tutto il territorio ferrarese con particolare attenzione rivolta alla rete idrografica e alle comunicazioni idroviarie. Dal suo racconto emerge come i collegamenti lungo le vie d’acqua fossero ben strutturati, sia quelli lagunari tra Venezia e Ravenna, sia quelli lungo l’asse padano da Reggio a Ferrara e al mare, sia lungo gli affluenti a sud verso Modena, Bologna e Imola e a nord verso Mantova e, lungo l’Adige, verso Verona e Trento e più a est verso Padova e Vicenza. 313

La rotta di Ficarolo aveva modificato in maniera irreversibile l’assetto idrografico padano, danneggiando la rete idroviaria ferrarese, a vantaggio di quella di Venezia, ma aveva anche prodotto una più rapida comunicazione tra la pianura padana e la città lagunare. Il nuovo corso del Po si presentava unico fino a Ficarolo, poi da qui fino al mare si diramava lungo tre direttrici: il Po della Rotta o di Venezia, il Po antico o di Volano e il Po della Fossa o di Primaro. Ciascuno di questi rami presentava diramazioni secondarie, affluenti o canali. Il nuovo assetto consentiva ora anche scambi commerciali a lunga distanza, da una parte verso il Veneto (Venezia, Padova, Vicenza, Verona) e oltre (Mantova, Trento), dall’altra verso Reggio, Modena, Bologna, Imola, Faenza e Ravenna. 312 P ATITUCCI [1983], pp. 57-58. 313 P ATITUCCI [1983], pp. 58-60.

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Nell’opera di Riccobaldo trovavano ampio spazio le descrizioni dei principali porti della costa adriatica, in particolare quelli posti in corrispondenza delle tre foci del Po di Volano, di Primaro e di Goro (Po di Venezia).

Tre erano le principali direttrici dei traffici fluviali che facevano capo a Ferrara: verso il Veneto, verso la Romagna e verso l’interno della pianura padana (Modena, Reggio e Bologna).

La principale via di comunicazione con il Veneto era costituita dal Po di Venezia, dal quale si diramavano alcuni canali che lo collegavano con l’Adige e quindi con il nord Italia. Altri corsi d’acqua minori collegavano Ferrara con il Veneto orientale (Adria, Chioggia, Venezia).

Il Po di Primaro metteva in comunicazione Ferrara con la Romagna. Nel tratto da Argenta verso la foce si aprivano quattro canali, tre diretti verso i porti della Romagna e il quarto su Ravenna. Il canale più occidentale, imboccato ad Argenta, si diramava in due direzioni, una verso Bologna e l’altra, dopo aver raggiunto Conselice, il principale porto fluviale della Romagna, proseguiva verso Imola e Faenza. Il ramo sud-occidentale attraversava la valle di Marmorta e, raggiunto il porto lagunare in prossimità della Torre dei Cavalli (nella zona di Molinella), era possibile proseguire per Bologna via acqua o via terra. il ramo sud-orientale passava per la valle di Campotto fino al porto di Conselice. Tre miglia a valle di Argenta esisteva un altro imbocco alle valli meridionali, rappresentato dal canale denominato Rotta di S. Biagio. Tale canale si apriva in prossimità di S. Biagio e attraversava le paludi dividendosi in diversi rami che conducevano ai vari porti della Romagna tra Conselice e Ravenna: lo Zaniolo arrivava al porto di Conselice, un ramo del Santerno consentiva di raggiungere Fusignano, Bagnacavallo e infine Ravenna. Dopo Filo e Longastrino, si trovava un altro canale che immetteva nelle paludi, denominato Fossa Pudolla, che attraversava la valle Voltana.314

A ventidue miglia da Argenta sulla sinistra del Primaro sorgeva il centro abitato di S. Alberto e sulla destra il castello di Marcabò, eretto dai Veneziani tra il 1258 ed il 1260 per controllare la navigazione sul Primaro e distrutto nel 1309. Esso era diventato un punto chiave per la navigazione padana dopo che nel 1326 gli Estensi costruirono la bastia di S. Alberto: da qui infatti si regolava l’accesso al Cavodorzo (poi detto Naviglio o Fossa di S. Alberto), un canale della lunghezza di dodici miglia che portava fino a Ravenna. Esso costituiva il collegamento più diretto e veloce tra Ravenna e il Po. I collegamenti tra Ferrara e l’interno della pianura padana avvenivano tramite il Po di Volano, il territorio bolognese era però raggiungibile anche attraverso il Primaro.

Di fronte a Ficarolo sorgeva il castello di Stellata, fatto erigere nel 1362 in prossimità della strada che portava a Mantova. A tre miglia da Ficarolo sulla destra del Po si apriva un canale che conduceva a Bondeno, centro abitato situato nel punto di biforcazione di due canali: il canale di Burana che portava nel Reggiano e il canale di Modena che portava fino all’omonima città.

Ferrara e Reggio erano collegate attraverso il Naviglio di Reggio, attestato almeno dal 1142. Da Bondeno si imboccava il canale di Burana, risalendo verso Pilastri, S. Martino in Spino, Quarantoli e proseguendo poi verso Concordia e Moglia. Da qui piegando verso sud-ovest attraversava Rolo, l’abbazia di Novellara, S. Giovanni della Fossa e Bagnolo fino a raggiungere Reggio.315

Il canale Naviglio metteva in comunicazione Ferrara con Modena; esso fu scavato sfruttando un alveo del fiume Formigine. Per rimediare alla scarsità d’acqua nel 1289 vi furono immesse le acque

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ATITUCCI [1983], pp. 68-73.

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del Panaro, a partire da Bomporto. Partendo da Modena l’andamento del Naviglio era il seguente: raggiunta Bastiglia, piegava a est verso Bomporto, poi verso nord-est in direzione di Finale Emilia e Bondeno. Da qui attraverso un canale si raggiungevano il Po e Ferrara. L’andamento del Naviglio corrispondeva in gran parte con quello dell’attuale Panaro. Il Naviglio rivestiva una certa importanza non solo nelle comunicazioni tra Modena e Ferrara, ma anche con la Toscana. Alla fine del XV secolo esso era ancora in attività.316

I collegamenti tra Ferrara e Bologna avvenivano attraverso due vie d’acqua, una si apriva a destra del Po tra Bondeno e Ferrara, il cosiddetto Canale Palustre, l’altra a destra del Primaro, il canale Fossa, che proseguiva nel Naviglio di Bologna. Il Canale Palustre iniziava circa nove miglia dopo Bondeno, all’altezza della Torre di Porotto e portava a Galliera. Il canale era stato probabilmente originato da una rotta del Po, come indicato dal nome Porotto, ed era attestato nel XIII secolo da diversi documenti. Esso si dirigeva verso sud-ovest attraversando un ampio territorio palustre costituito dalle valli della Sammartina, di Molinella e di Marmorta.317 L’andamento del canale ricalca quello della strada che da Porotto si dirigeva verso sud-ovest per La Rizza, Borgo Scoline, Torre del Fondo, Madonna dei Boschi. All’altezza della Torre Verga (in località Poggio Renatico) si trovava lo scolo Ladino, dal Cantone lo scolo Riolo proseguiva con un’ampia curva per Madonna della Neve, Riolo, Torre del Cocenno e Torre di Galliera, dove terminava il canale. Le torri che si incontravano lungo il corso del canale facevano parte di un sistema difensivo realizzato dalla città di Bologna nei secoli XII e XIII a difesa dei propri territori nella lotta contro gli Estensi.318

La seconda via d’acqua tra Ferrara e Bologna era costituita dal Canale della Fossa verso Ferrara e dal Naviglio di Bologna verso l’omonima città, collegati in un sistema unitario. Nel medioevo il Po di Primaro aveva ancora un ruolo di primo piano nella navigazione; dopo la rotta di Ficarolo non subì variazioni nella sua portata e nel XIV secolo era ancora ricco di acque, come testimoniava Riccobaldo. Procedendo lungo il Primaro, tre miglia dopo Ferrara, si incontrava l’imbocco del canale per Bologna, guardato dalla Torre della Fossa, attestata dal XIII secolo negli Statuti di Ferrara. La Torre della Fossa crollò dopo l’immissione del Reno nel Primaro; essa sorgeva sull’argine del Po, poco più a valle dell’antico bivio della strada di S. Martino. L’andamento del canale seguiva quello della strada che si dirigeva in direzione sud-ovest verso S. Martino della Pontonara, dove sorgeva l’omonima torre, proseguendo poi verso Malalbergo. La Torre della Pontonara sorgeva al confine tra i territori di Ferrara e Bologna, nelle sue vicinanze sorgeva la Torre dell’Uccellino, fatta costruire dai Bolognesi nel 1242 e tuttora esistente. Da Malalbergo la via d’acqua proseguiva nel Navile di Bologna, aperto nel XIII secolo per tratti successivi. Nel 1208 il comune di Bologna aprì il primo tratto da Casalecchio alla città, nel 1221 si prolungò il canale di Reno per tre miglia fino a Corticella, si costruì poi il porto di Maccagnano a un miglio dalla città e nel 1287 il canale fu allargato e prolungato fino a Malalbergo. Da Malalbergo iniziava la navigazione inferiore che arrivava fino al Primaro.

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PATITUCCI [1983], pp. 76-78.

317 La valle Sammartina designava la vasta pianura a destra dell’imboccatura del Po di Ferrara alla punta di S. Giorgio,

posta tra gli sbocchi del Reno a ovest e della Savena a est. Essa, trovandosi inizialmente in una zona depressa lontana dal corso dei due torrenti, era successivamente stata privata di scoli e ridotta in palude a causa dell’alzamento del fondo del Po.

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Nelle sue Memorie per la storia del Reno di Bologna, Francesco Bertoldi riferiva come il Reno “da principio spandevasi nelle paludi al Mezzodì, e e all’Occidente di Cento verso il Finale”. Nel 1299 il Senato di Bologna fece chiudere una “tagliata già fatta nel fiume Reno presso la Torre del Comune di Cento, la quale tagliata sembra che altro non potesse essere, se non che una sgarbata per allungare il corso del fiume; e il motivo per cui si chiuse congetturasi che fosse il mal incamminamento, che per lei avevano l’acque”.319

Nel secolo XV, proseguiva Bertoldi, il Reno si rese sempre più “indomabile” e fu motivo, per le popolazioni adiacenti al suo corso, “per offendersi e desolarsi”. Ristrettasi l’ampia palude che per dodici secoli lo aveva ricevuto e apertasi una nuova via tra Cento e la Pieve, il Reno iniziò a spargersi “non più in cupe valli, bensì sopra gl’interramenti delle medesime, cioè sopra le adiacenti campagne dell’inferior pianura Bolognese, nelle quali erano state convertite con molta spesa ed industria”. Tra il 1449 ed il 1452 le terre verso Finale si trovarono soggette a tali inondazioni.320 Alcune fonti della seconda metà del Quattrocento testimoniavano come il Reno, pur inondando parte del territorio tra Bologna e Ferrara, si dirigesse assieme al Panaro verso il Po presso Bondeno: i riferimenti erano le opere di Biondo da Forlì, Italia illustrata, la cui prima edizione manoscritta risaliva al 1453, e di Pellegrino Prisciano, Historiae Ferrariae (fine XV secolo).321

319 B ERTOLDI [1807], p. 23. 320 B ERTOLDI [1807], p. 24. 321 M AFFIOLI [1998], pp. 242-243.

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I.2 - Il corso del Reno nel XV e XVI secolo

Nel 1450 il Reno ruppe presso Pieve di Cento e si diresse, attraverso la fossa Fistorena, “scolo maestro del paese, che sta fra Cento e il Finale”, a scaricarsi nel Panaro. Sette anni dopo il fiume mutò nuovamente il suo corso, rivolgendosi verso la Sammartina, ricolmandola. In seguito a questo avvenimento il duca di Ferrara, Ercole I, fece scavare una fossa fino a Traghetto, “acciocché le acque del Reno non inondassero que’ paesi facendo con utile grandissimo della Città molti poderi e case nella stessa S. Martina”. In questa occasione iniziarono i negoziati tra ferraresi e bolognesi sull’inalveazione del Reno nel Po di Ferrara. Furono presentate al duca Borso d’Este alcune istanze “affinché con certo e regolar letto s’indirizzasse il torrente attraverso del Ferrarese a quel ramo del Po, che scorreva al Mezzodì di Ferrara, ed inalveato avesse in lui il suo esito”. Il 21 luglio del 1460 fu firmata una convenzione tra i Bolognesi, il signore di Cento e Borso d’Este, nella quale fu stabilito “che dentro certo spazio di tempo si cavi un alveo al Reno dal punto della recente sua rotta del Canton di Bisana, e tra Cento e Pieve si diriga al Pirotello, a Galliera… co’ suoi argini a spese de’ Bolognesi: Che di là si conduca alla Chiavichetta di Bondeno, o sia un miglio al disotto del Canal di Porotto dentro del Po a spese de’ Ferraresi: Che si possa unire al Reno il torrente Samoggia”. Tuttavia, come riferiva Francesco Bertoldi, nessuno di questi provvedimenti fu attuato: “non essendosi adempito il convenuto, [il duca di Ferrara] intendeva sciolta la sua obbligazione … offeriva però qualche altro ripiego, il quale si fosse potuto concordare a comune vantaggio”.322 A causa dell’inosservanza dei patti tra bolognesi e ferraresi, la prevista introduzione del Reno arginato in Po non fu eseguita e il torrente continuò a vagare come prima tra Vigarano e Mainarda. Questo era lo stato dele cose nel 1521 quando il Reno “intollerante di quel freno che tenevalo raccolto al di sotto di Cento, ivi col rompere le sue sponde libero sfogo si aprì alle paludi, e abbandonando l’inferior tratto del corso che aveva, più immediate recò al piano bolognese le devastazioni”. I tanti ed incalcolabili danni nelle campagne adiacenti al corso del fiume, indussero i bolognesi, nel 1522, a chiedere al nuovo duca di Ferrara, Alfonso I, di realizzare il progetto “di condurre direttamente, e tutto chiuso tra argini il Reno nel Po”. Con l’accordo, sottoscritto il 5 dicembre 1522 e denominato Compositio inter illustrem Ducem Ferrariae, et Dominos Bononienses pro immittendo Flumen Reni in Padum, Alfonso I permise “che i Bolognesi a proprie spese, e sotto varie condizioni, chiusa la recente rotta del Reno, rimettessero questo nel primiero suo alveo sotto a Cento, e dal punto dove l’alveo terminava si prolungasse per la palude sino alla Rotta di Madonna Silvia, la quale … stava appresso alla odierna Chiesa di Porotto”.323

L’immissione causò frequenti inondazioni ed il rapido interrimento del Po di Ferrara, a vantaggio del ramo di Venezia, nel quale si dirigevano le acque del Po di Lombardia. Quando Reno e Panaro erano in piena e il Po di Lombardia in magra, le lore acque, anziché indirizzarsi verso Ferrara, tendevano a confluire nel Po grande alla Stellata. Il fondo del Po di Ferrara si alzava, la navigazione lungo i rami ferraresi di Volano e Primaro era sempre più difficoltosa. Per rimediare a questo

322 Il provvedimento fu di costruire le chiaviche della Mainarda e della Torre della Fossa a scolo del Polesine di

Marrara, tutto inondato dal Reno. BERTOLDI [1807], pp. 25-28. Sugli sviluppi della scienza delle acque in età rinascimentale si rinvia ai lavori di Alessandra Fiocca: FIOCCA [1998];FIOCCA -LAMBERINI -MAFFIOLI [2003].

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danno, che privava la città di Ferrara di una attiva navigazione, gli Estensi pensarono di eseguire all’imboccatura del Po di Venezia un diversivo, che obbligasse le acque ad abbandonarlo ed a piegare nuovamente verso quello di Ferrara. Dal 1538 si iniziò la costruzione dell’opera, ma essa già dopo la prima grossa piena del Po si rivelò inefficace e venne distrutta.

Ercole II, succeduto nel 1534 ad Alfonso I, ritenendo il Reno responsabile degli alzamenti del fondo nel ramo del Po di Ferrara, tentò di togliere tale affluente da esso procurando nel 1542 una rotta sotto Pieve di Cento, che fu fatta chiudere per ordine del pontefice Paolo III.

Nel 1564 fu avviata la grande bonificazione del Polesine di Ferrara, compreso tra il ramo del Po di Volano e il Po grande; ingegneri della bonifica furono i veneti Ippolito Pardi e Luca Federici.324 Gran parte dei lavori fu eseguita tra il 1566 ed il 1572; alle operazioni parteciparono anche tecnici attivi nell’area veneta come Silvio Belli.

Il timore di perdere non solo la navigazione, ma anche la possibilità di scolare le campagne nel fiume, indusse Alfonso II a fare nuovi tentativi per obbligare le acque del Po ad abbandonare il ramo di Venezia ed a dirigersi in quello di Ferrara. Non potendo aumentare le acque nel Po di Ferrara, Alfonso II cercò di impedire che queste diminuissero e a tale scopo tra il 1569 ed il 1571 fece costruire a traverso di esso a Bondeno un argine di terra a ovest dello sbocco del Panaro per costringere le acque di questo e del Reno a dirigersi verso Ferrara. L’argine fu costruito in modo da poter essere facilmente tagliato e rotto in tempo di piena nel Po. Anche questo tentativo si rivelò inutile, sia il Panaro che il Reno mostravano una sempre maggiore tendenza a rivolgersi verso la Stellata piuttosto che verso Ferrara. Gli insuccessi delle opere pratiche indussero il duca di Ferrara a sviluppare, attraverso i suoi tecnici, nuove proposte per il Reno. Iniziarono così le visite alle acque della provincia, alle quali presero parte i tecnici delle parti interessate e dalle quali scaturì una lunga serie di scritture e di polemiche verbali.325

Tutti i tentativi fatti per richiamare l’acqua del Po grande nel Po di Ferrara si erano rivelati fallimentari, per questo motivo nel 1573 fu riproposta la diversione del Reno dal ramo ferrarese del Po. In questa occasione Alfonso II si rivolse a due tecnici della repubblica di Venezia: il vicentino Silvio Belli e il veronese Iseppo Pontoni. Nel 1568 Pontoni aveva proposto alcuni interventi alla Stellata, dove dal Po grande avevano origine i due rami del Po di Ferrara e del Po di Venezia, consistenti nello scavo di un canale che sarebbe dovuto servire ad alimentare il Po di Ferrara prendendo l’acqua più a monte della bocca esistente.

Il 23 agosto 1573 Silvio Belli presentò ad Alfonso II una memoria, in cui metteva a confronto, anche dal punto di vista economico, tre diversi progetti per il Reno. Il primo, sottoscritto da Belli e da Pontoni, prevedeva di condurre le acque del Reno nel Po di Venezia a Pontelagoscuro mediante un ponte canale sotto l’alveo del Po di Ferrara. Il secondo proponeva di dirigere il Reno e il Panaro nel Po di Argenta poco sotto la punta di S. Giorgio, facendo confluire nello stesso alveo anche le acque di Burana mediante un nuovo cavo tracciato tra il nuovo letto del Reno e il Po di Ferrara. Il terzo progetto consisteva nel condurre solo il Reno nel Po di Argenta sotto la chiesa di Marrara. Dopo aver esaminato i tre progetti, Belli concluse che il più conveniente, anche in termini

324 Nei documenti contabili dell’impresa risultava anche la partecipazione di Giambattista Aleotti, il quale compilò tre

volumi di mappe e descrizioni.

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economici, era il primo, ma esso non fu gradito ai Ferraresi, i quali temevano che le piene del Reno avrebbero potuto danneggiare i già compromessi argini del Po di Ferrara.326

Nel 1577 ripresero i dibattiti tra Bolognesi e Ferraresi sul problema del Reno. Gregorio XIII inviò il nipote, il cardinale Filippo Guastavillani (Bologna 1541 - Roma 1587), in visita nei territori danneggiati per effettuare un sopralluogo, affiancato dall’ingegnere Scipio di Castro, che aveva l’incarico di arbitro nella controversia.327 In questa occasione i Ferraresi presentarono attraverso il