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3 Progetti, perizie e interventi nel XVII secolo

LA QUESTIONE DEL RENO E LA VISITA CONT

I. 3 Progetti, perizie e interventi nel XVII secolo

Con la partenza di Clemente VIII da Ferrara, il dibattito si trasferì a Roma, dove furono inviati i tecnici delle diverse provincie. Sia i Bolognesi che i Ferraresi erano scettici sulla possibilità di ripristinare l’assetto antico, in alternativa i Bolognesi proposero di divertire il Primaro nelle valli del Mezzano. Al progetto si opposero sia i Ferraresi, che temevano per il Polesine di S. Giorgio, sia il pontefice, preoccupato che potessero essere compromesse le rendite delle valli di Comacchio. Il pontefice e la Sacra Congregazione sembravano più orientati verso il progetto di Aleotti, ma la decisione fu rinviata dopo la nuova visita, prevista a novembre del 1600 sotto la direzione del cardinale Alfonso Visconti, affiancato dai tecnici delle tre province, da quelli della Camera Apostolica e da altri periti imparziali, tra cui il gesuita Giovanni Rosa. Quest’ultimo insieme a Giovanni Fontana propose di procedere alla riescavazione del Primaro in parte manualmente e in parte mediante dieci/dodici chiaviche da costruire nell’argine sinistro del Primaro, da S. Nicolò al mare, da aprire una o due per volta, che avrebbero scavato il Primaro superiore scaricandone le torbide nelle valli e sul Polesine. Al progetto si opposero i Ferraresi, lo stesso Aleotti nella propria

Difesa manifestò il suo ampio dissenso.341

La paralisi dei progetti di bonifica generale, unita alla lunghezza dei dibattiti, portarono al prevalere di una linea restauratrice, provocando la reazione della Repubblica di Venezia, concretizzatasi con il taglio di Porto Viro realizzato tra il 1600 ed il 1604. Il provvedimento, oltre a ridurre il pericolo di interrimenti delle lagune venete, allontanando le torbide del Po delle Fornaci, dirigendole verso il Ferrarese, ostruì l’imbocco del Po di Goro e del Volano e danneggiò le opere di bonifica del Polesine di Ferrara, appena completate.

Nel settembre del 1603 si tenne una nuova visita idraulica, condotta dal gesuita lodigiano Agostino Spernazzati insieme all’ingegnere fiammingo Everard Cosservat, nella quale emerse una soluzione di mediazione tra i diversi orientamenti.342

I Ferraresi chiesero al pontefice Clemente VIII di deviare il Reno dal Po di Ferrara facendolo spandere nella valle Sammartina, escavando nel frattempo il ramo interrito del Po di Ferrara. Tale richiesta fu accolta nel 1604 su parere di Spernazzati: Scrittura del padre Agostino Spernazzati

Gesuita a papa Clemente VIII per la diversione del Reno nelle valli.343 Con questo progetto si pensava di togliere il Reno dal Po di Ferrara e gli altri torrenti appenninici dal Primaro e di mandarli nelle valli, per permettere lo scavo degli alvei. Al termine dei lavori, i torrenti sarebbero stati rimessi al loro posto e l’acqua del Po grande avrebbe garantito il trasporto al mare delle torbide di questi torrenti. I Bolognesi, pur approvando il progetto di Spernazzati nelle sue linee generali, non accettavano, nemmeno provvisoriamente, la rimozione del Reno dal Po, prevista per permettere le operazioni di scavo e realizzare la bonifica della valle Sammartina. Il progetto, nonostante le difficoltà, fu approvato: col breve “Exigit a nobis” del 12 agosto 1604 Clemente VIII decretò la

341 F

IOCCA [1998], p. 81.

342 F

IOCCA [2002], p. 324. Sulle proposte avanzate da Spernazzati diede il proprio parere anche Aleotti. Si veda al riguardo FIOCCA [1998], pp. 91-93.

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deviazione del Reno e la sua espansione nella Sammartina per bonificare la valle e per permettere lo scavo dell’alveo del Po di Ferrara. Provvedimenti analoghi erano previsti per gli altri torrenti, che sarebbero stati disalveati dal Primaro e incassati nelle rispettive valli per bonificarle e permettere lo scavo. Solo quando l’acqua del Po grande fosse ritornata nei rami meridionali del Po, il Reno e gli altri torrenti vi sarebbero stati nuovamente immessi.344

Il legato di Romagna, Francesco Blandrata, fu incaricato dell’esecuzione dei lavori con l’assistenza dei gesuiti Rosa e Spernazzati e di Giovanni Fontana. I lavori di bonifica iniziarono a giugno del 1604, i primi interventi interessarono il settore inferiore (Argenta, Bastia, Lavezzola) per preparare una via per il deflusso delle acque, mettendo in comunicazione le valli tra loro, e il cavo della Sammartina, scolo dell’omonima valle. Ad inizio agosto i lavori si spostarono sul fronte settentrionale (imbocco del Reno e del Po di Ferrara alla Stellata, Vigarano), mentre a settembre essi riguardarono il cantiere nel tratto dalla Stellata a Bastia, interventi di miglioria dell’arginatura destra del Primaro. A novembre furono eseguiti alcuni lavori di pulizia lungo il Po di Argenta e altri lavori vicino alla bocca del Reno e al Panaro con la costruzione di un argine di sbarramento nell’alveo del Po di Ferrara per impedire al Panaro di scorrere verso la città e consentire lo scavo dell’alveo da Bondeno a Ferrara. Gli ultimi interventi riguardarono i sistemi di scolo della Sammartina e furono realizzati nell’aprile del 1605. Il problema più difficile era costituito dallo scavo degli alvei dei rami interriti del Po, il metodo proposto da Spernazzati consisteva nello scavare l’alveo usando la forza erosiva dell’acqua, eseguendo tagli nell’argine del fiume dove si fosse trovata una caduta sufficiente rispetto al piano della campagna.

Alla morte di Clemente VIII (1605), dopo la breve parentesi del pontificato di Leone XI, il successore Paolo V345 proseguì nella linea di restaurazione idraulica. Dal 1604 il Reno era stato divertito nella valle Sammartina per bonificarla, nello stesso anno il Lamone era stato disalveato, per poi essere reinalveato l’anno successivo. Nel 1607 esso verrà rimosso definitivamente e fatto defluire in mare separatamente per il porto del Pirotolo. Senio e Santerno furono condotti in Primaro attraverso le valli ravegnane.346

La diversione del Reno migliorò la situazione a Ferrara, ma peggiorò l’assetto alla destra del Primaro per l’espansione delle valli e la perdita degli scoli, creando gravi dissesti, la rottura degli argini della Sammartina, l’espansione delle alluvioni sulla pianura bolognese e ferrarese, l’unione della valle del Reno con quelle della Savena e di Marrara fino alle valli di Argenta. Si ebbero miglioramenti nell’alveo del Primaro, ma anche nuove rotte e devastazioni nelle valli di Argenta e Ferrara, inoltre dopo la disalveazione del Lamone peggiorò la situazione delle valli ravennati. Nel 1610 il bilancio dei lavori era nel suo complesso negativo, salvo alcuni interventi locali che riguardavano le singole legazioni. I Bolognesi, i più danneggiati dai lavori eseguiti, premevano per l’abbandono dei lavori intrapresi e per la reinalveazione del Reno nel Po grande, mentre i Ferraresi persistevano nell’idea di escavare il Po di Ferrara. Nel frattempo la direzione dei lavori era passata dal 1606, dopo la morte di Blandrata, al cardinale Bonifacio Gaetani, legato di Romagna, che manifestò orientamenti filo bolognesi, proseguiti sotto la direzione del cardinale Domenico Rivarola

344 Il documento fu inserito in Bologna [1821-26], t. IX, pp. 151-157.

345 Paolo V, al secolo Camillo Borghese (Roma, 1552 - ivi, 1621), eletto cardinale nel 1596, successe nel 1605 a Leone

XI.

346 G

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(1612-1621). Ci furono ancora tentativi di ripresa dell’escavazione del Primaro e del Volano e di ripristino dell’antico assetto, ma sempre senza risultati soddisfacenti. Il cardinale Giacomo Serra, legato di Ferrara, intraprese l’escavazione di un nuovo cavo per ripristinare la navigazione della città: nel 1618 il Panaro fu deviato dal Po grande e per mezzo di un taglio al Bondeno fu introdotto nel Po di Ferrara. L’operazione ebbe come conseguenza un ulteriore alzamento del fondo e la rottura degli argini. L’abbandono del progetto di Spernazzati portò alla ricerca di soluzioni alternative che potessero conciliare gli interessi delle legazioni e della Camera Apostolica.347

Dopo la morte di Paolo V (1621) salì al soglio pontificio il bolognese Alessandro Ludovisi col nome di Gregorio XV348, il quale si orientò verso le rivendicazioni bolognesi. I Bolognesi, attraverso il loro tecnico Vincenzo Sacco, elaborarono tre progetti: l’avanzamento del Reno dalla valle Sammartina fino in Volano alla punta di S. Giorgio, la reinalveazione del Reno per il suo vecchio alveo e la sua protrazione fino a Pontelagoscuro, la diversione del Reno dalla botta Ghisiglieri di Mirabello per un nuovo alveo verso Bondeno ad incontrare il Panaro e il tratto iniziale del Po di Ferrara, per il quale sarebbe confluito in Po grande alla Stellata. Escluso il primo progetto per la sua lunghezza e per la scarsa caduta, che avrebbe compromesso il Polesine di S. Giorgio, e il secondo perché avrebbe minacciato Ferrara attraversando alcuni dei suoi sobborghi più fertili e popolosi, il più fattibile sembrava il terzo per il suo andamento più breve e per la maggiore caduta.349

Nel 1621 il cardinale Luigi Capponi fu nominato sovrintendente alle acque delle tre legazioni e dopo la visita nei territori si orientò verso il terzo progetto (Mirabello-Stellata), affidandone al tecnico bolognese Vincenzo Sacco la direzione progettuale. Nel 1622 Gregorio XV, su consiglio del cardinale Capponi, fece reinalveare il Panaro nel Po grande alla Stellata. L’argine trasversale fatto costruire dai Ferraresi alla bocca de’ Masi nel Po di Ferrara per impedire al Panaro di introdurvisi era rimasto, ma rendeva più difficoltoso lo scolo delle acque della Sammartina. Tale argine era stato volutamente costruito non troppo robusto affinché nelle grandi piene del Panaro si potesse rompere e le acque del Panaro si potessero dirigere verso il Primaro. Tuttavia si ebbero effetti contrari e danni per il Primaro. Pertanto nel 1638 si rafforzò tale argine in modo che non potesse più essere rotto in occasione delle piene.

Con l’elezione di Urbano VIII350, succeduto nel 1623 a Gregorio XV, il cardinale Capponi fu confermato nella sovrintendenza idraulica delle legazioni, ma la sua autorità fu sottoposta alla Sacra Congregazione, affidando l’incarico di prefetto a monsignor Ottavio Corsini.351

Tra il 1622 ed il 1623 intervenne nella questione del Reno anche il gesuita ferrarese Nicolò Cabeo, redigendo sull’argomento una scrittura intitolata Dell’introduttione dell’acqua del Po in Volano e Primaro, datata verosimilmente 1624. Nella sua memoria Cabeo, rivolgendosi a quanto chiedevano

347 G

IACOMELLI [1983], p. 122.

348

Gregorio XV, al secolo Alessandro Ludovisi (Bologna, 1554 - Roma, 1623), fu eletto papa il 19 febbraio 1621, succedendo a Paolo V.

349 G

IACOMELLI [1983], p. 126.

350 Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini (Firenze, 1568 - Roma, 1644), cardinale dal 1606, fu legato di Bologna

(1611-14). Fu eletto papa nel 1623.

351 Ottavio Corsini (Firenze, 1588 - Roma, 1641) fu dal 1621 al 1623 nunzio apostolico in Francia. Nel 1624 fu

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di rivalutare la proposta di immissione del Reno nel Po grande, affermava che questo sarebbe stato solo un rimedio temporaneo e che il problema delle acque si sarebbe riproposto una volta che gli altri torrenti della Romagna, bonificate le rispettive valli, fossero entrati torbidi nel Primaro.352 Nel 1625, su richiesta del pontefice, monsignor Corsini effettuò una visita alle acque delle province di Bologna e Ferrara. Alla visita, che si svolse dall’8 gennaio al 10 aprile 1625, prese parte come tecnico pontificio il matematico Benedetto Castelli, esponente di spicco della scuola galileiana. La visita alle acque delle provincie di Bologna e Ferrara fornì a Castelli materiale utile per la successiva redazione dell’opera Della misura dell’acque correnti, uscita per la prima volta a Roma nel 1628, ivi ripubblicata nel 1639 e nel 1660 a Bologna.

Nella prima parte della visita Corsini, i tecnici locali, Giacomo Roscelli per Ferrara e Vincenzo Sassi per Bologna, con l’assistenza di Castelli esaminarono e livellarono le sei linee proposte per la diversione del Reno per scegliere tra queste la più opportuna.

La prima riprendeva il corso del vecchio Reno a Po Rotto protraendolo in linea retta fino a Lagoscuro con un taglio di cinque miglia. Dal punto di vista tecnico risultava semplice perché assecondava il corso naturale del Reno e del Po grande, ma rischiava di mettere in pericolo i territori del ferrarese che attraversava. La seconda avanzava il Reno dalla diversione fino alla punta di S. Giorgio in Volano, ma presentava anch’essa gli stessi inconvenienti della precedente. Le restanti linee erano dirette alla Stellata nel Po grande, ma per diverse vie. La terza prevedeva la reinalveazione in Po Rotto da dove si supponeva che il Reno avrebbe preso a rifluire retrogrado verso la Stellata e il Po grande, unendosi col Panaro. Essa presentava costi minimi, ma era inattuabile per la lunghezza e la tortuosità del corso. La quarta era un abbreviamento della terza e prevedeva la diversione del Reno da Vigarano all’altezza della Rotta de’ Biondi, ma tale diversione, oltre a presentare una caduta insufficiente nel tratto iniziale, era troppo acuta e continuava a descrivere un’ansa pericolosa. La quinta divertiva il Reno superiormente lungo il confine tra le provincie di Bologna e Ferrara, immettendolo nel Po di Ferrara alla Rotta de’ Biondi, ma presentava inconvenienti sia all’imbocco che allo sbocco. Si trattava di fare un taglio piuttosto lungo e tortuoso. La sesta era la linea, che era già stata scelta da monsignor Capponi e che fu preferita da Corsini a tutte le altre, per le ragioni che addusse nel breve opuscolo idrografico, Relazione

dell'acque del Bolognese e del Ferrarese.353 Essa proponeva di unire il Reno col Panaro presso

Bondeno e di scaricarli nel Po grande attraverso il Po di Ferrara. Urbano VIII col breve “Subditis cura et sollecitudo” del 4 novembre 1628 rese esecutiva la linea proposta da Corsini e Castelli, ma il boicottaggio ferrarese unito al disinteresse romagnolo ed alla grave pestilenza che in quegli anni flagellò gran parte d’Italia impedirono qualunque tipo di esecuzione.354

Due rotte particolarmente violente del Primaro nel 1646 e nel 1652 misero in pericolo il Ferrarese sud orientale e il Comacchiese. Durante il pontificato di Innocenzo X355 si tornò a discutere della

352

FIOCCA [2002], p. 341; MAFFIOLI [1998], pp. 258-261.

353 L’opuscolo di Corsini fu inserito nell’edizione bolognese del trattato di Benedetto Castelli, Della misura dell’acque

correnti, Bologna 1660, pp. 156-176. Esso fu pubblicato anche in Bologna [1821-26], t. III, pp. 231-242.

354 G

IACOMELLI [1983], pp. 131-132. Una descrizione delle diverse linee si trova in Raccolta di varie scritture, e notitie

concernenti l’interesse della remotione del Reno dalle valli, Bologna 1682, pp. 21-22.

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possibilità di rimettere il Reno nel Po grande, durante le riunioni della Sacra Congregazione delle acque degli anni 1645, 1646 e 1651. In quest’ultima occasione furono dati alle stampe i Memoriali

alla santità di N. S. Innocenzo X et a gli Eminentissimi, e Reverendissimi Signori Cardinali della Congregatione dell’Acque per la remotione del Reno ad instanza del Regimento di Bologna, e degl’Interessati Bolognesi di detto Reno dati l’anno 1651.356

Dopo l’elezione di Alessandro VII357 (1655) ripresero le controversie, i Bolognesi consultarono Giovanni Battista Barattieri per avere un parere e inviarono a Roma il proprio rappresentante affinché chiedesse di rimuovere il Reno dalle valli e di introdurlo nel Po grande. Barattieri produsse in questa occasione due scritture: 1. Varie scritture nel caso di aver levato l’acqua del Reno dal

cadere nel Po, e di rimetterlo di nuovo levandolo dal cadere nelle valli; 2. Considerazioni sopra il mettere l’acqua del Reno nel Po grande alla Stellata, o Palantone, e dell’altezza che può fare nel pienissimo Po l’aggiunta dell’acqua del pienissimo Reno.358 I Ferraresi opposero a questa richiesta l’escavazione del ramo del Po di Ferrara. La Sacra Congregazione, sentite le ragioni delle due parti, ordinò che si rilevasse con un’apposita livellazione la caduta del Reno nel Po grande e che si verificassero gli effetti che aveva prodotto nel Panaro. Tale incombenza fu assegnata al cardinale Borromeo, che nel 1660 effettuò la visita insieme al cardinale Bandinelli e al matematico Gian Domenico Cassini. Il risultato della visita fu riassunto da Cassini nella Relazione dello Stato

violento dell’acque del Bolognese, e del modo più facile per ridurle allo stato naturale.359 Cassini, dopo aver descritto brevemente la situazione delle acque nel territorio tra Bologna e Ferrara, riconosceva la necessità di rimuovere il Reno dalle valli sia per il mantenimento della navigazione sia per consentire lo scolo delle acque chiare nelle valli e la comunicazione di queste col Primaro o con le valli inferiori. Fatte queste premesse passò ad esporre il proprio parere su quale sbocco dare al Reno, che fosse “conforme a quel che richiede la natura stessa, e l’equità”. Se le acque del Reno non fossero state divertite, esse si sarebbero voltate all’indietro verso il Po grande alla Stellata (come già avevano fatto il Po di Ferrara e il Panaro) oppure avrebbero continuato il loro corso nel Po di Volano. Dunque secondo Cassini “o nel Po grande, o nel Po di Volano debbono ricettarsi l’acque del Reno, cioè o per quella strada, che prima facevano, o per quella, che di presente farebbero”, anche se riteneva più plausibile rimandarlo nel Po grande seguendo l’andamento naturale che aveva prima della diversione.

Alle possibili obiezioni dei Ferraresi, che avrebbero potuto proporre di scavare l’alveo del Primaro per introdurvi prima il Po grande, in modo da restituire la navigazione, e poi il Reno, secondo la bolla di Clemente VIII, Cassini rispondeva che tale impresa era già stata esclusa dal tecnico ferrarese Aleotti. Inoltre si poteva dimostrare “esser impresa almeno d’incertissima riuscita, di spesa intollerabile, ed impossibile a mantenere”. In ogni caso, prima di procedere ad un’eventuale escavazione del Primaro, si doveva dirigere il Reno verso la Stellata. In un secondo momento, se si fosse ritenuto opportuno, vi si sarebbe potuto rivolgere il Reno, proseguendo con lo scavo del Po di

356

I memoriali furono pubblicati nella Raccolta di varie scritture e notizie …, cit., pp. 9-19.

357 Alessandro VII, al secolo Fabio Chigi (Siena, 1599 - Roma, 1667), segretario di stato di Innocenzo X (1651), fu

nominato cardinale nel 1652. Fu eletto pontefice il 7 aprile 1655.

358 Le due scritture furono inserite in Bologna [1821-26], t. IX, pp. 184-200.

359 La Relazione di Cassini fu poi inserita in tutte le raccolte sul moto delle acque: Firenze [1723], t. I, pp. 393-398;

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Ferrara fino alla Stellata “per introdurvi quella parte del Po grande, che basta alla pretesa navigazione”. In sostanza quindi il progetto di Cassini non proponeva nulla di nuovo, ma si limitava a riprendere e correggere quello dei cardinali Capponi e Corsini.

Nel 1692 il pontefice Innocenzo XII incaricò i cardinali Ferdinando D’Adda (Milano, 1650 - Roma, 1719) e Francesco Barberini (Roma, 1662 - ivi, 1738) di sovrintendere alla questione della bonifica delle tre provincie di Bologna, Ferrara e Romagna, minacciate in particolar modo dalle acque del fiume Reno.

Il 1° novembre 1692 D’Adda e Barberini giunsero a Bologna e pochi giorni dopo iniziarono la visita. Dopo una lunga ed attenta ispezione dei luoghi, sentiti i pareri di tutte le parti interessate e i rimedi da loro proposti per il bene comune, i due cardinali chiesero a ciascuna delle delegazioni di presentare per iscritto le ragioni, le obiezioni, le risposte e le repliche delle medesime parti. Il lavoro sul campo iniziò a gennaio del 1693 e la visita, che vide la partecipazione di circa ottanta persone, proseguì fino all’inizio di luglio.

Il compito dei matematici era l’elaborazione di un progetto adeguato e la supervisione del lavoro dei periti, che dovevano eseguire le livellazioni. L’incontro conclusivo tra le delegazioni, riunite a Bologna dai due cardinali per discutere i diversi progetti proposti, iniziò a luglio del 1693 e si articolò in una serie di congressi che durarono tre mesi, mentre i periti proseguirono le livellazioni fino a novembre dello stesso anno. I resoconti ufficiali venivano tenuti da notai.

Domenico Guglielmini intervenne alla visita ed ai congressi per conto della legazione bolognese. In tale occasione redasse una lunga serie di brevi Scritture finalizzate a spiegare il suo progetto, a respingere le obiezioni sollevate dagli avversari e a confutare la validità degli altri progetti proposti. Le memorie di Guglielmini furono pubblicate su tutte le edizioni della raccolta sul moto delle acque.360 L’ordine con cui apparivano nell’edizione fiorentina del 1723 era il seguente:

Relazione di Domenico Guglielmini. De’ danni, che oltre quelli, che di presente patisce il territorio di Bologna, maggiormente patirà, quando dagli Eminentissimi Cardinali sopraintendenti all’acque, non sia trovato rimedio all’acque particolarmente del Reno, pp. 131-133.

Scrittura di Domenico Guglielmini. Mandata alli Signori Assunti d’acque di Bologna, l’anno 1692 che contiene le quattro linee da loro proposte per divertire il Reno nel Po grande, pp.133-137.

Scrittura. De’ Signori Bolognesi in risposta alla proposizione de’ Signori Ferraresi di condurre Reno, e gli