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LE PREFAZIONI ALLE RACCOLTE SUL MOTO DELLE ACQUE

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Prefazione alla prima raccolta di Firenze304

Considerando io, e meco medesimo attentamente ripensando, quanto necessaria, ed utile, e giovevole sia al mondo, ed agli uomini la cognizione, e la scienza dell’acque, e de’ fiumi: e della natura, e del moto, e della velocità, e de’ tanti, e sì varj effetti di essi, così poco in antico dal più delle gente conosciuti, o veramente male adoperati, e praticati; utile cosa al comune, ed al publico ho pensato di fare, raccogliendo nel presente volume quei Trattati, e quelle Scritture sopra tal materia de’ nostri Scrittori Italiani, i quali di comun consentimento de’ savj, e de’ dotti sono giudicati, e stimati i migliori.

Per introdurre con facilità, e chiarezza alla intelligenza di tali trattati coloro, i quali di leggerli avranno vaghezza, e di trarne utile, e diletto; perciocché la maggior parte di essi, come vorrei, e sarebbe desiderabile, non saranno geometri, io anderò loro brevemente accennando non con geometriche ragioni da molti biasimate, e sprezzate, perché non intese, ma con popolari, semplici, naturali, e chiare, ed a tutti note quello, che far dovranno; considerando a // tal effetto quello, che ha operato, ed opera la natura intorno all’acque, ed a’ fiumi, e quello che l’arte sua figliuola, e discepola, ed imitatrice abbia ritrovato, e ritrovi di profittevole, e di nocivo intorno ad essi, accennando con ischiettezza, e libertà quello, che sovra tal materia mi sembri ritrovarsi di vero, e di falso, di dubbioso, e di certo, di probabile, e di verisimile, di utile, e di nocevole, a laude, e gloria di Dio, e della verità, col cui nome non isdegno egli stesso di appellarsi, e la quale dice S. Girolamo post Deum colendam, quae sola nomine Deo proximos facit. E di essa Polibio maravigliosamente ebbe a dire: Io reputo aver la natura al genere umano posto avanti come nume grandissimo la verità, e

averle data una grandissima forza, e conciossiaché essendo ella da tutti impugnata, e stando tutte le verisimili conietture per la parte della bugia; la verità da se medesima non so come negli animi degli uomini s’insinua, e ora in un subito trae fuori questa sua forza, e ora per lunga pezza nascosa, finalmente colla potenza sua medesima vince, e trionfa della bugia.

Dirò dunque come i fiumi sono vaso, e ricettacolo d’acque, che corrono per lunga via dalle parti più alte della terra verso il mare più basso, e che grande utilità recano al mondo, ed agli uomini portando, e scaricando l’acque delle piogge, e delle nevi adiacenti verso del mare; ove poi dal Sole, e dal vento alzandosi in vapori per l’aria si fanno nuovamente pioggia, e neve, che dal vento lungi sportati verso gli alti alpestri monti, e dal freddo aere condensati tornano a scaricarsi, e discendere sovra la terra in pioggia, o neve, le campagne, fecondando, e per fosse, torrenti, rivi, e fiumi al mar ritornando: in cotal guisa per Divina ammirabile provvidenza circolando sempre dal principio del mondo la medesima quantità d’acque, e con tal circolo e al mondo, e agli uomini tutti servendo, e giovando, e chiaro, e vero dimostrando ciò, che Salomone disse: Omnia flumina intrant in mare, & mare non redundat. Ad locum, unde exeunt, flumina revertuntur, ut

iterum fluant. Quantunque il Grozio, ed altri spieghino questa circolazione per vie, e canali, e cavità

sotterranee. E questo è il primo, e principale fine, per cui pare, che siano fatti i fiumi, i quali tolgono le inondazioni, e le paludi alla terra, e massime alle pianure, le quali col loro copioso, ed abbondante frutto libere dall’acque alimentano gli uomini, e gli animali, e conservano salubrità all’aria, e salu- // te agli uomini; il che senza di essi fiumi non potrebbe addivenire; onde ebbe a dir Tullio nel secondo della Natura degli Iddii: Nos campis, nos montibus fruimur: nostri sunt amnes, nostri lacus: nos fruges ferimus, nos

arbores: nos aquarum inductionibus terris faecunditatem damus: nos flumina arcemus, dirigimus, avertimus.

Ma mentre che portano, e prestano i fiumi questo necessario, e primo, e principal servizio, e giovamento alla terra, le ne arrecano insiememente un altro grande, e utilissimo, e questo si è quello della navigazione, la quale trasporta con celerità, e comodo, e con poca spesa in lontani, e stranieri paesi le cose, che in alcun luogo o mancano, o abbondano, con utile, e diletto de’ popoli, e delle città, e delle nazioni; onde non vi ha

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chi non veda quanto bella, e quanto stimabile, quanto ingegnosa, quanto magnanima sia l’arte del navigare; onde con molta ragione, e con molto spirito disse Orazio:

Illi robur, & aes triplex

Circa pectus erat, qui fragilem truxi Commisit pelagio ratem

Primus.

Il perché molto commendabile debbe stimarsi il pensiero, e l’opera dell’uomo sovra questo gran benefizio di Dio, e della natura, cioè dell’acqua, non senza somma ragione, e accorgimento chiamata da Pindaro ottima di tutte le cose, e creduta da Talete negli antichi tempi, e dall’Elmonte ne’ moderni, primo, e material principio di esse. Vitruvio Principe degli architetti disse in proposito di essa: Igitur Divina Mens, quae proprie

necessaria essent gentibus, non constituit difficilia, & rara, uti sunt margaritae, aurum, argentum, ceteraque, quae nec corpus, nec natura desiderat; sed sine quibus mortalium vita non potest esse tuta, effudit ad manum, parata per omnem mundum. Non è mio intendimento in questo luogo di enumerare i grandi, ed

innumerabili benefizi, che presta l’acqua al mondo, ed agli uomini; ma solo considerar quello di essa, allorachè sovra la terra piove, e per fosse, rivi, torrenti, e fiumi, e laghi al mare corre, e discende; e la sua quantità, la sua velocità, la sua forza, e gli altri suoi effetti, secondo la norma, e la legge del Sapientissimo Creatore prescrittale, contemplando, e considerando. Il che pare che dalla provvidenza del Sommo Creatore sia riservato a i nostri tempi; perciocché calando sempre la terra da’ monti per le piogge continue, e // crescendo sempre le pianure, e riempiendosi i fiumi, i laghi, ed i mari per la continova sopravvegnienza e di terra, e di arene, le quali coll’acqua mescolate ne’ luoghi più bassi sempre discendono, e scemandosi il declive a i fossi, ed a i fiumi, ed alzandosi sovra le campagne il letto loro, e la lor linea, ed il lor corso allungandosi, pare che necessariamente, e naturalmente seguir debbano sempre maggiori inondazioni, che ne’ tempi antichi; e queste nelle pianure, e ne’ luoghi più fertili, i quali somministrano più largamente gli alimenti agli uomini, ed agli animali di loro servizio. Che però noi dobbiamo molto ringraziare la Divina Clemenza, la quale nel passato secolo, nel tempo, che ne cresceva il bisogno, illuminò colla face della Geometria, e dietro la scorta di Archimede, e del Galileo, il P. Abate Don Benedetto Castelli a esaminar la natura dell’acque correnti, e scoprirne tante, e tanto utili proprietà, e verità in prima tutte a tutti del tutto ignote, e tanto necessarie, e giovevoli all’arte umana per regolare, e dirigere, e ben governare il moto, e corso dell’acque per giovamento della navigazione, della cultura, e della salubrità dell’aria, e delle campagne: e continuasse nel Michelini, nel Guglielmini, e negli altri Autori della presente Raccolta l’amore, e la brama di tale scienza da essi non poco illustrata, ed accresciuta in modo da poter giovare immensamente al mondo, quando fosse da molti studiata, adoprata, e praticata, e quando l’umana ingratitudine, ed ignoranza, e malizia a ciò non si opponesse; ed amasse, e volesse adoperare in tal bisogna i più intendenti, ed abili, e capaci. Conciossiacosachè gli architetti, e gli ingegnieri de’ nostri tempi, che sogliono in tale affare mescolarsi, non sono, come dovrebbero essere, e come erano anticamente, e come li desidera Vitruvio nel principio della sua opera. Egli definisce l’Architettura: Scientia pluribus disciplinis, & variis eruditionibus ornata, cujus judicio

probantur omnia, qua a ceteris artibus perficiuntur opera. E vuol sopra tutto con Pithia antico Greco

architetto, che l’architetto, oltre il disegnare, e far piante, sia erudito in tutte le scienze, sia buon geometra, letterato, filosofo, dicendo: Philosophia vero perficit architectum animo magno, & uti non sit arrogans, sed

potius facilis, aequus, fidelis, sine avaritia, quod est maximum; nullum enim opus vere sine fide, & castitate fieri potest; nec sit cupidus, neque in muneribus accipiendis habeat animum occupatum, sed cum gravitate suam // tueatur dignitatem, bonam famam habendo; haec enim Philosophia praescribit. Praeterea de rerum

natura, quae Graece ϕυσιολογιαdicitur, Philosophia explicat; quam necesse est studiosius novisse, quod

habet multas naturales quaestiones, ut etiam in aquarum ductionibus &c.305 Questo capitolo vorrei che fosse

305 La filosofia in verità realizza l’architetto di grande animo e fa sì che non sia arrogante, ma piuttosto affabile, giusto,

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ben inteso, e letto da chiunque pretende professar tal arte; e che cosa per essa sia necessaria, e si richieda, e di quali notizie, e scienze abbia di bisogno. Il che potrebbe sapere anche da Platone nel Dialogo degli Amatori, ovvero della Filosofia, ove dice esser rari in tutta la Grecia gli architetti:

και γαρ εκει τεκτονα µεν αν πριαιο πεντε η εξεµων ακρον αρχιτεκτονα δε ου δ′αν µυριων δραγµων ολιγοιγε µην και εν πασι τοις ελλησι γιγνονται: Poiché quivi un artefice si comprerebbe cinque o al più

sei mine: un architetto poi ne anco per diecimila, perché pochi ne sono anco tra tutti i Greci. Ma Dio

Immortale in che tempo, ed in che luogo erano rari gli architetti! In Grecia, dove le scienze, e gli ingegni, e le arti, e gli artefici erano molti, ed eccellenti; imperciocchè gli architetti non operavano, ma presedevano agli operanti, come pure avverte lo stesso Platone nel libro del Sommo Bene:

και γαρ αρχιτεκτων γε ωας ουκ αυτος εργας ικος, αλλα εργαλων αρκων.

Poiché niuno architetto è egli stesso operante, ma capo delli operanti. Il Padre Niccolò Cabeo della dotta

Compagnia di Giesù, in tali scienze versatissimo, illustrando il primo libro delle Meteore di Aristotile, e trattando dell’acque, e de’ fiumi, e riprendendo l’ignoranza degli architetti moderni ebbe a dire: Et vere

Principes viri istiusmodi hominibus in officinis, & inter caementariorum strepitus eruditis non deberent aures praebere, qui ubi graphice aliquid in charta pingere noverunt, armatam Palladem ex suo capite prodire posse suspicantur. E di vero gran follia egli sembra il credere, che un muratore, uno scarpellino, un

agrimensore, un pittore possa essere grande architetto, grande ingegnere, e direttore di acque, e di fiumi, conciossiacosachè il saper delineare, e dipingere, e misurare, e descrivere una campagna serve di facilità in dimostrare lo stato dell’acqua, e de’ fiumi, e le cose fatte, o da farsi, ed in dimostrare il pensiero circa le mutazioni, ed i ripari; ma non già a ben pensare, e mutare nuove direzioni all’acque, ed a’ fiumi; al che si richiede molte più scienze, ed arti, e notizie, ed esperienze; e particolarmente una profonda geometria: una salda, e spe- // rimental filosofia; gran cognizione, e pratica di coltivazione, e di campagne: una eccellente mecchanica, e cognizione del peso, del moto, del numero, della misura, della resistenza de’ corpi, e massime dell’acque, e della terra, de’ legnami, e delle pietre, e grande sperienza, e pratica in far murare, coltivare, e lavorare, scavar terra, ed in somiglianti operazioni. Siccome a comporre un eccellente poema, o una bella, e buona orazione, la perfetta scrittura, o stampa non serve se non di facilità a leggersi, ed intendersi, quando sia fatta; ma niente a ben divisare, ideare, e perfezionare un tal componimento. Così Archimede, il Galileo, il Castelli, il Michelini, il Borelli, il Mariotte, ed altri vivi, e morti mattematici molto ben divisarono circa l’architettura dell’acque, e de’ fiumi senza niente saper disegnare, e dipingere; e niente in ciò operarono Raffaello, Tiziano, il Coreggio, il Callotte, Stefano della Bella, ed altri perfetti disegnatori; e così si potrebbe dimostrare, ed esemplificare di molti altri; onde saviamente il soprammentovato Autore soggiugne: Quia

enim hanc rem solum pertractant mechanici, qui quamvis architecti, & Italice speciosissimo nomine vocentur, Ingegneri, nulla re minus utuntur, quantum videre potui, quam ingenio, & sunt in scientiis rudes penitus, & inexperti, & qui bonas artes ne a limine quidem salutarunt, & toti sunt in delineandis, & pingendis graphice rebus, quibus oculos capiant Principum virorum. Pochi sono i paesi, ove non si odano

simili querele. Il nobile, e dotto uomo Bernardo Trevisano nell’elegante Trattato della Laguna di Venezia sua Patria dimostra, che quella laguna, e quella nobile antica, e famosa città non ha mai risentito gran danno, e nocumento in affare di così immensa premura dalla natura, e dall’ozio degli uomini; ma bensì quando l’inquietudine, e l’ignoranza, o avarizia di essi vi ha fatto spese di molti, e molti milioni per divertir tanti gran fiumi, e fare altri inutili, e nocevoli ripari, e provvedimenti, onde fu costretto a terminare, e concludere il suo savio, e vero discorso degno d’esser letto, e riletto da tutti gli amatori del vero, colle stesse parole del nostro P. Abate Castelli, allorachè dissuadeva con buone, e salde ragioni la famosa diversione del Sile, cioè: castità; e non sia bramoso, né abbia l’animo impegnato a ricevere doni, ma custodisca la sua dignità con serietà, mantenendo buona fama; queste cose infatti prescrive la filosofia. Inoltre la filosofia, che è detta in greco, ϕυσιολογια, dà spiegazioni sulla natura; è necessario conoscerla con più zelo, poiché presenta molte questioni naturali, come anche nella derivazione delle acque …

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D’ogni cosa intorno a queste mie zelanti considerazioni opposta, ed ordinata io mi appello all’inesorabile, ma giusto tri- // bunale della natura. Si divertì il Sile con immensa spesa, e danno contro l’opinione del

Castelli; perché, come dice Tucidide, i cattivi consigli più facilmente, che i buoni si persuadono; e la Laguna di Venezia è un grande esempio in somiglianti materie, ove si impara, e si comprende, che così in questa, come nelle altre materie, le regole generali, benché il più delle volte buone, e vere non si adattano a tutti i casi. I volgari ingegnieri si valeranno della regola generalmente vera, che bisogna divertire, ed allontanare da i porti i fiumi, perché portano in essi terra, e col tempo li riempiono, ed interriscono. Il Castelli colla scorta più certa, e più sicura della Geometria, e Filosofia meccanica, e co’ suoi nuovi ritrovamenti, ed avvertimenti intorno all’acque, trovò ciò non sempre esser vero. E di verità si trova ciò accadere in molti porti, e forse più che altrove allo sbocco de’ fiumi; e nel caso della Laguna, quando ella era naturalmente larga, e spaziosa, venivano i fiumi dall’alto, e vi portavano altezza d’acque, e le arene sospingevano nel mare molto sotto alla Laguna; onde ella si manteneva piena, ed alta di acque, e vota di arena, ed opportuna al naviglio, e di aria assai più salubre. Ristretti i canali, e le lagune, e levate l’acque correnti, e li fiumi, si accrescono dall’impeto del mare, che non ha la contraria resistenza dell’acque correnti, ed impetuose de’ fiumi, le arene, e gli interrimenti, e scema l’acqua, e l’aria si rende insalubre. Effetto dell’ignoranza degli architetti volgari, fomentati dalla soverchia avarizia di acquistar terreno fruttifero; il qual frutto, e rendita sarà sempre immensamente minore al dispendio di tanti milioni spesi in divertire, e mutare il corso, e per sì lungo tratto a tanti, e sì gran fiumi, che si potevano spendere in cose molto più utili; oltre il danno inestimabile dell’aria peggiore, e della navigazione tanto peggiorata, e che sempre va peggiorando. E somigliante errore commesse negli antichi tempi nel porto d’Efeso, ove sbocca il fiume Caistro, Attilo Filadelfo, come racconta Strabone nel libro 14 come ivi si può vedere. Altro esempio a mio proposito illustre, e famoso si è quello della diversione del Reno di Bologna dall’antico usato suo corso, e posto nella valle della S. Martina col fine, e pretesto di colmarla, e bonificarla, per iscavare in questo mentre il Po di Ferrara, e poi riporlo nel primiero suo letto. Il che riescì opera vana, e di sommo, immenso, irreparabil danno alla città di Bologna, ed al suo ampio, e fer- // til territorio, e diede occasione per un secolo a grandi spese, e liti, e controversie fra essa città, e quella di Ferrara: la qual lite dopo tante contrarietà, e litigi restò poco anzi terminata, e composta dalla giustizia, e clemenza del Sommo Pontefice Clemente XI e dalla Congregazione a ciò da lui eretta, e deputata. Questa controversia ha dato occasione a bellissime scritture, e ricerche sovra la nostra materia dell’acque; alcune delle quali si vedranno nella presente raccolta per documento, ed insegnamento utilissimo in somiglianti avvenimenti. E sono in essa stati adoperati i primi Mattematici dell’età nostra; le ragioni de’ quali dimostrano la differenza, che è infra essi, e li volgari ingegneri, e fra la scienza, e l’ignoranza. Altri esempi non pochi addur si potrebbero degli antichi, e de’ moderni tempi, e di lontani, e di vicini paesi, ove l’avere adoperato intorno all’acque, ed a’ fiumi volgari ingegneri, ed architetti, simili a coloro dal Padre Cabeo accennati, ha sovente cagionato molte, e gravi, ed inutili spese, e danni immensi, ed irreparabili. Ma sembrando questi sufficienti, ed essendo quelli, che si tralasciano pur troppo chiari, e noti, per fuggir tedio, e lunghezza tralascerò di annoverarli, concludendo col soprammentovato, e lodato Autore: Quae ignorantia

architectorum, quos fortasse per antiphrasim vocant Ingegneri inter Principes simultates excitavit fere tragicas, e con Cassiodoro: More vastissimi fluminis aliis spatia tollit, aliis rura concedit. E di vero col

sopradetto Cabeo si possono costoro a buona equità chiamare ingegneri senza ingegno, pratici non pratici, e periti imperitissimi.

Vi ha una querela non meno volgare, e comune, che antica in tutte le arti, ed in tutte le scienze, e massime in quella della direzion de’ fiumi, e dell’acque: cioè, che la Pratica sia di gran lunga superiore alla Teorica; e questo nasce, e proviene per mio avviso dalla difesa, che fanno questi tali pratici della loro ignoranza, e della loro avarizia, bramando tutti ciechi, ed ignoranti, perché non vedano, e riprendano tali loro difetti, e pongan freno al guadagno, ed alla temerità loro. Sopra di che si vuole avvertire, che tutto quello, che opera la pratica, è fondato, e dimostrato prima dalla Teorica, la quale è un’osservazione, ed un savio, ed eccellente esame, ed un esatta sperienza di quelle cose, che in pratica si veggono addivenire. Così tante belle operazioni, che

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fanno gli abbachisti, i calcolatori, gli inge- // gneri, gli architettori, altro non sono che parti, ed opere maravigliose dell’Arimmetica, e della Geometria; le quali dopo tante loro fatiche, e vigilie, e sudori messero loro nelle mani bello e smaltito, quanto essi operano, e fanno senza saperne il perché; onde noi veggiamo sovente intervenire, che alcuni puri pratici non intendono, a chi debbano saper grado di tanti ingegnosi strumenti, di tante sottilissime operazioni, e sono ingrati verso le Mattematiche, e quelle follemente giudicano, ed affermano inutili, non accorgendosi di far torto a loro stessi, condannando, e biasimando quelle scienze, che loro furono madri, e nudrici, e maestre; dalle quali la loro arte, e pratica riceve l’origine, e ‘l nascimento. Si trovano a’ tempi nostri molti, e molti, i quali nel legger le scritture, ed i libri, ed i pareri di savi uomini fondati sopra principj mattematici, e per via di linee, e di angoli, e di figure spiegati, e dimostrati, o pure calcolazioni ridotti, ove entrano e quadrati, e cubi, e radici, e sentendo parlare da per tutto di proporzioni, di direzioni, di peso, di moto, e di velocità, e di misure, se la ridono, schernendo, e motteggiando, e dicendo, che sono metafisiche, e mere sottigliezze di Teorica, le quali forse vere, e forse non vere ne loro termini astratti, ed ideali, non si adattano poi all’opera, ed alla materia, ed al fatto nella pratica. Si fanno beffe costoro, di così fatte ricerche, e meditazioni mattematiche, come se dalla Teologia, dalla Giurisprudenza, e dalla Medicina, dall’Astrologia, e di tutto altro fuori che dalla Mattematica trarsi dovessero le regole, che riguardano la quantità, la larghezza, la profondità, il movimento, e la forza dell’acque; avvegnachè quando poi s’impacciano essi di dare il parer loro in questa materia [intorno alla quale pochi sono, che non si arroghino di poter giudicare] ricorrono anche essi senza avvedersene a mattematiche da loro odiate, e sprezzate ragioni, con questa differenza però, che non possedendo i principj, e fondamenti di queste scienze, né sapendo dedurne legittime dimostrazioni, convien poi che le spaccino, come a lor vengono in mente, false, pazze, e stravolte. Io ben so, che come dice il nostro Poeta, l’esperienza: