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Che cos’è un servizio dal punto di vista sociologico

Gli studi di caso che presenteremo, appartengono all’area del lavoro sociale di rete, dove gli operatori si impegnano a supportare e a dare le basi affinchè le relazioni fra gli attori di un territorio si attivino e siano coese nel ricercare le loro soluzioni individuando il proprio percorso insieme. Ma soprattutto cercando di evitare la distribuzione di prestazioni o assistenze dirette. Per capire meglio che cosa significhi lavorare in rete, è necessario partire dalla definizione di servizio dal punto di vista sociologico. La letteratura in merito, in genere, appartiene per la maggior parte, al servizio sociale (come abbiamo visto) il cui alveo scientifico è sempre stato la conoscenza sociologica (Gui 2004, 67). Sul concetto di servizio troviamo interessanti influenze francesi: Laville e Gadrey. Sono due autori davvero interessanti, ci soffermeremo soprattutto sul secondo, i cui concetti sono più utili ai fini della nostra ricerca.

Laville propone la dizione di “servizio di prossimità” (Laville 1998, 60) in cui un servizi di prossimità vengono definiti come :

«vettori per nuovi compromessi tra logiche civiche, economiche e sociali, compromessi comunque capaci di rafforzare la coesione sociale»

77 Si veda Donolo C.. e i suoi scritti sulla tragedia dei beni comuni. Si rimanda almeno a L’intelligenza delle istituzioni, Feltrinelli, Milano, 1997 e a Sostenere lo sviluppo, Milano, 2007.

Si veda anche www.labsus.org/index.php?option=com_content&task=view&id=2234&Itemid=40. Per un ulteriore appronfondimento si rimanda il lettore alla parte della tesi sul principio di sussidiarietà e la cittadinanza attiva.

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Laville colloca i servizi di prossimità (come l’accoglienza dei bambini, l’aiuto a domicilio, etc.) nella categoria più generale dei servizi relazionali38, e presenta

diversi esempi concreti, che nel loro insieme, consentono di delineare una “ipotesi di servizi di prossimità idealtipici” come servizi «che si situano in un approccio d’economia solidale, in quanto fondanti di un’iniziativa economica basata sulla volontà di promuovere rapporti sociali di solidarietà» (Laville, 1998, 86). Ma è necessario fare un passo avanti, astrarre il concetto da influenze economiche e per questo è utile concentrarci sulla efficace definizione di servizio data del sociologo francese Jean Gadrey (2002), basata sul lavoro del 1977 di Peter Hill e che descrive un servizio come un’azione dinamica in cui:

«a service may be defined as a change in the conditions of a person or a good belonging to some economic unit, which is brought about as the result of the activity of some other economic unit with the prior agreement of the former person or economic unit».

Immagina così il concetto di servizio come un triangolo che include tre elementi primari: il cliente o utente che usufruisce del servizio (customer/client/user), il prestatore/erogatore del servizio (il service provider) e la trasformazione di una data realtà posseduta dal cliente stesso (come si è visto nella Fig. 1, § 2.2.1). Un servizio è quindi definibile come (Martinelli e Gadrey 2000, 30):

«un’operazione finalizzata a una trasformazione di stato di una realtà “C”, posseduta o utilizzata da un consumatore (cliente o utente) “B” e realizzata da un prestatore “A”, su domanda di B e spesso in relazione con quest’ultimo, che tuttavia non porta alla produzione di un bene in grado di circolare in senso economico indipendentemente dal supporto C»78.

Un servizio è erogato quando: 1) una persona/organizzazione/sistema tecnico A (l’erogatore/prestatore), che possiede o controlla una capacità tecnica o umana (competenza), vende o propone gratuitamente a un agente individuale o collettivo B (l’utente/cliente/cittadino, etc. che può chiederglielo o viene obbligato ad accettarlo), il diritto d’uso di questa capacità (competenza) per un certo periodo di tempo, per produrre degli effetti utili (la trasformazione di uno stato di fatto “C”)

78L’ultima specificazione – l’inseparabilità del “bene” prodotto dal supporto “C” - serve per

distinguere un’attività di servizio da una semplice attività di produzione di beni, cioè per non confondere i dipendenti di una azienda con dei prestatori di servizio (Prandini 2009).

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sull’agente B stesso o su oggetti C che egli possiede o soggetti di cui gli è stata attribuita la responsabilità (Prandini 2009, 158-159). Prandini inoltre ci mostra la specificità e l'utilità di questa definizione fino a costruire una grammatica dei servizi relazionali. Ma andiamo con ordine. L’importanza di questa definizione è che mette in luce le tre dimensioni della relazione di servizio: i) sociale (la relazione fra A, B e C); ii) temporale (il processo); iii) materiale (la trasformazione di uno stato C). Così proprio per questa struttura, caratterizzata da diversi inquadramenti relazionali, possiamo comprendere, e successivamente ‘sporcarci le mani’, con la relazionalità emergente (e se emerge lo vedremo) degli studi di caso. Rifletteremo quindi su quali e quanti livelli opera un servizio e come avviene il processo temporale di trasformazione dello stato C capace di generare un nuovo stato di benessere a partire dalla stessa realtà sociale. Ma la definizione di Gadrey mostra alcune criticità messe in luce da Zafirian (2000 in Prandini 2009). Gadrey considera il prestatore e il destinatario (A e B) solo come attori economici individuali (logica economica neoclassica), ma in realtà i due soggetti, che possono essere individuali o collettivi) sono radicati e contestualizzati in precisi framework socio-culturali. Ne deriva che possono dare un significato diverso alla relazione stessa e possono avere scopi diversi nell’ interplay che li coinvolge. La logica del loro patto/contratto non può essere perciò osservata solo dal punto di vista della razionalità economica, bensì da quello di una riflessività più complessa (Prandini 2009, 159). Inoltre il sociologo francese dà per scontato che A e B siano individui e non organizzazioni sociali complesse.

Ne consegue che diventa necessario analizzare chi sia il vero beneficiario del servizio. E per finire non viene fatta nessuna affermazione né sul problema fondamentale dei valori in gioco ( che possono essere non solo quelli di valore economico, ma anche d’uso, sociali etc.) né sulla valutazione/valorizzazione sociale del servizio. Zafirian introduce allora una nuova definizione di servizio come «una trasformazione nelle condizioni d’attività di un destinatario, cioè nelle sue disposizioni d’azione, i cui effetti sono giudicati positivamente dallo stesso destinatario e/o per la collettività di riferimento». Attraverso questa nuova definizione possiamo avvicinarci alla specificazione della grammatica relazionale di cosa sia un servizio proprio perché l’autore introduce chiaramente la teoria della doppia contingenza, per la quale il comportamento di Ego non solo dipende

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dal comportamento di Alter, ma anche dalle aspettative che Ego ha circa il comportamento di Alter e viceversa: l’azione quindi è doppiamente contingente, e insieme è azione di un soggetto capace di esprimere intenzionalità e reciprocità nel contesto dato. Se per Gadrey, relazionale è un servizio basato su spesse interazioni verbali e di contatto diretto tra produttori e consumatori e per Zarifian si tratta di servizi basati su una cooperazione tra erogatori e destinatari, sostenuta da comunicazioni “autentiche” capaci di interpretare i bisogni, per Prandini un servizio relazionale è una specie particolare di servizio che si distingue in quanto richiesto, erogato e co-prodotto in un certo modo e nello specifico quando la relazione fra A e B (a volte anche C), diventa la componente fondamentale della produzione del servizio fino a diventare (a volte) co-produzione stessa. Per esempio di fronte alla definizione di un problema sociale da affrontare sarà fondamentale guardare al problema dal punto di vista relazionale perchè già la definizione del problema emerge dalla relazione di “domanda-interpretazione della richiesta-capacità di risposta” che interviene tra il richiedente, l’utente e l’erogatore (Prandini 2009, 162). Così ad esempio se in una comunità avremo delle micro-reti familiari che si associano per affrontare insieme una situazione di malessere familiare della loro vita quotidiana sarà cruciale tener presente che la stessa domanda di intervento deve essere ricostruita in termini di relazione fra gli attori della comunità affinché il benessere familiare venga promosso come rete primaria di relazioni, bene relazionale in sé e per i suoi membri e per la comunità. Quindi, riprendendo le parole di Prandini, definiamo un servizio relazionale se opera: i) “su” (a partire da) relazioni; ii) “con” (insieme a, per mezzo di) relazioni; iii) “per” (al fine di) generare/ri-generare relazioni sociali e, infine, se è iv) diretto “a” far fiorire le possibilità (disposizioni) d’attività/esperienza di un beneficiario. È un processo finalizzato “alla” generazione di una soluzione (tecnica o umana) che opera “su” relazioni, “con” relazioni, “per” generare relazioni e “a” favore della piena fioritura delle relazioni. Questi quattro aspetti possono essere compresenti oppure no: chiaramente la relazionalità sarà maggiore dove la grammatica generativa (“su-con-per-a”) della relazione rappresenta la modalità operativa specifica del servizio (come possiamo vedere nella Figura 2). In questo modo Prandini illustra maggiormente la definizione di servizio relazionale che diventa tale in quanto «specifica relazione sociale di servizio, dove un attore “B”

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(individuale o collettivo) richiede (o è indirizzato) una prestazione ad un attore “A” (individuale o collettivo), che viene realizzata in relazione con “B” (dove la relazione è necessaria alla produzione del servizio), e che è finalizzata alla trasformazione dello stato di una realtà “C”, i cui effetti sono giudicati positivamente dallo stesso destinatario e/o dalla collettività di riferimento. Tale prestazione di servizio opera “su-con-per-a (beneficio) di”, le relazioni sociali tra A, B e C, ma anche delle relazioni contestuali» (Ibidem 162).

“A” beneficio delle relazioni far fiorire e capacitare i soggetti e le loro relazioni

“Su” “a partire da” relazioni “Con” relazioni attivare tutte le potenziali creare e condividere risorse presenti nel contesto alleanze con gli attori

“Per” relazioni

realizzare il bene relazionale di tutti Asse orizzontale. Proprietà emergente: spazio delle competenze Asse verticale. Proprietà emergente: spazio delle progettualità

Fig. 3 - La grammatica dei servizi relazionali (Prandini 2009, 162).

Quando impariamo una nuova lingua ci vengono dati, più o meno esplicitamente, gli strumenti per poter parlare ed essere compresi dalle altre persone: essenzialmente la grammatica. Così come ogni grammatica ci offre le regole fonetiche, ortografiche e morfologiche per imparare a parlare ed entrare in una nuova cultura, così la grammatica relazionale dei servizi può essere un utile strumento di guida per leggere la realtà relazionale della società e affrontare le sfide che ci vengono poste dalle politiche sociali contemporanee. Per esempio, se pensiamo alla famiglia nel contesto italiano vediamo come permane una evidente contraddizione fra la centralità dichiarata della famiglia e la sua sostanziale

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marginalità come soggetto di politiche sociali79. Così le politiche familiari rimangono di tipo socio-assistenziale e, in quanti tali, disconoscono la funzione sociale della famiglia che necessita di nuovi strategie capaci di focalizzare gli interventi su-per-con la famiglia- nella comunità locale considerandola, attraverso la prospettiva relazionale come soggetto sociale capace di considerare la famiglia nella sua piena soggettività, ossia titolare di propri diritti. Facendo questo, le attuali politiche familiari individualizzano gli individui e perdono il capitale sociale familiare. In questo modo producono più disintegrazione che integrazione sociale (Donati 2006). È evidente quindi la necessità di riconoscere il valore aggiunto che la famiglia dà alla società: essa offre un modello fiduciario di vita che genera capitale sociale primario, è il luogo in cui si apprende il riconoscimento dell’Altro e, se viene a mancare questo luogo, la società rischia di perdere la capacità di riconoscimento nelle sue varie accezioni, cioè di definire l’identità dell’altro, di accettarla e di esserne riconoscente (Donati 2007).

Provando a superare una logica di deficit model e promovendo una prospettiva di empowerment model diventa possibile promuovere delle azioni di politica familiare volte a superare la frammentazione, la privatizzazione della famiglia, promuovendola in quanto rete primaria di relazioni, bene relazionale in sé, per i suoi membri e per la comunità in un framework generale di promozione di una cultura della relazione, dei legami, «superando logiche che vedono le relazioni familiari (e conseguentemente tutte le relazioni) esclusivamente funzionali ad una ipotetica autorealizzazione degli individui»80. Cosa significa ciò? La grammatica relazionale ci ha fornito i punti cardinali attraverso cui orientarci, ma proviamo ora ad entrare più in profondità. Rispetto alla dimensione strumentale un servizio

che opera “su”,“a partire da” relazioni sociali sta a significare che tutti gli stakeholders del servizio hanno il dovere di dare il loro contributo alla

realizzazione del servizio nella partecipazione e condivisione delle risorse cognitive, normative, relazionali e materiali che possono fornire secondo il

principio di co-responsabilizzazione del servizio (Prandini 2009, 165) alla luce

79 La recente proposta di un Piano di Politiche Familiare (Osservatorio Nazionale sulla Famiglia

2007) preme appunto sulla necessità che il nostro Paese promuova un cambiamento, che veda la famiglia come soggetto centrale delle politiche familiari. Questo significa riconoscere il valore sociale delle specificità delle funzioni che le sono proprie.

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delle proprie capacità. Per quanto riguarda invece la dimensione realizzativa di un

servizio che opera “per” generare-rigenerare relazioni sociali a partire dalla pratica stessa del servizio significa che ciò che sta – o dovrebbe stare – a cuore

agli stakeholders è la produzione di un “bene” che deve essere realizzato attraverso le relazioni stesse fra gli attori sociali in gioco (i nostri A, B per la trasformazione di una situazione C). Per esempio, in questa fase, domande come “Qual è il bene per questo soggetto?”, “ Quale percorso aiuta a maturare la relazione tra questi gruppi sociali?”,“Quale riorganizzazione istituzionale permette una migliore qualità della vita della comunità locale?” possono aiutare a mantenere una tensione relazionale verso il bene che deve essere prodotto, fruito e valorizzato insieme81. Per quanto riguarda invece la dimensione regolativa del

servizio, lavorare “con” le relazioni significa che fra i nostri elementi A, B e C le

relazioni sono guidate da una logica contrattuale che «non comprende soltanto la pattuizione di diritti e doveri standard, ma anche finalità d’integrazione sociale, produzione di legami sociali e di benessere relazionale. Si tratta di una logica contrattuale avente come “oggetto” una relazione tra A, B e C, i cui contenuti non possono essere definiti completamente/discretamente, poiché possono modificarsi nel tempo e situazionalmente» (Prandini 2009, 165). Spesso può assumere una logica contrattuale di rete, formale o informale (Folgheraiter 2008).

Infine, guardando alla dimensione culturale, un servizio diretto “a”

sussidiare/capacitare le potenzialità di ogni attore sociale significa che in maniera

sussidiaria ogni attore dovrà riflettere non solo sul proprio modo di agire ma contemporaneamente anche sul modo in cui opera il servizio. Il principio di sussidiarietà è quindi in quest’ottica un modo di orientarsi qualificato metariflessivamente. «L’imperativo categorico della sussidiarietà è perciò: “agisci

81 Pozzobon A, Manuale di pedagogia sociale, in corso di pubblicazione. Ma in particolare se

pensiamo alla famiglia, per comprendere questa prospettiva realizzativa, può essere utile anche Donati (2003) “La famiglia è capitale sociale se e nella misura in cui le persone che la compongono agiscono in modo da valorizzare le stesse relazioni familiari (ciò che la fa essere famiglia internamente e nella società); il che avviene in due modi: a) valorizzando le relazioni fra i membri della famiglia, b) valorizzando le relazioni con l’esterno che possono accrescere il processo di valorizzazione della famiglia (per esempio reti associative, reti con altre famiglie, etc.). Il capitale sociale, pertanto, è la relazione sociale stessa se e in quanto è vista ed agita come risorsa per l’individuo e/o per la società. È qui che si mostra il senso della famiglia come capitale sociale: quando si osserva il capitale sociale quale intermediatore tra l’individuo e la società. La famiglia e le associazioni sono gli intermediari privilegiati”.

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in modo tale che tutti possano agire al massimo delle loro possibilità, fiorendo come persone capaci di condurre la propria vita.

Questa riflessività applicata a se stessa genera eigenvalues tipici: io opero in modo tale che tu possa fare la “tua parte”, così che, a mia volta, io possa fare la “mia”, così che tu possa fare la “tua”, etc. La sussidiarietà è una forma di riflessività personale, organizzativa, operativa, cognitiva ed emotiva» (Prandini 2009, 164). Infatti il principio di sussidiarietà, ricordiamolo, si basa sull’ sull’etero-capacitazione dell’Altro nella valorizzazione reciproca della relazione stessa. La forza innovatrice del principio sta proprio in questo: nel sostegno alle capacità dei soggetti in gioco, capacità che vanno sostenute e mai sostituite82, pena ritornare in un paradigma di welfare, basato su una logica assistenzialistica e incapace di leggere il linguaggio relazionale con cui guardare alla società. E qui, diventa centrale il concetto di riflessività, perché la circolarità messa in moto dalla logica sussidiaria − che per esempio vedremo nelle profonde domande che si pongono gli operatori in uno degli studi di caso − implica forme di riflessività particolariperché «per generare sussidiarietà occorre riflettere costantemente: 1) sui vecchi habitus operativi, cioè i vecchi schemi di lavoro, per sostituirli con nuovi; 2) sul senso e sul significato del proprio compito; 3) sul proprio modo di operare in relazione/alleanza con gli altri (modi di operare) controllando questa riflessività in itinere insieme agli altri attori. Stante l’idea alla base che «la proprietà emergente della sussidiarietà è possibile solo entro un servizio relazionale, cioè un servizio che opera a partire “da”, “con”, “per” e “a favore” delle relazioni».83 La peculiarità della sussidiarietà sta nel rispetto delle differenze e delle identità, nell’alleanza che si crea fra i diversi protagonisti per il bene comune: il benessere della famiglia. Possiamo riassumere quanto detto con la Fig. 3 che va a sintetizzare la logica (meta) riflessiva che genera sussidiarietà, cioè il

82 Francois-Xavier Kauffman ci ricorda, nell’interessante saggio “Il principio di sussidiarietà:

punto di vista di un sociologo delle organizzazioni”, in Natura e futuro delle conferenze

episcopali. Atti del colloquio internazionale di Salamanca (3-8 gennaio 1988), Edizione

Dehoniane, 1988, Bologna. pp.297-314 , che il focus centrale (e più problematico del principio stesso, data la difficile applicabilità ) è capire: 1. quale determinata unità sociale sia più capace o sia in grado di risolvere meglio un problema specifico; 2. e che le capacità degli individui sono molto diverse secondo il tipo di problema che si affronta.

83 Prandini R., “Servizi relazionali sussidiari e (meta)riflessività. il caso del “Giocoamico” di

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modo di orientarsi reciproco che declina l’essere sussidiari. Al centro di questa logica stanno le “quattro R”: ricapacitare l’altro e le sue competenze; riflettere sul proprio modo di agire in relazione al modo d’agire altrui; riconoscere le potenzialità di ognuno; responsabilizzare ogni soggetto del servizio sia nel senso di renderlo capace di rispondere dei suoi specifici compiti, sia nel senso dello

spondeo – l’impegnarsi fedelmente – il collaborare per il bene della relazione

(Prandini 2009, 167).

Ri-capacitazione

affrontare un problema o un progetto mettendo ognuno nella possibilità

di fare la sua parte, a modo suo

Ri-flessività Ri-conoscimento

come modo di orientarsi all’altro e non delle capacità e potenzialità solo alla propria performance di ognuno, agendo in modo tenendo conto degli effetti che il proprio da valorizzarle al massimo operare ha sull’operare

degli altri

Responsabilità

Saper rispondere dei propri doveri-compiti legandosi/alleandosi all’altro: “fare la propria parte mettendo gli altri

nelle condizioni di fare lo stesso”

Fig. 4- L’emergere della sussidiarietà dalla logica generativa meta-riflessiva (Prandini 2007, 146 )

2.7. Riflessività, lavoro sociale e sussidiarietà. Un percorso pos-