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1.4. Uno sguardo giuridico al principio di sussidiarietà: dall’America

1.4.4. Verso una nuova governance? I cittadini attivi

«Ci sono anche i cittadini parassiti, cittadini che non contribuiscono alla comunità in cui vivono: prendono, ma non danno nulla. I cittadini attivi sono invece quelli del 118.4. Cittadini che escono dal guscio e che di fronte ad un problema

della comunità si chiedono: che cosa posso fare io, da solo o con altri, per risolvere questo problema? I processi di partecipazione sono processi in cui non si delega. I cittadini attivi non delegano, sono persone che nel quotidiano decidono di fare qualche cosa direttamente e non pensano “ Ci penseranno gli altri, che sono pagati per farlo”. È vero, nel paradigma bipolare ci sono persone pagate per farlo,

ma ciò non significa che possiamo lavarcene le mani». (Gregorio Arena, da un intervento fiorentino, aprile 2009)

La storia italiana ci racconta che dal 1861 in poi l’amministrazione pubblica fu usata consapevolmente gerarchica, dura, centrata, una macchina di controllo che doveva essere capace di tenere insieme cento città e tante ex- capitali.

L’amministrazione aveva una funzione nel costruire le basi per lo sviluppo di questo nuovo paese senza strutture.In breve noi abbiamo visto i passaggi storici che hanno portato i legislatori ad assumere un nuovo punto di vista: anche i cittadini sono portatori di esigenze e bisogni che possono concorrere alla tutela dell’interesse pubblico. Ma il percorso successivo all’approvazione di una norma è spesso frastagliato di ostacoli. Se le nostre radici, e i brevi riferimenti normativi che abbiamo trattato sono lo specchio delle nostre difficoltà odierne, dall’altro non possiamo esimerci dal non tentare comunque un’ analisi del principio di sussidiarietà cercando di non arrivare a conclusioni banali, sebbene sintetiche.

Dunque maneggiare il principio di sussidiarietà non è affatto semplice. Da un lato perchè il principio di sussidiarietà, sebbene abbia le sua radici fortemente attaccate ai principi di uguaglianza sostanziale, di autonomia e responsabilità presenti nella nostra Costituzione, è ancora un principio nuovo che deve radicarsi nella società e per questo è fondamentale cercare di comprenderne al meglio i punti di forza e i punti di debolezza per svelarne appieno le sue potenzialità all’interno di un contesto di riflessione sulla ri-configurazione del welfare. Il principio di sussidiarietà si basa sull’alleanza che istituzioni e cittadini, la quale dovrebbe essere sancita da un interesse generale che sta a cuore a entrambi i soggetti. Il focus innovativo dell’art. 118, u.c. sta sia nel fatto che i cittadini

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possano «autonomamente» attivarsi nell’interesse generale, senza aspettare che una pubblica amministrazione dia loro una autorizzazione per farlo (o che chieda a loro di farlo); sia nel fatto che tale iniziativa, deve essere sostenuta dalle pubbliche amministrazioni. Quel «favoriscono» è esattamente il collante che sancisce il nuovo rapporto (sussidiario) fra pubblico e provato che valorizza: i) il pluricentrismo dell’interesse pubblico (fine del monopolio dell’autorità pubblica); ii) l’autonoma iniziativa che diventa l’input per il nuovo rapporto; iii) l’attività di interesse generale che definisce un nuovo campo di interazione in cui pubblico e privato si incontrano per affrontare nuove sfide insieme e insieme cercano di dare adeguate soluzioni a nuovi bisogni emergenti59. Ma che cos’è l’interesse

generale? L’interesse generale è l’essenziale motivazione che stimola da un lato, i

cittadini ad attivarsi e dall’altro, il sostegno che i pubblici poteri deve fornire loro (Arena 2006, 108-109). Nella realizzazione del principio di sussidiarietà i cittadini quindi si organizzano intorno a una questione, un bisogno che necessita delle risposte perché mirano a ottenere un vantaggio (vedremo poi che tipo di vantaggio) in cui il loro interesse personale coincide con l’interesse generale. Arena ci ricorda inoltre che i cittadini attivi e le amministrazioni svolgono una funzione di interesse generale non tanto perché è pubblico il soggetto che la svolge, ma specialmente perché tale funziona mira a soddisfare gli interessi di una pluralità di persone che fanno parte di una comunità. Cambia il concetto di interesse generale in seguito all’evoluzione del nuovo ruolo dell’amministrazione.

La portata del principio di sussidiarietà è quindi straordinaria: porta a una parità formale fra i soggetti, fra i cittadini attivi e i poteri pubblici attraverso il riconoscimento reciproco delle rispettive differenze nei propri ruoli e nelle proprie responsabilità. Il volto dell’amministrazione pubblica viene ‘soggettivato’in vista di un’alleanza al servizio della comunità e ai cittadini viene riconosciuta una capacità di offrire soluzioni a problemi tradizionali, in collaborazione con l’amministrazione stessa. Naturalmente ci possono essere casi in cui un rapporto sussidiario possa essere più o meno evidente. Non si ha applicazione del principio

59 Cerulli Irelli V., Sussidiarietà, p. 5, dove si considera come “in una data fase storica, in un

determinato contesto sociale possono emergere infatti bisogni particolarmente rilevanti alcui soddisfacimento i pubblici poteri non abbiano ancora dato una risposta”

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di sussidiarietà laddove l’amministrazione attribuisca a soggetti privati, retribuendone l’attività, lo svolgimento di funzioni pubbliche.

L’esternalizzazione di funzioni o servizi pubblici, nelle varie forme in cui essa può manifestarsi (dagli appalti all’outsourcing), è un modo di amministrare che rientra nell’ambito del paradigma bipolare, non di quello sussidiario, perché l’amministrazione rimane pur sempre l’unico soggetto legittimato al perseguimento dell’interesse generale ed il privato è solo un suo strumento60.

È quindi l’interesse generale l’elemento di creazione delle condizioni di un rapporto sussidiario fra due parti. Infatti l’analisi delle attività svolte dai cittadini ‘sussidiari’si è constatato che − una volta prese in considerazione il tipo di attività concrete svolte dai cittadini per vedere in che modo essi potessero dare concretezza all’interesse generale − «la funzione di servizio da essi svolta a favore della comunità possa essere ricondotta essenzialmente ad attività di produzione, cura e riproduzione di beni comuni» (Arena 2006, 116).

Ed è questo, in sintesi, il valore aggiunto che il principio di sussidiarietà può portare nella ri-configurazione del welfare. Seppure l’individuazione di tali attività e delle relative modalità di intervento rimanga un percorso spesso non privo di difficoltà, seppure alcuni lati del principio rimangano ancora oscuri e seppur riconosciamo che il concetto stesso abbia necessità di essere dibattuto ancora a lungo per svelarne appieno luci e ombre. Secondo Arena il valore aggiunto del principio consiste proprio nel prendersi cura, nel senso letterale del termine, di quei beni61, che essendo di tutti, e che da tutti vengono utilizzati, sono a maggior rischio di non essere tutelati da un tipo di uso egoistico e predatorio, a danno di quei beni stessi. Ma se di essi si riesce ad aver qualitativamente cura tutti insieme, allora il loro arricchimento arricchirà tutti, così come il loro degrado impoverirà tutti. L’utilità sociale dei cittadini attivi consiste quindi nella cura dei beni comuni per la comunità in cui vivono. E’ un tipo di valore aggiunto che è

60 Un punto della relazione tenuta da Gregorio Arena, “La sussidiarietà come fattore di riforma

dell’ammnistrazione”, presentata il 31 gennaio 2008 al Convegno “Il sistema amministrativo a dieci ani dalla Riforma Bassanini” tenutosi presso l’Università Roma Tre. www.labsus.org).

61 Tali beni sono «beni che una società detiene in comune. I beni sono una classe di beni che si

presentano nell’esperienza sociale come presupposti di ogni forma di agire e insieme come esiti, voluti e non voluti, dell’interazione fra gli attori» in Donolo C., L’intelligenza delle istituzioni, Feltrinelli, Milano, p.20 e in:

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costituito di tempo, idee, relazioni che vengono messe a disposizione dei cittadini per altri cittadini nell’interesse della loro comunità62. Pensando all’Italia tale valore aggiunto non è affatto da sottovalutare. Recenti dati confermano che, a parità di condizioni di contesto e di reddito noi siamo relativamente più poveri in merito alla qualità di beni comuni rispetto al resto dell’Europa. Una famiglia italiana è più povera di una famiglia tedesca o francese perché la qualità di beni comuni di cui questa famiglia dispone è nettamente inferiore rispetto a queste famiglie europee63. C’è quindi tutto un diritto da ripensare, a partire da nuove forme partecipative che si muovono dal basso. Infatti parlare di sussidiarietà significa tematizzare le capacità degli attori sociali, che devono essere sostenute e non sostituite. Ciò ha a che fare con le sfere sociali, con i loro limiti e le loro identità. E nel momento in cui andiamo a definire queste sfere, diamo loro un’ identità e quindi abbiamo a che fare con dei compiti e dei poteri (specifici): nuove identità che devono essere riconosciute, promosse e tutelate.

IDENTITÀ POTERI COMPETENZE

Vi è quindi una sorta di intenzionalità del percorso sussidiario di empowerment fra i soggetti. Attuare una pratica di sussidiarietà ci appare come forma di riflessione virtuosa, input per poter creare un percorso di ri-capacitazione fra le sfere sociali. Ed esso comincia con il rapporto fra cittadini e istituzioni. Abbiamo visto che la sussidiarietà favorisce la ‘riscoperta’ delle istituzioni, ma è necessario entrare nel cambiamento della relazione tra gli addetti alle istituzioni e i loro compiti e la vita delle istituzioni (Donolo 1997, 7) per capire la reale portata del principio di sussidiarietà. Attraverso la partecipazione si possono sperimentare, ma soprattutto apprendere nuovi modi di concepire i problemi, di come rielaborarli attraverso soluzioni inedite. Se da un lato le società si stanno

62 Con le parole di Hannah Arendt potremmo affermare che è proprio lo stare insieme fra le

persone in vista di una azione condivisa che è valore aggiunto per la società. E’ quello che l’Autrice affermava essere ‘il potere del popolo’ che contrapponeva alla violenza individuale o collettiva. La fiducia della Arendt nel potere del popolo stava nella convinzione che esso desiderasse "la felicità pubblica", derivante dall’agire insieme, dall’unirsi in vista di un bene comune. «Vincolarsi e promettere, aggregarsi e pattuire sono i mezzi con i quali si mantiene vivo il potere» (Arend H, On the Revolution,1963 ; trad it. Sulla rivoluzione, Einaudi, 2009, p. 199).

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muovendo verso il polo postdemocratico (Mastropaolo 2001; Crouch 2003), dall’altro si riscontra una rinascita di interesse nei confronti della vita pubblica e la ricerca di una maggiore inclusività nei processi e nei meccanismi decisionali (Pellizzoni 2005; Regonini 2005; Borghi 2006). Ecco che il concetto di partecipazione64, termine inflazionato nel dibattito attuale almeno quanto quello del nostro principio, si lega strettamente con la sussidiarietà. È nello ‘sperimentalismo democratico’ (Sabel 2001) che possiamo cogliere quella nuova forma di governance promossa dal principio di sussidiarietà in grado si ri-attivare processi di ri-qualificazione del legame sociale e processi di superamento dei rischi di depauperamento istituzionale e politico prodotto dal paradigma della postdemocrazia (Crouch 2003) attraverso una intensificazione del patrimonio

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Non intendo qui affrontare l’odierno dibattito in materia di partecipazione, non è questa la sede. Mi limito qui solo a chiarire e circoscrivere la definizione di partecipazione a cui mi rifersico. Come partecipazione intendo quei processi che permettono di esercitare soggettività e interdipendenza fin dall’espressione individuale, attraverso il confronto e l’influenzamento in gruppo rispetto ad una situazione/problema/desiderio, fino alla dimensione decisionale; tali processi di generatività sociale permettono un reale esercizio del potere e sviluppano il sentimento di “essere parte-in-azione” (Branca 2007). Il minimo livello di partecipazione consiste nell’accesso all’informazione; tale stadio dovrebbe essere funzionale all’aggancio e all’inserimento in processi partecipativi superiori nella scala. Il secondo livello, la presenza agli

eventi, è quello che è definibile come livello di coinvolgimento. Con il terzo livello, definito come supporto alle attività, si confonde spesso un’attribuzione di massima responsabilità con, in verità,

l’aiuto organizzativo in un’attività/evento. Al quarto livello inizia a concretizzarsi un livello gestionale-partecipativo attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro; tale livello, però, chiede ancora la definizione di un percorso che permetta nel tempo “di definire un soggetto collettivo che possa differenziare e connettere i livelli di potere/partecipazione possibili: direzionale, promozionale, negoziale, di controllo, di supporto” (Branca 2007, p.18). Il massimo livello di partecipazione consiste nell’intervenire ad influenzare la direzione e la costruzione dell’intervento; “partecipare alla definizione delle ipotesi generative di area politico (direzione) – pedagogica (di

trasformazione) entro momenti di discussione assembleare, non significa limitarsi unicamente ad

una raccolta delle espressioni individuali, ma altresì promuovere quei processi che, a partire dall’espressione, permettono di definire/decidere collettivamente le istanze fondamentali: bisogni, problemi, aspettative, obiettivi.” Nell’ottica della sociologia relazionale, possiamo definire il 4° e il 5° livello della scala di Branca come quei processi generativi che sono la base della cittadinanza societaria, una cittadinanza come “relazione” dove gli attori in gioco “ diventano soggetti nel momento in cui scoprono e assumono che alcuni dei compiti relativi a queste funzioni (di cittadinanza) sono propri e solo propri, fermo restando la necessaria condivisione del problema con altri attori e la necessità di sostegno e regolazione da parte della comunità politica organizzata” (Donati 2000). Reti primarie e secondarie, legami fra livelli micro e macro della società, flussi di scambi e reciprocità dove ogni attore aiuta l’altro a compiere il suo ruolo sono solo alcuni dei segnali della presenza di una “sussidiarietà promozionale”(Pozzobon 2007). Parlando quindi di soggettività in questi termini si configura ciò che prospetta la riforma del titolo V della Costituzione in materia di sussidiarietà: una cittadinanza dove i soggetti riconoscono le interdipendenze fra essi e fra le responsabilità proprie e altrui in un welfare dove l’apporto per la realizzazione del bene comune è plurale e societario.

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locale di riflessività (Borghi 2003, 2006). Ciò si verifica sia a livello teorico, nel

dibattito scientifico, che a livello pratico, soprattutto sul piano locale, con sperimentazioni di tipo partecipativo che nascono da esigenze e richieste espresse dai cittadini, dalla società civile e dalla stessa pubblica amministrazione. Ma se diverse pratiche locali e partecipative si diffondono sempre più, bisogna però stare attenti a cogliere l’innovazione sociale lì dove emerge realmente e per questo è necessario costruire strumenti ad hoc per potere cogliere e de-scrivere l’utilità sociale di tali processi. Fino a qui abbiamo osservato che il principio di sussidiarietà appare come un criterio operativo, basato sul nesso libertà- responsabilità65, di regolazione fra le relazioni degli attori in gioco,e quindi grazie a tale principio viene data nuova attenzione alle relazioni interpersonali. Inoltre rispetto alle politiche sociali, il principio di sussidiarietà può dare l’opportunità di ridefinire le priorità della relazione di subsidium (chi deve aiutare chi?) indicando una strada per uscire dalle politiche sociali tradizionale dominate e guidate dallo Stato/Mercato (Donati, 2003). L’innovazione quindi, come ogni buon scienziato insegna, non sta tanto nella scoperta di qualcosa che nessuno aveva mai visto, quanto nella combinazione inedita di fattori noti. Sostenere che l’individuo possa rapportarsi con l’amministrazione in termini non di subordinanzione ma di collaborazione (Arena 2006) significa impostare un nuovo quadro culturale di realizzazione della cittadinanza che ha come cornice i processi di empowering delle comunità locali (Zimmerman 1999; Branca 2003) e la generatività di nuovi processi di partecipazione attiva (Prandini 2004). I processi di empowering in una comunità forniscono alle persone opportunità per migliorare la vita della comunià, opportunità per rispondere alle minacce alla qualità della vita e opportunità per partecipare attivamente alla vita comunitaria. Ma dire ‘cittadinanza attiva’ non basta, diventa necessario usare una lente d’ingradimento con maggior potere diottrico per non cadere in quegli orizzonti problematici che Vicari Haddock

65 Arena parla proprio di un nuovo nesso su cui è basata la sussidiarietà orizzontale, il nesso

Potere/responsabilità, due facce della stessa medaglia dell’essere cittadini attivi. Ciò significa che non si può essere chiamati a rispondere (=essere responsabili) per qualcosa che esula dalla propria sfera decisionale, ma se si è autonomi quindi in grado di fare liberamente le proprie scelte, si devono assumere le proprie responsabilità ed essere ache in grado di dare risposte in un contesto di amministrazione condivisa. In tale ottica Arena parla di empowerment dei cittadini come autorevolezza, cioè come riconoscimento di uno status pubblico che finora i cittadini comuni non potevano avere (www.labsus.org/documenti).

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(2005) ha definito come “tirannia della partecipazione” proprio per sottolineare la complessità dei percorsi partecipativi e delle conseguenti scelte e possibilità di partecipare a tali arene. Tale lente consta della realizzazione di metodologie adeguate capaci di cogliere l’emergenza del fenomeno in esame. La valutazione assume allora un compito cruciale: quello di fare spazio (attraverso la formulazione di ipotesi e/o disegni di ricerca) alla spiegazione di come le cose funzionino, e per far questo è spesso necessario guardare al di sotto dell’apparente superficie dell’osservabile e studiare a fondo i meccanismi generativi che di fatto costituiscono l’esito di un programma sociale (Stame 2006). Senza una spiegazione del perché un rapporto fra due attori è sussidiario e delle condizioni in cui questo può accadere, la ricerca sul valore aggiunto della sussidiarietà rimane cieca come la stessa valutazione degli studi di caso presi in esame. E ci limiteremo ad aggiungere al principio di sussidiarietà una ulteriore semantica, di cui, nel sovraccarico dibattito attuale, non c’è affatto bisogno.

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CAPITOLO 2

VERSO UN WELFARE SOCIETARIO E PLURALE

Dalla teoria agli studi di caso

2.1. Dal ‘servizio tecnico’ ai ‘servizi per la famiglia’: una con-

testualizzazione generale.

Le attuali tendenze del welfare state nel continente europeo indicano chiaramente che deve essere riorganizzato nelle sue finalità e strumenti.66 L’ultimo rapporto dell’Istituto di politica familiare (IPF 2007) sull’evoluzione della famiglia in Europa rileva una sensibilità disuguale nei confronti della famiglia da parte dei governi nazionali. Su 13 euro destinati dall’Europa alle spese sociali, meno di 1 euro è dedicato alla famiglia, mentre aumentano altre voci quali la vecchiaia o la sanità. La famiglia perciò continua a non essere considerata una priorità. Il rischio è allora che si creino paesi di prima e seconda categoria, data la mancanza di convergenza in materia sociale. E questo nonostante l’articolo 33 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea conferisca legittimità all’Unione di impegnarsi nel dibattito sulla politica familiare, e il Comitato Economico e Sociale Europeo raccomanda all’Unione di incoraggiare i paesi membri ad inserire la dimensione della famiglia nelle proprie politiche economiche e sociali (Parere CESE 423/2007). Ma in alcuni paesi si comincia a dare rilievo istituzionale alla famiglia. Se pensiamo alla realtà italiana, non siamo che all’inizio di un lungo percorso del riconoscimento della soggettività propria della famiglia. Raramente la famiglia è stata considerata nella sua piena soggettività, ossia titolare di propri diritti. Facendo questo, le attuali politiche familiari individualizzano gli individui e perdono il capitale sociale familiare. In questo modo producono più disintegrazione che integrazione sociale (Donati 2006). È evidente quindi la necessità di riconoscere il valore aggiunto che la

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famiglia dà alla società. Essa offre tre modalità di valore aggiunto: i) come valori di beni prodotti dalla famiglia rispetto al valore dei beni e servizi portati dai membri dei componenti; ii) come capacità di realizzare equità e ridistribuzione fra i familiari in base alle loro necessità personali (una maggior durata e forza dei legami possono aumentare la capacità di redistribuzione delle risorse familiari); iii) come contributo che la famiglia dà alla società (una maggiore stabilità dei legami familiari favoriscono e stimolano una maggiore capacità di impegnarsi per la comunità e il conseguente aumento di comportamenti prosociali). In breve la famiglia offre un modello fiduciario di vita che genera capitale sociale primario, è il luogo in cui si apprende il riconoscimento dell’Altro e se viene a mancare questo luogo la società perde la capacità di riconoscimento nelle sue varie accezioni, cioè di definire l’identità dell’altro, di accettarla e di esserne riconoscente (Donati 2007). La recente proposta di un Piano di Politiche Familiare (Osservatorio Nazionale sulla Famiglia 2007) preme appunto sulla necessità che il nostro Paese promuova un cambiamento, che veda la famiglia come soggetto centrale delle politiche familiari. Questo significa riconoscere il valore sociale delle specificità delle funzioni che le sono proprie. Infatti nel contesto italiano permane una evidente contraddizione fra la centralità dichiarata della famiglia e la sua sostanziale marginalità come soggetto di politiche sociali.

Così le politiche familiari rimangono di tipo socio-assistenziale e, in quanti tali, disconoscono la funzione sociale della famiglia. Per affrontare queste sfide diventa necessario realizzare nuovi "sistemi riflessivi di ben-essere": la riflessività