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3.4. Secondo caso: Il progetto Piaf dell' U.l.s.s.n 8 di Asolo(Tv) Obiettivi e

3.4.3. Le radici progettuali: il progetto Re.Sol Fai

Abbiamo visto che con la deliberazione della Giunta Regionale 4237/2003 la Regione Veneto avviò un progetto pilota regionale per la promozione di Reti di famiglie, reti di solidarietà per l’infanzia e l’adolescenza, da cui nel territorio trevigiano prese vita, fra i vari132, il Progetto Politiche Familiari (I° studio di caso) e il Progetto Re. Sol. Fai, origine del nostro II° studio di caso. Il progetto Re. Sol. Fai. nonostante fosse stato valutato come una buona prassi ( e vedremo in breve perché), purtroppo qualche anno dopo l’avvio si fermò per una serie di motivazioni legate sia al continuo cambio di amministrazione politica che ai sempre più recenti tagli di finanziamenti pubblici. Così i pensatori iniziali del progetto, di fronte a una nuova possibilità di finanziamento regionale133, e a partire dalla bontà in nuce del progetto, ripensarono una nuova modalità di progettualità che fosse capace di mettere al centro le famiglie, mobilitare la loro sinergia per la creazione di reti di solidarietà stabiliti sul territorio. Potremmo dire che il progetto Re.Sol.Fai vide nuova luce proprio tramite il Piano Infanzia Adolescenza e Famiglia della Regione Veneto. Il progetto prevedeva la promozione e creazione in tutto il territorio provinciale (Ulss 7, 8, 9) di reti di solidarietà di famiglie per minori e famiglie in difficoltà, che potessero lavorare in sinergia con i servizi pubblici. Ma perché il progetto Re.Sol.Fai è stato considerato un buon esempio di politica per la famiglia? Capire da dove viene il progetto ‘Famiglie in Rete’, ci aiuterà a capire, nella valutazione finale, se ha mantenuto una radice culturale forte che mirava a sostenere la piena soggettività sociale delle famiglie. Secondo Prandini (2006, 420-430), sono quattro le dimensioni di interesse che emergono dal progetto Re.Sol.Fai: i) la capacità di ‘inventare/scoprire’ nuove risorse e mezzi per le politiche sociali, non trascurando, ma valorizzando le risorse che sono già presenti nel territorio; ii) la capacità di finalizzare il progetto alla generazione di capitale sociale, cioè di legami sociali solidali, affidabili e disponibili a fornire servizi personalizzati; iii)

132 Si ricorda che il Progetto Politiche Familiari, studio di caso presente in questo lavoro, è nato a

partire dallo stesso finanziamento regionale del Progetto Re.Sol.Fai, progetto pilota che si è esaurito, ma che ha trovato una nuova riformulazione nel Progetto ‘Famiglie in rete’.

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la capacità di differenziare i compiti di ogni attore della politica integrandoli attraverso una governance sussidiaria; iv) la capacità di valorizzare la famiglia nella sua piena ‘soggettività sociale’.

Il primo punto: la capacità di ‘inventare/scoprire’ nuove risorse e mezzi per le politiche sociali, non trascurando, ma valorizzando le risorse che sono già presenti nel territorio. In questo progetto il territorio viene concepito come un luogo potenzialmente pieno di risorse di solidarietà che sono invisibili solo agli occhi dei servizi pubblici. Il tentativo di ricostruire ‘una comunità’ sulla base delle famiglie disponibili a farsi carico di responsabilità sociali implica un modo ‘diverso’ di pensare a un intervento di politica sociale: finche le politiche sociali vengono pensate e definite come meccanismi attraverso cui gli apparati dello Stato, delle Regioni, delle Province, e dei Comuni implementano i diritti sociali ridistribuendo le risorse economiche, erogando direttamente servizi e così via, non si potrà vedere che la società è piena di risorse che non fanno riferimento né al potere politico, né al potere economico né al potere della Legge. Il numero delle famiglie che alla fine erano coinvolte e attive nella rete (80 famiglie) ha reso evidente un nuovo modo di creare risorse attraverso altre risorse (relazionali), rinnovando in questo modo un tessuto sociale qualitativamente più solidale e sensibile ai problemi comuni.

La capacità di accoglienza e la diffusa cultura di ospitalità creatasi col tempo da parte (e grazie) alle famiglie impegnate nel progetto rappresentano nuovi strumenti operativi che prima di allora o erano dati per scontati o non venivano presi in considerazione. Il secondo punto: la capacità di finalizzare il progetto alla generazione di capitale sociale capace di fornire servizi personalizzati alle famiglie. Le fasi che contraddistinguono il progetto, ossia la fase di sensibilizzazione del territorio, la collaborazione delle associazioni coinvolte, la partecipazione degli operatori ai corsi di aggiornamento, rappresentano gli indicatori che ci dicono che l’obiettivo centrale del progetto (la creazione di reti solidali fra famiglie per l’accoglienza/affido di minori in difficoltà) è in atto ed è realizzabile. La costruzione della rete è possibile grazie alla sinergica collaborazione fra gli attori del territorio, i quali mirano a erogare un tipo di servizio sempre più basato sulla fiducia reciproca e sulla flessibilità delle risposte più che su procedure burocratiche standard. Solo in questo modo può avvenire la

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reale erogazione personalizzata del servizio. Il terzo punto: la capacità di differenziare i compiti degli attori della politica integrandoli grazie attraverso una governance sussidiaria. I primi due punti non potrebbero essere validi e ‘funzionare’ se ogni attore non avesse in mente le proprie competenze, cioè ‘il chi deve fare che cosa’. Su questo punto i protagonisti del progetto sono stati chiari fin dalle prime interviste (Prandini 2006, 403-423). Ogni partecipante della rete ha competenze diverse, proprie, insostituibili e non sovrapponibili data dalla stessa finalità: le famiglie vogliono essere/fare le famiglie, gli operatori esercitare la loro professionalità, le associazioni promuovere e sostenere la cultura della famiglia,, i Comuni erogare servizi ad hoc per la famiglia, le U.l.s.s. del territorio e i consultori rispondere al problema dell’affido come prima accoglienza nel modo migliore. Tale costante consapevolezza rappresenta un punto di eccellenza del progetto, da non dare mai per scontato e che è la spinta più forte per ogni attore a collaborare nel miglior modo possibile, entro le sue possibilità, al lavoro di rete attraverso una cultura sussidiaria condivisa. L’ultimo punto: la capacità di valorizzare la famiglia come ‘soggettività sociale’. L’orientamento al prossimo è il nodo centrale di questo progetto: gli intervistati del progetto affermano che partecipano al progetto perché vogliono aiutare altre famiglie. Ciò ci dice che, alla base, non vi è un’idea di famiglia come fatto privato, sfera privata di affetti, ma anzi vi è un’idea di apertura , una prosocialità condivisa dalle famiglie coinvolte nel progetto che si impegnano in prima persona perché anche altre famiglie possano realizzare i loro ‘progetti di vita familiare’ nella comunità cui appartengono. Significa promuovere processi di riconoscimento della propria diversità (differenza di ruolo, di funzione, di azione, di supporto al servizio etc.) attraverso la legittimazione reciproca delle proprie differenze per poi passare alla costruzione di un’identità e di una prospettiva comuni (appunto di soggettività sociale). Pena il rischio di continuare a promuovere una tipologia di benessere sociale che de-personalizza l’individuo svuotando il senso e la fonte del legame sociale stesso. Il progetto Re.Sol.Fai è stato così di stimolo per una continuità nel territorio grazie alle peculiarità appena descritte. Nonostante il progetto si fosse bloccato qualche anno dopo, non tutto è andato perduto e congiuntamente alla sensibilità del responsabile scientifico progettuale e a nuove condizioni di finanziamento regionale, esso è ripartito attraverso un nuovo nome, il progetto

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“Famiglie in rete”, mantenendo il modello culturale molto forte del progetto Re.Sol.Fai.

3.4.4. L’affido ‘di lieve emergenza’ : una forma di accoglienza nella