LE OPERAZIONI OGGETTIVAMENTE INESISTENTI
3.1 I COSTI DOCUMENTATI IN FATTURE OGGETTIVAMENTE INESISTENTI: ART 8, COMMA 2, D.L N 16/2012
3.1 I COSTI DOCUMENTATI IN FATTURE OGGETTIVAMENTE INESISTENTI: ART. 8, COMMA 2, D.L. N. 16/2012
Il legislatore con la nuova disciplina sull’indeducibilità dei costi da reato, tra le novità introdotte, ha previsto con l’art. 8, comma 2, del D.L. n. 16/2012, quello che è il trattamento previsto per le operazioni cosiddette “oggettivamente inesistenti”. La definizione di operazione inesistente, come già detto nel capitolo precedente nel paragrafo relativo alle operazioni soggettivamente inesistenti, si rinviene nell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 74/2000 in cui viene disposto che “per "fatture o altri
documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale….”
Le fatture oggettivamente inesistenti, la cui descrizione appare dal testo della norma, si riferiscono, quindi, a tutti quei casi in cui si verifica una divergenza tra ciò che è effettivamente avvenuto e ciò che viene documentato nella fattura, anche se tale difformità è solo parziale perché solo alcune operazioni non sono realmente avvenute.
Nella definizione di inesistenza oggettiva rientra sia quella in senso materiale sia quella in senso giuridico.
Si ha l’inesistenza materiale qualora sia attuato un accordo illegale tra il soggetto cedente e il cessionario/acquirente, attraverso l’emissione di una fattura da parte del cedente che documenta una cessione di un bene o una prestazione di un servizio in realtà mai avvenuta. In tale caso l’acquirente, dopo aver ricevuto la fattura e dopo averla contabilizzata, detrae l’Iva e deduce il costo ai fini delle imposte sui redditi, il quale rispetta “apparentemente” il principio dell’inerenza. Il cessionario, a fronte della transazione non realmente avvenuta, non paga, tuttavia, realmente il cedente, in quanto, quest’ultimo dopo aver dedotto il
“compenso” che gli spetta, restituisce le somme pagate all’acquirente con l’utilizzo di mezzi non rintracciabili e scompare senza neppure versare all’Erario l’Iva a debito dovuta a seguito dell’emissione della fattura inesistente.
L’inesistenza materiale può anche essere relativa qualora l’emissione della fattura avvenga per effetto di un’operazione solo in parte non effettivamente posta in essere. In tale ipotesi la divergenza tra quanto documentato nella fattura e quello che è realmente avvenuto è parziale, quindi la difformità si rinviene in termini quantitativi, dal momento che l’operazione sia pur realmente effettuata è avvenuta per importi diversi e inferiori rispetto a quelli documentati nel supporto cartaceo. È il caso della “soprafatturazione” in cui l’operazione può dirsi solo parzialmente falsa/inesistente.
L’inesistenza giuridica, invece, si ha quando l’emissione della fattura avviene per effetto della simulazione di un’operazione ovvero quando l’operazione è solo apparente e, quindi, nei casi in cui i negozi giuridici differiscono da quelli effettivamente posti in essere dalle parti.
Il comma 2 dell’art. 8 del D.L. n. 16/2012 è intervenuto, a tal proposito, stabilendo quella che è la disciplina applicabile alle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, le quali fanno riferimento a quelle operazioni mai, del tutto o in parte, conseguite e, quindi, a beni non realmente scambiati e a servizi non effettivamente prestati.
In particolare, l’articolo sopraindicato, stabilisce che “Ai fini dell'accertamento
delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell'ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell'art. 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”.
In un’ottica soggettiva, secondo quanto riportato dall’Assonime nella circolare n. 14/2012, si evidenzia come la nuova disposizione sia attuata per quei soggetti
come, ad esempio, le cosiddette “cartiere” che si pongono in un ruolo di interposizione nelle cessioni di beni e nelle prestazioni di servizi realizzando degli schemi del tutto fittizi; la norma, quindi, ha lo scopo di dare rilevanza ai fini della tassazione esclusivamente al margine di guadagno realizzato in capo al soggetto interposto nella cessione eseguita fittiziamente.
Quindi, la disposizione si rivolge a quelle ipotesi in cui le società sono delle mere scatole vuote, prive di consistenza patrimoniale che sono destinate a scomparire nel giro di un breve arco temporale.
Ma non solo, infatti, si potrebbe configurare anche il caso in cui tali operazioni oggettivamente inesistenti siano realizzate all’interno di società patrimonialmente solide da parte di dipendenti infedeli che agiscono solo per soddisfare il proprio interesse personale. In tale ipotesi la società potrebbe dimostrare l’infedeltà del dipendente che ha agito nel suo esclusivo interesse e nel caso in cui fosse difficile fornire tale prova, comunque, l’applicazione della nuova normativa permetterebbe di risolvere la questione.
In un’ottica oggettiva, invece, la disposizione si riferisce alle operazioni oggettivamente inesistenti, ossia alle cessioni non realmente avvenute in cui il bene non è stato effettivamente scambiato o il servizio prestato.
Tuttavia, si sono sollevate delle questioni in relazione all’applicazione della norma nel caso dell’emissione di fatture solo parzialmente inesistenti, indicanti, quindi, un ammontare o un’imposta sul valore aggiunto superiore rispetto a quello reale, nonostante tali operazioni solo in parte inesistenti siano ricomprese nella definizione di operazione inesistente di cui alla lettera a) del comma 1 del D.Lgs. n. 74/2000.
In tal caso la cessione del bene o la prestazione del servizio è effettivamente avvenuta, se pur parte del corrispettivo risultante sia fittizio, pertanto, secondo l’Assonime, stando al tenore letterale della norma, tale ipotesi dovrebbe essere esclusa dall’ambito di operatività del comma 2. Infatti, in tale ipotesi la determinazione corretta della base imponibile del cedente si potrebbe ricavare applicando gli ordinari criteri di accertamento induttivo ai fatti rilevati, rimanendo
comunque indeducibili per il soggetto acquirente i maggiori costi fittizi, non realmente sostenuti in virtù dell’art. 109 del T.U.I.R..121
Nonostante tali perplessità sollevate dalla dottrina, se ci si sofferma sul tenore letterale della norma appaiono evidenti le novità introdotte da legislatore per effetto della nuova norma.
Infatti, il legislatore con la nuova disposizione ha previsto che in materia di imposte sui redditi non siano soggetti a tassazione i componenti positivi afferenti a componenti negativi che attengono a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati nel limite dell’ammontare dei costi non ammesso in deduzione.
In altri termini, in sede di accertamento delle imposte sui redditi, una volta rilevata l’inesistenza di un costo e da qui la sua indeducibilità in virtù di quelle che sono gli ordinari criteri di determinazione del reddito imponibile previsti dal T.U.I.R., non possono essere neppure tassati i ricavi e i proventi fittizi, escludendoli dalla determinazione del reddito per l’ammontare che trova capienza nei predetti costi indeducibili.
Secondo l’Agenzia delle Entrate con tale nuova disposizione l’intento del legislatore sarebbe stato quello di voler sottolineare l’inesistenza di tali ricavi/proventi, in quanto, relativi a componenti negativi indeducibili giacché sostenuti a fronte di beni non realmente scambiati o servizi non realmente prestati. A favore del contribuente si realizza una sorte di “neutralizzazione” dei ricavi fino a concorrenza dei costi non ammessi in deduzione, con l’eventuale assoggettamento a tassazione dell’eccedenza dei proventi rispetto ai componenti negativi di reddito.
Tale norma non derogherebbe, stando al parere dell’Agenzia, a quelli che sono i criteri ordinari per la determinazione analitica del reddito imponibile, ma servirebbe a tutelare il contribuente evitando che in sede di accertamento fiscale gli siano tassati dei ricavi non realmente conseguiti.
Difatti, secondo quanto riportato dall’autorevole dottrina, trattandosi di costi sostenuti a fronte di operazioni non effettivamente attuate, non sembrerebbero
1 L’art. 109, comma 1, del T.U.I.R. stabilisce che “1. I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e
negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni.”
esserci equivoci sul fatto che la loro indeducibilità derivi dall’applicazione delle regole ordinarie in materia di imposte sui redditi.
Quindi, con la nuova previsione, a differenza del passato, il contribuente non è più costretto a subire una sorte di “doppia imposizione” per effetto dell’indeducibilità dei costi e della contemporanea tassazione dei ricavi, in quanto, la contestazione dell’utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti rileva non solo la fittizietà dei costi sostenuti, ma anche dei ricavi dichiarati connessi alla cessione fittizia o simulata per correlazione con l’acquisto fittizio.122
Tutto ciò per salvaguardare il principio della capacità contributiva che, con la previsione della “doppia imposizione”, era violato.
Difatti, era irragionevole che a seguito della contestazione della fittizietà di una cessione venissero soggetti a tassazione i ricavi relativi a beni e servizi nella realtà mai entrati a far parte del patrimonio del contribuente.
Sul punto era intervenuta anche la Cassazione che, con la sentenza n. 8211 del 11 aprile 2011, aveva sottolineato il paradosso derivante dal riconoscimento dell’indeducibilità dei costi e della tassazione dei proventi afferenti ai medesimi beni di cui si contestava l’inesistenza all’interno del patrimonio della società soggetta ai controlli fiscali.
Come sottolineato dall’Assonime nella circolare n. 14/2012 la norma, dunque, avrebbe natura procedimentale, in quanto, non sarebbe volta ad introdurre delle deroghe ai criteri utilizzati per determinare in modo analitico il reddito imponibile, ma servirebbe a tutelare il contribuente, in sede di verifica fiscale, in modo tale che non gli siano contestati dei proventi non realmente conseguiti (e ciò per la stessa motivazione dell’atto), in violazione del principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione.
Tuttavia, parte dell’autorevole dottrina ha evidenziato come la previsione che esenta da tassazione, fino a concorrenza, i ricavi direttamente afferenti a costi relativi a beni non realmente scambiati, porta ad escludere da tassazione solo una quota dei ricavi/proventi fittizi.
Quantunque l’intento del legislatore sia stato quello di voler tutelare il principio della capacità contributiva, la disposizione che prevede comunque di assoggettare
122 IORIO A. E AMBROSI L., Costi da reato: C.M. 32/E/2012, in "Guida ai controlli fiscali" n. 10 dell’ 1
a tassazione la differenza, se positiva, tra i proventi fittizi e i costi fittizi, non sembrerebbe trovare giustificazione sul piano costituzionale e, in particolare, come previgentemente alla modifica introdotta, non sembrerebbe rispettare l’art. 53 della Costituzione.123
La nuova normativa comporterebbe, per di più, degli effetti ancora più paradossali, dato il solo richiamo testuale ai ricavi “direttamente afferenti”, qualora tale disposizione dell’esenzione da tassazione dei proventi fosse invocata a fronte di un semplice “gonfiamento” dei costi in relazione a dei ricavi realmente conseguiti. L’esenzione da tassazione dei ricavi effettivi, nel limite dell’ammontare dei costi “gonfiati” e, quindi, fittizi, apparirebbe illogica e infondata.124
L’intento del legislatore in materia di operazioni oggettivamente inesistenti, stando a quanto riportato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 32/E del 2012, non sarebbe però stato solamente quello di voler garantire il principio di capacità contributiva, ammettendo la rettifica dei ricavi entro i limiti sopradetti, ma anche quello di “fornire una efficace risposta all’antigiuridicità della fattispecie
in esame, sia sotto il profilo sanzionatorio, sia escludendo che in relazione alla sanzione prevista si applicano gli istituti del concorso e della continuazione.”
Con la nuova previsione, infatti, nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, scatta un’apposita sanzione amministrativa che varia dal 25 al 50 per cento dell’ammontare dei componenti negativi relativi a beni non effettivamente scambiati e a servizi non effettivamente prestati e, quindi, documentati in fatture false.
L’introduzione della predetta sanzione, dunque, ha posto fine al problema sorto in ragione dell’applicazione della sanzione amministrativa per infedele dichiarazione o per omessa dichiarazione, ritenute inadeguate, predisponendo una specifica sanzione per le operazioni oggettivamente inesistenti.125
Tale sanzione amministrativa, come indicato dall’Agenzia delle Entrate nel documento di prassi, dovrebbe essere applicata avvalendosi di un apposito atto di
123 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
dipendenza rovesciata, in "Rassegna tributaria", n.6 di novembre-‐dicembre 2012, pag. 143.
124 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
dipendenza rovesciata, in "Rassegna tributaria", n.6 di novembre-‐dicembre 2012, pag. 143.
125 PUTZU G. E GALLUCCIO L., Indeducibilità dei costi da reato: primi commenti, in "Guida ai
contestazione contenente adeguata motivazione con riferimento alla fattispecie rilevata e alla determinazione in termini quantitativi della sanzione dovuta in virtù dell’art. 16 del D.Lgs. n. 472/1997.126
L’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 32/E del 2012 ha poi sottolineato come la predetta sanzione amministrativa sarebbe quantificabile in relazione ai soli costi relativi a beni non scambiati o servizi non prestati, non ammessi in deduzione, a fronte dei quali è disconosciuta la tassazione, per un pari ammontare, dei componenti positivi afferenti a tali componenti negativi.
Tra l’altro, secondo parte dell’autorevole dottrina, i costi e le spese da considerare dovrebbero intendersi in senso oggettivo e, quindi, tener conto delle eventuali modifiche e integrazioni apportate dal contribuente ai dati indicati nella dichiarazione dei redditi.127
Nella circolare n. 32/E del 2012 è stato poi precisato che nell’ipotesi in cui non vi siano proventi/ricavi direttamente riconducibili a costi relativi a beni non
126 L’art. 16 del D.Lgs. n. 472/1997 sancisce che “1. La sanzione amministrativa e le sanzioni
accessorie sono irrogate dall'ufficio o dall'ente competenti all'accertamento del tributo cui le violazioni si riferiscono.
2. L'ufficio o l'ente notifica atto di contestazione con indicazione, a pena di nullità, dei fatti attribuiti al trasgressore, degli elementi probatori, delle norme applicate, dei criteri che ritiene di seguire per la determinazione delle sanzioni e della loro entità nonché dei minimi edittali previsti dalla legge per le singole violazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal trasgressore, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
3. Entro il termine previsto per la proposizione del ricorso , il trasgressore e gli obbligati in solido possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. La definizione agevolata impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie. 4. Se non addivengono a definizione agevolata, il trasgressore e i soggetti obbligati in solido, possono, entro lo stesso termine, produrre deduzioni difensive. In mancanza, l'atto di contestazione si considera provvedimento di irrogazione, impugnabile ai sensi dell'articolo 18.
5. L'impugnazione immediata non è ammessa e, se proposta, diviene improcedibile qualora vengano presentate deduzioni difensive in ordine alla contestazione.
6. L'atto di contestazione deve contenere l'invito al pagamento delle somme dovute nel termine previsto per la proposizione del ricorso, con l'indicazione dei benefici di cui al comma 3 ed altresì l'invito a produrre nello stesso termine, se non si intende addivenire a definizione agevolata, le deduzioni difensive e, infine, l'indicazione dell'organo al quale proporre l'impugnazione immediata. 7. Quando sono state proposte deduzioni, l'ufficio, nel termine di decadenza di un anno dalla loro presentazione, irroga, se del caso, le sanzioni con atto motivato a pena di nullità anche in ordine alle deduzioni medesime. Tuttavia, se il provvedimento non viene notificato entro centoventi giorni, cessa di diritto l'efficacia delle misure cautelari concesse ai sensi dell'articolo 22.
7-‐bis. Le sanzioni irrogate ai sensi del comma 7, qualora rideterminate a seguito dell'accoglimento delle deduzioni prodotte ai sensi del comma 4, sono definibili entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, con il pagamento dell'importo stabilito dal comma 3.”
127 CAPOLUPO S., La nuova disciplina dei costi da reato, in “Il fisco” n.15 del 9 aprile 2012, pag. 1-‐
scambiati o servizi prestati o nell’ipotesi in cui i componenti negativi siano di importo superiore agli afferenti componenti positivi, l’indeducibilità di tali costi o della quota di costi, qualora questi eccedano i correlati proventi, comporterebbe l’applicazione delle sanzioni ordinarie per infedele dichiarazione.
Di conseguenza, la specifica sanzione che va dal 25 al 50 per cento di cui all’art. 8, comma 2, del D.L. n. 16/2012, secondo il parere concorde dell’Assonime e dell’Agenzia delle Entrate, non sarebbe applicabile se si trattasse di operazioni oggettivamente inesistenti solo sul lato passivo, per le quali, in sede di accertamento, fosse stata riconosciuta l’inesistenza del componente negativo e la conseguente indeducibilità di questo.
Tale circostanza, ad esempio, si potrebbe verificare nel caso in cui siano contabilizzate, allo scopo di costituire dei fondi neri, delle consulenze in realtà non avvenute e, quindi, fittizie.
L’ammontare della sanzione, quindi, è correlato all’ammontare complessivo dei componenti negativi fittizi dichiarati, direttamente afferenti a componenti positivi non tassati, con la conseguenza che il patrimonio del contribuente viene leso pesantemente per effetto dell’applicazione della predetta sanzione sottolineando in questo modo il forte disvalore, da un punto di vista sociale, della condotta posta in essere dal contribuente.
Il legislatore ha anche chiarito nell’ultima parte del citato comma 2 come, nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, non siano mai applicabili le previsioni di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997128 riguardanti gli istituti del concorso e della continuazione.
128 L’art. 12 del D.Lgs. 472/1997 stabilisce che “1. È punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi
per la violazione più grave aumentata dal quarto al doppio chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione.
2. Alla stessa sanzione soggiace chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, se le violazioni rilevino ai fini di più tributi, si applica, quale sanzione base cui riferire l'aumento, quella più grave aumentata di un quinto.
4. Le previsioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano separatamente rispetto ai tributi erariali e ai tributi di ciascun altro ente impositore.
5. Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Se l'Ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento.
Quindi, non si rendono applicabili le disposizioni previste nelle ipotesi di cumulo giuridico, ossia nei casi di concorso materiale, concorso formale e illecito continuato.
Di conseguenza, quando con una sola azione od omissione vengono violate più disposizioni di legge, anche se relative a differenti tributi o quando con più azioni od omissioni viene violata più volte la medesima disposizione di legge, non si applicano le sanzioni di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 472/1997 (cumulo giuridico), ma si applicano le sanzioni in relazione a ciascuna violazione commessa.
Tuttavia, il contribuente può beneficiare della riduzione della sanzione ai sensi dell’art. 16, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997129, qualora si avvalga della definizione agevolata entro il termine per la proposizione del ricorso.
Infatti, il contribuente può entro il termine previsto per la proposizione del ricorso e, quindi, entro sessanta giorni dalla notifica dell’atto, salvo il caso in cui ricorrano i presupposti per la mediazione obbligatoria, definire la controversia con il pagamento di una sanzione ridotta ad un terzo dell’ammontare della sanzione irrogata.
La previsione dell’irrogazione della nuova sanzione, nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, tuttavia, ha suscitato ulteriori perplessità e dubbi circa