LA NUOVA DISCIPLINA SULL’INDEDUCIBILITA’ DEI COSTI DA REATO
2.4 IL CONCETTO DI COSTI “DIRETTAMENTE UTILIZZATI”
Sotto il profilo oggettivo, l’indeducibilità dei “costi da reato” opera, dal 2012, non più riferendosi genericamente a tutti i costi e le spese “riconducibili a fatti, atti o
attività qualificabili come reato”, ma solamente a tutti quei costi “direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo”.
Quindi, ai fini della determinazione del reddito imponibile, si è voluto ridimensionare l’indeducibilità alle sole spese e ai soli costi “strettamente attinenti” alla condotta che costituisce delitto e non, come in passato, ai costi che a qualunque titolo siano riferibili all’attività illecita.
La nuova formulazione richiede, dunque, che affinché sia applicato il regime dell’indeducibilità dei costi da reato, sussista un nesso immediato tra il costo e l’attività penalmente illecita.
In realtà, si tratta di una vera e propria funzionalizzazione non tanto del costo, ma del bene o del servizio, cui tale costo si imputa, al compimento dell’illecito.
È necessario, quindi, individuare quali siano esattamente i fattori produttivi direttamente utilizzati per porre in essere la condotta penalmente rilevante, in quanto, il regime dell’indeducibilità fiscale previsto dalla norma opera solo in relazione ai costi riferiti a detti beni e servizi.
Ciò è confermato dall’Agenzia delle Entrate che, con la circolare n. 32/E del 2012, è intervenuta sul punto affermando come “l’indeducibilità va in tal modo riferita ai
costi di tutti i fattori produttivi che si pongono in un rapporto diretto con il delitto,
47 In tal senso si era espressa l’Amministrazione finanziaria con la circolare n. 42/5 del 2005 in cui
mentre i costi per l’acquisto di beni o servizi sostenuti nell’esercizio dell’ordinaria attività d’impresa devono considerarsi deducibili se non direttamente utilizzati nell’esercizio dell’attività delittuosa”.
Si tratta, quindi, di tutti quei fattori produttivi concretamente utilizzati per il compimento del delitto, senza i quali quest’ultimo non si sarebbe commesso con quelle forme e con quelle modalità.
Inoltre, secondo quanto riportato da parte dell’autorevole dottrina, ai fini dell’indeducibilità del costo, non rileva che tali componenti negativi siano leciti o illeciti, ma l’unica illeceità che conta è quella dell’atto commesso nel cui compimento sono stati impiegati i fattori produttivi (beni e servizi) cui tale costi si riferiscono.48
Questo per evidenziare come eventuali spese illecite utilizzate per lo svolgimento di attività ordinarie, non siano ricomprese nell’ambito di applicazione della norma, ma soggiacciano alle ordinarie regole per le imposte sul reddito e, in particolare, al principio di inerenza.
Ciò è conformato anche nella relazione illustrativa al decreto n. 16/2012 che esclude espressamente dall’operatività della norma i costi relativi alle fatture soggettivamente inesistenti che, se pur connotati da illeceità (da cui ne deriva l’irrogazione di sanzioni penali) non sono finalizzati direttamente alla commissione di fattispecie delittuose.
Difatti, ai fini dell’eventuale disconoscimento a livello fiscale dei predetti costi documentati in fatture soggettivamente inesistenti, si applicano le regole ordinarie dell’inerenza, dell’effettività e della competenza previste dal T.U.I.R. per la deducibilità dei costi.
Alla luce della novella previsione, data la necessaria sussistenza di un collegamento diretto tra il costo sostenuto per l’acquisto del fattore produttivo e la commissione dell’illecito, occorre fare un distinguo tra le attività che nel loro complesso sono penalmente illecite e i singoli atti illeciti che sono attuati all’interno di un’attività d’impresa o professionale di per sé lecita.
48 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
Con riferimento alla prima ipotesi, qualora l’attività economica sia totalmente illecita, con la nuova formulazione della norma, secondo il parere di parte dell’autorevole della dottrina, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che l’indeducibilità si estenda a tutti i costi direttamente utilizzati per l’esercizio dell’attività economica complessivamente illecita.
In tal senso si è espressa anche l’Assonime, circolare n. 14 del 28 maggio 2012, sostenendo che, nel nuovo assetto, tutti i costi utilizzati strumentalmente per il compimento dell’attività economica illecita dovrebbero essere penalizzati e, quindi, non deducibili per quanto riguarda la determinazione del reddito imponibile. Secondo l’Associazione, tuttavia, tale previsione non sarebbe esente da critiche sul piano della legittimità costituzionale, in quanto, nell’ordinamento tributario la liceità/illeceità della condotta è elemento estraneo alla capacità contributiva del contribuente.
Perciò, sulla base di tale considerazione, non si rinverrebbe il motivo per cui il regime di tassazione debba essere più gravoso per un’attività imprenditoriale illecita piuttosto che lecita, venendosi a tassare i ricavi lordi anziché netti, con conseguente aumento del prelievo fiscale.
Se ciò potrebbe trovare giustificazione, nelle ipotesi di reato più gravi, per il forte disvalore dal punto di vista morale e sociale della condotta (ad esempio contrabbando di armi), per le ipotesi meno gravi sul piano penale (come l’abuso di una professione o l’esercizio di una professione senza licenza o altra autorizzazione amministrativa o svolgimento di un’attività finanziaria illecita), tale trattamento fiscale differenziato che prevede la tassazione lorda dei proventi, apparirebbe ingiustificato.
Quanto alla seconda ipotesi, qualora si tratti di singoli atti illeciti svolti all’interno di un’attività di per sé lecita, devono essere considerati indeducibili solo i costi relativi a beni e servizi direttamente impiegati per il compimento del delitto, non essendo sufficiente che tali componenti negativi si riferiscano semplicemente e genericamente alla fattispecie criminosa.
L’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 32/E del 2012 riporta l’esempio di una società autorizzata allo smaltimento dei rifiuti, che ha smaltito anche rifiuti non appartenenti alle categorie autorizzate, evidenziando come solo i costi connessi direttamente al compimento del relativo “delitto ambientale” siano indeducibili.
Infatti, i costi relativi allo smaltimento di rifiuti autorizzati, potranno essere dedotti secondo le ordinarie regole previste.
Dunque, la lettura del testo normativo e di quanto esposto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza fa emergere come, ai fini dell’applicazione del regime dell’indeducibilità dei costi da reato, debba essere valutata la sussistenza di un rapporto biunivoco imprescindibile tra il bene o il servizio utilizzato o prestato e lo specifico delitto commesso.
Tale rapporto sarebbe talmente serrato che, qualora il contribuente commettesse più delitti non colposi senza però aver sostenuto alcun costo (in quanto, per ipotesi, tali fattori acquisiti fossero stati utilizzati per l’esercizio di un’attività lecita o di una fattispecie di reato non ricompresa nella norma) non potrebbe essere contestata la deducibilità di alcun costo.49
Anche qualora lo stesso soggetto fosse ritenuto responsabile di aver commesso più delitti in concorso, in relazione a ciascun delitto compiuto, sarebbe necessario individuare la sussistenza di costi relativi ai fattori produttivi direttamente utilizzati per la commissione dell’attività criminosa, perché solo i costi attinenti a tali fattori potrebbero essere ritenuti indeducibili.50
Tanto più sarebbe difficile contestare la deducibilità dei costi nelle ipotesi in cui il reato fosse di tipo omissivo, in quanto sarebbe impossibile individuare i costi “direttamente utilizzati” per commettere la fattispecie delittuosa.
Per chiarire la questione risulta utile proporre in esempio il caso di una società che, non disponendo di un impianto di depurazione, commetta il reato di inquinamento ambientale. In questo caso, non essendo stato sostenuto alcun costo diretto alla commissione del reato ambientale, tutti i costi relativi ai beni e servizi impiegati sarebbero deducibili.
Alla luce della nuova disposizione, quindi, è necessario individuare i soli costi sostenuti per il compimento del delitto non colposo, perché è solo relativamente ai predetti costi che si renderà applicabile il regime sull’indeducibilità di cui all’art. 8, comma 1, del D.L. n. 16/2012.
49 TUNDO F., Indeducibilità dei costi da reato: i difficili rapporti tra processo penale e tributario, in
“Corriere tributario” n. 22 del 2012, pag. 1682.
50 VOZZA A., Luci ed ombre nella circolare sull’indeducibilità dei costi da reato, in “Corriere
Ad esempio, nel caso della tangente pagata ad un pubblico ufficiale per l’aggiudicazione di un appalto, solo questa risulterà indeducibile, mentre, anche secondo il parere dell’Assonime, nulla osterà alla deducibilità dei costi dei beni derivanti dalla commessa.
Tuttavia, il concetto di costo relativo a beni e servizi “direttamente utilizzati” per la commissione della fattispecie penalmente rilevante, a livello pratico ha dato vita ad un’interpretazione affatto univoca di tale rapporto, inducendo l’Agenzia delle Entrate ad apportare alcune precisazioni che sono state criticate da parte della dottrina.
L’Agenzia delle Entrate ha, infatti, proposto un’interpretazione piuttosto ampia del concetto di “diretto utilizzo”.
Innanzitutto, ha chiarito che il nesso diretto tra bene acquistato o servizio prestato e illecito commesso, sussiste sia nel caso in cui il suddetto legame sia integrato ab origine e, quindi, fin dall’acquisizione del bene o servizio, sia nel caso in cui detti beni o servizi, inizialmente acquistati per lo svolgimento di un’attività lecita, siano successivamente utilizzati per la commissione del reato, sia qualora detti beni o servizi siano utilizzati promiscuamente sia per lo svolgimento di un’attività lecita che per quello di un’attività illecita.
Nella sostanza, stando a quanto riportato nel suddetto documento di prassi, saranno ricompresi nell’ambito di operatività della norma sull’indeducibilità, anche i costi o le quote di costi già sostenuti per l’esercizio dell’attività lecita, che siano stati successivamente “dirottati” per la commissione del reato.
Non rileva, quindi, il momento in cui si realizza tale collegamento tra costo e reato compiuto, in quanto, tale legame potrebbe manifestarsi anche successivamente all’acquisto del fattore produttivo.
Ciò che rileva, invece, ai fini dell’indeducibilità dei predetti componenti negativi, è soltanto il fatto che il bene o servizio sia direttamente impiegato per la commissione della fattispecie criminosa, ancorché questo non sia utilizzato in maniera esclusiva.
Difatti, l’Agenzia prosegue affermando che il disconoscimento a livello fiscale riguarderà non solo i costi e le spese relativi ai beni o servizi direttamente impiegati per il compimento del delitto, ma anche la “quota dei componenti negativi
strumentalità con la commissione del reato, seppur sostenuti non esclusivamente per il compimento dello stesso”.
Il richiamo al concetto di “diretto utilizzo” non riguarda, quindi, secondo l’Agenzia delle Entrate esclusivamente i costi sostenuti ad hoc per attuare il reato, ma anche la quota di costi che attengono all’ordinaria attività d’impresa che sono stati utilizzati strumentalmente per il compimento del delitto non colposo.
La circolare n. 32/E del 2012 precisa che per quote di componenti negativi non ammesse in deduzione si fa riferimento agli accantonamenti, agli interessi passivi, agli ammortamenti, alle sopravvenienze passive, alle minusvalenza che “abbiano
avuto un rapporto di strumentalità con la commissione del reato”.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate precisa che, ai fini della corretta individuazione dei componenti negativi indeducibili, ci si potrà avvalere delle risultanze delle indagini di polizia giudiziaria che contestino il reato e della contabilità industriale, risalendo in questo modo a tutti i costi riferibili alla fattispecie criminosa.
Tra l’altro, l’Amministrazione finanziaria, potendo disconoscere la deducibilità, anche per tutti quei costi utilizzati solo in parte per la commissione del reato, dovrà avvalersi di criteri di imputazione proporzionali.
In questo modo potranno essere quantificate le quote di componenti negativi attinenti al personale impiegato, ai mezzi utilizzati e ai beni prodotti impiegate nel compimento del reato.
Pertanto, attraverso l’utilizzo di tali criteri proporzionali sarà possibile determinare la quota di costi deducibile, in quanto, riferibile all’esercizio dell’attività lecita e la quota di costi indeducibile, in quanto, attinente all’esercizio dell’attività illecita.
Ad esempio, nel caso di una società d’intermediazione bancaria, resteranno deducibili le spese del personale utilizzato per lo svolgimento dell’attività lecita, mentre le spese del personale utilizzato per l’esercizio di un’attività di intermediazione finanziaria illecita saranno indeducibili.
Maggiori difficoltà sorgono, invece, in relazione alle cosiddette spese generali per le quali risulta alquanto difficile individuare un criterio di imputazione proporzionale che si basi sul concetto di “strumentalità” del costo alla commissione del delitto.
La circolare n. 32/E del 2012 invita, pertanto, l’Amministrazione finanziaria a porre la massima attenzione nell’individuare il rapporto di strumentalità dei costi alla commissione dell’atto o dell’attività delittuosa.
Secondo il parere di parte dell’autorevole dottrina, tuttavia, l’interpretazione fornita dall’Agenzia dell’Entrate risulterebbe contra legem, in quanto, richiamando la necessaria sussistenza di un generico “rapporto di strumentalità” tra il costo e il delitto commesso, verrebbe a superare il concetto del “diretto utilizzo” previsto dalla nuova normativa per delimitare l’ambito di applicazione della stessa.
Tuttavia, le difficoltà applicative derivanti dall’applicazione del’art. 8 ai costi utilizzati promiscuamente, sia per lo svolgimento di un’attività lecita, che per quello di un’attività illecita, potrebbero essere risolte alla luce della lettura in chiave sanzionatoria della norma. Ciò in quanto, l’attribuzione alla norma di una valenza sanzionatoria, volta a colpire esclusivamente una condotta delittuosa intenzionale porterebbe a disconoscere la deducibilità dei soli componenti negativi utilizzati proprio al fine di commettere il delitto. L‘intento del legislatore di sanzionare il soggetto per aver compiuto intenzionalmente uno specifico delitto porterebbe, quindi, ad applicare la sanzione dell’indeducibilità soltanto relativamente ai costi dei fattori produttivi direttamente utilizzati per la commissione di un’attività criminosa qualificata.
L’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 32/E del 2012 sottolinea che in ogni caso ai fini del disconoscimento a livello fiscale dei costi risulta necessario fornire un’adeguata motivazione alla pretesa tributaria, invitando gli Uffici Locali ad evidenziare “le ragioni giuridiche e gli elementi di fatto idonei a fondare
l’indeducibilità dei costi e delle spese, direttamente utilizzati per il compimento dell’attività delittuosa non colposa posta in essere dal contribuente”.
Dunque, sarà compito dell’Amministrazione finanziaria motivare e dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi e delle condizioni ai fini del disconoscimento fiscale dei costi.
Infatti, non si tratta di costi che difettano del requisito dell’inerenza, ma di costi che, se pur inerenti all’attività, sono indeducibili in ragione delle disposizioni previste all’art. 8 del D.L. 16/2012.
Perciò, non si potrà imputare al contribuente, come previsto dalla Suprema Corte, l’onere di provare il non diretto utilizzo del fattore produttivo al compimento
dell’illecito, ma sarà l’Amministrazione che avrà l’onere di dimostrare i presupposti necessari per contestare la deducibilità dei costi.
Tuttavia, in alcune peculiari circostanze potrebbero sorgere delle complicazioni a livello pratico.
Se da un lato, risulta agevole per l’Amministrazione finanziaria fornire la prova ai fini dell’indeducibilità del costo nel caso di attività interamente illecite, dall’altro lato, i verificatori potrebbero trovare non agevole fornire la prova per contestare la deducibilità del costo nel caso in cui fosse necessario determinare i costi illeciti che si inseriscono all’interno di un’attività lecita e ancor di più nel caso in cui fosse necessario calcolare le quote di costi (interessi passivi, ammortamenti) strumentali al compimento di un’attività delittuosa.
Dunque, ci sarebbe il rischio di una generica e smisurata applicazione della norma sull’indeducibilità dei costi a tutti i componenti negativi sostenuti e una conseguente inversione dell’onere della prova sul contribuente per dimostrare la sussistenza o meno del nesso del “diretto utilizzo” tra il bene a cui tale costo si riferisce e il delitto commesso.
2.5 LA QUALIFICABILITA’ DELL’ATTO/ATTIVITA’ COME DELITTO NON COLPOSO Dalla lettura della nuova disposizione di cui all’art. 8, comma 1 del D.L. n. 16/2012, emerge l’intento del legislatore di circoscrivere l’ambito di applicazione dell’indeducibilità dei costi da reato, ai soli costi e spese afferenti a beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi.
Senza dubbio, quindi, appaiono escluse dall’operatività della nuova disciplina le contravvenzioni, mentre un tempo nel vigore della previgente normativa il riferimento era a qualsiasi fattispecie costituente reato, senza che rilevasse la distinzione tra delitti e contravvenzioni.
In proposito, l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 32/E del 2012 sottolinea come la nuova normativa potrebbe applicarsi, per esempio, ai costi sostenuti per l’acquisto di merce di illecita provenienza qualora il pubblico ministero procedesse all’azione penale per il “delitto di ricettazione”. Se invece il P.M. rilevasse il reato contravvenzionale “di acquisto di cose di sospetta provenienza, punibile solo a titolo di colpa, i costi potrebbero continuare ad essere dedotti.
Alla luce di ciò, è necessario rammentare la suddivisione dei reati in delitti e contravvenzioni. A livello pratico, infatti, quando si utilizza il termine reato si intende menzionare o un delitto o una contravvenzione.
I delitti e le contravvenzioni si contraddistinguono a seconda della tipologia di pena prevista; si tratta di una distinzione basata su un criterio squisitamente formale che si ritrova all’interno dell’art. 39 del codice penale. 51
In particolare, per i delitti è stabilita la pena dell’ergastolo, della reclusione e della multa, mentre per le contravvenzioni è stabilita la pena dell’arresto e/o dell’ammenda secondo quanto previsto dall’art. 17 del c.p..52
I delitti, per la maggior parte disciplinati sulla base del libro secondo del codice penale, possono essere sia dolosi che colposi e sono puniti con delle pene più gravi rispetto alle contravvenzioni. Per i delitti si risponde in genere solo in presenza di dolo, ad eccezione dei casi in cui i delitti preterintenzionali o colposi sono espressamente previsti dalla legge. Peraltro, solamente ai delitti si rende applicabile l’istituto del tentativo.
Le contravvenzioni, invece, sono previste dal libro terzo del codice penale, ma anche da numerose disposizioni di leggi speciali.
La loro specificità deriva dalla non necessaria valutazione della sussistenza dell'elemento soggettivo. In altri termini il giudice potrà condannare l’agente per la commissione di un reato contravvenzionale, senza dover individuare la presenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa nella condotta posta in essere dal soggetto stesso.
Inoltre, stando al tenore suo letterale, la nuova disposizione, riferendosi esplicitamente ai soli delitti non colposi, esenta dall’ambito di operatività del nuovo regime sull’indeducibilità dei costi da reato tutti i componenti negativi connessi alla commissione di delitti colposi.
51L'art. 39 del Codice Penale sancisce che ”I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo
la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice.”
52 L'art. 17 del Codice Penale stabilisce che “Le pene principali stabilite per i delitti sono:
1) [la morte] (2); 2) l'ergastolo [22]; 3) la reclusione [23]; 4) la multa [24].
Le pene principali stabilite per le contravvenzioni sono: 1) l'arresto [25];
L’esclusione dall’ambito di applicazione della norma dei delitti colposi attiene, quindi, all’elemento soggettivo della fattispecie delittuosa ovvero alla non intenzionalità della condotta al compimento del delitto.
Da ciò deriva la necessaria individuazione da parte dell’Amministrazione finanziaria della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa per qualificare il delitto rispettivamente come doloso piuttosto che colposo, perché è solo riguardo alla prima fattispecie che si renderà operativo il nuovo regime dell’indeducibilità.
In proposito, risulta utile richiamare all’attenzione la distinzione tra dolo e colpa prevista dall’art. 43 del codice penale, il quale sancisce che “Il delitto: è doloso, o
secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l'intenzione, quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente; è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”.
Quanto all’individuazione dell’elemento soggettivo, parte della dottrina si è