LA NUOVA DISCIPLINA SULL’INDEDUCIBILITA’ DEI COSTI DA REATO
2.8 GLI EFFETTI DELL’ASSOLUZIONE
La novella disciplina sull’indeducibilità dei costi da reato, prevede, altresì, che al contribuente, in alcuni casi specifici, possa spettare il rimborso delle maggiori imposte versate e dei relativi interessi in ragione dell’indeducibilità dei costi contestati connessi al delitto non colposo.
Il nuovo comma 4-‐bis elenca una serie esplicita di ipotesi idonee a fare venir meno, in maniera definitiva, il presupposto per l’operatività del nuovo regime:
• Sentenza definitiva di assoluzione del contribuente ai sensi dell’art. 530 del codice di procedura penale.87
86 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
dipendenza rovesciata, in "Rassegna tributaria", n.6 di novembre-‐dicembre 2012, pag. 1439.
87 L’art. 530 del c.p.p. stabilisce che “1. Se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il
fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un'altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.
3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull'esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1.
• Sentenza definitiva di non luogo a procedere per motivi diversi dalla prescrizione ai sensi dell’art. 425 del codice di procedura penale.88
• Sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 del codice di procedura penale.89
Quindi, qualora intervenga una delle sentenze di assoluzione, tra quelle sopra elencate, venendo meno la condizione per la contestazione dell’indeducibilità dei costi, si dovranno rimborsare le maggiori imposte versate dal contribuente.
La nuova norma, secondo alcuni, sul punto farebbe chiarezza rispetto al passato prevedendo che il divieto di portare in deduzione i costi, verrebbe meno solo nelle ipotesi menzionate e non qualora intervenisse una sentenza definitiva di assoluzione emessa con qualunque formula.
Ciò nonostante, numerosi dubbi sono sorti in ragione ai possibili effetti derivanti dall’emissione di una sentenza emessa ai sensi dell’art. 531 del c.p.p.90, ipotesi non menzionata all’interno del nuovo comma 4-‐bis.
L’Assonime con la circolare n. 14 del 2012 si è espressa sulla questione, propendendo per l’impossibilità di richiedere in tale ipotesi il rimborso, aderendo all’orientamento dottrinale secondo cui la sentenza emessa in virtù dell’art. 531 del c.p.p., presupponendo un accertamento preventivo della responsabilità del contribuente, sarebbe equiparabile ad una sentenza di condanna.
88 L’art. 425 del c.p.p. stabilisce che “1. Se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale
l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo.
2. Ai fini della pronuncia della sentenza di cui al comma 1, il giudice tiene conto delle circostanze attenuanti. Si applicano le disposizioni dell'articolo 69 del codice penale.
3. Il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio.
4. Il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.
5. Si applicano le disposizioni dell'articolo 537”.
89 L’art. 529 del c.p.p. stabilisce che “1. Se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve
essere proseguita, il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice provvede nello stesso modo quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità è insufficiente o contraddittoria [537]”.
90 L'art. 531 del Codice di Procedura Penale sancisce che “1. Salvo quanto disposto dall'articolo 129
comma 2, il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo.
2. Il giudice provvede nello stesso modo quando vi è dubbio sull'esistenza di una causa di estinzione del reato [537]”.
Altro caso che ha suscitato qualche perplessità è quello relativo all’emissione di una sentenza di patteggiamento. In tale ipotesi non si comprende se la natura di tale sentenza sia assolutiva o di condanna; se, infatti, da un lato, non essendo accertata la responsabilità penale dell’imputato, la sentenza non è equiparabile ad una sentenza di condanna, dall’altro, nel momento in cui si patteggia è difficile escludere che l’imputato sia esente da responsabilità e che, quindi, non si tratti di una sentenza di condanna.
La questione, tuttavia, è rimasta irrisolta per cui sono attesi chiarimenti da parte degli organi competenti.
Ma non sono solo queste le questioni intorno alle quali si sono manifestati i principali dubbi da parte della dottrina e della giurisprudenza.
L’esplicita previsione del rimborso di cui al nuovo art. 4-‐bis, secondo il parere di parte dell’autorevole dottrina, costituirebbe un vero e proprio diritto di rimborso a favore del contribuente che scatterebbe nelle ipotesi in cui venisse emessa una delle sentenze sopra elencate.91
Perciò, seguendo tale orientamento dottrinale, non sarebbe necessario proporre un’istanza di autotutela per far sì che l’Agenzia delle Entrate si attenga all’esito del giudicato penale, ma sarebbe sufficiente promuovere un’istanza di rimborso entro i termini previsti.
La rideterminazione dell’imposta dovuta, dunque, dovrebbe avvenire o attraverso la richiesta di rimborso del contribuente o d’ufficio da parte dell’Amministrazione nell’esercizio del potere di autotutela.92
Dunque, l’Agenzia delle Entrate dovrebbe procedere alla rettifica degli atti limitatamente alla parte interessata, rimborsando eventualmente le maggiori imposte versate, nonché i relativi interessi.
Tuttavia, la norma pur prevedendo esplicitamente tale rimborso a tutela del contribuente, non sembrerebbe prendere in considerazione due importanti aspetti che, invece, sarebbero rilevanti secondo la dottrina.
Innanzitutto, la norma non considererebbe l’aspetto attinente alla rivalutazione monetaria che, invece, sarebbe rilevante dato il lungo intervallo temporale che
91 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
dipendenza rovesciata, in "Rassegna tributaria", n. 6 di novembre-‐dicembre 2012, pag. 1439.
92 CAPOLUPO S., La nuova disciplina dei costi da reato, in “Il fisco” n. 15 del 9 aprile 2012, pag. 1-‐
intercorre tra il pagamento dell’imposta iscritta a ruolo, a seguito della notifica dell’accertamento, e la sentenza di assoluzione; dunque, la rideterminazione dell’imposta avverrebbe senza considerare l’eventuale tasso di svalutazione.
Inoltre, la disposizione non terrebbe conto della necessaria definitività del provvedimento per potere richiedere il rimborso, il quale si verifica o nel caso in cui la sentenza di primo grado o d’appello non venga impugnata entro i limiti previsti o nel caso in cui siano esperiti senza risultato i tre gradi di giudizio.93 Quanto alla mancata previsione del rimborso relativamente alle sanzioni, secondo la circolare n. 32/E del 2012 dell’Agenzia delle Entrate, questa si tratterebbe di una semplice “dimenticanza” da parte del legislatore e, quindi, secondo l’Agenzia il rimborso dovrebbe riguardare necessariamente anche quest’ultime.
Tra l’altro, l’Agenzia delle Entrate, a seguito dell’eventuale esito positivo del procedimento penale, estenderebbe la possibilità di richiedere il rimborso delle sanzioni anche qualora il contribuente si fosse nel frattempo avvalso degli istituti definitori di cui al D.Lgs. n. 218/199794, al D.Lgs. n. 546/199295 e agli articoli 16 e 17 del D.Lgs. n. 472/1997.96 97
Vi è di più. L’Agenzia ammetterebbe il rimborso delle sanzioni versate in misura ridotta per essersi avvalso dell’istituto del ravvedimento operoso, chiarendo come in questa ipotesi spetterebbe allo stesso contribuente “dimostrare il collegamento,
93 CAPOLUPO S., La nuova disciplina dei costi da reato, in “Il fisco” n. 15 del 9 aprile 2012, pag. 1-‐
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94 Il decreto legislativo n. 218/1997 richiama gli istituti dell’accertamento con adesione di cui
all’art. 8; dell’adesione al processo verbale di constatazione di cui all’art. 5-‐bis; dell’adesione agli inviti dell’ufficio di cui all’art. 5 comma 1-‐bis e art. 11, comma 1-‐bis; dell’acquiescenza di cui all’art. 15.
95 Il decreto legislativo n. 546/1992 prevede gli istituti della conciliazione giudiziale di cui all’art.
48 e della mediazione di cui all’art. 17-‐bis.
96 Gli artt. 16 e 17 del D.Lgs. 472/1997 richiamano l’istituto della definizione agevolata delle
sanzioni.
97 Sul punto l’Assonime ricorda, ancora una volta, il difficile rapporto di autonomia tra processo
tributario e penale, qualora a seguito dell’adesione del contribuente agli istituti deflattivi del contenzioso (o passato in giudicato della sentenza tributaria o mancata impugnazione dell’accertamento) il processo tributario si sia già esaurito al termine del processo penale. L’adesione alla pretesa impositiva in sede di accertamento potrebbe riguardare diversi elementi tra cui anche quello relativo alla contestazione dei costi da reato. Non è chiaro se il processo tributario debba riaprirsi o data la definitività del rapporto tributario, debba essere riconosciuta al giudice tributario la risoluzione in via incidentale dell’esistenza o meno del reato, salvo riconoscere l’efficacia di un eventuale sentenza del giudice penale che sia emessa prima della definizione del rapporto. La questione, tuttavia, resta ancora irrisolta.
anche nel quantum, tra la variazione in aumento effettuata in sede di ravvedimento ed il corrispondente costo da “reato”.”
In realtà, più che una semplice dimenticanza del legislatore, la mancata previsione del rimborso con riferimento alle sanzioni penal-‐tributarie sembrerebbe una corretta applicazione dell’art. 21 del D.lgs. n. 74/2000 il quale dispone che le sanzioni amministrative sono irrogabili dall’Agenzia a seguito della notizia di reato fermo restando che queste “non sono eseguibili …salvo che il procedimento penale
sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto”.
Secondo un altro orientamento dottrinale, invece, la mancata previsione del rimborso delle sanzioni deriverebbe dalla lettura in chiave sanzionatoria della nuova disposizione che renderebbe non irrogabili le sanzioni tributarie e penali per infedele dichiarazione.98
Altra questione oggetto di accese critiche da parte della dottrina e della giurisprudenza è quella relativa, ancora una volta, al superamento del principio del doppio binario per effetto della previsione del predetto rimborso delle maggiori imposte versate.
Dal momento che l’avvio del procedimento penale non ostacola l’avvio del procedimento tributario davanti alle Commissioni tributarie, può accadere che i due processi si concludano con una difformità di giudicati definitivi assunti, peraltro, in tempi diversi; difatti, in conformità a quanto previsto dall’art. 20 del D.lgs. n. 74/2000 il processo tributario non può essere sospeso “per la pendenza
del processo penale avente ad oggetto i medesimi atti o fatti dal cui accertamento comunque dipenda la relativa definizione”.
Tra l’altro, il giudice tributario, non può attenersi acriticamente alla sentenza penale divenuta definita per i reati fiscali, ma a lui compete, nell’esercizio dei propri poteri, la valutazione del comportamento posto in essere dalla parti e del materiale probatorio a sua disposizione, formulando, attraverso un raffronto con gli altri elementi di prova acquisiti, un proprio apprezzamento circa le conclusioni assolutorie alle quali si è giunti in sede penale.
98 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
Tuttavia, stando alla lettura del nuovo testo dell’art. 4-‐bis, la previsione del rimborso delle maggiori imposte versate, nel caso in cui intervenga una sentenza penale di assoluzione, metterebbe in chiara luce la supremazia degli effetti penali su quelli tributari, compromettendo in questo modo l’autonomia dei due processi. Può ben accadere, infatti, che un fatto penalmente irrilevante, possa, invece, violare le disposizioni tributarie. In questo caso, nonostante il processo tributario si concluda con giudicato sfavorevole, del tutto o in parte, al contribuente, l’assoluzione dello stesso in sede penale, ferma restando la necessaria sussistenza di tutti gli altri requisiti presenti in materia, fa scattare il diritto di rimborso per il contribuente, a prescindere dall’esito del processo tributario.99
Quanto, invece, al momento in cui tale diritto di rimborso può essere esercitato da parte del contribuente, senza dubbio, sembrerebbe il giorno in cui le sentenze di assoluzione, sopra elencate, diventano definitive, il dies a quo decorrono i termini per la richiesta del rimborso delle maggiori imposte versate dal contribuente, nonché dei relativi interessi.
Quindi, non assumerebbe rilievo il caso in cui la sentenza divenisse definitiva oltre il termine di decadenza previsto per l’esercizio dell’attività di accertamento, anche qualora detti termini fossero raddoppiati per effetto dell’art. 37, comma 24, del D.L. n. 223/2006.100 101
La restituzione di quanto indebitamente versato, essendo un vero e proprio diritto di natura patrimoniale, deriverebbe dalla sentenza di assoluzione definitiva emessa dal giudice penale e non dalla rettifica della dichiarazione redatta dal contribuente.
Perciò, si dovrebbero applicare i termini di prescrizione ordinari previsti per l’esercizio di tale diritto di rimborso.
99 CAPOLUPO S., La nuova disciplina dei costi da reato, in “Il fisco” n.15 del 9 aprile 2012, pag. 1-‐
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100 L’art. 37, comma 24, del D.L. n. 223/2006 sancisce che “All'articolo 43 del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il secondo comma è inserito il seguente: «In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.».”
101 CAPOLUPO S., La nuova disciplina dei costi da reato, in “Il fisco” n.15 del 9 aprile 2012, pag. 1-‐
Da ultimo, restano da chiarire alcune considerazioni che dalla lettura del nuovo comma 4-‐bis destano perplessità e per le quali ci si attende una risposta da parte dello stesso legislatore.
Innanzitutto, nel nuovo comma 4-‐bis non viene prevista l’ipotesi in cui successivamente alla modifica dell’imputazione, la fattispecie illecita non sia più rilevante ai fini fiscali. Ciò, si potrebbe verificare nel corso dell’udienza preliminare, qualora il P.M. decidesse di cambiare il capo d’imputazione ai sensi dell’ex art. 423 del c.p.p.102, anche su invito del giudice.103
Tanto meno, è menzionato il caso in cui il processo penale si concluda senza che venga emanata sentenza. Questo circostanza potrebbe verificarsi qualora il giudice dell’udienza preliminare, rilevando che il fatto non sia uguale a quello contestato, restituisca gli atti al P.M. con ordinanza, con la facoltà di quest’ultimo di avviare nuovamente l’azione penale o di richiedere l’archiviazione.
Inoltre, potrebbe verificarsi l’ipotesi in cui il procedimento penale regredisca alla fase delle indagini preliminari per effetto della nullità di un atto del procedimento ai sensi dell’art. 185 del c.p.p.104 (ad esempio giudizio direttissimo effettuato fuori dai casi previsti ai sensi dell’art. 452, comma 1, del c.p.p.) o negli altri casi tassativamente previsti dalla legge (ad esempio la declaratoria di incompetenza da parte del G.I.P ).
Anche in questo caso il giudice rimettendo gli atti al pubblico ministero, potrebbe fa venir meno gli effetti dell’avvio dell’azione penale, giacché a quest’ultimo
102 L'art. 423 del Codice di Procedura Penale stabilisce che “1. Se nel corso dell'udienza il fatto
risulta diverso da come descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell'articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante [516, 517], il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione [520].
2. Se risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato [518]”.
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dipendenza rovesciata, in "Rassegna tributaria", n.6 di novembre-‐dicembre 2012, pag. 1439
104 L'art. 185 del Codice di Procedura Penale sancisce che “1. La nullità di un atto rende invalidi gli
atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo.
2. Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave.
3. La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito [604 5].
spetterebbe la facoltà, oltre di avviare nuovamente l’azione penale, anche di procedere alla richiesta di archiviazione.
Quindi, è indubbio che il nuovo testo dell’art. 14, comma 4-‐bis, prevedendo il diritto al rimborso da parte del contribuente solo nel caso in cui intervenga una sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere per una causa diversa dalla prescrizione del reato o di non doversi procedere, non abbia considerato tutta una serie di ipotesi che determinerebbero in ogni caso il venir meno del presupposto ai fini dell’operatività del regime dell’indeducibilità dei costi da reato.
Nelle suddette ipotesi non espressamente menzionate dalla norma, mancando la qualificabilità del delitto non colposo a seguito dell’avvio dell’azione penale, sembrerebbe del tutto irrazionale e illogico, se non si potesse richiedere, entro i termini previsti, la restituzione delle somme pagate indebitamente come per i casi tipizzati dalla norma.105
Ulteriori criticità sorgono in merito all’esplicito divieto di richiedere il rimborso nel caso in cui il processo penale si concluda con una sentenza motivata sulla prescrizione del reato. Qualora, a seguito della mancata impugnazione da parte del contribuente, la sentenza divenga definitiva, dal punto di vista giuridico tale sentenza non presenta né il carattere della condanna né quello dell’assoluzione. Quindi, il mancato riconoscimento del diritto al rimborso in tale ipotesi troverebbe giustificazione per il fatto che, l’avvenuta sentenza motivata sulla causa di estinzione, difetterebbe del requisito dell’assoluzione, con la conseguenza che al contribuente non spetterebbe alcuna restituzione di quanto pagato. A sostegno di tale tesi è stato sottolineato come “la prescrizione del reato, comunemente
considerata una causa di estinzione del reato, è in realtà una causa di improcedibilità sopravvenuta, legata al passare del tempo dal momento in cui è stato consumato (o tentato) il reato”.106 Difatti, nonostante il reato sia prescritto,
permane l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale causato dal reato ai sensi
105 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
dipendenza rovesciata, in "Rassegna tributaria", n. 6 di novembre-‐dicembre 2012, pag. 1439.
106 PAGLIARO, Prescrizione del reato e nuova estinzione del processo penale, in “Cass. Pen.”, 2010,
dell’art. 198 del c.p.107 e la possibilità per il contribuente di essere soggetto a confisca ai sensi dell’art. 236 del c.p..108
Tuttavia, stando a quanto riportato da altra parte dell’autorevole dottrina, sarebbe auspicabile che, per negare la possibilità di richiedere il rimborso, fosse quantomeno previsto un vaglio da parte dell’Autorità giudiziaria, successivo al dibattimento, altrimenti la soluzione di voler cristallizzare in ogni caso l’indeducibilità dei costi da reato non apparirebbe fondata.109
Risulta, poi, evidente come la nuova norma non richiami, oltre a quella della prescrizione, le altre ipotesi di estinzione del reato, ossia quella della morte del reo ai sensi dell’art. 150 del c.p.110, dell’amnistia ai sensi dell’art. 151 del c.p.111 e della remissione della querela ai sensi dell’art. 152 del c.p..112
107L’art. 198 del Codice Penale stabilisce che “L'estinzione del reato [150-‐170] o della pena [171-‐
181] non importa l'estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si tratti delle