LA NUOVA DISCIPLINA SULL’INDEDUCIBILITA’ DEI COSTI DA REATO
2.2 LA NATURA DELLA NUOVA NORMA
L’introduzione della novellata disciplina, se da un lato ha attutito molte delle problematicità sorte in virtù della previgente disposizione, dall’altro lato ha sollevato rilevanti questioni in merito alla natura della nuova norma, provocando un acceso dibattito.
L’orientamento dominante in giurisprudenza attribuirebbe all’indeducibilità dei costi derivanti da reato la natura di norma sanzionatoria che andrebbe ad integrare le sanzioni previste per gli illeciti costituenti delitti non colposi e, quindi, più gravi.
A favore di tale tesi, con riferimento però al vecchio comma 4-‐bis, ora sostituito dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012, si era schierata anche l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 42/E del 26 settembre 2005 che aveva chiarito come il comma 4-‐bis della L. 537/1993 si caratterizzasse per “un intervento indirettamente
sanzionatorio dell’attività illecita” .
Rilevante è stato l’intervento della Presidenza del Consiglio dei Ministri che, al fine di smussare le questioni in ordine alla disparità di trattamento fiscale riguardante la commissione di illeciti penali, piuttosto che amministrativi o civili, ha sottolineato come tale diverso trattamento sarebbe da attribuire al “maggiore
disvalore dell’illecito penale” rispetto a quello civile o amministrativo.
La mancata possibilità di portare in deduzione i costi da reato avrebbe l’intento di punire comportamenti intenzionalmente delittuosi, irrogando un’apposita sanzione per la gravità della condotta posta in essere.
L’indeducibilità dei costi dovrebbe essere intesa come una misura afflittiva che andrebbe ad aggiungersi a quella prevista dall’ordinamento penale per l’illecito commesso.
Infatti, l’indeducibilità di tutti i componenti negativi afferenti al compimento dell’illecito, alla luce dell’introdotta tassazione dei proventi illeciti di cui al comma 4 della L. n. 537/1993, comporta la tassazione “lorda” dei redditi illeciti.
Tale previsione risultando palesemente in contrasto con il sistema impositivo incentrato, all’opposto, sul principio di tassazione “netta” dei redditi derivanti da
lavoro autonomo e impresa, attribuirebbe, di conseguenza, natura sanzionatoria alla tassazione “lorda” dei proventi illeciti.33
In senso contrario alla lettura in chiave sanzionatoria della norma, la relazione illustrativa al D.L. n. 16/2012, ha espressamente sancito come la nuova previsione, la quale inibisce la deducibilità ai costi e alle spese direttamente connessi al compimento dei reati più gravi, impedirebbe “che tale indeducibilità possa essere
letta come una sanzione impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola generale nell’ambito della determinazione del reddito imponibile.”
In tal senso, è stato anche argomentato che i fatti illeciti, essendo vietati, non potrebbero essere ricompresi tra le attività integranti lo svolgimento di un’attività economica.
I costi sostenuti per il compimento di tali attività estranee all’esercizio di impresa assumendo, quindi, una connotazione “extra-‐imprenditoriale”, risulterebbero indeducibili, in quanto, privi del requisito dell’inerenza. Infatti, l’antigiuridicità della condotta romperebbe la relazione di causa-‐effetto che deve sussistere tra costi generati da un’operazione e l’attività dell’impresa.
In proposito, ancor prima dell’introduzione del nuovo comma 4-‐bis, la Cassazione con la sentenza n. 23626 del 11 novembre 2011 aveva affermato che “la
derivazione dei costi da attività integrante illecito penale, in quanto tale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività istituzionale dell’impresa, non può, infatti, che comportare la rottura, già in termini oggettivi, del nesso di “inerenza” tra i costi medesimi e quell’attività”.
Tuttavia, se ci si sofferma sul tenore della norma, dati gli interventi correttivi introdotti dal nuovo art. 8 del D.L. n. 16/2012, si potrebbero rinvenire notevoli elementi a favore della natura afflittiva della norma.
Primo fra tutti, il ridimensionamento dell’area di applicazione della norma, ai soli delitti non colposi, prevede la necessaria sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo.
La sussistenza di una condotta delittuosa intenzionale da parte del contribuente è presupposto per l’applicazione delle sanzioni, mentre non rileva per quanto
33 CARINCI A., La nuova disciplina dei costi da reato: dal superamento del doppio binario alla
riguarda le norme impositive, essendo estranea alla tassazione di un’attività l’intenzionalità del contribuente.34
Tra l’altro, il mancato riconoscimento alla nuova previsione di norma a carattere impositivo farebbe venir meno ogni dubbio sorto in merito alla presunta violazione dell’art. 53 della Cost., in quanto, il nuovo regime potrebbe essere vagliato solo alla luce delle disposizioni proprie del diritto penale.35
Per di più, l’introduzione del regime transitorio, avvenuta per effetto dell’art. 8, comma 3, del D.L. n. 16/2012, non farebbe che confermare l’applicazione in chiave sanzionatoria della norma, rifacendosi al principio del favor rei, tipico dell’ordinamento penale.
Il principio del trattamento di maggior favore per il contribuente estende l’operatività delle nuove disposizioni di cui all’art. 8 anche, ove più favorevoli, ai fatti verificatosi prima dell’entrata in vigore della norma, salvo che i provvedimenti si siano resi definitivi.
Ciò, quindi, rafforzerebbe ulteriormente la natura sanzionatoria della norma dato l’esplicito richiamo al principio di legalità, proprio delle sanzioni amministrative, di
cui all’art. 3, comma 3, del D. Lgs. n. 472/1997, il quale dispone che “se la legge in
vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.”
Contrariamente, i principi concernenti le fattispecie impositive contrastano con il principio del favor rei, in quanto, prevedono che le disposizioni in esse contenute siano applicabili solamente ai fatti compiuti durante la loro vigenza, ancorché queste siano state successivamente abrogate.
Da ultimo, la lettura in chiave sanzionatoria della norma, quale reazione prevista dall’ordinamento per aver posto in essere una condotta delittuosa, troverebbe conferma anche nella disposizione che prevede “il rimborso delle maggiori imposte
versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione dei costi ..e dei relativi interessi.”
34 VOZZA A., Corollari della natura sanzionatoria dell’indeducibilità dei costi da reato, in “Corriere
tributario” n. 17 del 2012, pag. 1327.
35 FRANSONI G., L'indeducibilità dei costi da reato ed eterogenesi dei fini, in "Rassegna tributaria", n.
Tale diritto al rimborso per il contribuente nasce qualora sia pronunciata una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 del c.p.p. o qualora intervenga una sentenza di non luogo a procedere per motivi diversi dall’estinzione ai sensi dell’art. 425 del c.p.p. o una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 del c.p.p..
Difatti, l’assoluzione del contribuente e, quindi, la non condanna in sede penale, fa caducare anche la sanzione irrogata in sede tributaria.
Ciò, quindi, metterebbe in luce come l’indeducibilità dei costi da reato possa essere assimilata a una sanzione accessoria rispetto a quella prevista dall’ordinamento penale.36
Difatti, qualora venga meno la condanna in sede penale, non è possibile contestare la deducibilità dei costi in sede tributaria.
Dall’attribuzione di natura sanzionatoria alla norma sull’indeducibilità dei “costi da reato” ne deriverebbero una serie di corollari37:
1. La sanzione dovrebbe applicarsi solo qualora l’azione penale si concludesse con la condanna del contribuente.38
2. Il principio di personalità previsto per l’irrogazione delle sanzioni penali e tributarie impedirebbe l’estensione dell’indeducibilità a soggetti diversi da quelli che hanno compiuto l’illecito penale.39 Da ciò ne conseguirebbe l’esclusione dall’ambito di applicazione della norma di tutti i soggetti passivi IRES.
3. L’attribuzione alla norma di natura sanzionatoria precluderebbe all’importo soggetto ad imposizione la produzione di interessi.40
4. L’obbligazione sorta non potrebbe essere trasmessa agli eredi.41
36 VOZZA A., Corollari della natura sanzionatoria dell’indeducibilità dei costi da reato, in “Corriere
tributario” n. 17 del 2012, pag. 1327.
37 VOZZA A., Corollari della natura sanzionatoria dell’indeducibilità dei costi da reato, in “Corriere
tributario” n. 17 del 2012, pag. 1327.
38 Contrasterebbe con la natura sanzionatoria della norma la previsione dell’indeducibilità dei costi
nell’ipotesi in cui il reato si estingua per prescrizione. L’equiparazione della prescrizione del reato a condanna del contribuente, violerebbe la presunzione di non colpevolezza sino alla sentenza definitiva di condanna del contribuente.
39 L’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 472/1997 sancisce che “La sanzione è riferibile alla persona fisica che
ha commesso o concorso a commettere la violazione”.
40 L’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 472/1997 sancisce che “La somma irrogata a titolo di sanzione non
5. La natura sanzionatoria consentirebbe l’applicazione del cosiddetto “cumulo giuridico” delle sanzioni.42
6. L’assimilazione della norma a sanzione accessoria comporterebbe anche delle conseguenze sul piano della riscossione.
L’importo non potrebbe essere riscosso prima della sentenza di primo grado43 e qualora il contribuente non presentasse il ricorso, potrebbe pagare la sanzione ridotta ad un terzo avvalendosi dell’istituto della definizione agevolata.44
Resterebbe, infine, da prendere in considerazione se l’applicazione del regime sull’indeducibilità dei costi da reato, consentirebbe in ogni caso all’Agenzia delle Entrate di irrogare anche la sanzione per infedele dichiarazione.
41 L’art. 8 del D.Lgs. 472/1997 prevede che “L'obbligazione al pagamento della sanzione non si
trasmette agli eredi.”
42 L’art. 12 del D.Lgs. 472/1997 stabilisce che “1. E' punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi
per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione.
2. Alla stessa sanzione soggiace chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo.
3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, si considera quale sanzione base cui riferire l'aumento, quella più grave aumentata di un quinto.
4. Le previsioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano separatamente rispetto ai tributi erariali e ai tributi di ciascun altro ente impositore e, tra i tributi erariali, alle imposte doganali e alle imposte sulla produzione e sui consumi.
5. Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.
Se l'ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell'ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate.
6. Il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione.
7. Nei casi previsti dal presente articolo la sanzione non può essere comunque superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni.
8. Nei casi di accertamento con adesione, in deroga ai commi 3 e 5, le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta. La sanzione conseguente alla rinuncia, all'impugnazione dell'avviso di accertamento, alla conciliazione giudiziale e alla definizione agevolata ai sensi degli articoli 16 e 17 del presente decreto non può stabilirsi in progressione con violazioni non indicate nell'atto di contestazione o di irrogazione delle sanzioni.”
43 L’art. 19, comma 7, del D.Lgs. 472/1997 sancisce che “Le sanzioni accessorie sono eseguite quando
il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.”
44 L’art. 17, comma 2, del D.Lgs. 472/1997 stabilisce che “È ammessa definizione agevolata con il
pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso”.
Se si propendesse a favore della tesi dell’indeducibilità dei costi come norma impositiva, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe, data la violazione di tale norma, applicare la sanzione per infedele dichiarazione.
In tal senso, l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 32/E del 3 agosto 2012 si è espressa dicendo che “il recupero a tassazione di costi e spese relativi a beni o
prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di attività delittuose, no colpose, (…), oltre al recupero della maggiore imposta e degli interessi, espone il contribuente alle conseguenti sanzioni.
Nella specie, risultano applicabili le sanzioni da cento al duecento per cento della maggior imposta (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 47145) per “infedeltà” della dichiarazione”.
Considerando, invece, il carattere sanzionatorio della norma, non ci sarebbe alcuna violazione di una norma impositiva.
Pertanto, l’irrogazione della sanzione per infedele dichiarazione sarebbe applicata a fronte di un’altra sanzione comportando un risultato che prescinderebbe dalla ratio delle norme sanzionatorie, rilevandosi privo di logica e sproporzionato.46
2.3 LA NUOVA DISCIPLINA SULL’INDEDUCIBILITA’ DEI COSTI DA REATO: ART. 8, COMMA 1, D.L. N. 16/2012
Dopo aver esposto brevemente le questioni sorte in ragione della natura della nuova norma, le quali hanno suscitato accessi dibattiti giurisprudenziali, peraltro, non ancora risolti definitivamente, è necessario andare ad esaminare nel dettaglio il nuovo regime in materia di indeducibilità dei costi da reato apportato dall’art. 8 del D.L. n. 16/2012.
In particolare, il comma 1 del suddetto art. 8, coordinato con la legge di conversione n. 44 del 26 aprile 2012, ha sostituito il vecchio comma 4-‐bis della legge n. 537 del 24 dicembre 1993, stabilendo che “Nella determinazione dei redditi
45 L’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 471/1997 sancisce che “Se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle
singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggior imposta o della differenza del credito. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d'imposta ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte.”
46 VOZZA A., Corollari della natura sanzionatoria dell’indeducibilità dei costi da reato, in “Corriere
di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi “.
Dalla lettura della nuova norma, facendo un raffronto con il previgente art. 14, comma 4-‐bis, appaiono evidenti le modifiche che sono state introdotte per effetto della nuova disposizione:
1. La norma si riferisce ai soli delitti non colposi, mentre prima colpiva indistintamente tutte le ipotesi di reato.
2. La disposizione è circoscritta ai soli costi e spese relative a beni e servizi “direttamente utilizzati” per porre in essere atti qualificabili come delitto non colposo e non più genericamente “riconducibili” a ipotesi di reato. 3. Il pubblico ministero deve aver esercitato l’azione penale ovvero il giudice
deve aver emesso il decreto di rinvio a giudizio ovvero sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, in quanto, questo costituisce il presupposto per l’operativa della disciplina. Di contro, nella previgente disciplina dato il silenzio della norma era ritenuta sufficiente la mera trasmissione della notizia di reato al P.M. per contestare la deducibilità dei costi.
4. L’eventuale assoluzione del contribuente in sede penale o il proscioglimento comporta un vero e proprio diritto del contribuente alla restituzione delle imposte e degli interessi pagati, quale obbligo imposto dal legislatore. Nella previgente formulazione la restituzione, invece, avveniva in relazione ad una mera facoltà dell’Amministrazione di esercitare il potere di autotutela, anche su richiesta del contribuente.47
I profili innovativi della nuova disposizione, riformando ampiamente quelli della previgente formulazione, meritano, dunque, di essere trattati separatamente anche in virtù della diversa natura degli stessi.