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Il costo unitario della raccolta

2. CRITERI IN USO PER LA STIMA DEL FUNDRAISING

2.3 La valutazione delle performance di fundraising

2.3.1 Indici aggregati di fund raising

2.3.1.2 Il costo unitario della raccolta

Negli Stati Uniti, un ulteriore elemento di interesse per i media ed il pubblico è il costo unitario della raccolta. L’indice viene spesso citato come una misura chiave per l’efficienza della raccolta di fondi e probabilmente un fattore da tenere in mente quando i donatori prendono delle decisioni rispetto alle organizzazioni che intendono supportare. In una survey condotta su larga scala negli Stati Uniti, Rooney, Hager e Pollak calcolano il costo medio unitario della raccolta al 24%. Altri studi hanno definito simili livelli di costo, tipicamente nel range tra il 15% ed il 30%, in base al diverso tipo di “causa” promossa (tutela degli animali, arte, istruzione, e così via) e alle dimensioni dell’organizzazione (misurata dai ricavi). Sulla base di queste stime saremmo portati a concludere che negli Stati Uniti un’organizzazione che spende 20 centesimi per raccogliere un dollaro sarebbe

efficiente, al contrario di una che ne spende 35. Può un tale ragionamento essere corretto?

E’ una tesi discutibile. Essa soffre di alcuni limiti fondamentali:

1. La misura è basata su dati di scarsa qualità. Come detto in precedenza, quasi il 60% degli enti non-profit dichiarano di non avere costi di fundraising. Perciò, se gli indici sono calcolati sulla base dei Form 990, non saranno significativi.

2. Variazioni nelle regole di contabilità e quindi nella definizione delle

categorie-chiave di costo. Ciò che potrebbe classificarsi come spesa per l’attività di

fundraising da parte di una organizzazione potrebbe essere considerato come spesa per l’attività istituzionale in un’altra. Gli studi di fattibilità condotti quale parte dell’istanza per l’ottenimento di contributi sono considerati come dei costi della raccolta oppure quali costi per l’attività istituzionale? Un evento organizzato per promuovere l’attività svolta da un ente non-profit all’interno di una determinata comunità locale costituisce un puro costo del programma, quand’anche il fundraising ne abbia tratto delle ricadute positive? Sebbene esistano delle linee guida sulla contabilizzazione di queste attività, normalmente rimane un certo spazio per l’interpretazione (in modo, peraltro, del tutto legittimo). Due diverse organizzazioni possono, in buona fede, sviluppare due sistemi di contabilizzazione del tutto diversi.

3. Fundraising oppure sensibilizzazione. La “mission” di molte organizzazioni non è solo quella di impegnarsi in attività di beneficenza a favore dei membri di un determinato “gruppo target”, ma anche quella di sensibilizzare il pubblico generale rispetto ai bisogni oppure alle problematiche che quel determinato “gruppo target” affronta. Quindi, un’associazione a favore degli ipovedenti non solo potrebbe avere l’obiettivo di migliorare la vita degli individui in queste stesse condizioni, ma anche di incrementare la consapevolezza del pubblico rispetto a problematiche più ampie e generali (quali la discriminazione) che coinvolgono questo segmento della comunità. Le organizzazioni che ritengono importante ricoprire tale ruolo si ritrovano ad affrontare il dilemma, in termini di contabilità, rispetto alle modalità con cui riportare i costi di queste attività di sensibilizzazione o di vera e propria formazione. Dal momento che ci sono spesso dei benefici sostanziali dalla combinazione di queste attività con quelle specificatamente destinate alla raccolta di fondi, spesso diventa impossibile distinguerne una dall’altra. Una pubblicità dell’ “American Heart Foundation” va considerata quale promozione finalizzata alla

raccolta di fondi oppure quale parte di un più ampio tentativo di sensibilizzare maggiormente il pubblico sulle cause delle malattie cardiovascolari? In queste circostanze, le organizzazioni non-profit devono decidere in maniera piuttosto arbitraria se contabilizzare questi costi in termini di costi del fundraising, oppure di costi “caratteristici”, o ancora se ripartirli in proporzione. Queste decisioni potrebbero ancora una volta essere prese in buona fede, però avrebbero in ogni caso delle profonde ripercussioni sui conti (e gli indicatori) di fundraising di una specifica organizzazione.

4. Variazioni annuali. L’utilizzo di semplici coefficienti per il confronto tra organizzazioni potrebbe essere criticato sulla base che tali valori (se non “mediati” su un orizzonte di 3/5 anni) non rifletterebbero adeguatamente l’incidenza di eventuali contributi “una tantum” dall’importo considerevole, quali una donazione particolarmente generosa oppure un lascito eccezionale. Un’organizzazione che altrimenti mostrerebbe delle performance non brillanti si potrebbe perciò trasformare, da un momento all’altro, in una delle più efficienti del proprio settore. 5. Popolarità della causa. Per alcune tipologie di cause il fundraising risulta più facile che per altre. Le associazioni a favore dei disabili, per esempio, hanno una maggiore difficoltà di quelle che operano nel campo della ricerca o dell’istruzione. Significa questo che le organizzazioni di una categoria sono migliori di altre nel fundraising? Ovviamente no. La loro performance riflette esclusivamente il livello di interesse e di coinvolgimento pubblico rispetto alla causa.

6. L’anzianità del “dipartimento” di fundraising. Ci si attende che un programma di sviluppo maturo e organizzato professionalmente produca dei risultati migliori rispetto a quello di un “dipartimento” appena costituito. Il successo potrebbe dipendere dallo sviluppo dell’expertise necessario, ma ci sono varie forme di fundraising che richiedono anni prima di essere adeguatamente stabilite. Lasciti e donazioni pianificate, per esempio, potrebbero non generare risultati significativi nei primi 7 anni.

7. Le dimensioni dell’organizzazione. La ricerca ha indicato che alcune forme di fundraising (quali la posta tradizionale) mostrano delle significative economie di scale. Maggiore il numero di indirizzi, minore sarà il costo unitario. Le organizzazioni più grandi tendono quindi ad avere una performance migliore di quelle più piccole, almeno fino alle organizzazioni molto piccole, dove tutto il fundraising può essere condotto da volontari e perciò, come conseguenza, l’effetto

si inverte. Anche le non-profit molto piccole possono avere dei buoni indicatori di fundraising.

8. Il profilo della comunità. Alcune non profit si rivolgono a comunità economiche e geografiche più benestanti, altre si rivolgono ad interlocutori meni ricchi.

9. Le tipologie di fundraising attivate. La struttura della raccolta di un’organizzazione, di per sé, può avere un ulteriore impatto sugli indici. Le organizzazioni che sono abbastanza fortunate da ricevere delle sovvenzioni annue in piccolo numero, ma da cui si ricava la maggior parte della raccolta, mostreranno una struttura dei costi migliori rispetto alle organizzazioni che sollecitano la raccolta dei fondi presso il pubblico in generale. Non solo saranno necessari maggiori addetti alla gestione del fundraising presso il pubblico, ma i costi della comunicazione rispetto a diverse classi di donatori potrebbero risultare notevolmente superiori. Inoltre, l’ampio volume di transazioni potrebbe influire significativamente anche in termini di infrastrutture tecnologiche, gestione dei dati, ed anche costi bancari.

10. Acquisizione o gestione dei donatori. Come illustreremo più avanti in questo capitolo, attrarre nuovi donatori è un’attività intrinsecamente costosa. La maggior parte delle non-profit riportano dei costi ingenti in quest’attività, ed in particolare se impiegano mezzi di comunicazione a risposta diretta (direct response media, quali la posta, la pubblicità, e così via). Non è infrequente, per le organizzazioni, perdere la metà delle risorse dedicate a questa attività. Questa perdita non è rilevante nel medio termine, perché l’organizzazione solleciterà delle successive donazioni, sulle quali i rendimenti sono molto superiori. Sui donatori originariamente acquisiti attraverso i metodi di risposta diretta, il costo può oscillare tra 4 e 5 volte il capitale investito. Il bilanciamento tra le attività di acquisizione e gestione influenzerà pertanto la performance della raccolta. Le organizzazioni che investono molto nella costruzione della propria “base” mostreranno inizialmente dei coefficienti di fundraising piuttosto negativi.

11. Diverse tipologie di “campagne”. Le “campagne di raccolta” generano dei rendimenti molto diversi rispetti alla generale raccolta annuale. Un indice aggregato che combina queste due diverse forme di fundraising risulta perciò inutilizzabile. Le “campagne di raccolta” sono tipicamente delle attività pluriennali, per le quali la maggioranza dei costi è normalmente sostenuta nei primi mesi della campagna. Di conseguenza, se i coefficienti sono calcolati su base annua, i costi di fundraising per

il primo anno della campagna appariranno (artificialmente) elevati, mentre negli anni seguenti risulteranno ingannevolmente bassi. Questa problematica è particolarmente significativa perché se l’ammontare dei costi viene divulgato ai donatori al termine del primo anno, alcuni potrebbero essere dissuasi dal contribuire ulteriormente alla campagna per effetto della sua performance apparentemente “negativa”, anche nei casi in cui da un punto di vista di lungo periodo tali costi si sarebbero ritenuti del tutto ragionevoli.

Nell’obiettivo di valutare la performance di raccolta di un’organizzazione in modo significativo, e di confrontare questa valutazione con quella di altre organizzazioni, è necessario tener conto di ciascuno di questi fattori.

L’ultima considerazione da effettuare rispetto a questa lista molto lunga di fattori è che anche chi conduce l’attività di fundraising non trarrà grande valore dal confronto dei coefficienti rispetto a quelli di altre organizzazioni. Dal punto di vista pratico, probabilmente dovranno farlo per capire come la propria performance verrà percepita dai propri diversi stakeholder, però tale confronto rimarrà in ogni caso di scarso aiuto nel verificare se la propria attività sia efficiente o meno, e se ci sia il bisogno di migliorarla. A tale fine sarà necessaria un’analisi di gran lunga più sofisticata.