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Costruire partecipato in ambiente rurale Un caso studio etneo Maria Maccarrone

Università IUAV di Venezia

Dipartimento di Architettura e Culture del Progetto Email: mariam@iuav.it

Abstract

Questo contributo si origina da ragionamenti collaborativi sul necessario processo di rigenerazione del patrimonio storico applicato all’ambiente rurale. L’idea è di cercare nel margine recondito degli insediamenti consolidati, cioè in quella parte che nella tradizionale dualità città e campagna si può intendere come contado, il miglior contributo di crescita rigenerativa ambientale in quanto si ritiene che proprio in suddette aree rurali il mutamento fisiognomico dei caratteri architettonici sia oltremodo sottoposto alle regole della natura e conseguentemente obbligato a costruire nuovi scenari di sopravvivenza. La ricerca, pertanto, riguarda ambiti geografici circondariali, di contado per l’appunto, in cui l’agricoltura svolge ancora un ruolo centrale e dove oggi si può costruire un rinnovato territorio rurale e culturale, tra sviluppo sociale e tutela ambientale, attraverso processi di rivalorizzazione integrata di tipo pubblico-privato. Un caso esemplificativo è una minuscola porzione di paesaggio rurale sito all’ombra del vulcano Etna, denominata Santa Venerina, nella città metropolitana di Catania. In presa diretta è stata compiuta un’indagine documentale sulla temporaneità intrinseca nel vivere ai piedi del vulcano attivo più alto d’Europa, che ha portato a considerare una nuova gestione territoriale di partenariato pubblico-privato attraverso il ripristino delle reti infrastrutturali minori e l’uso delle connessioni spaziali con i terreni agricoli.

Parole chiave: architecture, infrastructures, rural areas.

È una scelta quella di volere credere che l’ambiente rurale possa rigenerarsi attraverso una partecipazione pubblica e privata. È una presa di posizione attiva per tentare di superare le profonde trasformazioni che nel contemporaneo coinvolgono istituzioni e privati a fronte delle molteplici sfide nello sviluppo sociale e nella tutela ambientale. Pertanto costruire in ambiente rurale facendo interagire pubblico e privato è da intendersi come una strategia per verificare se dall’interazione dei due soggetti possano re-innescarsi processi virtuosi di conoscenza e di contaminazione, di teoria e di prassi, di ripristino della continuità fisica e percettiva delle peculiarità culturali e del linguaggio architettonico. L’importanza delle aree rurali risiede nell’essere non tanto dei territori della dispersione urbana o della città diffusa quanto degli ambiti geografici minori in cui l’agricoltura svolge ancora un ruolo centrale. Si tratta di zone che nella tradizionale

dualità città e campagna possono accomunarsi nella definizione di contado1 ovvero margini circondariali

degli insediamenti consolidati in cui il mutamento fisiognomico dei caratteri architettonici è oltremodo sottoposto alle regole della natura e conseguentemente obbligato a costruire nuovi scenari di sopravvivenza. In quest’accezione l’ambiente rurale è puro spazio in movimento capace di accogliere nuovi usi ed infinite trasformazioni di forme, purché contenga una visione interpretativa degli spazi interstiziali e relazionali. L’ambiente rurale si può così dire è la rimembranza di ciò che siamo stati e allo stesso tempo il luogo del valore di ciò che vorremmo essere.

Un caso esemplificativo addotto al processo di costruzione partecipata in ambiente rurale è una minuscola porzione di paesaggio etneo, un’area minore così come le tantissime che costellano il territorio nazionale, ma dai caratteri intrinseci fortissimi, che se riconnessi nella valenza rurale ad altri contigui costituirebbero un unico territorio-paesaggio del vulcano Etna.

Il territorio in questione è in Sicilia, l’isola al centro del Mediterraneo dalle sembianze del mito e dalla natura esuberante che da sempre attrae folle di migrazioni. Ubicato nella città metropolitana di Catania, è denominato Santa Venerina e si trova nella zona NE Dagala del Re-Santo Stefano-Monacella. L’ambito di studio nell’insieme ricade nel basso versante orientale del vulcano Etna, a quote comprese tra 170 e 540 m sul livello del mare ed a una distanza media dalla costa ionica di circa 5 km. Ha una forma allungata in senso Nord-Sud di circa 6 km, una larghezza media di circa 3 km (Figura 1). Santa Venerina è stata costituita Comune con Regio Decreto del 19/02/1936, riunendo aree marginali dei territori di Acireale a SE, Giarre a N-NE e Zafferana Etnea a O, per una superficie complessiva di circa 1879 ettari. Confina a

1 Contado: territorio sottoposto alla città, da comitatus ovvero circoscrizione, una modalità di costituzione dello Stato territoriale.

NO con il Comune di Milo. Tuttora i nuclei abitati che punteggiano il tessuto comunale conservano un’appartenenza immateriale alle città fondative che si palesa in taluni tratti della tradizione popolare.

Figura 1. Veduta del versante orientale del vulcano Etna con individuazione del territorio di Santa Venerina.

Fonte: Maria Maccarrone.

A fronte dell’eterogenea formazione amministrativa, comune fra le parti è l’assetto morfologico prevalente dei terreni affioranti di natura vulcanica, unitamente ai lineamenti tettonici propri del territorio. In particolare, la zona Dagala del Re-Monacella è densa di materiali scoriacei alternati a prodotti vulcanici formatisi in epoche diverse. Gli studiosi concordano nel ritenere che i corpi antichi delle lave, dal colore diffuso grigio-scuro, si siano succeduti a Dagala su un’ampia depressione colmata da materiali prevalentemente detritici. A Monacella gli affioramenti a blocchi scoriacei e lastroni, localmente coperti da poche decine di centimetri di suolo, apparterrebbero alla porzione frontale di un vasto campo lavico, originato dall’eruzione 1284-1285, poi incrementato dalla sovrapposizione di diverse unità di flusso (Figura 2).

Figura 2. Paesaggio innevato a Monacella.

L’aspetto geomorfologico dell’area Dagala del Re-Santo Stefano-Monacella è dunque segnato dalla potente successione di prodotti eruttivi ad elevata permeabilità, alternati a lembi di terreni sedimentari a bassa permeabilità. In parte è scandito dal ruscellamento del torrente San Leonardo e da pozzi di perforazione per la captazione delle acque sotterranee.

La vegetazione primaria del sistema Dagala del Re-Santo Stefano-Monacella, prodottasi a questa quota cento anni dopo il raffreddamento delle colate laviche, era di tipo boschivo, con prevalenza di querce, bagolari e castagni in cui trovava ricovero una variegata fauna selvaggia. Per le eccezionali peculiarità strutturali ed estetiche, l’area è stata abitata con buona probabilità dall’antica popolazione dei siculi. Nel VI sec. monaci basiliani eressero nella zona Sud-Ovest di Dagala del Re l’eremo di Santo Stefano in Hermann. La colata lavica del 1284-85 risparmiò solo la chiesa, inducendo i monaci benedettini, subentrati per volontà del Gran Conte Ruggero a precedenti ordini religiosi, ad abbandonare l’area ed a trasferirsi a Messina prima e poi a Montecassino. Le comunità locali migrarono in parte verso N-NE in zona Monacella, dove costruirono una cappella consacrata all’Immacolata, ed in parte in zona SE prossima alla sorgente d’acqua Bongiardo.

Per qualche secolo questi territori continuarono a restare lembi di estesi possedimenti terrieri, fra la contea di Mascali ed il bosco di Aci, predilette riserve di caccia dei principi aragonesi e spaziosi ambiti naturali esposti agli umori del vulcano.

Nel Settecento, l’introduzione della viticultura produsse nell’area Dagala del Re-Santo Stefano-Monacella la trasformazione territoriale più persistente. Si è trattato di un’autentica conquista della terra che con ingegno e perizia sottraeva prodotto vulcanico grezzo per rigenerarlo sotto forma di suolo agricolo strutturato in mirabolanti terrazze. Nasceva «il progetto di paesaggio» (Dalnoky, Maccarrone, 2008) come rapporto di forza tra geometria e geografia (Figura 3).

Figura 3. Terrazzamenti modellati su antiche colate laviche, ancora coltivati.

Fonte: Maria Maccarrone.

Ben presto i vigneti sostituirono i boschi. Sotto un unico laboratorio di trasformazione a cielo aperto, gran parte dei terreni lavici furono modellati in terrazzamenti atti alla coltura. La traccia dei nuovi percorsi viari tesseva l’ambiente rurale costruito da un’economia agricola in movimento. Residenze padronali, pensate come unità autosufficienti, si consolidarono nei luoghi dei primi sparuti insediamenti, mentre nuovi addensamenti di abitato si raggrupparono attorno ad una chiesa, come nel caso di Dagala del Re. La chiesa di Santo Stefano, mai più riabilitata al culto dopo la fuga dei monaci, rimase in abbandono in una porzione residuale di quello che fu il suo bosco. Nel 2015, i resti murari del vano trilobato preceduto da un nartece sono stati messi in sicurezza dalla Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Catania a testimonianza di una delle pochissime chiese trigone in stile bizantino esistenti in Sicilia (Figura 4). Monacella si assestò prevalentemente nella forma di case sparse, a pianta rettangolare con palmento,

cantina e stalla, costruite per lo più ai margini delle proprietà terriere, o in piccoli gruppi edilizi distribuiti lungo le vie di connessione con altri centri agricoli, comunque convergenti verso la chiesa.

Figura 4. I resti della Chiesa di Santo Stefano, sec. VI, durante una rievocazione storica.

Fonte: Maria Maccarrone.

«L’edificio ecclesiastico fu edificato ad una sola navata su terreni di proprietà di Salvatore Piazonale negli anni 1788-1792 e dedicato a Maria SS. Immacolata. Per esigenze di culto si realizzarono degli ampliamenti significativi che modificarono l’assetto dell’originaria struttura: nel 1880 fu costruita la navata a Sud e nel 1922 la navata a Nord. Dal 1921 è chiesa parrocchiale e dedicata a San Mauro Abate. Attualmente è costituita da un’aula a tre navate con cappelle laterali, un’abside semicircolare, due sacrestie annesse e collegate alla medesima struttura continua. La lunghezza massima nella direzione EO è pari a 20,90 m e la larghezza massima è di 14,40 m. L’altezza massima misurata al colmo della facciata principale è di 17,70 m compresa la cella campanaria che insiste sulla stessa base muraria secondo una tipologia ricorrente» (Maccarrone, 2010).

Figura 5. Campagna con vista sul Mar Ionio in zona Dagala del Re.

Fino al Novecento, l’organizzazione delle campagne agricole del sistema Dagala del Re-Santo Stefano- Monacella manteneva sviluppo economico e cura del territorio, potenziava i collegamenti viari fra i vari nuclei urbani e garantiva le connessioni minute con le sparse residenze che erano per lo più aziende produttive. Tuttavia, sul finire del secolo scorso, le nuove dinamiche del mercato economico, i costi elevati di produzione e la concorrenza dei prodotti stranieri, non consentirono più a quel sistema agricolo di offrire il sostentamento primario per i suoi abitanti. Si tentano allora nuovi impianti produttivi, sostituendo parte dei vigneti in limoneti, ma la crisi è inarrestabile. Parte della popolazione residente si trasferisce altrove per lavoro, segnando così il passaggio dalle pratiche agricole ad una vegetazione spontanea, per lo più esuberante. Chi sceglie di restare è per intima affezione o per l’intrinseco fascino estetico e culturale esercitato dai luoghi compresi tra vulcano e mare (Figura 5).

Il sistema rurale Dagala del Re-Santo Stefano-Monacella richiede una nuova visione di sviluppo per la propria sopravvivenza. E in forza del governo del territorio fin qui narrato, si ritiene che rifondare un patto polisemico, in cui l’azione pubblica metta in atto dispositivi regolatori efficaci ed il privato si adoperi in operazioni cooperative, possa essere la cura strategica per conservare la qualità e garantire la sicurezza dei luoghi. Le azioni intercorse fino al recente passato testimoniano come l’interazione delle conoscenze abbia innescato processi virtuosi di trasformazione territoriale e di benessere. La scommessa attuale per il sistema Dagala del Re-Santo Stefano-Monacella è ri-attivare quella continuità fisica e percettiva con il paesaggio che permetta di tornare ad esso, attraversarlo e renderlo nuovamente accessibile alle micro- economie (Figura 6). È conclamato che recuperare la mobilità minore accresca la competitività del sistema agricolo, riduca l’inquinamento e rafforzi la coesione sociale.

Figura 6. Via secondaria di attraversamento dell’ambiente rurale di Santa Venerina con vista sul vulcano Etna.

Fonte: Maria Maccarrone.

«Un’infrastruttura si colloca naturalmente “fra” le cose, permette l’innesco di comunicazioni e di conoscenze in senso fisico, materiale ed immateriale con il territorio, rappresenta un sistema di segni che innervano il paesaggio. L’infrastruttura si può considerare come una parte del processo relazionale con il territorio che consente lo svolgimento di attività e definisce lo stato in cui collettività e paesaggio sono strutturati. Parimenti il paesaggio è l’infrastruttura del nostro essere presenti sul territorio, la risultante dei processi naturali e delle attività antropiche. È condizione irrinunciabile allo sviluppo fisico, economico e culturale in cui tutta la società è chiamata ad essere parte attiva del processo di cambiamento»

(Maccarrone, 2014). Da ciò è possibile iniziare un nuovo processo di ri-modellazione del sistema spaziale rurale, attraverso una visione interpretativa degli ambiti infrastrutturali esistenti e dispositivi temporanei eco-sistemici che favoriscano la fruibilità, l’integrazione sociale e possano stabilizzarsi nel territorio per rigenerarlo (Figura 7). In questo senso l’ambiente rurale è la rimembranza di ciò che siamo stati e, allo stesso tempo, il luogo del valore di ciò che vorremmo essere.

Figura 7. Mappa dei percorsi minori nell’ambiente rurale Dagala del Re-Santo Stefano-Monacella.

Fonte: Google earth. Elaborazione: Maria Maccarrone.

Riferimenti bibliografici

Maccarrone M. (2014), “Infrastrutture nelle terre dell’Alcantara”. In D’Urso S. (a cura di), I paesaggi

dell’Alcantara, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, pp. 119-122.

Maccarrone M. (2010), “Elementi di recupero della Chiesa di San Mauro Abate a Monacella”. In: Boscato G., Guerra F., Russo S., Sciaretta F., Sperotto E. (a cura di), Sicurezza e conservazione nel recupero dei beni

culturali colpiti da sisma. Strategie e tecniche di ricostruzione ad un anno dal terremoto abruzzese. Convegno nazionale 8- 9 Aprile 2010 Aula Magna dei Tolentini, Università IUAV di Venezia, pp. 302-307.

Dalnoky C., Maccarrone M (2008), “Sognare un’isola per capire il paesaggio”. In: Giani e. (a cura di),