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Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)

Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (IRISS) Email: e.giovenedigirasole@iriss.cnr.it

Tel: 081.247.0995

Abstract

Gli sviluppi recenti delle politiche europee e nazionali considerano il cultural heritage come “bene comune” per lo sviluppo sostenibile dei territori e della società e invitano gli Stati membri a promuovere processi di valorizzazione partecipativi, puntando sulla capacità dei cittadini e degli stakeholders a riconoscere la propria identità in esso e a collaborare attivamente per la sua conservazione.

Partendo da una panoramica del dibattito in corso nella letteratura e nei documenti europei sul concetto di patrimonio culturale come bene comune, attraverso la lettura del caso studio di Faenza, si vuole evidenziare come implicitamente sia stato costruito un processo culturale collaborativo, ma anche come sarebbe opportuno definire e utilizzare approcci e strumenti in grado di attivare una catena strategica di “knowledge and planning” per la rigenerazione urbana. Il paper definisce un framework per un processo culturale collaborativo, evidenziando i ruoli che il Place Branding, il Place Marketing e il Community Planning possono avere per realizzare una trasformazione urbana duratura e radicata nel contesto culturale e territoriale.

Parole chiave: Culture, Heritage, Community.

1 | Nuovi approcci per la valorizzazione del cultural heritage

Per comprendere nella sua più profonda identità il patrimonio culturale costituito dalle città storiche, ai tradizionali metodi di indagine conoscitiva dobbiamo affiancare la lettura attraverso il filtro dei valori identitari e culturali. Sul piano propositivo e progettuale, la valorizzazione del cultural heritage - materiale e immateriale - diventa fondamentale per aiutare a superare l’appiattimento semantico che accomuna molti progetti e interventi di trasformazione che avvengono nell’era della globalizzazione.

Si propone l'avanzamento di un percorso di ricerca in progress e le prime riflessioni sul tema dell’identità culturale condivisa come motore per la rigenerazione urbana e lo sviluppo locale sostenibile e su possibili strategie innovative di sensibilizzazione e attivazione delle comunità.

Il processo di costruzione dell’identità inizia con il riconoscimento, da parte della comunità, del suo patrimonio materiale e immateriale, storicizzato nelle architetture e negli spazi come nei saperi, nelle funzioni e nelle tradizioni.

Questo è in linea con le recenti politiche europee che considerano il patrimonio culturale common good ed elemento fondamentale per lo sviluppo sostenibile e l’innovazione sociale ed invitano gli Stati membri a promuovere processi di valorizzazione partecipativi. In questo scenario, si sono affermati nuovi metodi di collaborazione e partecipazione orizzontale, come alternativa ai modelli verticali, per realizzare le trasformazioni del territorio, attraverso il coinvolgimento e il dialogo tra i diversi attori con il fine di sviluppare conoscenze comuni, costruire reti, capitale sociale e politico (Clemente, Arcidiacono, Giovene di Girasole, Procentese, 2015).

Attraverso la lettura del caso studio di Faenza, si vuole evidenziare come implicitamente sia stato costruito un processo collaborativo e di come, per potenziarne i risultati, sarebbe opportuno utilizzare strategie innovative in grado di attivare e mettere in relazione tutti gli attori del processo. In questo contesto, si evidenzia il ruolo del Place Branding, del Place Marketing e del Comunity Planning per la valorizzazione del patrimonio culturale e la rigenerazione urbana (Daldanise, 2016). Infatti, attraverso questo tipo di processi è possibile comprendere i bisogni reali di una comunità, garantendo una trasformazione urbana duratura e radicata nel contesto territoriale. I processi di questo tipo consentono di coordinare in modo efficiente le risorse intese come opportunità per governare un territorio attraverso logiche strategiche, perseguendo contemporaneamente obiettivi di crescita economica, tutela dell’ambiente e monitoraggio delle percezioni delle comunità.

2 | Cultural heritage as “common” per la rigenerazione urbana

Durante gli ultimi decenni, vi è stata una significativa evoluzione nella nozione e nella conservazione del

cultural heritage e nell’importanza che essa assume per lo sviluppo sostenibile delle città.

Gli sviluppi recenti delle politiche europee e nazionali considerano il cultural heritage come common good ed elemento fondamentale per lo sviluppo sostenibile e l’innovazione sociale. Per utilizzare appieno questo potenziale dell’eredità culturale gli Stati membri sono invitati a promuovere processi di valorizzazione partecipativi fondati sulla cooperazione fra pubbliche istituzioni, cittadini, associazioni, ecc. (Zhang, 2012). Il coinvolgimento delle comunità locali, infatti, aumenta la consapevolezza del patrimonio culturale, come capacità dei cittadini e degli stakeholders a riconoscere la propria identità in esso e a collaborare attivamente per la sua conservazione (Arcidiacono, 2015).

La natura “comune” dei beni culturali deriva dal loro essere strettamente connessi a identità, cultura, tradizioni di un territorio e per il loro essere funzionali allo svolgimento della vita delle sue comunità. Possiamo identificare i beni culturali come particolari beni comuni dei cultural commons che «refer to culture expressed and shared by a community» (Bertacchini, 2012, p.3), caratterizzati da valori e atteggiamenti condivisi che rendendo possibili azioni cooperative. Ovvero «la cultura, i beni culturali come bene comune, coinvolgono quindi gli utenti nella sua riproduzione e trasmissione alle generazioni future»

(Mariotti, 2016, p.437)e così facendo, contribuire ad uno sviluppo sostenibile (Nijkamp, Riganti, 2008).

In questo panorama il concetto di patrimonio culturale come bene comune e l’importanza della partecipazione della cittadinanza alla sua valorizzazione, sono due principi che si ritrovano, nelle convenzioni e raccomandazioni sul patrimonio culturale adottate negli ultimi anni dal Consiglio d’Europa, finalizzate allo sviluppo sostenibile dei territori e della società.

Nella Comunicazione della Commissione Europea “Council conclusions on participatory governance of

cultural heritage” (European Commission, 2014), il cultural heritage viene definito come «a shared

resource, and a common good» (art.1). Viene quindi messo in evidenza proprio come le risorse del patrimonio, indipendentemente da chi ne sia il proprietario o detentore, sono portatrici di un valore che appartiene a tutti i membri della comunità e sono, in questo senso, “beni comuni”.

Il Consiglio d’Europa, inoltre, riscontra come i beni culturali possano diventare un bene comune se, una volta riconosciuti, diventino rilevanti nel contesto (Mattei, 2011) e nella sua comunità che diventa parte attiva nel suo uso e nella sua tutela, diventando capitale sociale (Putnam, Leonard, Nanetti, 1993).

La “Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society” (Council of Europe, 2005), firmata a Faro (Portogallo) nel 2005 ed entrata in vigore nel 2011 «traccia il quadro di diritti e responsabilità dei cittadini nella partecipazione al patrimonio culturale e declina le possibili accezioni del suo “valore”, secondo un approccio multidimensionale che rileva il contributo del patrimonio culturale allo sviluppo dell’essere umano e della società» (Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale, 2016). Nel documento, le popolazioni vengono richiamate a svolgere un ruolo attivo nell’identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione dell’eredità culturale, mentre gli Stati vengono sollecitati a promuovere un processo di valorizzazione partecipativo fondato sulla sinergia fra istituzioni, cittadini e associazioni che lo riconoscono come proprio, come bene comune.

Il riconoscimento del bene culturale come bene comune, quindi, può consentire di costruire quelle condizioni di common ground che Elinor Ostrom (1990) reputava fondamentali per realizzare la fiducia, l’affidabilità e la reciprocità tra i membri della comunità che individuano delle regole condivise per l’uso del bene, un common sociale ovvero il «luogo in cui si produce quello spirito collaborativo che permette a una società di comportarsi in un’entità culturale coerente» (Rifkin, 2014).

La Ostrom (Ostrom et al., 1994), nei suoi studi, propone l’“IAD Framework” per analizzare le componenti principali che formano un sistema collettivo, dove al centro è collocata l’arena di azione (action

arena) che comprende gli attori (actors) che agiscono in uno spazio sociale (action situation). L’IAD

Framework individua i fattori che influiscono sull’arena, analizzando le modalità di interazioni tra gli individui (patterns of interactions) all’interno dell’arena che producono gli esiti dell’assetto istituzionale. La struttura e il funzionamento dell’arena di azione sono influenzati da tre classi di fattori esterni: i fattori fisici, la struttura della comunità e l’insieme delle regole per l’uso collettivo di una risorsa (Ostrom et al., 1994).

In questo contesto è possibile ipotizzare un processo collaborativo (fig.1) che vede la costruzione, da parte della comunità, delle associazioni, degli imprenditori della cultura e anche delle istituzioni, di una vision comune, basata sul riconoscimento dell’importanza del proprio patrimonio culturale - identificandolo come “bene comune”. Il riconoscimento di una visione condivisa basata sull’identità culturale, permette definire regole, obiettivi e valori condivisi, trasformando la “collettività” in “comunità” e il bene culturale da “bene comune” in “common”.

L’identità culturale condivisa può essere, quindi, considerata un driver per la rigenerazione urbana e lo sviluppo locale e, attraverso lo sviluppo di un Common Action Plan, si possono così costruire strategie, tattiche e azioni orientate alla produttività dei luoghi.

Figura 1 |Framework – Cultural Collaborative Process.

3 | Il processo di valorizzazione collaborativa del patrimonio culturale: il caso di Faenza

Utilizzando come framework di lettura il Cultural Collaborative Process è stato analizzato il caso studio di Faenza, dove è riscontrabile un approccio che implicitamente ha attivato processi di valorizzazione del patrimonio culturale costruendo un’identità condivisa che riflette le specificità locali, mettendo in connessione risorse materiali e immateriali.

Il Comune di Faenza vanta da oltre cinque secoli di una tradizione artistica e artigianale che si ritrova nelle oltre 50 botteghe ceramiche della città e nel MIC, Museo Internazionale delle Ceramiche, uno dei più famosi musei europei di ceramiche.

Faenza è una città di dimensioni contenute ma con un’intensa vita culturale e un vivace tessuto associazionistico che si manifesta proprio nel campo dell’offerta culturale. Negli ultimi anni si sono diffuse molte iniziative culturali che necessitavano essere raccolte all’interno di una cornice coerente.

L’arte e l’artigianato sono, infatti, qui esperienza di accoglienza e partecipazione per i cittadini ma anche per i turisti che vengono accolti dagli artigiani per mostrare loro le tecniche della modellazione e della decorazione. La città si anima di numerosi eventi nel corso dell’anno: ne sono un esempio i Mondiali Tornianti, dove si riuniscono i migliori foggiatori e vasai, oppure Argillà Italia, mostra-mercato internazionale con circa 200 espositori di diversi artigiani europei, o la manifestazione Rakuriosi, in cui si trovano gli specialisti del raku (Faenza città d’arte, 2016).

In un confronto con la pubblica amministrazione vi è stata una forte spinta dal basso dal punto di vista associazionistico per essere parte di un distretto culturale evoluto (Sacco, 2010) che andasse oltre gli aspetti dello sviluppo turistico legato alla cultura e gli indotti che ne derivano, e puntasse piuttosto a un sistema locale che apprendesse e utilizzasse la cultura come piattaforma sociale di creazione di capacità (Sacco, 2009).

L’amministrazione, recependo le istanze della comunità, ha costruito un programma specifico di attività all’interno del programma comunale “Rigenera Faenza” (Comune di Faenza, 2013a), mettendo in rete i diversi stakeholders.

La cultura diventa il cuore della piattaforma di governance e il patrimonio culturale non viene più interpretato come insieme di oggetti e manifestazioni ma come ricchezza di risorse di comunità, capacità e competenze cittadine, finalizzate allo sviluppo locale.

Nel programma comunale “Rigenera Faenza” (Comune di Faenza, 2013a), le principali esperienze inclusive hanno riguardato:

• il progetto “Via Fornarina si rinnova, tu partecipi?” per la “riqualificazione partecipata” dei fabbricati di via Fornarina, all’interno del quartiere Borgo;

• la partecipazione attraverso “Il quartiere che vorrei” sui temi della cultura e dell’integrazione con sperimentazione in alcuni isolati del centro storico intorno a piazza San Francesco;

• l’esperienza del MAP (Museo all’aperto), con la realizzazione di una grande opera di street art di circa 1000 mq da parte del gruppo di artisti “Team Ginko”;

• il progetto “Rigenerare il sociale” che si occupa dell’area relativa al Parco Azzurro e delle strutture ad esso adiacenti, nel cuore del quartiere Borgo.

Gli obiettivi dichiarati del percorso partecipativo a Faenza sono essenzialmente due:

1. un modello metodologico di costruzione di reti dinamiche in grado di avviare rigenerazione sociale e territoriale;

2. un modello di partecipazione dei cittadini in grado di raggiungere un risultato concreto sul territorio. Il presupposto necessario è stato la considerazione, poi convinzione, dell’Amministrazione che “gli abitanti sono i maggiori esperti del territorio perché lo vivono” (Comune di Faenza, 2013b).

Il primo obiettivo, a partire dal concetto di “comunità di intenti” come spinta al cambiamento, vuole trasformare le intenzioni che nascono dalle reti tra persone e attività in “comunità di azione” quali parti attive e protagoniste del cambiamento.

La spinta rigenerativa è stata interpretata da un punto di vista di progetti e attività attraverso un set di indicatori in grado di fornire una lettura dettagliata del potenziale di comunità, mettendo in relazione le indagini con le azioni attraverso gli OST e i focus groups attivati. Con tale modello l’Amministrazione vuole ambire a svolgere attività preparatorie ad una ipotesi di Piano Regolatore Sociale.

Il secondo obiettivo mira a costruire partecipazione a partire dalla ridefinizione di elementi strategici della città, luoghi riconosciuti dalla comunità, come il parco Azzurro al quartiere Borgo.

Nello svolgimento del programma di partecipazione, è stata utilizzata la tecnica dell’“Open Space Technology” (OST), che permette ad ogni cittadino di esprimere il proprio punto di vista sul tema. La metodologia utilizzata nel progetto ha come finalità la rimodulazione del welfare locale come welfare di prossimità attraverso azioni partecipative e proposte di servizi “leggeri” di quartiere.

Seguendo lo schema del Cultural Collaborative Process a Faenza, possiamo riscontrare come il cultural heritage sia stato riconosciuto dalla comunità urbana come bene comune. Cultural heritage, istituzioni, cittadini, associazioni, imprenditori, ecc. sono diventati “arena di azione” ed insieme hanno costruito una shared

vision, in cui sono stati definiti valori, obiettivi e regole condivise. Anche grazie all’uso dell’Open Space

Technology, gli stakeholders hanno potuto collaborare con l’amministrazione nelle diverse iniziative e progetti. Obiettivi e regole hanno permesso anche la condivisione di valori democratici, attraverso una forte spinta dal basso verso l’autonomia di pensiero e la riflessione critica.

Questo processo è diventato una struttura relazionale chiara e condivisa per la valorizzazione del proprio patrimonio, capace di accrescere il benessere del singolo non in contrasto con quello della comunità e delle risorse stesse. Le diverse componenti si sono unite, hanno fatto squadra, hanno cooperato per il bene comune, hanno portato alla luce i valori condivisi sopiti: sono diventati “common” (Clemente, Giovene, 2015).

4 | La catena strategica del “knowledge and planning” per la rigenerazione urbana collaborativa

La rigenerazione avvenuta a Faenza può essere letta come processo culturale nel quale convergono progetti e investimenti, pubblici e privati, finalizzati alla lotta al degrado, alla costruzione di nuovi spazi pubblici e alla creazione di micro-filiere di industria culturale.

Al fine di incentivare tale tipo di processi, risulta opportuno implementare le azioni per la valorizzazione del patrimonio culturale con metodi derivanti dal management e dal marketing, utilizzando un approccio che coniughi da un lato gli aspetti gestionali e organizzativi e dall’altro le forme di partecipazione del community planning in un processo circolare di conservazione e innovazione (Fusco Girard, 2013). Conservazione, innovazione e collaborazione diventano parole chiave di questo processo che parte dall’assimilazione e produzione di nuova conoscenza e si manifesta attraverso le connessioni tra luoghi, organizzazioni, operatori economici, enti pubblici e persone.

Da quanto analizzato precedentemente si manifesta, quindi, la necessità di individuare metodologie innovative e interdisciplinari di supporto ad un Cultural Collaborative Process, intesa come catena strategica culturale, per:

1. aiutare gli attori a riconoscere il patrimonio culturale, identificandolo come “bene comune”, ovvero come costruire l’Action Arena;

2. costruire l’identità culturale in una “vision comune”, in cui identificare valori e obiettivi condivisi, nonchè le “regole” per gli usi del bene;

3. definire un Common Cutural Action Plan, in cui definire strategie, tattiche e azioni condivise per la rigenerazione urbana e lo sviluppo locale sostenibile.

Figura 2 |Framework Cultural Collaborative Process: la catena strategica culturale.

L’identità culturale condivisa, può essere costruita attraverso il Place Branding (Anholt, 2006; Baker, 2007; Dinnie, 2011; Kavaratzis, Warnaby, & Ashworth, 2015) quale possibile approccio innovativo legato alla sfera del “knowledge and planning” (UNESCO, 2011). Esso è inteso come processo di scoperta, sviluppo e realizzazione di idee e azioni per (ri)costruire le identità locali, i caratteri distintivi e il senso di un luogo (Govers & Go, 2009).

Il compito del Place Branding è proprio quello di mettere in moto la capacità di organizzazione dei cittadini quali attori del processo, perseguendo una vision comune, mediante approcci diversificati di comunicazione e interazione. Lo sviluppo di tale capacità è potenziato e programmato in modo da creare quelle forme misurabili di attenzione e attaccamento emotivo che derivano dalla dimensione aziendale del Corporate

Branding.In tal senso, il Place Branding rappresenta un sistema per definire valori, obiettive regole per

costruire visoni condivise.

Per la costruzione di un Common Cutural Action Plan, il Place Marketing può essere un approccio utile per sviluppare e implementare una filosofia attenta al mercato che permetta ai luoghi di comunicare in modo strategico la propria identità, implementandone così la produttività.

Il marketing esercita un’influenza molto importante nello sviluppo di un programma strategico sia esso di tipo economico o urbanistico. Infatti, la disciplina offre gli elementi concettuali e gli strumenti operativi che costituiscono il punto di partenza per la definizione di strategie, tattiche o azioni. L’elaborazione degli indirizzi strategici che guidano le scelte competitive di un individuo o di un insieme di individui può essere fondata sul marketing quale approccio in grado di sviluppare un rapporto tra impresa (come insieme di obiettivi e risorse) e gli stimoli ambientali (Caroli, 1999).

A questi approcci possiamo affiancare quello più consolidato del Community Planning (Forester, 1996; Sadan, 1997; Wates, 2014) quale processo continuo e a lungo termine di pianificazione, produzione e revisione insieme alle comunità di riferimento. Sin dagli anni '60, la domanda di pianificazione urbana (Sadan, 2004) si è orientata all’innovazione sociale che scaturisce dal Community Planning (Hague, 2013). Infatti, negli Stati Uniti esso ha rappresentato una riformulazione dei metodi di pianificazione, con maggiore attenzione ai bisogni locali e al coinvolgimento della comunità.

Gli strumenti del Community Planning possono essere di supporto per costruire una maggiore partecipazione e condivisone all’interno dei processi collaborativi.

In tale ottica il Place Branding, come approccio del “knowledge”, e il Place Marketing e il Community Panning, invece, legati al “planning” definiscono quella giusta sinergia suggerita dall’UNESCO (“knowledge and

planning” tools) in cui una conoscenza radicata e condivisa del tessuto locale si affianca ad una pianificazione consapevole e Place-Based (Barca, 2009) ma allo stesso tempo produttiva.

Tale catena strategica basata sul patrimonio culturale, dovrebbe essere in grado di superare gli approcci tradizionali dall’alto nei processi di produzione di capitale urbano culturale e sociale, per garantire uno sviluppo locale sostenibile attraverso processo realmente collaborativo.

Attribuzioni

Nell’unitarietà del contributo si evidenzia che la redazione del §1 è di Massimo Clemente, la redazione del § 2 di Eleonora Giovene di Girasole, § 3 di Gaia Daldanise, la redazione del § 4 di Gaia Daldanise e Eleonora Giovene di Girasole.

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