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Università degli Studi di Sassari

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Abstract

Il contributo propone alcune riflessioni sul rapporto tra storia e progetto urbano, ponendo al centro del discorso il complesso legame tra evoluzione e conservazione, nella prospettiva dell'abbandono di un’espansione quantitativa della città a favore di un potenziamento della qualità dei paesaggi urbani inseriti in contesti storici di grande valore. La diversità e complessità delle situazioni che contraddistinguono le esperienze in alcuni territori richiede che il progetto si misuri costantemente sia con il cambiamento che con la dimensione storica del territorio. In questo senso il contributo si sofferma sul caso del parco archeologico presente nella città di Porto Torres, che conserva i resti romani della colonia Iulia di Turris Libisonis, individuando una complessità del territorio e rapporti strutturali tra le diverse componenti del paesaggio. All’interno dell’esperienza illustrata, il progetto si definisce come lo strumento indirizzato a far emergere una differente organizzazione, volta a mettere in relazione gli elementi insediativi e ambientali, con quelli storici e ad assegnare ad ogni parte una specifica qualità urbana, individuando per ciascun elemento del sistema un ruolo nello scenario generale di sviluppo del territorio. Le relazioni che intercorrono tra gli insediamenti urbani e la storia delineano una prospettiva di città capace di recuperare i significati del territorio e di creare nuove opportunità urbane che rispondano alle esigenze della contemporaneità.

Parole chiave: history, landscape, urban design.

1 | Rovine e frammenti. Dimensioni relazionali e spazi del progetto tra architettura e archeologia

Il tema della tutela del patrimonio e delle aree archeologiche è diventato argomento di dibattito nel contesto europeo e, in particolare in quello italiano, sin dagli anni Ottanta del secolo scorso. Nell’ambito delle discipline progettuali è rilevante ricordare la cosiddetta “questione dei Fori Imperiali”, legata al disegno urbano e all’immagine futura della città di Roma, la cui centralità nel dibattito architettonico è

stata esplorata mediante due numeri monografici della rivista “Parametro”1 ed è stata recentemente

richiamata all’attenzione attraverso il concorso di idee promosso per la stessa area nel 20162.

Nel saggio “Rovine e Macerie. Il senso del tempo” Marc Augé (2004) descrive la difficoltà del periodo attuale della “surmodernità”, che vive sul solo presente, di ricostruire sulle macerie prodotte dall’architettura contemporanea, incapace di trasformarsi in rovina. «Le macerie accumulate dalla storia recente e le rovine nate dal passato non si assomigliano. Vi è un grande scarto fra il tempo storico della distruzione, che rivela la follia della storia (le vie di Kabul o di Beirut), e il tempo puro, il tempo in rovina, le rovine del tempo che ha perduto la storia o che la storia ha perduto» (Augé, 2004: 135). In passato gli

1 Parametro n. 138 (1985) “Roma: la questione dei Fori Imperiali 1°: La storia e la critica” e Parametro n. 139 (1985) “Roma: la

questione dei Fori Imperiali 2°: I progetti e il dibattito”.

2 Il concorso di idee per via dei Fori Imperali a Roma è stato bandito dall’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia in

collaborazione con l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia con la prospettiva di coniugare la tutela del patrimonio storico con le esigenze legate alla fruizione.

elementi antichi costituivano fondamenta su cui poggiare nuove costruzioni in grado di produrre rovine. «Le rovine esistono attraverso lo sguardo che si poggia su di esse. Ma fra i loro molteplici passati e la loro perduta funzionalità, quel che di esse si lascia percepire è una sorta di tempo al di fuori della storia a cui l’individuo che le contempla è sensibile come se lo aiutasse a comprendere la durata che scorre in lui» (Augé, 2004: 41).

Lo sguardo verso le rovine è progressivamente mutato nel corso del tempo e questo ha permesso alla rovina di definirsi come possibile matrice per la struttura del progetto del paesaggio, in quanto trama di un complesso sistema di relazioni. «Le rovine segnano al tempo stesso un’assenza e una presenza: mostrano, anzi sono, un’intersezione tra il visibile e l’invisibile. Ciò che è invisibile (o assente) è messo in risalto dalla frammentazione delle rovine, dal loro carattere ‘inutile’ e talvolta incomprensibile, dalla loro perdita di funzionalità (o almeno di quella originaria)» (Settis, 2004: 84-85). Per comprendere il mutamento che attraversa la città e il territorio, l’architettura «deve guardare al proprio passato come al suolo su cui si fonda, per misurare e dare forma al distacco che da esso muove verso la comprensione profonda della lunga traiettoria del presente assai prima che del futuro» (Gregotti, 2004: 67-68). «È con queste contraddizioni che sarà necessario costruire l’architettura dei nostri anni. Se non potremo più usare le rovine dell’antichità ma solo le macerie del presente a questo fine, quelle resteranno a segnare la distanza con cui siamo costretti a misurarci costantemente» (Gregotti, 2006: 131).

Attraverso la discontinuità che caratterizza il frammento e le rovine e uno sguardo di tipo archeologico (Calvino, 1995) è rintracciabile una «modalità altra» di permanere all’interno della città contemporanea (Gregotti, 2006). L’approccio archeologico nell’ambito dell’architettura e urbanistica non rappresenta una semplice catalogazione di frammenti non facilmente classificabili, ma consiste nel risignificare ciò che ha difficoltà a permanere mediante le modalità consuete all’interno di nuove relazioni aprendo prospettive al progetto dello spazio.

Il paesaggio archeologico per la propria natura stratificata e frammentata si inserisce inoltre nella questione più generale del complesso rapporto che intercorre tra le discipline dell’archeologia e dell’architettura: da una parte il progettista viene considerato come colui che mette in atto un approccio finalizzato alla trasformazione e considera il sito archeologico come un contenitore di innumerevoli possibilità progettuali che però possono alterare la natura del luogo; dall’altra si ritiene spesso fondamentale salvaguardare la testimonianza storica nella sua integrità totale, evitando a priori qualsiasi intervento. Non è difficile comprendere come entrambi gli approcci presentino numerose criticità: la tutela si traduce spesso nell’isolamento del sito e conduce verso problematiche inerenti l’abbandono e la perdita di valore, ma anche un intervento privo di qualsiasi riflessione rispetto alla relazione tra progetto e preesistenza può avere effetti negativi sulla salvaguardia del bene (Ricci, 2006).

Tali approcci progettuali basati su una teorizzazione estrema del rapporto tra progetto e archeologia hanno messo in atto una distanza tra realtà ed elemento da preservare. Al contrario alcune recenti esperienze di progetto in contesti dal rilevante valore archeologico propongono un superamento «della logica romantica dell’estetica della rovina, che pur avendo il merito di aver fondato i presupposti dell’archeologia, si rivela oggi obsoleta e inadeguata alle nuove domande scientifiche coinvolgenti il nostro essere, il nostro ambiente e il paesaggio storico» (Venturi Ferriolo, 2001). Alcuni esempi di progetti in aree archeologiche mostrano il ruolo e il potenziale urbano delle rovine cercando di cogliere e di indagare la qualità e il significato che l’archeologia offre, seppur rielaborati in modo soggettivo (Nicolini 2006). A tal proposito il progetto architettonico in tali contesti può rappresentare uno strumento di attivazione della memoria che partecipa alla comprensione della preesistenza cercando di decifrare il passato e rendendolo elemento attivo del presente.

2 | Progetto della città e spazi della storia: il caso di Porto Torres e della Colonia Iulia Turris Libisonis

La contrapposizione che nasce tra la realtà archeologica e l’aspetto architettonico contemporaneo non avviene solo nelle caratteristiche temporali, ma è in particolare evidente in quelle fisiche e funzionali degli stessi manufatti. Questo contrasto ha assunto nel tempo i connotati di una vera e propria discrepanza funzionale all’interno del tessuto urbano contemporaneo in quanto l’oggetto archeologico è divenuto un elemento recintato e sottratto all’azione della città. Intorno a questo limite protettivo del manufatto storico la città ha continuato la sua evoluzione.

Il progetto architettonico non può non tener conto di come il contesto urbano che cinge la rovina sia cambiato rispetto al momento della sua scoperta e di come siano cambiate le esigenze e le problematiche inerenti la conflittualità degli spazi. Il progetto è un processo che non deve porsi l’obiettivo di

standardizzare il valore attrattivo del luogo storico, ma, “in primis”, deve operare una ricucitura di questo all’interno del tessuto contemporaneo al fine di un’integrazione nei processi e nella dinamicità urbana (Bartolone, 2013). Si tratta di un’azione che, pertanto, si traduce necessariamente in un intervento di selezione delle informazioni al fine di far affiorare nel presente determinati valori e significati da poter tramandare. Tale selezione può apparire però qualcosa di complesso e confuso, soggetta agli attori e al tempo. Per questo motivo il progetto archeologico deve presupporre una cooperazione tra la disciplina archeologica e architettonica, poiché esso è lo strumento con cui è operabile una ricomposizione degli spazi della storia: spazi che il più delle volte tornano a noi in modo discontinuo, confuso, a causa di interventi di scavo d’emergenza.

In questo senso appare rilevante agire in modo tale che si possa instaurare un rapporto non solo spaziale, ma anche cognitivo, in cui le esigenze del settore specializzato vadano incontro a quelle dei fruitori, rendendo possibile una «tutela attiva» (Ricci, 2006: 127-128). Il progetto si traduce in un’azione che, intervenendo in una realtà che assume i connotati di una dimensione conclusa e di compiuta totalità, agisce direttamente sulle dinamiche urbane e territoriali. È da tener conto come l’operare in tale direzione implichi un’azione diretta su un elemento costitutivo dell’identità storica e strutturale della città. Il progettista deve pertanto operare quanto più possibile su un fattore che determinerà i processi che costituiranno la città dell’immediato futuro (Bartolone, 2013).

In questa prospettiva alcune rilevanti esperienze in ambito archeologico mettono in evidenza i possibili rapporti tra tutela attiva e progetto dello spazio.

All’interno del Parco Archeologico di Claterna, in provincia di Bologna, la realizzazione di un parco peri- urbano si configura sia come spazio di socialità e conoscenza per la comunità locale sia come strumento di valorizzazione delle attività di scavo archeologico. La peculiarità di questo progetto risiede nel concetto di temporaneità esplicitata da una differenziazione tra gli elementi fissi e variabili, che sono stati selezionati nell’ambito del sistema naturale del territorio circostante. Il parco non risulta un sistema statico, preimpostato, ma varia in relazione alla progressione delle attività di scavo (Capuano, 2014: 334).

Il Parco Archeologico di Concordia Sagittaria si configura invece come un nuovo nucleo strategico all’interno di un sistema artistico-ambientale diffuso su tutto il territorio del Nord-Adriatico. Una serie di percorsi entrano in relazione collegando itinerari archeologici, paesaggistici, artistici e culturali già attivi. Il progetto tende ad evitare la “musealizzazione”, evidenziando il patrimonio archeologico sul sito e rendendolo parte del sistema di elementi culturali e paesaggistici dell’Argo, costituito dalle stratificazioni delle bonifiche e dei tracciati infrastrutturali dell’area (Capuano, 2014: 344-345).

Il piano per il Parco Archeologico della Valle dei Templi ha come obiettivo la tutela e la valorizzazione dei beni archeologici nel contesto paesaggistico e ambientale in cui si trovano, con particolare attenzione all’aspetto divulgativo e al potenziamento della fruizione sociale e turistica delle risorse territoriali. In questo modo il Parco non è inteso solamente come un’area verde, ma come un sistema di risorse che ha come obiettivo quello di preservare le ricchezze del territorio, con l’intento di farle evolvere in un processo di sviluppo sostenibile (Capuano, 2014: 335).

A partire dalla situazione del parco archeologico presente nella città di Porto Torres, nella Sardegna nord- occidentale, che conserva i resti romani della colonia Iulia di Turris Libisonis, il presente contributo si

propone inoltre di descrivere un'ipotesi di intervento3.

Il progetto sorge in parte sull’antica colonia romana di Turris Libisonis. Questo paesaggio archeologico ha subito durante il periodo industriale notevoli alterazioni con conseguenti perdite del patrimonio culturale. L'intervento proposto si presenta come uno strumento di incontro e dialogo tra la disciplina archeologica e architettonica, a partire dalla consapevolezza che il territorio risulta soggetto a cambiamenti attraverso il rapido succedersi di azioni, interventi, operazioni che si cancellano e riscrivono continuamente, affiancandosi e sovrapponendosi. E proprio da questo principio si definisce l’idea secondo cui il progetto per Porto Torres si configura come dinamico, in un paesaggio come quello archeologico che mai potrà dirsi definito. Il progetto, sulla base di una ricostruzione ipotetica degli assi viari romani prevede la realizzazione di un sistema che possa rendere fruibile e visitabile il parco e i punti di interesse attualmente visibili, facilitando le possibili operazioni di scavo future. L'intervento prevede una serie di strutture per la protezione del patrimonio musivo, ma essendo queste opere quasi sempre presenti in cantieri in stato di

3 Il presente contributo è il risultato di alcune riflessioni sviluppate all’interno del laboratorio di laurea Città e Territorio del

Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica (DADU) dell’Università di Sassari coordinato da Giovanni Maciocco e di cui fanno parte i docenti Silvia Serreli, Gianfranco Sanna e Antonello Marotta. Il progetto illustrato fa riferimento alla tesi magistrale in Architettura (a.a. 2014-2015) di Omar Simonini dal titolo “Progetto del Parco dell’Area Archeologica: Colonia Iulia Turris Libisonis” (Relatori: Giovanni Maciocco, Antonella Pandolfi; Correlatori: Laura Lutzoni, Michele Valentino). Atti della XX Conferenza Nazionale SIU | URBANISTICA E/È AZIONE PUBBLICA. LA RESPONSABILITÀ DELLA PROPOSTA | Planum Publisher | ISBN 9788899237127

avanzamento la progettazione di queste è pensata per essere funzionale all’opera di scavo. Il cantiere di scavo diviene così il perno centrale su cui il progetto nasce e si struttura, componendo lo spazio archeologico in misura variabile. L’ultimo elemento, che si presenta invece come definitivo, è il complesso museale e di servizi: si tratta di un involucro neutro, visibile dall’esterno come un muro bianco, che ricalca il solco lasciato dalla costruzione della vecchia ferrovia che andò irrimediabilmente a distruggere il patrimonio storico sottostante.

Figura 1 | Struttura urbana dell’intervento nell’area archeologica di Porto Torres (SS).

Fonte: Tesi Magistrale in Architettura di Omar Simonini.

Figura 2 | Modello del progetto del parco archeologico di Porto Torres (SS).

Fonte: Tesi Magistrale in Architettura di Omar Simonini.

3 | Sulle tracce del passato: alcune riflessioni sul rapporto tra storia e progetto

«Lo spazio entro il quale vivremo i prossimi decenni è in gran parte già costruito. Il tema è ora quello di dare senso e futuro attraverso continue modificazioni alla città, al territorio, ai materiali esistenti e ciò implica una modifica dei nostri metodi progettuali che ci consenta di recuperare la capacità di vedere, prevedere e controllare. È infatti dalla visione che dobbiamo cominciare» (Secchi, 1984: 12).

L’esperienza nell’area archeologica di Porto Torres individua una complessità nel territorio nonché relazioni strutturali tra le diverse componenti del paesaggio favorendo l’emergere di un approccio al progetto coerente con la storia del territorio. Le aree archeologiche sono spesso spazi intermedi (Maciocco, Tagliagambe, 2009), aree di bordo (Maciocco, Pittaluga, 2006), luoghi confinati, isolati rispetto alle dinamiche urbane e soggetti a un progressivo abbandono (Secchi, 1994). Come precedentemente illustrato questa condizione di marginalità è legata a innumerevoli ragioni, tra cui in primis un approccio alla tutela che non considera alcuna possibilità di intervento o trasformazione.

Il progetto del parco archeologico si sviluppa a partire dalla necessità di comprendere come inserire all’interno dei processi urbani contemporanei uno spazio immerso in uno stato di immobilismo rispetto alle dinamiche che interessano la città. In questa prospettiva, il progetto si definisce come un’azione finalizzata a far emergere una differente organizzazione, volta a mettere in relazione gli elementi insediativi e ambientali, con quelli storici e ad assegnare a ogni parte una specifica qualità urbana, individuando per ciascun elemento del sistema un ruolo nello scenario generale di sviluppo del territorio.

La presenza di apporti legati all’archeologia nella definizione del progetto del parco permette di includere all'interno della dimensione spaziale la complessità legata a differenti discipline. In questa prospettiva si propone il passaggio da una concezione settoriale verso un progetto esito di un approccio interdisciplinare che si struttura e definisce attraverso il dialogo con i vincoli suggeriti dai differenti ambiti. A questo proposito il progetto architettonico, per mettere in atto un processo di valorizzazione del sito archeologico, necessita del sapere dell’archeologia. Allo stesso tempo il progetto deve fornire la possibilità alla preesistenza di adattarsi alle esigenze della città mettendo in relazione l’area archeologica con processi attivi in un paesaggio urbano in continuo cambiamento. È rilevante notare inoltre come il progetto assuma la forma di uno strumento finalizzato alla strutturazione di un racconto in cui il fruitore trovi facile non solo accedere a uno spazio prima precluso, ma anche comprendere la lettura delle tracce del passato, delle diverse fasi di vita del luogo visitato. In questa prospettiva l’intervento si caratterizza per un forte carattere di riconoscibilità, ma anche reversibilità, in linea con le esigenze del cantiere di scavo tipiche di un parco archeologico, attraverso caratterizzazioni prossime a quelle di un’installazione, divenendo anche strumento di reinterpretazione dello spazio in cui è collocato (Vieri, 2000).

Figura 3 | Simulazione delle strutture per la protezione e fruizione degli scavi archeologici.

Fonte: Tesi magistrale in Architettura di Omar Simonini.

All’interno del complesso rapporto tra tutela e innovazione, la storia, attraverso un processo di selezione critica, favorisce l'emergere della dimensione progettuale. Si tratta di un progetto che da una parte prende le distanze e si allontana dal passato, ma dall'altra continua a guardarlo e a conservarne i significati. In questo senso il concetto di tutela viene rielaborato attraverso il linguaggio della contemporaneità e mediante un richiamo costante a passato, presente e futuro, in cui il passato riemerge costantemente nella quotidianità dello spazio urbano. Il progetto tiene conto della storia della città, senza però sottomettere la propria logica a un concetto estremizzato, legato ad una retorica storicistica che vede la nostalgia e la ricerca della memoria come principio su cui si basa la domanda di valutazione delle trasformazioni urbane (Maciocco, 2011).

A partire dalle relazioni che intercorrono tra l’insediamento urbano e la storia del territorio si delinea una prospettiva di città capace di recuperare i significati del territorio e di creare nuove opportunità che rispondano alle esigenze della contemporaneità (Cacciari, 2004). La lettura delle dinamiche che caratterizzano questo territorio suggerisce un forte legame tra progetto, storia e città, tanto da affermare che quest’ultima non possa essere considerata come un "contenitore" di manufatti e oggetti risalenti al passato, ma piuttosto uno spazio fatto di stratificazioni, in cui dall'insieme di una moltitudine di singole parti risulta una struttura urbana caratterizzata da una molteplicità di significati (Corboz, 1985). In questo senso è possibile riconoscere alcuni dei rapporti possibili tra storia e città, dei percorsi all’interno di un sistema di "costruzioni provvisorie", in cui il legame tra storia e dinamiche urbane diventa progetto di trasformazione. In tale prospettiva la definizione di scenari di progetto coerenti con la storia del luogo è capace di generare un reale impatto sui processi di cambiamento e attivare dinamiche innovative nel sistema territoriale e insediativo, a partire dalla capacità di guardare al passato e alla memoria come fonte di apprendimento e al contempo interpretare e modificare il campo del reale proiettandosi verso un futuro complesso e incerto.

Attribuzioni

La redazione del § 1 è di Laura Lutzoni, la redazione del § 2 è di Omar Simonini e la redazione del § 3 è di Michele Valentino.

Riferimenti bibliografici

Augé M. (2004), Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino.

Bartolone R. (2013), “Dai siti archeologici al paesaggio attraverso l’architettura”, in Enagramma, n. 110, http://www.engramma.it/eOS2/index.php?id_articolo=1428.

Cacciari M. (2004), La città, Pazzini Editore, Villa Verucchio.

Calvino I. (1995), “Lo sguardo dell’archeologo”, in Calvino I., Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Einaudi, Torino.

Capuano A. (a cura di, 2014), Paesaggi di rovine. Paesaggi rovinati, Quodlibet, Macerata. Corboz A. (1985), “Il territorio come palinsesto”, in Casabella, n. 516, pp. 22-27. Gregotti V. (2004), L’architettura del realismo critico, Laterza, Bari.

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