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Pur arrivandoci tramite una procedura del tutto differente, i rapporti individuati da Keplero sono infine gli stessi che costituiscono le consonanze giuste del senario zarliniano.

Queste sette consonanze sono ordinate da Keplero in tre perfette e due paia di imperfette. L’ottava, la quinta e la quarta (diapason, diapente e diatessaron), perfette in quanto diretta- mente originate dal diametro, dal triangolo e dal quadrato; la sesta e terza maggiori, o dure, ossia 3:5 e 4:5, le quali, poiché provengono dal pentagono, il cui lato è inesprimibile, presen-

309 Ivi, p. 119.

310 In un lettera a Herwart Keplero spiega l’esclusione del pentadecagono, figura da lui inserita nel Libro I tra quelle costruibili, per una ragione di mera purezza ed eleganza matematica: «e così la figura a quindici angoli è rispedita tra le cinque vergini sciocche. Perché arriva troppo tardi dopo che tutte le porte sono state chiuse dai numeri 7 9 11 13 (KGW, XV, pp. 395-6)»; cfr. WAlkER 1978, p. 50.

tano una consonanza più imperfetta;311 e la sesta e terza minori, o molli, ossia 5:8 e 5:6, che

ugualmente danno una consonanza più imperfetta perché «mescolano qualcosa della natura del pentagono».312

Questi sono gli intervalli consonanti per Keplero. Il genere “consonante” (che equivale per Keplero a Σύμφονον) si differenzia poi per l’astronomo - imitando Tolomeo che distingue tra intervalli “omofoni”, “sinfoni” e “melodici”-313 in “identico” (che equivale a Ὁμοφώνον), ossia

unisono e una o più ottave, e “non identico” (Διαφώνον). Gli intervalli “identici” si distinguono poi in due specie: “unisono” e “identico per opposizione”

(Dickreiter 1983, p. 151)

311 Il pentagono, però, come spiegherà Keplero nel Capitolo XV, presenta delle qualità che lo contraddistinguono da tutti gli altri poligoni, in quanto esso genera il rapporto della proporzione aurea. Cfr. WAlkER 1978, pp. 50-53.

312 KGW, VI, p. 135.

313 Tolomeo, nel Libro I, Capitolo IV, spiega innanzitutto che «tra i suoni (ψόφοι) alcuni sono isotoni (ἰσότονοι), altri anisotoni (ἀνισότονοι). Sono isotoni i suoni uniformi riguardo alla tensione, ani- sotoni i suoni che variano. Infatti la cosiddetta tensione dovrebbe essere considerata un genere comune all’acutezza e alla gravità, secondo una sola specie, quella dell’altezza, rispetto al limite della fine e dell’i- nizio, Tra i suoni anisotoni, alcuni sono continui (συνεχεις), altri definiti (διωρισμένοι)» (toloMEo 2002,

pp. 107-108). Questi ultimi possono essere definiti «suoni musicali (φθόγγοι), poiché il suono musicale è un suono che mantiene una tensione sola e sempre uguale» (ivi, p. 108). Rapportati tra loro, sono con- sonanti quei suoni che, combinati tra loro, «risultano tollerabili per l‘orecchio, dissonanti quelli che non hanno tale caratteristica. Ancora, quelli che producono una sensazione di omogeneità all’ascolto sono detti sinfoni (σύμφωνοι), con un nome formato sulla base del più bello dei suoni, la voce umana (φωνή), mentre quelli che non si comportano così sono detti diafoni (διάφωνοι)» (Ibid.). I suoni “anisotoni de- finiti” si dividono dunque in tre categorie: gli omofoni (ὁμόφωνοι), i sinfoni, e i melodici (ἐμμελεις): «definiamo dunque omofoni i suoni che, eseguiti simultaneamente, producono all’orecchio la sensazione di un solo suono, come l’ottava e gli intervalli composti con esse; sinfoni quelli più simili agli omofoni, come quelli di quinta, di quarta e gli intervalli formati dalla somma di essi con le ottave; melodici quelli più vicini ai sinfoni, come gli intervalli di un tono e i rimanenti» (ivi, p. 114).

Per quanto riguarda i “melodici” tolemaici (ἐμμελεις), tradotti nell’Harmonice con “concinna” e resi da noi col zarliniano “emmeli”,314 per Keplero essi sono «intervalli minori», che, «sebben

dissonanti, sono tuttavia adatti alla conduzione del canto»;315 anch’essi, come le consonanze,

sono indicati dal senso e dalla Natura, e sono distinti dagli “ecmeli” (inconcinna), i quali «non hanno posto nel corso di nessun canto ordinato».

Keplero ci tiene a precisare che tra questi intervalli emmeli non può in nessun modo essere ricercato un qualche elemento comune minimo che possa essere il fondamento sia di questi intervalli minori che di quelli maggiori. Gli antichi greci, ritenendo possibile questo, hanno infatti dimenticato, secondo l’astronomo, che nelle consonanze si può distinguere tra la pro- porzione, che è una cosa geometrica, e la sua qualità, ossia la consonanza stessa. In quanto proporzioni, esse possono certamente essere l’una parte dell’altra; ma una volta ricevuta la qualità della consonanza dalla propria figura dimostrabile, esse non possono più essere com- poste, divenendo dunque – a parte i casi in cui l’una è multipla dell’altra – incommensurabili tra loro.316 Per cui le consonanze sono precedenti per natura agli intervalli emmeli, e non è

dunque vero che questi ultimi compongano gli intervalli consonanti, quanto piuttosto il con- trario, ossia che gli intervalli minori derivano dalle consonanze, come fossero delle cause.317

Gli intervalli emmeli sono dunque «tutte le differenze tra le consonanze minori dell’inter- vallo doppio»,318 e l’udito non ammette altri intervalli emmeli al di fuori di questa operazione.

Quale che sia il metodo utilizzato per individuarli, quello aritmetico (ossia tramite la sottrazio- ne aritmetica di un intervallo a un altro, per es. tra 2/3 e 3/4 si ottiene 8/9 e tra 2/3 e 3/5 si ha 9/10): o quello armonico (ossia tramite la divisione della corda in 120 parti, vale a dire il minimo comune multiplo dei numeri costituenti le 7 proporzioni consonanti), il risultato è lo stesso: essi sono, in ordine di perfezione (che dipenderà dal grado di nobiltà delle consonanze da cui derivano), il tono maggiore (8:9), o perfetto; il tono minore (9:10), o piccolo; il semitono (15:16), e il diesis (24:25), che, per la sua imperfezione, non è sempre ritenuto un intervallo emmele.

314 Si veda Traduzione, Capitolo IV. 315 KGW, VI, p. 125.

316 KGW, VI, p. 128. 317 KGW, VI, p. 126-127. 318 KGW, VI, p. 128.

(KGW, VI, p. 128)

Qui in note, come anticipazione.

(KGW, VI, p. 129)

A questi due ordini di intervalli, infatti, quello degli intervalli maggiori (le consonanze) e quello degli intervalli minori (emmeli), se ne aggiunge un terzo, i cui intervalli «sebbene non siano esattamente emmeli, servono tuttavia al canto armonioso, o sostengono l’alternanza de- gli intervalli emmeli», e derivano dalle sottrazioni o comparazioni degli emmeli.319 Essi sono,

oltre al suddetto diesis, il diesis maggiore (128:135), o limma; e il comma (80:81), ritenuto dagli antichi, secondo Keplero, l’elemento comune di tutte le consonanze.

Intervalli inusitati sono poi il doppio comma (125:128), il triplo comma (625:648), il diesis diminuito (243:250), il limma platonico (243:256), il semitono aumentato (25:26), e l’apotome platonico (2048:2187).

Riassumendo:

Primo ordine Secondo ordine Terzo ordine ottava (1:2) tono magg. (8:9) diesis (24:25) quinta (2:3) tono min. (9:10) limma (128:125) quarta (3:4) semitono (15:16) comma (80:81) sesta magg. (3:5) (diesis) (24:25)

terza magg. (4:5) sesta min. (5:8) terza min. (5:6)

È attraverso questi intervalli che Keplero si accinge a costruire il suo «sistema armonico, o scala musicale». Ma cosa intende Keplero con “sistema”?320 Lo stesso astronomo ci spiega nel

Capitolo VI che «il nome di “sistema” propriamente e in primo luogo conviene all’intervallo della proporzione doppia, diviso nei suoi sette intervalli emmeli, rappresentato nelle sue otto voci o corde, ed espresso negli strumenti»:321 è dunque, in sostanza, la divisione completa

320 Il concetto di sistema ha origine greca (σύστεμα), e il suo significato è stato per la prima volta esposto da Aristosseno: «si deve definire il sistema come composto di un solo o di più intervalli (Elementi armonici, 1.15.30-16.1)»; Tolomeo spiegherà meglio che «si chiama usualmente sistema una grandezza risultante dalla composizione di consonanze, come la consonanza è una grandezza risultante dalla composizione di intervalli melodici; il sistema è appunto, per così dire, una consonanza di consonanze. Si dice sistema perfetto quello che comprende tutte le consonanze con le specie di ciascuna, poiché “perfetto” è ciò che comprende tutte le proprie parti. Secondo la prima definizione, sono sistemi sia l’ottava semplice – e in fatti agli antichi sembrava sufficiente limitarsi ad essa –, sia l’ottava più la quarta, sia la stessa doppia ottava. Infatti ciascuna di queste grandezze risulta dalla composizione di due o più consonanze. Invece, in base alla seconda definizione, soltanto la doppia ottava meriterebbe il nome di sistema perfetto; giacché solo in essa sono contenute tutte le consonanze con le specie precedentemente illustrate (toloMEo 2002, p. 154)». In epoca rinascimentale Zarlino, leggendo Tolomeo, riassumerà

dicendo che «sistema vuol significare vna congregatione de voci, o suoni, che contiene in se vna certa ordinata, et intera modulatione, ouer congiuntione delle consonanze (Istitutioni, parte IV, Cap. II)». Il concetto odierno di sistema come «una qualsiasi totalità o tutto organizzato (N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Torino, Utet, 1998, p. 1008)» deriva proprio dalla sua origine musicale e astronomica: non è un caso che Keplero utilizzi la stessa parola anche nei libri astronomici, parlando di «totum systema Orbium Planetariorum» o «systema Mundi planetarij».

321 Calvisio lo definisce in modo abbastanza simile: «systema musicum est subiectum elemento- rum musicorum, quinque lineis parallelis et totidem spacijs conformatum (Compendium musicae, sez. 1); cfr. DICkREItER 1973, p. 225.

dell’ottava, così come viene derivata dai “principi naturali” individuati da Keplero; equivale a quel che in tedesco vien chiamato ”materialleiter”, ossia l’insieme degli intervalli utilizzabili dal musicista.322 Più avanti, nel Cap. IX, Keplero ribadirà che «quello che è un pentagramma

nella carta, è il sistema nello strumento, ovvero la serie di tutte le corde che dividono un inter- vallo consonante; e, come è stato detto nel Capitolo V, in primo luogo, fra tutti, esso conviene all’intervallo di diapason; e a partire da quello a tutti quegli intervalli maggiori che possono essere abbracciati da un qualunque strumento».323

Illustrata l’intera serie degli intervalli, Keplero si accinge a costruire il suo sistema spiegando dunque nel Capitolo V di quali intervalli emmeli è composta ciascuna consonanza. Com’era consueto per quel periodo, l’astronomo ha in mente la composizione dell’antico sistema greco per tetracordi, e così comincia dalla divisione della quarta, attraverso la quale ricaverà poi gli intervalli mancanti per il completamento del sistema.

Riferendosi allo schema del capitolo precedente, posto qui in alto, Keplero nota che la quarta, sia quella compresa tra i numeri 75 e 100, che quella inclusa tra 72 e 96, è composta da tre intervalli emmeli perfetti, il tono maggiore, il tono minore e il semitono, che è la stessa divisione del tetracordo adottata da Tolomeo negli Harmonica per la scala che chiama “diato- non syntonon”.324 Aggiungendo un tono si ottiene quindi la quinta, e aggiungendo a questa

un semitono si ha la sesta minore, mentre con il tono minore si ricava la sesta maggiore. La terza maggiore sottrae poi alla quarta un semitono e la terza minore un tono minore. L’ottava, infine, o diapason, è costituita dagli intervalli di quarta e di quinta. Per ultime, rimangono da dividere le terze, che per conseguenza della divisione fatta precedentemente, risultano essere costituite la terza maggiore (4:5) da 8:9 e 9:10, e la terza minore (5:6) da 8:9 e 15:16. Sono dunque solamente tre gli intervalli emmeli che dividono l’ottava nei suoi sette intervalli, colti dall’udito per istinto naturale, ossia il tono maggiore, il tono minore e il semitono; e anche tale divisione è pertanto naturale, poiché gli intervalli emmeli che la causano sono prole diretta delle consonanze.

Ma per ottenere un canto più articolato, e dunque «per una maggiore varietà, specialmente nelle inflessioni e nei rigiri del canto»,325 è possibile ottenere un’ulteriore suddivisione degli

intervalli, formando così dodici corde, o luoghi: in essa ogni tono maggiore (8:9) è diviso in un limma (128:135) e un semitono (15:16), e ogni tono minore (9:10) è diviso in un semitono e un diesis (24:25):326

322 Cfr. DICkREItER 1973, p. 154.

323 KGW, VI, p. 148.

324 Tolomeo, Harmonica, Libro I, Capitolo XV. 325 KGW, VI, p. 141.

326 Esso si basa sull’intonazione “naturale” già illustrata, proposta da autori come Fogliani, Spata- ro e Zarlino. Consapevole dell’intrinseca instabilità del suo sistema, e della difficoltà di trasposizione in esso, nei Capitoli VIII e IX Keplero accenna agli accorgimenti a cui un’intonazione del genere doveva sottostare per essere adoperato dagli strumentisti: generalmente, spiega Keplero, nei loro strumenti essi «uniscono i due toni, maggiore 8:9 e minore 9:10, in un unico intervallo 4:5, dividendolo quindi precisa- mente in due toni comuni, tra loro uguali (KGW, VI, p. 150)». La conoscenza di Keplero di questo tipo di temperamento, assieme ad altri, è inoltre testimoniata da una lettera a Calvisius del 1607, cfr. KGW,

(var. Dickreiter 1983, p. 156)

Il sistema così ottenuto è declinato da Keplero in due forme di disposizioni scalari: i due generi di canto, il duro e il molle; e i «modi delle melodie, detti anche toni».

Abbiamo già visto che i due generi rivestono una particolare importanza nel disegno keple- riano poiché - a differenza dei modi, che saranno assegnati in modo molto vago alle melodie di ciascun pianeta - essi saranno presi in considerazione anche nel Libro V nella costruzione del sistema musico-planetario, tanto da far dichiarare all’astronomo che «la scala musicale, o il si- stema di un’ottava, con tutti i luoghi per mezzo dei quali il canto naturale viene espresso in mu- sica, è stato espresso nel cielo in modo duplice, ossia in due, per così dire, generi di canto».327

Nel Libro III Keplero giustifica i due generi sempre per via geometrica, spiegando che già nel Libro I si era detto che «tra le figure che hanno una dimostrazione propria ci sono in qual- che modo solo due generi».328 I due generi di divisione danno dunque vita «vulgo celebrata

duo cantus genera»: il genere duro, il principale, caratterizzato da terze e seste dure, ossia maggiori, partendo dal basso; e il molle, con terze e seste molli, cioè minori.

(Dickreiter 1983, p. 161)

XVI, p. 56. Interessante è poi la descrizione della proposta di temperamento equabile del liuto avanzata da Vincenzo Galilei, che Keplero, dopo averla ben calcolata, sostanzialmente accetta, indicandola come una soluzione migliore rispetto a quella indicata precedentemente; cfr. DICkREItER 1973, pp. 158-159;

CohEN 1984, p.184). Una soluzione che rimane, sottolinea Keplero, comunque un’approssimazione

rispetto agli intervalli puri della Natura, dimostrando inoltre «come lo strumento non eguagli mai dav- vero la nobiltà del canto umano (KGW, VI, p. 145)». Ciò che ci interessa, ribadisce l’astronomo, «non è l’ἀτεχνία (negligenza, grossolanità) degli empirici, ma l’ἀκρίβειαν (accuratezza, precisione) della Natura (KGW, VI, p. 150)».

327 KGW, VI, p. 320.

Già descritti in una lettera a Calvisius del 1607,329 Keplero spiega che «il primo è detto can-

to molle, poiché gli intervalli che si ritrovano in esso, partendo dalla nota più bassa, le terze e le seste, son molli; il secondo invece è detto canto duro, dagli intervalli dello stesso nome siste- mati nel medesimo luogo nell’ordine dell’ottava»;330 nel Capitolo V si era infatti già detto che

le terze e le seste maggiori generano un suono «duro e aspro», mentre le terze e seste minori un suono più «molle e vago». La terminologia è chiaramente derivata dal sistema esacordale guidoniano, nel quale, nel sistema completo di sette esacordi (con nota più grave Gamma ut), l’e- sacordo che parte da G veniva chiamato hexachordum durum, poiché comprende il B (SI) durum, mentre l’esacordo che parte da F era chiamato hexachordum molle.

(KGW, VI, p. 154)

Nel sistema esacordale le terze erano infatti dette molle o duri,331 e Keplero non fa che esten-

derne l’uso alle seste.332 Le scale, inoltre, che prendono il nome di queste consonanze, sono

equivalenti a quelle dei modi eolico e ionico introdotte da Glareano nel 1547, che diverranno le moderne scale maggiori e minori.

329 Cfr. KGW, XVIII, p. 457. Hilmar Trede, nella sua traduzione del Libro III dell’Harmonice, definisce i generi di Keplero «una miscela di modi ecclesiastici e tonalità moderna (Harmonice mundi Buch III, trad. di H. Trede, Ostermundingen, 1936, p. 105, cit. in DICkREItER 1983, p. 162)»; Dahlhaus come

«una combinazione di intervalli maggiori e minori in un disegno astratto (DAhlhAuS 1955, p. 295)».

330 KGW, VI, pp. 137-138. 331 Cfr. DAhlhAuS 1955, p. 294

I generi illustrati da Keplero si differenziano dalle due scale di Glareano perché, mentre queste ultime si inseriscono tra gli altri modi ecclesiastici, nel sistema di Keplero i due generi sono le prime e più importanti caratterizzazioni dei singoli modi.333 Essi, inoltre, come ha ben

mostrato Dickreiter, non sono identificabili coi moderni modi maggiore e minore perché non sono pensati armonicamente come questi, ma piuttosto, come i toni ecclesiastici, melodica- mente, ponendosi a cavallo tra la modalità medievale-rinascimentale e la moderna tonalità tra il XVII e il XIX secolo.334 Ad ogni modo, Keplero enfatizza la distinzione duro-molle, che

verrà approfondita nell’illustrazione dei modi e dei loro effetti, in maniera più evidente rispetto ad altri autori che compiono la stessa divisione, come Zarlino,335 anticipando, in questo senso,

la polarità maggiore-minore del sistema tonale.

La teoria modale dell’Harmonice mundi è invece presentata da Keplero in diversi gradi di dif- ferenziazione, ognuno dei quali si ricollega a diversi aspetti della teoria tradizionale dei modi ecclesiastici.

Innanzitutto l’astronomo chiarisce cosa egli intenda con “modi”, vale a dire quelli che «gli antichi chiamano solitamente toni, quando vien chiesto a quale tono appartenga il canto. Vi sono infatti certe qualità o specie di canto armonioso, differenziati in due grandi generi tra loro opposti, il duro e il molle».336 Il primo e più importante principio di caratterizzazione dei

modi, come si è detto, è infatti il genere di canto. Dopodiché Keplero precisa che egli non distingue i toni «per l’altezza o gravità del canto in essi», ma associa il loro numero, seguen- do Tolomeo, «al numero delle specie di una diapason», essendoci «tanti toni quanti possono essere gli scheletri del sistema di un’ottava che siano legittimi e armoniosi, che siano tra loro differenti nei generi e nell’ordine degli intervalli emmeli, nella posizione dei tetracordi, o nella scelta delle coppie dei medi armonici. Sono tre certamente le cose in cui i toni variano e si differenziano tra loro: il genere, la sequenza degli intervalli emmeli, e l’articolazione dello scheletro in consonanze minori». Attraverso queste variabili Keplero individua tre possibilità diverse di differenziazione dei modi: la prima raggruppa 14 o 24 modi, la seconda li riassume

333 Ibidem; cfr. KGW, VI, p. 164.

334 Cfr. DICkREItER 1983, pp. 163-164; KGW, VI, p. 137.

335 Cfr. Istitutioni, pp. 182 e 210. Una suddivisione simile è infatti data da Zarlino nel Capitolo X, Parte III: «Il propio, o Natura delle Consonanze imperfette è, che alcune di loro sono viue et allegre, accompagnate da molta sonorità; et alcune, quantunque siano dolci, et soaui, declinano alquanto al me- sto, ouero languido. Le prime sono le Terze, et le Seste maggiori, et le replicate; et le altre sono le minori. Tutte queste hanno forza di mutare ogni cantilena, et di farle meste, o uero allegre secondo la lor natura. Il che potemo uedere da questo; che sono alcune cantilene, le quali sono viue, et piene di allegrezza; et alcune altre per il contrario, sono alquanto meste, ouer languide. La cagione è, che nelle prime, spesso si odeno le maggiori consonanze imperfette, sopra le chorde estreme finali, o mezane de i Modi, o Tuoni; che sono il Quinto, il Sesto, il Settimo, l'Ottauo, l'Vndecimo, et il Duodecimo; come uederemo al suo luogo; i quali Modi sono molto allegri, et viui […]. Ne gli altri Modi poi, che sono il Primo, il Secondo, il Terzo, il Quarto, il Nono, et il Decimo, […] si ode vn non so che di mesto, o languido, che rende tutta la cantilena molle». Questa distinzione dei modi la troviamo anche in Calvisius, Μελοποιία, p. 18.

in tre modi differenti, e la terza li triplica arrivando a 72.

Il tutto parte dunque dal sistema d’ottava e da tutte le possibili sistemazioni degli intervalli emmeli che lo compongono. Poiché esso è formato da tre toni maggiori, tre toni minori e due semitoni, il totale delle possibili combinazioni – come indicato anche da Mersenne –337 sarebbe

210. Per limitare il numero delle combinazioni Keplero pone allora alcune regole che erano già state illustrate nel Capitolo XIII precedente, riguardante la conduzione del canto. Le rego- le principali sono due, che danno luogo ad alcune altre regole conseguenti:338

1. Il quarto e quinto grado in un sistema di ottava devono formare con il primo grado una quarta e una quinta. Da ciò ne consegue che:

- tra il quarto e il quinto grado può esserci un solo tono (maggiore o minore);

- tra il primo e il quarto o tra il quinto e l’ottavo grado vi è una quarta, ossia un tetracordo, contenente un semitono, perché un tetracordo è sempre composto da un semitono e due toni (maggiore e minore o viceversa);

- di conseguenza non si possono avere tre toni consecutivi toni all’inizio di un sistema di ottava;

- allo stesso modo non vi possono essere due semitoni di seguito.

2. «Non vengono cantati quattro toni di seguito, se non nella parte più alta dell’ottava, quando lo scheletro vien mutato in funzione del colore e della varietà; non quindi normalmen- te».339 Ne consegue che:

- se vi è un semitono tra il settimo e l’ottavo grado, la scala non può iniziare con un semi- tono;

- se la scala inizia con un semitono, il quinto o sesto intervallo deve essere un semitono. Tramite queste regole Keplero ottiene il suo sistema di 14 modi, ai quali si aggiungono dieci varianti che differiscono per la posizione del semitono nel tetracordo superiore. Nella tabella seguente sono elencati tutti e 24 i modi, più cinque trasposizioni da sol a fa diesis (I modo), da