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Definito da Ugo Baldini «l’astronomo più notevole originario di Ferrara (o del suo circonda- rio) nei secoli XVI e XVII e il critico più significativo dell’eliocentrismo nella parte centrale del secolo XVII»,411 Giovanni Battista Riccioli nasce nel 1598 a Ferrara e diviene gesuita nel 1614,

quando entra nel seminario di Novellara, noviziato della provincia veneta della Compagnia di Gesù.412 La provincia includeva in quegli anni lo Stato veneto, il ducato di Mantova, i ducati

e le signorie emiliane. I principali centri didattici erano rappresentati dal collegio di Padova (soprattutto per la teologia), da quello di Brescia (per la filosofia), e, dal 1601, il collegio di S. Rocco di Parma, affidato in quell’anno alla gestione dei gesuiti dal duca Ranuccio I Farnese.413

Il collegio di Parma, grazie anche all’assunzione di personalità di rilievo come quella di Giu- seppe Biancani, superò in prestigio in pochi anni i restanti collegi delle altre città, che rimasero privi dei corsi più importanti, ossia filosofia e teologia.414

Dopo i due anni di noviziato, e gli studi di retorica (che Riccioli frequentò nell’anno 1616- 17 a Ferrara), l’iter di formazione dei gesuiti prevedeva l’immediato accesso al triennio di filosofia, seguito dal quadriennio di teologia, culmine del percorso. Tra i corsi di filosofia e quelli di teologia (a questi ultimi non tutti erano ammessi) erano previsti incarichi di insegna- mento di vario tipo e in varie sedi; spesso, però, tali incarichi erano assegnati agli studenti più promettenti anche prima del triennio in filosofia. È il caso di Riccioli, che prima di accedere al

410 BullIAlDuS 1645, p. 34.

411 BAlDINI 1996, p. 123.

412 I dati biografici fanno principalmente riferimento a BAlDINI 1996. Nel primo decennio di vita

della Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola e approvata dal papa Paolo III nel 1540, le pro- vince si definirono come «l’unità amministrativa di base della compagnia, secondo il modello mutuato dai domenicani, dai francescani e da altri ordini (o’MAllEy 1999, p. 59)».

413 «Fino alla soppressione del 1773 i collegi maggiori della provincia veneta della Compagnia di Gesù (Stato veneto, ducati dei Gonzaga, Est e Farnese, legazioni di Emilia e Romagna) alimentarono una scuola scientifica che non solo fu la più produttiva e continua tra quelle delle cinque province italia- ne (non esclusa la scuola del Collegio Romano), ma anche, sotto certe restrizioni e per certi aspetti, uno dei poli della fisico-matematica in Italia nel secolo XVII e parte del XVIII» (BAlDINI 2002A, p. 283). Si

veda anche BANGERt 1990, p. 206.

corso di filosofia a Parma è professore di lettere nel collegio di Piacenza e nella scuola gesuitica di Imola.

Nei tre anni (1620-1623)415 di filosofia a Parma Riccioli è allievo di personalità importanti

come Niccolò Cabeo, Niccolò Zucchi, ma soprattutto Giuseppe Biancani (1566-1624) e Mario Bettini (1584-1657), che rivestiranno, in modo diverso, un ruolo importante nella formazione e nella carriera scientifica di Riccioli. Riccioli conobbe Biancani nel 1621, al secondo anno di filosofia, che prevedeva l’insegnamento della matematica; Biancani gli fece dunque da guida per non più di tre anni, poiché il professore morì nel giugno del 1624.416 Fu in questi anni che

Riccioli poté approfondire gli studi di astronomia, nei quali rivestirono un posto di rilievo le opere di Biancani più importanti, quali gli Aristotelis loca mathematica (1615), nei quali venivan distrutte molte tesi fisiche e cosmologiche aristoteliche, e la Sphaera mundi (1620), che ebbe grande importanza nella storia della didattica scientifica poiché fu il primo manuale, adottato a Parma e in altri collegi gesuitici, che adottò il sistema ticonico al posto di quello tradizionale tolemaico.417 Il sostituto di Biancani come insegnante di matematica fu Bettini, che ebbe Ric-

cioli come studente solamente al suo corso di etica nel 1622-23. Bettini era un figura partico- lare all’interno dell’indirizzo generale del Collegio: egli privilegiava un approccio matematico più teoretico e contemplativo, che lo avvicinava in modo sostanziale al neoplatonismo.418 Il

rapporto tra lui e Riccioli si fece piuttosto teso nei successivi anni bolognesi, dove insegnerà anche Bettini, soprattutto per le critiche che Riccioli espresse verso certi contenuti delle sue opere nelle pagine dell’Almagestum novum.419

Dopo un anno di insegnamento di retorica nel Collegio di Piacenza, Riccioli passa al qua- driennio di teologia (1624-1628), sempre a Parma, dove, tra gli altri, avrà tra i condiscepoli Daniello Bartoli. Ordinato sacerdote, negli anni seguenti Riccioli insegna logica, phsyica e metafisica nel collegio di Parma, logica nei collegi di Mantova e Modena, e infine, a partire dal 1636, si stabilizza a Bologna (a parte una breve parentesi a Parma nell’anno 1646-47); qui

415 Il corso è così suddiviso: primo anno di logica, secondo di “physica”, terzo di filosofia. 416 Il rispetto per il maestro Biancani è espresso dallo stesso Riccioli in alcuni passi delle sue opere: «meus in elementis Geometriae, et Spaherae praeceptor (RICCIolI 1651, I, p. xxxix)»; «meus amantissi-

mus praeceptor (RICCIolI 1669, III, p. 250)».

417 BAlDINI 1996, p. 131. «Gli Aristotelis loca di Biancani sono solo uno dei testi di matrice parmen-

se nei quali le tesi aristoteliche sulla incorruttibilità e solidità dei cieli sono sostituite (anche se in forma ipotetica) da quelle di una parziale mutabilità de corpi celesti, della natura ignea di sole e stelle e della fluidità dei cieli (che implicava l’abbandono della loro molteplicità e l’ammissione di un moto proprio degli astri in luogo della rotazione della relativa sfera) (p. 135)». La seconda edizione della Sphaera mundi verrà curata da Riccioli nel 1635 a Modena. Il manuale sostituito in questi collegi fu l’In Sphaeram Ioannis de Sacro Bosco commentarius (1570), commento di Cristoforo Clavio al De sphaera mundi (XIII sec.) di Gio- vanni di Sacrobosco. Quanto ai contenuti degli insegnamenti impartiti da Biancani a Riccioli, bisogna notare che la ricerca e la didattica parmense si distinse da quella del Collegio romano per una maggiore considerazione delle matematiche “mixtae”, ossia astronomia, geografia, ottica, e affini, come la geode- sia (BAlDINI 1996, p. 168).

418 BAlDINI 1996, p. 169.

insegna teologia scolastica prima nel seminario di S. Ignazio e poi nella scuola gesuitica di S. Lucia, dove, a partire dal 1640, inizia la stesura della sua prima opera astronomica, l’Almage-

stum novum, pubblicato sempre a Bologna nel 1651.420

La lunga durata della formazione e gli impegni didattici spiegano la tardività come autore di Riccioli, che pubblicò il suo primo scritto (la Geographiacae crucis fabrica) nel 1643, a 45 anni, e la sua prima opera di rilievo, l’Almagestum, quando ormai ne aveva 53. Fu quest’ultima, di argomento astronomico, che segnò la maturazione scientifica del gesuita ferrarese e che fece conoscere il suo nome prima in Italia e poi in Europa.

L’inclinazione di Riccioli per l’astronomia risale agli anni di studentato a Parma. Nella

Praefatio ad lectorem dell’Almagestum l’astronomo spiega che «iniectum est [mihi] iam inde a

studiorum meorum exordio desiderium ingens moliendi opus astronomicum, quod nostrae Societatis viris aliisque qui vel multitudine librorum huius geneeris, vel otio illos omnes perle- gendi carerent, instar bibliothecae posset esse, et in quod universam Astronomiam veterem ac novam una cum controuersiis ad eam pertinentibus, quanta possem eruditione colligerem».421

Poco dopo aggiunge che i suoi superiori erano stati a lungo indecisi se indirizzarlo alla filosofia o alla matematica, ma, vista la sua naturale propensione verso l’astronomia, fu incoraggiato nei suoi studi per poter completare l’ambizioso progetto che aveva in mente.422 Lo scopo di

Riccioli era dunque aiutare i colleghi gesuiti che volevano formarsi un’opinione in riguardo alle diatribe cosmologiche del suo tempo, fornendo loro, data la difficoltà nel reperire il mate- riale e nel comprenderlo, una «bibliotheca» che raccogliesse le opinioni dei maggiori astrono- mi e pensatori a riguardo.

Fin dai suoi primi anni di studio Riccioli dimostrò dunque quell’attitudine enciclopedica che lo avrebbe portato a delineare un’ambiziosa «descrizione matematica dell’universo», de- clinata nello stesso Almagestum, nella Geografia reformata (1661), nell’Astronomia reformata (1665) e nella Chronologia reformata (1669):

«spinta a dettagli spaziali (la topografia e toponomastica lunari e la geografia descrittiva), tem- porali (di eventi celesti e umani, non di storia naturale, perché all’età di Riccioli la geologia storica iniziava appena a configurarsi come possibilità) e alla distribuzione attuale dell’umanità sulla terra: nell’insieme, quasi una topo-cronologia del creato. Su ogni punto tematico e dottri-

420 Lo spostamento a Bologna rappresentò una svolta per la carriera scientifica e la vita di Ric- cioli, poiché lì entrò in un contesto più aperto a contributi europei e alle novità galileiane, e poté inol- tre conoscere opere fondamentali che il Collegio di Parma ancora non possedeva, come i testi della trigonometria logaritmica e le opere più importanti di Keplero. Cfr. BAlDINI 1996, p. 129, 132. Grazie

anche all’abilità di Riccioli, che ebbe la capacità «di formare un gruppo di giovani in matematica e di coordinarli in un lavoro collettivo che ha pochi analoghi nell’intera Europa del medio 600», la scuola di S. Lucia divenne un centro didattico e di ricerca che eguagliò e superò la scuola di S. Rocco intorno alla metà del secolo. (cfr. BAlDINI 2002A, p. 291).

421 RICCIolI 1651, p. XVIII, cit. in BAlDINI 1996, p. 129.

422 È da notare che «matematica e astronomia costituivano solo un corso complementare nei loro collegi, e se qualche gesuita mostrava interesse particolare per la astronomia era per lo più tollerato, e solo raramente veniva incoraggiato a proseguire tali studi (CASANovAS 2002, p. 121)».

nale il progetto intendeva fornire l’evoluzione storica delle idee e metodi, un bilancio delle tesi recenti, una messa a punto teorica».423

Oltre alla raccolta e alla divulgazione delle tesi altrui, talvolta Riccioli aggiunge la propria opinione, soprattutto, per ciò che riguarda l’Almagestum novum, in merito alle questioni cosmo- logiche cruciali.

Il titolo lascia già intuire quale posizione avesse il gesuita in riguardo alla diatriba tra il siste- ma geocentrico e quello eliocentrico. Come si è visto, del resto, la sua formazione astronomica fu impostata sul sistema “ticonico” – secondo il quale i pianeti ruotano in torno al sole mentre quest’ultimo, assieme alla luna e alle stelle fisse, ruotano intorno a una terra immobile – e dun- que l’ipotesi eliocentrica non fu mai effettivamente presa in considerazione.

Il sistema elaborato da Brahe era difatti la posizione sostenuta ufficialmente dai gesuiti in merito alla questione a seguito dei decreti del Santo Ufficio del 1616.424 Riccioli fece parte di

quegli scienziati e astronomi gesuiti che, entusiasmati dagli esperimenti e dai nuovi strumenti adoperati da Galileo e da altri studiosi, risposero con vigore in difesa di quel quadro com- plessivo del sapere, coordinato dalla tradizione aristotelica, che i nuovi sviluppi sembravano dissolvere.425 Egli non si limitò a riasserire la metafisica e la fisica tradizionali, ma «scese invece

sul terreno concreto delle indagini, compiendo uno sforzo di documentazione e analisi che per sistematicità e ampiezza ha pochi analoghi. Nel compierlo commise errori (anche gravi) e fornì contributi (spesso sottostimati)».426 Le tesi tradizionali vennero così riformulate, abban-

donando quegli aspetti non più difendibili, e dando luogo così a quella che è stata definita una cosmologia neo-aristotelica.427 Nelle pagine dell’Almagestum egli si distingue però leggermente

da Brahe, in quanto nel suo sistema Saturno e Giove non girano introno al sole, ma attorno

423 BAlDINI 2002B, p. 21. Quest’attitudine enciclopedica e organizzativa è ben espressa dallo stesso

Riccioli in una risposta al Generale Superiore Carafa, che da Roma chiedeva informazioni nel 1646 sull’Almagestum e su cosa in esso ci fosse «di nuovo e migliore rispetto alle opere di maestri indiscussi come Tycho, Keplero e Lansberg, che han dedicato la loro intera vita allo stesso soggetto, col supporto di imperatori e re (GAMBARo 1989, p. 40)». Risponde Riccioli: «il mio obiettivo non era di condannare

o sopprimere l’astronomia di Tycho, Longomontanus, Keplero, Lasberg, Boulliau, Wendeln, e simili autori, ma piuttosto di raccogliere in un singolo libro elementi dalle loro opere e di altri che hanno in qualche modo contribuito all’astronomia, col fine di riconciliare quello che può essere riconciliato, e cri- ticare quello che non può essere riconciliato, presentando le ragioni di entrambi i lati, così che ognuno può seguire le ipotesi che preferisce (GAMBARo 1989, p. 70)».

424 Cfr. RuSSEll 1989.

425 BANGERt 1990, p. 199. Nonostante gli sforzi, soprattutto in campo astronomico, è da rilevare

che «già nei primi anni del XVII secolo la compagnia era diventata, ancorché involontariamente, uno dei principali promotori del sistema copernicano, grazie all’eccellente insegnamento dell’astronomia fornito nei suoi collegi, in cui tutti i sistemi venivano studiati da un punto di vista matematico, fosse anche solo per confutarli (GoDWIN 2008, p. 152)»; cfr. GASCoIGNE 1990.

426 BAlDINI 1996, p. 161.

alla terra.428 Inoltre, nel corso degli anni, le sue idee incontrarono varie fasi, fino ad arrivare

alle teorie dell’Astronomia reformata, in cui accetterà pienamente le orbite ellittiche kepleriane, pur escludendo una qualsiasi influenza fisica da parte del sole e mantenendo ancora la terra al centro del cosmo.429

Alla sua uscita nel 1651, l’Almagestum novum venne così salutato come la risposta della cultura gesuitica alla cultura laica. L’ampiezza del progetto – che prevedeva originariamente altri due libri, mai realizzati, oltre al primo già pubblicato – fece inizialmente storcere il naso a più di un intellettuale italiano, e a qualcuno dei suoi superiori.430 Presto venne però riconosciuta, anche

in Europa,431 la modernità del progetto, che consisteva nel voler raccogliere

«la sfida dei nuovi modelli epistemologici sottoponendo le novità celesti alla verifica di un esame attento e ponderato, capace di adattare la tradizione alle mutate esigenze dei tempi. L’allegoria incisa nell’antiporta mostrava il mitico Argo che, non contento dei suoi cento occhi, si serviva di un cannocchiale, mentre Astrea valutava la consistenza del modello cosmologico semiticonico di Riccioli. La nuova ricerca si delineava come una continua dialettica tra novità e tradizio- ne, realizzata nella strada di una maggiore accuratezza strumentale e terminologica, perché il dovere dello scienziato cristiano consiste in un’esplorazione dell’opera divina soggetta alla rivelazione, che quindi non può andare disgiunta dalla riverenza verso i dogmi della fede».432 L’Almagestum novum è suddiviso in due tomi, contenenti dieci libri. Il primo tomo contiene:

Liber I. De sphaera in communi. Liber II. De sphaera elementari. Liber III. De sole.

Liber IV. De luna.

Liber V. De luna, et solis eclipsibus. Liber VI. De stellis fixis.

Liber VII. De quinque planetis minoribus.

Sectio I. De planetis minoribus in communi.

Sectio II. De motu longitudinis Saturni, Iouis, et Martis, eiusque theorica. Sectio III. De motu longitudinis Veneris, et Mercurii.

Sectio IV. De passionibus quinque planetarum in latitudinem.

428 RICCIolI 1651, I, p. 103.

429 Cfr. CASANovAS 2002, pp. 119-131.

430 Cfr. Evangelista Torricelli a Vincenzo Renieri, 13 aprile 1647, e Michelangelo Ricci al Tor- ricelli, 18 maggio 1647, in Opere dei Discepoli di Galileo, Carteggio, 1642-1648, a cura di P. Galluzzi e M. Torrini, Vol. I, Firenze, Giunti-Barbèra, 1975, pp. 358, 362, cit. in ARICò 2002, p. 260; e BAlDINI 1996,

pp. 177-178.

431 Cfr. Stanisław Lubieniecki, Theatrum cometicum, Lugduni Batavorum, 1681, dove la “Commu- nicatio riccioliana” tra Bologna e Amburgo (pp. 697-745) è una preziosa testimonianza sulla recezione delle opere riccioliane in Europa (cfr. ARICò 2002, p. 270).

Sectio V. De passionibus planetarum minorum in longitudinem. Sectio VI. De passionibus planetarum secundum altitudinem. Il secondo tomo comprende invece:

Liber VIII. De cometis, et stellis novis. Sectio I. De cometis. Sectio II. De novis stellis. Liber IX. De mundi systemate.

Sectio I. De substantia, et accidentibus praecipuis caelestium corporum. Sectio II. De motoribus, et motibus caelorum.

Sectio III. De systematibus mundi terram immobilem ponentibus. Sectio IV. De systemate terrae motae.

Sectio V. De systemate mundi harmonico. Liber X. Problematum astronomicorum communium. Sectio I. De triangulorum analysi.

Sectio II. Problemata generalia primi mobilis. Sectio III. In qua problemata temporis. Sectio IV. In qua problemata geographicae. Sectio V. De parallaxibus.

Sectio VI. Problemata refractionum siderearum in aere.

Ciò che a noi interessa in questo contesto è la Sectio del Liber IX, intitolata “De systemate mundi harmonico”, quinta sezione di un libro dedicato alla catalogazione dei vari “sistemi del mondo” che l’umanità ha concepito a partire dagli antichi fino ai moderni. Conoscere la storia delle idee sul sistema armonico è altrettanto importante per un astronomo quanto conoscere gli altri sistemi del cosmo, poiché, spiega Riccioli, «non può davvero dirsi erudito nella scienza astronomica chi non riesca a distinguere, contemplando l’ordine dei cieli, una certa armonia tra gli intervalli e i moti dei pianeti».433 Per arrivare a ciò è necessario un approfondimento

sulle «cose utili o necessarie alla teoria e alla pratica musicale, che tuttavia», avverte l’autore, «in questa trattazione sul sistema armonico sono richieste nel minor grado».434 In realtà basta

dare uno sguardo al lungo elenco di autori che si sono occupati di musica, che Riccioli forni- sce nel Capitolo I, o ai titoli dei restanti capitoli e delle questioni sollevate dall’autore lungo la sezione, per capire che il gesuita ferrarese non si è limitato a una trattazione sommaria dell’argomento, ma si è addentrato con solerzia e rara erudizione nelle teorie musicali dei più importanti pensatori della tradizione occidentale, partendo dai pitagorici fino ad arrivare alla coeva Musurgia (1650) di Kircher, e non disdegnando incursioni in trattazioni musicali meno conosciute di autori quali quelle dei confratelli Biancani, Bettini e dei Conimbricensis.435 Ciò che

433 RICCIolI 1651, p. 501.

434 Ibidem.

ne risulta è una vera e propria storia delle idee musicali, un’enciclopedia del pensiero musicale che non ha eguali per ordine espositivo, precisione e obiettività tra gli autori a lui precedenti.

Ciò che sorprende dunque non è tanto la presenza di temi come la musica delle sfere e la teoria musicale all’interno di un trattato di astronomia, consueta all’interno della tradizione del quadrivium, quanto piuttosto la vastità e l’accuratezza del progetto. Un’attenzione del gene- re verso l’argomento musicale non fu del resto riscontrabile nel solo Riccioli all’interno della scuola scientifica di S. Rocco, poiché troviamo ampie pagine dedicate alla musica sia nell’ope- ra di chi ne era a capo, ossia in Biancani, e sia in quella di chi ne prenderà le veci nell’insegna- mento matematico, vale a dire in Bettini.

Le fonti della formazione musicale di Biancani non sono però del tutto chiare. È probabile che a tal riguardo abbia avuto un ruolo di rilievo la figura di Cristoforo Clavio (1538-1612), vero fondatore della tradizione matematica dell’Ordine, maestro di Biancani all’accademia di matematica del Collegio di Roma, e, inoltre, compositore di musica sacra.436 La teoria musica-

le fu in effetti compresa in alcuni programmi di studio dell’accademia, ma non sappiamo altro sulle sue modalità d’insegnamento, né sulla sua inclusione in altri corsi avanzati di altri collegi dei gesuiti.437 Certo è che a Parma Biancani dimostrò grande interesse per la teoria musica-

pagnia; si tratta degli otto volumi di commento ad Aristotele che costituiscono i Commentarii Collegii Conimbricensis Societatis Jesu, (1591-1606), revisionati dal teologo gesuita Pedro da Fonseca (1528-1599), conosciuto all’epoca come “l’Aristotele portoghese”.

436 Cfr. BAlDINI-NAPolItANI 1992, III, p. 70, n. 22. Anche per ciò che riguarda Clavio non è nota

quale sia l’origine della sua competenza musicale. Baldini spiega che «le si è riferite all’ambiente musica- le portoghese del secolo XVI, ma non è chiaro se questo risulti dalla sua musica o sia suggerito dai suoi studi a Coimbra (1556-1560). Il Colegio das Artes di Coimbra non aveva un insegnamento di matema- tica né – almeno formalmente – di musica. È anche possibile che Clavio acquistasse o approfondisse la sua conoscenza della musica nel 1571-72 nel santuario di Loreto, dove sembra fosse come confessore dei pellegrini di lingua tedesca (BAlDINI-NAPolItANI 1992, I, pp. 45-46). Nel santuario v’era un’importante

tradizione di musica sacra (BAlDINI 2000, p. 68, n. 49)».

437 BAlDINI 2000, p. 68, e BAlDINI 1992, p. 174. Si sa del resto che i gesuiti ebbero fin dall’inizio

un rapporto ambiguo con la musica in generale. Sia nella Formula (1540) che nelle Costituzioni (1553), i documenti su cui si è stata fondata l’organizzazione dell’ordine, Ignazio aveva infatti preso le distanze dallo studio della musica, che incombeva su ogni ordine del tempo, semplicemente perché il cantar messa e le ore bene e regolarmente avrebbe distolto i gesuiti dai ministeri (cfr. o’MAllEy 1999, 176-178;

o’MAllEy 2003, pp. 17-25). In ogni caso, le diffidenze vero la musica vennero gradualmente superate,

grazie alla pragmaticità pastorale e didattica dei gesuiti, primo fra tutti dello stesso Ignazio. L’Ordine cominciò a farsi più morbido verso la musica innanzitutto nella liturgia delle chiese della compagnia, spesso perché in molte comunità erano gli stessi fedeli a chiederlo. Nei collegi, inoltre, la musica comin- ciò ad avere un ruolo sempre più importante all’interno delle rappresentazioni teatrali, che già nella seconda metà del Cinquecento erano presenti in gran parte dei collegi dei gesuiti; inoltre, ebbe un importante ruolo come mezzo di apostolato nelle missioni, sia in Europa che all’estero, soprattutto in Sudamerica (cfr. kENNEDy 2003). Del resto, come è implicito nelle descrizioni riguardanti l’argomento,

un certo numero di gesuiti erano in grado di leggere la musica e suonare gli strumenti con abilità tale da