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50 Cfr. FIElD 1988, pp. 113-115.

51 Ivi, p. 115.

(Tolomeo, Harmonica, Venezia, Gogava, 152, p. 144.)

In sostanza Tolomeo, sfruttando il fatto che la doppia ottava costituita dal “sistema perfetto” comprende dodici intervalli, e che lo zodiaco è formato da dodici segni, utilizza le suddivisioni della circonferenza zodiacale operate dai vari aspetti in 1/2, 1/3 e 1/4 per individuare i rap- porti delle consonanze fondamentali: ottava (1/2), quinta (2/3) e quarta (3/4).53

Keplero mostra uno schema simile, con la differenza che il circolo dello zodiaco è posto in linea retta, in modo tale che possa sembrare la corda di un monocordo.

(KGW, XIII, p. 349)

Lo stratagemma mutuato da Tolomeo indica a Keplero la strada giusta per risolvere un problema di cui si era già lamentato nel Mysterium, vale a dire che le questioni riguardanti le consonanze e gli aspetti rimarranno sempre aperte «finché qualcuno non avrà individuato le

53 Cfr. toloMEo 2002, pp. 221-223, 467. Ritroviamo un simile stratagemma anche nell’opera di

Nicola d’Oresme (1323-1382), Le livre du ciel et du monde, cfr. oRESME 1968, pp. 485-486. Si veda kASSlER

cause». L’astronomo comincia così a cercare una causa certa, «naturale», che possa collegare gli aspetti alle consonanze, e decide di cominciare l’indagine a partire proprio da queste ultime.

In due lettere dell’estate di quell’anno, una indirizzata a Edmund Bruce del 18 luglio, e una a Maestlin del 19 agosto, Keplero continua a esaminare la possibile relazione tra gli aspetti e le consonanze, soffermandosi in particolare sulle questioni musicali. È però in una lettera a Herwart del 6 agosto, talmente lunga da esser divisa in sezioni numerate, che Keplero appro- fondisce il proprio pensiero sugli intervalli consonanti e sulla loro origine. La quinta sezione è infatti interamente dedicata alle «cause delle armonie musicali».54 Keplero spiega che il

concento, l’armonia, non è nient’altro che un certo «λόγον motus ad motum», un moto ben proporzionato con un altro, dai quali moti provengono dei suoni. Ma mentre le proporzioni in matematica sono infinite, le proporzioni musicali che l’orecchio ci indica come tali sono solo sette. Scartata l’idea di cercare una spiegazione delle consonanze nell’aritmetica, poiché «se c’è qualcosa di conveniente nei numeri, esso proviene comunque dalla geometria e dalle cose numerate»,55 occorre dunque, per un numero di rapporti finito quale è quello delle consonan-

ze, che la causa risieda in un genere di quantità finito.

Keplero perviene allora a un genere di quantità, la superficie, che, se delimitata da una circonferenza, rappresenta «un genere di finitezza infinita»; inoltre, «c’è regolarità in quello che può essere iscritto in un cerchio». Ma se qualcuno volesse fare un «λόγον musicum» dal- le figure regolari, si otterrebbero comunque dei «λόγοι infiniti»; occorre dunque porre una condizione, ossia che i lati debbano essere dimostrabili. Partendo dunque dal diametro, che genera il rapporto più perfetto e più semplice, ossia 1:2, il rapporto dell’ottava, Keplero pro- cede cercando di individuare quali siano gli altri poligoni inscrivibili in una circonferenza che generano gli altri rapporti consonanti. Dopo alcune prove, l’astronomo si rende conto che la soluzione è soddisfacente solo in parte, sia perché non riesce a dare origine a tutte e sette gli in- tervalli consonanti, e sia perché, assieme a quelli trovati, vengono generati anche alcuni inter- valli dissonanti. Keplero rivolge allora la sua attenzione all’ampiezza degli angoli dei poligoni regolari in questione, pensando che possa escludere tutte le figure in cui la somma di tre loro angoli opposti sia maggiore a quattro angoli retti, «sebbene non sia chiaro perché la Natura dovrebbe tener particolar conto di ciò nel costituire i rapporti».56 L’idea, sebbene non ottimale

per Keplero, è comunque proficua perché lo porta ad addentrarsi in una proprietà stimolante delle figure regolari, ossia la facoltà di tassellazione di ogni figura regolare, cioè il ricoprimento completo di un piano attraverso la ripetizione continua di una o più figure.57

Dopo aver esaminato tutte queste possibilità, Keplero ritorna infine alla questione degli

54 KGW, XIV, p. 29. 55 Ivi, p. 30. 56 Ivi, p. 31.

57 Ivi, p. 31-32. L’idea della tassellazione era stata brevemente accennata in vari trattati rina- scimentali, tra cui quello di Albrecht Dürer, Underweysung der Messung mit dem Zirckel und Rictscheyt (Nu- mremberg, 1525), ma sembra che Keplero sia stato il primo a fornirne una trattazione matematica e approfondita, che vedrà la luce solamente nel 1619 nel Libro II dell’Harmonice mundi. Cfr. FIElD 1984B,

aspetti, individuando il problema di fondo dell’intera indagine, ossia la discordanza tra il nu- mero di aspetti che l’astronomia ammette nei rapporti tra gli archi dello zodiaco, e il numero di rapporti consonanti ottenuti tramite un monocordo. Non vi era corrispondenza tra le due realtà: se, infatti, l’orecchio gli assicurava che le consonanze erano sette, e non di più, l’astro- nomia e l’astrologia del tempo non gli fornivano un numero esatto degli aspetti possibili, dato che il loro numero e la loro qualità variavano di autore in autore. Questo perché, come rilevava egli stesso, non esisteva un principio matematico che ne garantisse la validità.

Come vedremo, tutte le idee portate avanti in forma germinale e disordinata nell’estate del 1599, troveranno sistemazione completa solamente nell’Harmonice mundi del 1619, dove Keplero separerà le cause che determinano i due tipi di quantità. Da una parte, trovando un unico principio razionale che determini il genere di poligoni regolari atto a generare solamen- te i sette intervalli consonanti, derivandoli da quei poligoni i cui lati sono più strettamente relazionati al diametro del cerchio in cui sono iscritti; dall’altra, individuando nella capacità di tassellazione dei poligoni la proprietà che permette di formare gli aspetti astrologici.

Ma, come si è detto, la questione particolare riguardante le cause e il rapporto tra le conso- nanze e gli aspetti non costituiva che una parte dell’argomento più generale che lo occupava in questo periodo, vale a dire il concetto di “armonia del mondo”: l’idea che avrebbe dato vita all’opera fondamentale del 1619 era infatti già in nuce presente nel 1599 nella mente di Keplero.

La sezione precedente a quella riguardante le cause delle armonie musicali è infatti inti- tolata “De harmonia mundi”. In essa Keplero riprende il concetto che aveva già proposto nella lettera a Edmund Bruce del 18 luglio 1599, ossia che l’armonia del mondo di Coper- nico corrisponde all’armonia musicale prodotta dal movimento dei pianeti di tradizione pi- tagorico-platonica: «Qui vi ritrovo la medesima: perché, se ci fosse aria nel cielo, si avrebbe assolutamente un concento».58 Un’armonia che secondo Keplero – sulla scia di altri pensatori

che ritenevano che l’armonia delle sfere platonica non producesse un suono reale59 – è però

solamente mentale, poiché, siccome nello spazio non vi è aria, si ha solamente un «armonia intellettuale», che «gli spiriti puri e in un certo modo anche Dio sentono con uguale godimento e piacere di quanto l’uomo possa sentire quando ascolta gli accordi musicali».60 I pianeti, infat-

ti, si muovono secondo quella stessa proporzione che devono avere le corde, o qualunque altro corpo, per produrre un concento.61 Il concento, o l’armonia, infatti, non avviene nelle voci o

nei suoni a causa della «natura della voce, o del moto, ma a causa di ciò che vi è nel moto, e che è comune a molte cose, ossia a causa dei λόγους perfetti dei numeri, che hanno origine dalla σωματοποιήσει (somatizzazione) matematica». Dunque i rapporti armonici non appaio- no solo nei fenomeni terreni; Keplero li rivede anche nei rapporti e nelle velocità dei pianeti

58 Ivi, p. 27.

59 Tra i più importanti, Aristotele nel De coelo, e Sant’Ambrogio nell’Hexameron. Si veda a riguar- do Riccioli in Appendice, Cap. II, par. V, VI.

60 Ibid. 61 Ibid.

(«Vi è dunque, come ho detto, tra le velocità dei sei pianeti – considerato il moto in uno spazio uguale, secondo un tempo ineguale – certamente un concento intellettuale»).62 E ciò è possibile

perché Dio ha allestito il mondo secondo un’unica regola matematica e geometrica: «Infatti lo stesso λόγος che vi è fra le figure, gli angoli, le linee, etc., congruenti in un determinato corpo, rende quest’ultimo anche bellissimo e perfettissimo. In questo modo, Dio non ha introdotto suoni nel mondo senza geometria».63

L’obiettivo è dunque quello che si era prefissato fin da giovane, ossia comprendere l’ordine del cosmo così come è stato voluto da Dio stesso, un Dio geometra e anche, come ora appren- diamo, musico. Questo perché l’uomo è «un’immagine di Dio, ed è possibile che egli pensi allo stesso modo di Dio nelle materie che riguardano l’allestimento del mondo. Poiché il mondo partecipa della quantità, e non vi è nulla che la mente dell’uomo (entità sopramondana nel mondo) non possa cogliere come le stesse quantità, essendo stato creato per la comprensione di queste».64

L’ordine che Keplero vuole ritrovare nel mondo appare sempre più chiaro e, di lì a pochi mesi, è già pronto a comunicare a Herwart come disporre in un trattato le sue idee sul co- smo.65 Esso sarà intitolata “De Harmonice mundi, dissertatio cosmographica”, e i suoi capitoli

saranno cinque:

1. Geometrico, sulle figure dimostrabili. 2. Aritmetico, sui rapporti solidi. 3. Musicale, sulle cause delle armonie. 4. Astrologico, sulle cause degli aspetti. 5. Astronomico, sulle cause dei moti periodici.

L’intenzione di Keplero era dunque quella di mettersi all’opera e di concludere il progetto il prima possibile. La teoria armonica diventa talmente stimolante che Keplero cerca di appli- carla innanzitutto all’indagine che ha maggiormente a cuore, ossia il calcolo delle distanze dei pianeti dal sole.

I dati ottenuti non combaciano però perfettamente con i dati copernicani, come abbiamo visto nel Mysterium. Aveva assolutamente bisogno di dati e di strumenti più precisi. L’offerta di Tycho Brahe di averlo come assistente astronomo alla corte dell’imperatore Rodolfo II66 a Pra-

ga capitò dunque nel momento migliore, considerata anche la precaria situazione economica e lavorativa di Keplero e il clima sempre più ostile verso i protestanti che si era creato a Graz.

62 KGW XIV, p. 27. 63 Ibid.

64 Ivi, p. 73. 65 Ivi, p. 100.

66 A Praga Keplero poté beneficiare del ricco ed eclettico ambiente della corte di Rodolfo II, che rifletteva gli svariati interessi dell’imperatore, che svariavano dalla musica alla scienza occulta, all’alchi- mia e all’astrologia (si veda CASPAR 1993, pp. 149-153). Non a caso, uno dei primi compiti di Keplero

in qualità di matematico imperiale sarebbe stato quello di fornire oroscopi all’imperatore, compito che l’astronomo riteneva un «lavoro sgradito e, in questo momento, davvero infangante (Ivi, p. 152)».

Vedremo però come, a causa della nuova sistemazione, il progetto sull’”armonia del mondo” dovrà essere accantonato per un lungo periodo.

Dopo aver trascorso da solo i primi mesi dell’anno alla corte imperiale, per poter cono- scere meglio l’astronomo danese e il suo luogo di lavoro, Keplero arriva dunque a Praga il 19 ottobre 1600 con moglie e figliastra per aggiungersi alla squadra di assistenti di Brahe e cominciare quello che si rivelerà il periodo più importante e produttivo della sua vita. A Praga poterono dunque incontrarsi e lavorare insieme due tra i più grandi astronomi dell’epoca (e della storia occidentale), profondamente diversi però per attitudine e convinzioni: da una parte Keplero, all’epoca ventottenne, appena all’inizio della propria carriera scientifica, e che fino a quel momento aveva potuto solamente mostrare al mondo la potenzialità della sua visione cosmologica, senza però poterla rinsaldare attraverso dati astronomici più precisi; dall’altra il cinquantatreenne danese Brahe, giunto ormai all’apice della sua carriera come astronomo imperiale, e fermamente convinto che l’astronomia sia una disciplina da attuare a posteriori sulla base delle osservazioni raccolte, e si era quindi sempre dichiarato contrario al tentativo di Keplero di fare astronomia a priori.67

Considerato però l’acume speculativo dell’ex matematico di Graz, e, soprattutto, il fatto che la sua vista stava diventando sempre più debole con gli anni, il primo compito a cui venne assegnato Keplero riguardava un problema teorico, quello riguardante l’orbita di Marte. Ke- plero avrebbe quindi dovuto aspettare per ottenere i dati che gli interessavano riguardanti le distanze dei pianeti dal sole – nonché le eccentricità delle loro orbite – sia perché questi dati dovevano essere ancora, in realtà, per la maggior parte calcolati a partire dalle osservazioni, e sia perché Brahe era molto geloso dei propri risultati e ancora non si fidava completamente dell’astronomo tedesco.

Il problema che Brahe consegnò a Keplero denota però quanta ammirazione era comun- que riposta nell’astronomo di Weil der Stadt, poiché il dilemma in questione aveva sempre po- sto notevoli difficoltà agli astronomi per l’imprevedibilità della sua orbita. Due, in particolare, erano i problemi che presentava l’orbita di Marte: il primo riguardava l’apparente retrograda- zione di Marte in un determinato punto del suo tragitto; il secondo riguardava un’irregolarità nel tempo, di difficile spiegazione, che intercorre tra la prima inversione di Marte e la seconda.

Il 24 ottobre 1601, praticamente un anno dopo il suo arrivo a Praga, gli studi di Keplero s’interruppero bruscamente, perché, improvvisamente, Tycho Brahe morì. Due giorni dopo fu comunicato a Keplero che l’imperatore aveva deciso di nominarlo matematico imperiale e di prendere cura degli strumenti e dei lavori, rimasti incompleti, di Brahe. Ora, nonostante lo sconforto per la perdita del grande maestro, Keplero ebbe una posizione e uno strumentario tale da permettergli di lavorare più liberamente e speditamente. I dati di Brahe erano ora a sua completa disposizione e potevano permettergli di affrontare il problema dell’orbita di Marte con più facilità.

Keplero, che inizialmente accettò di buon grado il compito poiché sperava di collegare i

67 Per un’accurata descrizione dei primi colloqui dei due grandi astronomi, e del loro difficile rapporto, si veda CASPAR 1993, pp. 96-121; koEStlER 1981, pp. 297-307; BANvIllE 1993, pp. 62-91.

dati delle osservazioni su Marte alle proprie teorie esposte nel Mysterium, e al suo progetto sull’”armonia del mondo”, si ritrovò alla fine ad occuparsi del pianeta rosso per molti anni.68 I

risultati furono però sorprendenti, perché diedero frutto a una delle opere più importanti della storia dell’astronomia, ossia l’opera che contiene le prime due leggi di Keplero sulle orbite planetarie, l’Astronomia nova.

Come abbiamo visto, l’indagine scientifica di Keplero fu finora dedicata alla soluzione di un doppio problema.69 Il sole e i pianeti alterano la loro posizione apparente, in relazione allo

sfondo delle stelle fisse, in modo complicato, accessibile all’osservazione immediata; ciò che è stato osservato e registrato non si riferisce dunque al reale movimento dei pianeti nello spazio, ma alle alterazioni temporali che subiscono lungo la direzione tra di essi e la terra secondo lo scorrere del tempo. Posta come indubitabilmente vera la teoria copernicana secondo la quale i pianeti, compresa la terra, ruotano intorno al sole immobile, il problema che Keplero si pose divenne dunque la determinazione dei veri movimenti dei pianeti: in vista di ciò, e considerate le insidie da sempre riscontrate nell’osservazione dei moti planetari dalla terra, si chiese allora, a livello teorico, come questi sarebbero sembrati a un osservatore posto su una delle stelle fisse più vicine. A questo problema se ne aggiunge inoltre un secondo, strettamente legato al primo: quali sono le leggi matematiche che controllano questi movimenti?

La soluzione del problema gli si presentò proprio durante l’osservazione dell’orbita di Mar- te, e che gli permise di determinare il rapporto reale sottostante l’orbita della terra. Per de- terminare il corso di quest’ultima c’è bisogno, a fianco al sole, di un secondo punto stabile nello spazio planetario. Dato questo punto, utilizzando questo e il sole come punti fissi per la misurazione degli angoli, si sarebbe potuto determinare il reale corso della terra attraverso lo stesso metodo di triangolazione che viene generalmente usato nel disegno delle mappe. Keplero intuì che l’orbita di Marte poteva benissimo offrire questi punti: conosceva, infatti, grazie anche all’accuratezza dei dati osservativi di Brahe, i movimenti apparenti di Marte e il suo esatto tempo di rivoluzione attorno al sole. Considerato che, alla fine del suo giro attorno al sole, Marte dovrebbe quindi ritrovarsi allo stesso posto nello spazio, è dunque possibile utilizzare questi punti di tempo come punto fisso di triangolazione col sole. In questo modo Keplero riuscì a determinare il movimento reale della terra nello spazio, e, utilizzando invece la terra stessa come punto di triangolazione, a determinare di conseguenza anche i movimenti reali degli altri pianeti.

L’orbita di Marte si rivelò inoltre, nella sua spiccata eccentricità (è l’orbita infatti che più si allontana dalla forma di una circonferenza perfetta), il campo di indagine più adatto a Keplero per la formulazione delle sue due prime leggi, che, implicando la forma ellittica dell’orbita di ogni pianeta, avrebbe spazzato via la convinzione secolare riguardante la perfezione dei corpi celesti, la cui orbita non avrebbe potuto avere altra forma se non quella perfetta del cerchio.

Keplero comprese dunque che Marte poteva essere lo strumento per ripensare tutta la strut-

68 Così scrive a Herwart il 12 luglio 1600: «Avrei già concluso le mie ricerche sull’armonia del mondo, se l’astronomia di Tycho non mi avesse incatenato a tal punto da farmi quasi uscire fuori di senno (KGW, XIV, p. 102)».

tura del cosmo, potendo permettersi di aggiungere ai “Commenti di Marte”, come li chia- mava inizialmente, il titolo coraggioso di Astronomia nova ΑΙΤΙΟΛΟΓΗΤΟΣ seu physica coelestis.70

L’aggiunta αιτιολογητοσ (giustificata, fondata sulle cause) non è di poco conto, perché Keplero ebbe infatti con questa opera l’ambizione di giustificare con teorie fisiche le posizioni e i moti dei corpi celesti che l’astronomia, fino a quel tempo, aveva solamente descritto geometrica- mente.

Scritta tra il 1600 e il 1606, l’Astonomia nova venne pubblicata solamente nel 1609 e si apre, come di consueto all’epoca, con una ricca lettera dedicatoria al mecenate, ossia l’imperatore Rodolfo II.71 La prima parte del trattato è dedicata al confronto delle teorie degli astronomi

antichi, esemplificate nei modelli di Tolomeo, di Tycho Brahe e di Copernico, che cercano di spiegare lo strano movimento di Marte. Come sapientemente riesce a spiegare Keplero in lunghi e densi capitoli di dati e tabelle, i tre sistemi, seppur profondamente diversi dal punto di vista concettuale, falliscono tutti nel tentativo di predire l’orbita di Marte. Come arriverà a comprendere Keplero negli anni di lavorazione all’opera, i punti su cui tutte e tre queste astronomie sbagliavano, e su cui tutte e tre si fondavano, furono la scelta di basare il proprio sistema sulla terra, e di spiegare il moto degli astri attraverso la fisica aristotelica. L’ambizioso proposito di Keplero sarà dunque quello di riformare l’astronomia correggendone le inesattez- ze di queste ipotesi attraverso delle cause fisiche.

Quest’ultima esigenza è diventata ormai primaria, a tal punto che viene quasi oscurato il fatto che sia la terra a muoversi e non il sole. Il nuovo cosmo necessita di nuovi leggi fisiche per sostituire il sistema aristotelico-tolemaico basato sulle sfere eteree sulle quali sono incasto- nati i pianeti, nel quale si poteva fare a meno di concetti quali forza e gravità. Specialmente quest’ultima assume un ruolo fondamentale nel nuovo sistema dell’universo così concepito. Keplero, seguendo Copernico, che accennava a una forza (vis) diffusa da una «anima motrice», e anticipando la teoria gravitazionale newtoniana, pensa che la gravità equivalga a una «forza corporea (che noi chiamiamo gravità, o forza magnetica)».72

La causa fisica che Keplero ricerca è dunque riposta nel sole, centro del sistema planetario e causa del movimento di tutti i pianeti, tra cui la terra. Per Keplero era infatti inconcepibile che un punto vuoto dello spazio, quello in cui cioè i sistemi di Copernico e di Brahe ponevano il centro del cosmo, ossia il sole medio, potesse essere la causa fisica del moto della terra e degli altri pianeti. Il primo passo di Keplero è dunque porre il corpo fisico vero e proprio del sole al centro dell’universo.

Il secondo passo è affrontare un altro dogma astronomico di derivazione aristotelica, secon- do il quale il moto dei corpi celesti debba avere velocità uniforme. Un fatto artificiosamente

70 Il titolo completo è Astronomia Nova ΑΙΤΙΟΛΟΓΗΤΟΣ seu physica coelestis, tradita commentariis de