Le leggi geometriche che stanno alla base delle consonanze e degli aspetti sono anche il fon- damento di ciò che per Keplero è «il principio delle opere di Dio, disposto da lui nel modo più eccellente rispetto alle restanti piccole e comuni cose», ossia il cielo.210 Dopo aver affrontato
le opere armoniche dell’uomo nel Libro III, e quelle della Natura nel Libro IV, l’ultimo libro affronta l’armonia disposta da Dio nei movimenti del cielo; come afferma Keplero più volte:
206 L’approfondimento delle questioni astrologiche, come si è già accennato, è stato già trattato da Keplero nel De stella nova (1606), dove confuta le ragioni di Pico illustrate nel Disputationes adversus astrologiam divinatricem (1495).
207 A questa conclusione Keplero arriva già due anni prima nelle pagine degli Ephemerides novae motuum coelestium (Linz, 1618), cfr. KGW, XI, p. 48.
208 KGW, VI, pp. 258-259.
209 Keplero è molto critico con la concezione degli aspetti di Tolomeo soprattutto nell’Appendice all’Harmonice mundi, nella quale l’astronomo tedesco, tra le righe del suo commento sugli Harmonica, definisce le analogie musico-astrologiche «simbolismi per la maggior parte non necessari, né causali o naturali, ma piuttosto poetici e retorici (KGW, VI, p. 371)».
«la materia di questo libro è l’unico fine che mi son prefissato nell’intera opera».211
L’obiettivo principale del Libro V dell’Harmonice mundi è quello di congiungere l’armonia umana a quella celeste, ossia di mostrare come la musica descritta nel Libro III imiti la ver- sione kepleriana della musica delle sfere di tradizione platonica, ossia, in Keplero, i rapporti armonici esistenti tra le velocità dei pianeti.212
Non è solo il coronamento dell’opera, ma anche di un intero percorso iniziato ventidue anni prima, quando Keplero aveva congetturato un disegno simile con la scoperta delle cinque figure solide tra le orbite celesti. Una convinzione, come precisa Keplero stesso, già forte in lui ancora prima di conoscere gli Harmonica di Tolomeo, e per la quale ha dedicato «la parte migliore della sua vita agli studi astronomici, andando a trovare Tycho Brahe, e scegliendo Praga come sede».213 Sforzi infine spesi bene, perché, finalmente, Keplero è convinto di aver
scoperto, andando oltre ogni sua speranza, che «tutta la natura dell’armonia, in tutta la sua grandezza e in tutte le sue parti illustrate nel Libro III, si trova tra i moti celesti, e non solo nel modo in cui io l’avevo concepita nell’animo - e questa è parte non ultima della mia gioia - ma in un modo del tutto diverso e allo stesso tempo straordinario e perfetto».214
Il modo «in cui l’aveva concepita» si riferisce naturalmente al principio che regolava le di- stanze tra i pianeti esposto nel Mysterium, ossia i cinque solidi platonici. L’interpolazione dei so- lidi è ora per lui solamente una guida, un tracciato preliminare per la disposizione del cosmo, mentre le distanze tra i pianeti erano propriamente determinate secondo i rapporti armonici delle velocità degli astri.215 Il tempo era ormai giunto per la scrittura di un libro ambizioso,
«non importa se da leggere dai contemporanei o dai posteri»; ciò che vi è scritto riguarda l’o- pera celeste e divina, dunque «il suo lettore può anche aspettare cento anni, se Dio stesso ha dovuto aspettare per seimila anni qualcuno che la contemplasse».216
Se il punto di partenza da cui Keplero comincia questo percorso sono nuovamente i cinque solidi platonici, quasi volesse congiungere le teorie e le scoperte del Libro V dell’Harmonice con quelle del Mysterium, essi vengono però presto abbandonati perché nel Capitolo III – dopo aver illustrato le analogie (soprattutto numeriche) presenti tra i solidi e le proporzioni armoniche – Keplero dichiara che, sebbene «il numero dei pianeti o delle orbite circolari sia stato desunto dal sapientissimo Creatore dalle cinque figure solide»,217 in seguito alle osservazioni compiute
a Praga «è chiaro che le proporzioni degli intervalli planetari dal sole non sono state ricavate solamente dalle figure solide; poiché il Creatore, che è la vera fonte della geometria, non si allontana dal suo archetipo, e, come ha scritto Platone, pratica la geometria eterna».218 Se dunque
211 KGW, VI, p. 185.
212 Per un dettagliato commento di ogni capitolo del Libro V, si veda StEPhENSoN 1994, pp. 128-
241. 213 Ivi, p. 289. 214 Ibidem. 215 Si veda DuNCAN 1981, p. 133. 216 KGW, VI, p. 290. 217 Ivi, p. 298.
i cinque corpi regolari sono sufficienti per determinare il numero dei pianeti e le loro distanze dal sole, i calcoli hanno mostrato che l’inserzione dei corpi regolari tra le orbite non coincide esattamente con le distanze ottenute con le osservazioni: l’obiettivo di Keplero è ora quello di mostrare che le cause delle eccentricità e dei periodi delle orbite dei pianeti siano le proporzio- ni armoniche, o le consonanze, individuate nel Libro III.
Per la precisione le armonie che Keplero vuole far notare non sono quelle che vent’anni prima aveva cercato di osservare nelle distanze tra i pianeti: ciò che ora vuole riscontrare sono le armonie nelle velocità angolari osservabili dal punto centrale del cosmo, ossia il sole, fonte dei movimenti di tutti i pianeti e sede, come aveva già indicato nel Libro IV, dell’anima uni- versale.219 È il rapporto che vi è tra queste velocità ai loro estremi, massima all’afelio e minima
al perielio, che interessa a Keplero. Al quale inoltre non interessano tanto i rapporti armonici presenti nell’orbita di un singolo pianeta, che non avvengono in un momento particolare, perché le velocità all’afelio e al perielio sono separate da circa metà del periodo di rivoluzione, quanto piuttosto le armonie presenti tra coppie di pianeti, che si presentano quando i due pianeti si trovano ai loro apsidi (ovvero i punti di maggiore o minore distanza rispetto al sole) nello stesso momento.
Eppure la scoperta che renderà effettivamente l’Harmonice mundi una pietra miliare per la storia della scienza e dell’astronomia, ossia la celebre terza legge di Keplero, è essenzialmente irrilevante rispetto all’obiettivo primario del Libro V, ossia l’armonia tra le velocità dei pianeti. Keplero perviene a questa legge solamente poco prima di concludere la scrittura del Libro V, mentre i primi erano stati già stampati.220 L’astronomo ci offre addirittura la data esatta di
quando, infine, «la proporzione reale dei tempi periodici con la proporzione delle orbite […] fu mentalmente concepita l’8 marzo di quest’anno mille seicento diciotto, ma sfortunatamente sottoposto a calcoli e rifiutato come falso; e finalmente, ripreso il 15 maggio, con rinnovato ardore, poté fugare le tenebre dalla mia mente e confermare che sedici anni delle mie fatiche sulle osservazioni di Brahe e le considerazioni di questo mio lavoro convergevano in un unico punto, in modo tale che in un primo momento pensavo di sognare e di presupporre l’oggetto delle mie ricerche fra i principi. Ma è assolutamente certo ed esatto che la proporzione che esiste
fra i tempi periodici di due pianeti qualsiasi è esattamente la proporzione sesquialtera delle loro distanze medie,
ossia delle orbite stesse». La legge qui descritta concerne infatti solamente i periodi dei pianeti, ossia i loro movimenti medi, e non i loro movimenti in punti particolari, come richiedeva la teoria armonica cercata da Keplero.
La terza legge, pur svolgendo un importante ruolo nel penultimo capitolo dedicato alle dimensioni delle orbite planetarie, non occupa comunque una posizione preminente nella struttura del Libro V dell’Harmonice mundi. Dopo averla esposta in mezzo al Capitolo III, nel
2.
219 KGW, VI, p. 265.
220 FIElD 1988, p. 143; cfr. hAASE 1971 e GINGERICh 1975. La scrittura dell’Harmonice mundi fu
completata dodici giorni dopo questa scoperta, il 27 maggio 1618, e le modifiche da apportare al Libro V in vista della scoperta furono infine effettuate il 19 febbraio 1619. Cfr. KGW, VI, p. 368, e FIElD 1988,
“Sommario della dottrina astronomica necessaria per la contemplazione delle armonie cele- sti”, Keplero si concentra sui cambiamenti di velocità dei pianeti e quindi sulle loro velocità estreme, al perielio e all’afelio.
Se si considerano dunque i corretti movimenti dei pianeti sulle loro reali orbite eccentriche, ossia quelle osservate dal centro del cosmo, il sole, si evidenziano al riguardo dei pianeti queste cose ben distinte: «1. La distanza dal sole; 2. I tempi periodici; 3. Gli archi di eccentrica gior- nalieri; 4. I ritardi in questi archi giornalieri; 5. Gli angoli col sole, ossia gli archi giornalieri apparenti, come sarebbero se visti dal sole».221 Questi sono gli elementi che Keplero considera
per ricercare le proporzioni armoniche; poiché i loro valori cambiano costantemente a causa del movimento, Keplero sceglie di utilizzare i valori relativi ai momenti più statici, ossia ap- punto quelli all’afelio e al perielio.
I primi considerati sono i tempi periodici, e tra di essi l’astronomo non rileva alcuna pro- porzione armonica. Vengono allora esaminate le distanze dal sole, e i soli pianeti a presentare degli intervalli quasi identici a quelli musicali sono Marte e Mercurio, oltre ad altri con rap- porti meno vicini.
(KGW, VI, p. 309)
Keplero cominciava però ad avvicinarsi all’obiettivo, e «questo successo fu uno sprone ad
avanzare ulteriormente».222 Considera allora i movimenti giornalieri, presi ancora all’afelio
e al perielio, valutando inoltre le distanze medie e i viaggi giornalieri rispetto al sole; subito però capisce non soltanto che neanche qui, nei rapporti tra le coppie di pianeti, son presenti proporzioni armoniche, ma che del resto «non è molto probabile che il sapientissimo Creatore abbia stabilito armoniche tra i tragitti planetari in particolare»: in tal modo, nessuno avrebbe potuto percepirle, perché le armonie sono percepibili o mediante la luce o mediante il suono; e siccome non vi è suono nei cieli, è attraverso gli occhi che devono essere percepite queste armonie, e dunque conviene abbandonare i moti reali e concentrarsi sui moti apparenti osser- vabili dal sole.
Bisogna dunque guardare che ampiezza ha l’angolo che ogni pianeta, nel suo moto giorna- liero, sottende al corpo del sole. I movimenti giornalieri dei pianeti, secondo i dati tychoniani, vengono quindi riuniti da Keplero in questa tabella:223
(KGW, VI, p. 312)
I rapporti qui elencati si riveleranno fondamentali per il resto del Libro V. Essi, fa notare Keplero, si avvicinano molto a rapporti armonici, «in un modo tale che Saturno e Giove rap-
222 Ivi, p. 310.
223 Per moti estremi convergenti o conversi Keplero intende quelli che sono negli absidi più vicini di tutti e due, come avviene nel perielio del pianeta superiore e nell’afelio dell’inferiore; con divergenti o diversi quelli che sono agli absidi opposti, come avviene nell’afelio del pianeta superiore e nel perielio dell’inferiore. Cfr. KGW, VI, p. 302.
presentano qualcosa di poco diverso dalle terze, maggiore e minore: Saturno con un rapporto in eccesso di 53:54, e Giove con uno di 54:55, ossia praticamente minore di un sesquicomma; la terra un po’ di più, ossia 137:138, praticamente più grande di un semicomma rispetto a un semitono, etc.».224
I dati sono sufficienti per Keplero, che può ora procedere alla costruzione del suo sistema musicale planetario. È infatti nel confronto tra i movimenti estremi di due pianeti che «il sole radiante delle armonie celesti splende immediatamente a prima vista, sia che si paragonino i movimenti estremi divergenti o quelli convergenti».225 Tra i movimenti convergenti di Saturno
e Giove vi è infatti un rapporto doppio, dunque una diapason; tra quelli divergenti, una diapa- son con diapente, e così via. E non vi è nessuno tra questi confronti, può ora dichiarare trion- fante Keplero, che non si avvicini moltissimo a qualche armonia, «in modo tale che se delle corde fossero intonate in quel modo, difficilmente l’orecchio discernerebbe l’imperfezione».226
Ricavati gli intervalli consonanti, Keplero può ora comportarsi come ha già fatto nel Libro III, nel quale, dopo aver costruito le singole consonanze armoniche, le ha poi messe insieme in una scala musicale e ne ha poi ricavati i modi fondamentali.
Una volta trascurati gli incrementi o le diminuzioni inferiori al semitono, e una volta rad- doppiati o dimezzati i movimenti per ricondurli entro un’ottava, Keplero può costruire una scala di questo tipo, di genere duro: in essa manca la nota la, come già spiegato nel Libro III, Capitolo 2, essa non è indicata da una divisione armonica:
(KGW, VI, p. 319)
Ponendo invece all’inizio della scala il movimento all’afelio di Saturno si ottiene una scala di genere molle, mancante però della nota fa, anch’essa omessa nella divisione armonica del Capitolo II del Libro III:
224 Ivi, p. 313. 225 Ivi p. 314. 226 Ivi, p. 315.
I capitoli VI, VII e VIII successivi sono tutti dedicati agli sviluppi musicali di queste pre- messe. Ogni singolo pianeta, cominciando da quella nota che cadeva al proprio movimento all’afelio, percorre un certo intervallo fisso della scala musicale fino al suo perielio. Saturno e la terra partono dunque dal sol, Giove dal si, Marte dal da, Venere dal mi, Mercurio dal la, in un movimento continuo, una specie di glissando, descritto da Keplero, non potendo fare altrimenti, con una serie di note intermedie:
(KGW, VI, p. 322)
È però da notare che i rapporti armonici tra i movimenti estremi di due pianeti vicini, spe- cialmente i più lenti, avvengono molto raramente. Ad esempio, Saturno e Giove presentano una distanza ampia tra i loro apsidi, di circa 81 gradi, e dunque, calcola Keplero, servono al- meno ottocento anni ogni volta per sperare che entrambi si trovino precisamente ai loro apsidi; e neanche allora è probabile che possano rimanere poco distanti. Stessa cosa, anche se con intervalli minori, per quanto riguarda i periodi delle altre coppie di pianeti. Ancora più diffi- cile che accada è dunque un accordo di tre pianeti in una sola armonia, per la quale bisogna attendere diversi incontri periodici. Per non parlare dell’armonia tra quattro o cinque pianeti, per la quale occorrono secoli se non millenni. E per quanto riguarda addirittura l’armonia di tutti e sei i pianeti, Keplero non è neanche sicuro che possa avvenire due volte, «e piuttosto dimostrerebbe che vi sia stato un qualche inizio del tempo, dal quale son derivate tutte le ere del mondo. Perché se si è potuta avere un’unica sola armonia sestupla, o una insigne tra tante,
essa potrebbe essere intesa indubitabilmente come il carattere della creazione».227
È questo, dunque, il vero archetipo della costruzione del mondo: «La Natura, che non è mai prodiga, dopo una stasi di duemila anni, ha finalmente mostrato […] la prima vera immagine dell’Universo. Per mezzo di cori a molte voci, e attraverso le nostre orecchie ha sussurrato alla mente umana, la figlia prediletta del Dio Creatore, come essa sia fatta nella sua intima essenza».228 Keplero è riuscito a mostrare in che modo Dio, geometra e musico, ha allestito il
cosmo, e non ci si può dunque più meravigliare, secondo l’astronomo, dell’eccellenza del siste- ma musicale degli uomini, perché «essi non hanno fatto altro in questo campo se non imitare il Dio creatore ed hanno agito come se tutto ciò fosse già stato rappresentato nell’ordine dei movimenti celesti».229 E proprio agli uomini che si occupano di musica si rivolge infine («voi,
musici moderni, seguitemi e giudicate la cosa secondo le vostre arti che erano sconosciute agli antichi»),230 invitandoli a contemplare l’armonia e la musica dei movimenti dei cieli:
«[Essi] non sono altro che un perenne concento (razionale e non vocale), attraverso into- nazioni dissonanti, come certe sincopi o cadenze (e qui gli uomini imitano queste dissonanze naturali), che tende verso clausole fisse e prescritte, particolari dei sei termini (come fossero voci), e segna e distingue attraverso queste note l’immensità del tempo; e da qui non è più una sorpresa che l’uomo, scimmia del suo creatore, abbia finalmente scoperto un modo di cantare in armonia [per concentum], ignoto agli antichi, in modo che egli possa esprimere, per mezzo dell’accordo artistico di molte voci, l’immensità di tutto il tempo del mondo nel breve spazio di un’ora, e che possa in qualche modo assaggiare la soddisfazione del Dio Creatore per la sua opera, in questo soavissimo senso di piacere suscitato da questa imitatrice di Dio, la musica».231 La musica celeste del Libro V, che per la pima volta nella storia ha veste polifonica ed è fondata sui dati delle osservazioni astronomiche, si ricongiunge così alla musica terrestre - ar- gomento trattato da Keplero nel Libro III dell’Harmonice mundi - che solo in epoca moderna è stata capace di esprimere pienamente l’armonia del cielo con la conquista della polifonia, il canto per concentum.
227 Ivi, p. 324. 228 Ivi, p. 323. 229 Ivi, p. 320. 230 Ivi, p. 323. 231 Ivi, p. 328.
Iv.
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armonice mundi.
Se nel 1599 Keplero aveva scelto inizialmente, in quella lunga lettera del 6 agosto indiriz- zata a Herwart, di intitolare “Harmonia mundi” la sezione nella quale illustra al cancelliere bavarese le proprie convinzioni riguardanti le affinità tra la cosmologia copernicana e quella pitagorica, e riguardanti il fatto che le proporzioni matematiche delle consonanze musicali sono anche alla base delle musica prodotta dai movimenti planetari, pochi mesi dopo, al mo- mento di illustrare la struttura dell’opera che secondo le sue intenzioni avrebbe dovuto esporre questi argomenti, Keplero sceglie, significativamente, il titolo “De harmonice mundi”, ossia quello che ritroveremo nel trattato pubblicato nel 1619. Non è un caso che Keplero compia questa scelta. L’astronomo tedesco, a proprio agio con la lingua greca, è consapevole, da una parte, del significato originale di ἁρμονία (da cui deriva la parola latina harmonia), che indica una “giuntura”, un “accordo” o un “patto”, e dunque, estensivamente, il concetto filosofico, di pitagorica memoria, di “simmetria” e “corrispondenza” tra parti di un corpo intero e fini- to, che può essere l’anima come il mondo, o, più semplicemente, tra più elementi; dall’altra parte, del significato di harmonice, calco latino di ἁρμονική, che ha invece un significato molto più specifico, indicando propriamente l’antica scienza armonica dei Greci, che è, come spiega Tolomeo, «la facoltà conoscitiva che ha come oggetto il variare dei suoni secondo l’acuto e il grave»:232 una disciplina che non ha dunque come oggetto il suono fisico in sé, quanto piut-
tosto la sua possibilità di assumere diverse altezze e, soprattutto, la possibilità di stabilire una
relazione tra almeno due suoni.233
I due termini riassumono il duplice significato che la musica ha rivestito nella tradizione culturale occidentale e convivono nell’opera kepleriana:234
232 toloMEo 2002, p. 99.
233 Sullo status della disciplina armonica ai tempi di Keplero si veda kASSlER 1982, il quale spiega
che la scienza armonica rinascimentale era divisa in un parte “speculativa”, o matematica, che consiste- va nello studio della teoria delle proporzioni come era stata codificata da Euclide negli Elementi, nonché lo studio delle quantità commensurabili e incommensurabili e la teoria dei medi proporzionali; e in una parte “pratica”, o musicale, che consisteva nell’applicazione della parte matematica nella teoria musica- le e nel temperamento, nella costruzione degli strumenti e nella composizione. Cfr. kASSlER 1982, pp.
110-112.
Sebbene i due concetti, l’uno di ambito più ampio e filosofico, l’altro più ristretto e tecnico, convivano e si intreccino all’interno dell’Harmonice mundi, la scelta di inserire quest’ultimo ter- mine nel titolo della propria opera sull’armonia del mondo denota il carattere specificatamen- te musicale che l’astronomo vuole imprimere alla propria visione del cosmo.235
Non è dunque un caso che il libro sull’arte dei suoni occupi la posizione centrale all’interno dei cinque libri dell’Harmonice. Keplero parla di questa scelta in particolare in due passi dell’o- pera.236
Nel Praeambulum al Libro III Keplero spiega che il «metodo naturale» richiederebbe, dopo aver parlato nei primi due libri geometrici dei gradi di conoscenza delle figure piane regolari, e delle relative congruenze, di illustrare innanzitutto le proporzioni derivate dall’inscrizione delle figure regolari in un cerchio; in seguito, di passare alle proporzioni armoniche presenti nelle «opere del mondo», ossia quelle stabilite da Dio nei movimenti dei pianeti e dalla Natura nei raggi degli astri dello zodiaco; e infine, di occuparsi dell’arte della «musica humana», imi- tazione di quella celeste. Ma poiché
è in realtà difficile astrarre mentalmente dalle voci e dai suoni musicali le differenze, i generi e i modi delle proporzioni armoniche, non avendo a disposizione altre parole, necessarie per tale spiegazione, che quelle musicali, toccherà perciò a noi congiungere in questo libro il terzo argomento col quinto e ultimo; e dovremo soffermarci non solo sulle proporzioni armoniche