Si è visto che la connessione tra le figure regolari e le proporzioni armoniche, ispirata al metodo utilizzato da Tolomeo per individuare gli aspetti, era stata già concepita da Keplero inizialmente in quelle prime lettere dell’estate del 1599. Già nelle prime righe dell’Introduzio- ne al Libro I Keplero ribadisce che la causa delle proporzioni armoniche è indubitabilmen- te geometrica: «dobbiamo ricercare le cause delle proporzioni armoniche nelle divisioni del cerchio in parti aliquote e uguali, che sono fatte geometricamente e scientificamente, ossia dalle figure piane regolari dimostrabili».143 E poiché Keplero assoda che non solo tra gli an-
facoltà motrici sono un cerchio (KGW, VI, p. 246)». 140 KGW, I, p. 23.
141 Il tema centrale dell’opera, come nota lo stesso Keplero, non sono esattamente le proporzioni armoniche, quanto, più propriamente, i rapporti armonici. Keplero spiega cosa intende con “propor- zione” relativamente tardi nel corso dell’opera, solamente dopo la fine del terzo libro, nella sezione intermedia tra il terzo e il quarto libro, intitolata “Digressione politica sulle tre medie proporzionali”: l’astronomo fa infatti notare che spesso «ciò che i Greci chiamano λόγος viene tradotto in latino con “ratio”, e ciò che i Greci chiamano ἀναλογία viene invece indicato col termine “Proportio”. Io senza dubbio vorrei poter imitare quest’uso, così come ricordo di aver fatto finora; ma λόγος non è mai usato dai Greci, nel linguaggio comune, al posto della parola αίτιον, mentre invece in latino “ratio” molto spesso significa “causa”, o “misura”. Occorre dunque mantenere l’uso introdotto dai barbari interpreti degli Elementi greci, e adottare la parola “proporzione” tanto per “λόγος” quanto per “ἀναλογία”, cosa che ho fatto frequentemente in tutto questo libro (KGW, VI, p. 193)». A causa dei «barbari interpreti degli Elementi» euclidei, col termine proportio si è infatti spesso tradotto sia λόγος che ἀναλογία, i quali come abbiamo visto hanno un significato ben differente; Keplero, che per studiare Euclide si era rivolto direttamente alla fonte greca, si accorge di questo problema e scegli anche lui, per evitare incompren- sione, di utilizzare il termine “proporzione” per indicare entrambi i termini greci.
142 Si veda anche GozzA 1994.
tichi (fatta eccezione per Euclide e Proclo), ma anche tra i moderni vi è completa ignoranza sulle «differentias rerum Geometricarum»,144 è costretto a cominciare la propria opera dagli
argomenti di questa disciplina. E se Proclo avesse continuato la sua opera di commento agli
Elementi euclidei, prosegue Keplero, includendo anche il Libro X, che tratta delle quantità
incommensurabili, non solo avrebbe sollevato l’astronomo dal compito di illustrare queste ultime nel Libro I dell’Harmonice – poiché di quantità incommensurabili si tratta se si studiano i rapporti tra le figure piane e il cerchio, ossia, in ultima analisi, tra il “curvo” e il “retto” di cusaniana memoria – ma avrebbe senza dubbio liberato i geometri dall’ignoranza. Non a caso l’Introduzione è preceduta proprio da una citazione di Proclo dal Commento ad Euclide, in cui viene evidenziato non solo il fondamento matematico della simmetria del cosmo, ma anche la sua importanza come strumento di conoscenza del mondo: «la scienza matematica raggiunge i più grandi risultati nella scienza della natura, mettendo in evidenza il buon ordi- namento dei rapporti, secondo i quali l’universo è stato costruito, e la proporzione che collega tutte le cose esistenti nel cosmo»,145 esattamente come, prosegue Proclo, «dice il Timeo in un
luogo».146 E se quest’ultimo, continua Keplero, avesse completato quel lavoro di commento
euclideo, i geometri saprebbero che le entità matematiche stanno alla base di ogni ente, e che ogni cosa è generata da esse, sia il finito che l’infinito, riconoscendo il limitato e l’illimitato rispettivamente nella forma e nella materia tra le cose geometriche. Se si studiasse l’opera pro- cliana, inoltre, si saprebbe che le quantità hanno come proprietà la figuratio e la proportio, l’essere figurato e l’essere proporzionato: il primo riguarda le proprietà individualmente, il secondo la combinazione di esse. La figura è inoltre compresa in dei limiti, così come i punti sono i limiti delle linee, queste ultime lo sono per le figure piane e queste ultime lo sono ancora per i solidi. E solamente questo tipo di quantità, quelle finite, «possono essere comprese dalla mente», possono essere racchiuse e delimitate da essa; al contrario «ciò che è infinito e indeterminato, proprio perché tale, non può essere compreso in alcun limite di conoscenza, che si ottiene tra- mite definizioni, e di dimostrazione». Platonicamente, infatti, le figure sono ontologicamente precedenti alla loro realizzazione sensibile, esse sono prima nella mente divina e poi nelle cose create.147 Esse, naturalmente, sono diverse per ciò che riguarda il soggetto, ma son le stesse per
ciò riguarda la forma della loro essenza: «dunque nelle quantità la figura diventa una sorta di essenza mentale di esse, o l’intellezione è la loro differenza essenziale». E questo è ancora più chiaro se prendiamo in esame le proporzioni, poiché «essendo la figura compresa tra vari limiti, appare chiaro che a causa di questa pluralità la figura partecipa delle proporzioni». Su un punto Keplero è particolarmente deciso, ossia che «non è possibile comprendere in nessun modo cosa sia un proporzione senza l’azione della mente».148 Ad ogni modo, c’è poco da fare,
questi pochi principi non bastano, «è necessario leggere tutto il libro di Proclo». Ma la dottri- na procliana, si lamenta Keplero, sembra purtroppo ancora ostica per i suoi contemporanei.
144 Ibidem.
145 PRoClo 1978, p. 41.
146 Timeo, 32c, 88e. 147 KGW, VI, p.15. 148 Ivi, p. 16.
Un esempio è Pietro Ramo,149 che giunto al cuore della filosofia di Proclo, la rigetta – poiché
non la comprende – assieme al X Libro degli Elementi euclidei. Ma anche matematici come Lazarus Schöner150 e Snell151 dimostrano di non aver compreso gli insegnamenti euclidei del
decimo libro, nel quale le figure regolari vengono investigate come archetipi e costituiscono un passaggio fondamentale per arrivare, nell’ultimo libro, alla dimostrazione dei cinque solidi platonici, vero scopo degli Elementi secondo Keplero. Per questi motivi l’astronomo decide di «trascrivere dal decimo libro di Euclide quello che interessava principalmente il presente intento; di portare inoltre alla luce la serie di pensieri di quel libro, inserendo il riferimento per alcune definizioni; e di indicare le cause per le quali certe parti delle definizioni sono state omesse da Euclide. Poi, infine avrei dovuto occuparmi delle figure stesse».152
Ad ogni modo ciò che troviamo nel Libro I dell’Harmonice, suddiviso in assiomi e definizioni sull’esempio euclideo, è qualcosa di differente rispetto a un semplice commento del Libro X degli Elementi. Keplero si concentra sui rapporti tra il lato di un poligono regolare e il diametro del cerchio in cui è inscritto, mentre Euclide si occupa nel Libro X della classificazione dei vari tipi di irrazionali;153 inoltre Keplero, come egli stesso ammette, non entra troppo nei dettagli
geometrici e matematici, occupandosi più dei concetti e delle questioni che gli stanno a cuore, poiché in quest’ambito non sta occupando il ruolo «del geometra in filosofia, ma piuttosto del filosofo in questa parte della geometria».154 Chi comunque dovesse ritenersi completamente a
disagio con le questioni matematiche, avvisa Keplero, può direttamente saltare alla parte che va dalla Proposizione XXX in poi; ma non devono comunque farsi spaventare dalle materie geometriche poiché esse sono di grandissima importanza per lo studio dell’armonia.155
Nel Libro I, dunque, incentrato sulle “dimostrazioni delle figure regolari”, Keplero utilizza i risultati di Euclide illustrati nel Libro X, in cui viene proposta una classificazione delle linee di una certa grandezza che siano commensurabili o no con qualche altra grandezza data, e li riorganizza, in un modo del tutto originale, in modo tale che possano essere utilizzati per una classificazione dei poligoni regolari in funzione della commensurabilità dei loro lati con il diametro del cerchio in cui sono iscritti.156
La prima parte del Libro I dell’Harmonice mundi, come anticipato da Keplero, è formata da definizioni e proposizioni preliminari che porteranno alle conclusioni affidate alle proposizioni delle sezioni XXX - XLIX. Le prime sezioni riguardano le definizioni delle figure piane rego-
149 Ibidem. Pierre de la Ramée (latinizzato in Petrus Ramus e italianizzato in Pietro Ramo; 1515- 1572), filosofo francese autore Scholarum mathematicarum libri unus et triginta (Parigi, 1570) citato da Keple- ro.
150 Ivi, p. 17. Allievo di Ramo, di cui curò la seconda edizione dell’Arithmeticae Libri duo; Geometriae septem et viginti (Frankfurt, 1599).
151 Ivi, p. 18. Willebrord Snell (1580-1626), matematico e astronomo olandese. 152 Ivi, p. 19.
153 Cfr. FIElD 1988, p. 101.
154 KGW, VI, p. 20. 155 Ibidem.
156 Cfr. FIElD 1988, p. 101-102. In alcune proposizioni degli Elementi, fa notare la Field, soprattut-
lari e delle loro derivazioni, ottenute tramite il prolungamento dei loro lati, che son chiamate stelle.
Tutte le figure regolari possono essere iscritte in un cerchio con tutti i loro angoli. “Descri- vere” una figura, spiega la definizione della sezione V, significa «determinare con un atto geo- metrico la proporzione delle linee sottese dagli angoli con le linee attorno all’angolo e, da quel che si è determinato, costruire i triangoli elementari della figura, e mettere insieme i triangoli per completare la figura».157 “Inscrivere” una figura significa invece «determinare, con un atto
geometrico, la proporzione tra il lato della figura e il diametro del cerchio in cui è da inscrivere, e una volta stabilita questa proporzione, è facilmente possibile delineare la figura preposta nel cerchio».158 Subito dopo Keplero propone il concetto di “conoscenza”, sulla base del quale
potrà elaborare le sue diverse classi di grandezza: «Conoscere in geometria significa misurare tramite una misura nota, la quale misura nota in questo caso, l’inscrizione delle figure in un cerchio, è il diametro del cerchio».159 In pratica, le quantità a cui si fa riferimento sono quantità
che possono essere costruite con riga e compasso. Di conseguenza, «vien detto conoscibile ciò che o è immediatamente misurabile tramite il diametro, se è una linea, o tramite il suo qua- drato, se una superficie; oppure ciò che è formato al minimo da quantità tali che, secondo un rapporto certo e geometrico, e per una serie di passaggi più o meno lunga, tuttavia dipendano infine dal diametro, o dal suo quadrato. In greco è detto γνώριμον».160
La definizione della sezione IX spiega invece che «la dimostrazione di una quantità che debba essere descritta o conosciuta è la sua deduzione dal diametro, tramite i possibili inter- medi, in greco πόριμα».161 Il concetto di “dimostrazione”, che si rivelerà fondamentale per la
classificazione dei poligoni regolari, è declinato da Keplero in due specie: la dimostrazione propria, che si ha quando «il numero o degli angoli della figura stessa, o della figura relativa ad essa avendo raddoppiato o dimezzato il numero dei suoi lati, costituisce il termine medio per determinare la proporzione tra il lato e il diametro»;162 e la dimostrazione impropria,
quando «la proporzione tra il lato e il diametro non può essere determinata immediatamente e geometricamente a partire dal numero degli angoli, a meno che non sia utilizzato il lato di un’altra figura, e che questa non abbia il numero dei lati che sia il doppio o la metà di quella originale».163
Le sezioni che vanno dalla XII alla XXIX contengono le definizioni delle classi delle gran- dezze, stabilite secondo il livello di complessità di costruzione e di rapporto del proprio lato con il diametro. Keplero li chiama “gradi di conoscenza”. Il primo grado di conoscenza si ha quando la grandezza è uguale alla misura nota, ossia, nel caso presente, quando «conosco una linea e posso dimostrare che essa sia uguale al diametro, oppure che un piano, che può essere
157 KGW, VI, p. 21. 158 Ibidem. 159 Ibidem. 160 Ivi, pp. 21-22. 161 Ivi, p. 22. 162 Ibidem. 163 Ibidem.
formato in un altro modo, sia uguale al quadrato del diametro».164 Subito meno immediato
è il secondo grado di conoscenza, che comprende quantità che nella matematica moderna sarebbero definite “razionali”. Esso si ha quando la linea o l’area è uguale a un certo numero di parti del diametro o del suo quadrato: tale linea è detta “esprimibile in lunghezza”, e l’area “esprimibile”.165 Il terzo grado di conoscenza si ha quando la linea è inesprimibile in lunghez-
za ma il suo quadrato è esprimibile. Una linea del genere è chiamata “esprimibile nel qua- drato”. Tutti i gradi di conoscenza restanti si riferiscono a quantità “inesprimibili”. In queste sezioni, fino alla XXIX, Keplero si occupa delle quantità irrazionali rielaborando i concetti già esposti da Euclide.
Nella seconda parte del Libro I (sezioni XXX - XLIX) Keplero identifica i poligoni regolari dimostrabili e li ordina secondo i gradi di conoscenza dei loro lati e delle loro aree. Il primo esempio coinvolge il quadrato: «Il lato del tetragono ha descrizione geometrica usando gli angoli all’esterno, nel cerchio, e se è inscritto in un cerchio il lato appartiene al terzo grado di conoscenza, e il suo quadrato al secondo, come anche l’area della figura».166 Seguono gli esami
dell’ottagono e della sua stella, derivati dalla figura del quadrato, e poi del diametro (inclusio- ne caratteristica di Keplero), dell’esadecagono, del triangolo, dell’esagono, del dodecagono e della sua stella, del tetraicosagono (24 lati) e delle figure da essa derivate, del decagono e della sua stella, del pentagono e della sua stella, dell’icosagono, del pentadecagono e della sua stel- la. Confrontato con l’esame dei poligoni regolari presente nel Libro IV degli Elementi, che si limitava al triangolo, al quadrato, al pentagono, all’esagono e al pentadecagono, l’indagine di Keplero appare decisamente più inclusiva. Lo stesso metodo è applicato per dimostrare che non possono essere iscritti in un cerchio, tramite riga e compasso, altri poligoni regolari, come ad esempio l’ettagono regolare.167 Le ultime sezioni (XLVIII – XLIX) riassumono dunque i
risultati così ottenuti e individuano le classi di appartenenza dei poligoni regolari, ordinando questi ultimi secondo il loro grado di conoscenza. Si conclude quindi che «le classi di figure conoscibili non sono più di quattro: tre di figure che hanno dimostrazioni proprie».168 Nella
prima classe, che viene subito dopo il diametro per grado di perfezione, troviamo il tetragono, «il cui numero caratteristico è il 2; nella seconda il trigono, il cui numero è il 3; nella terza il pentagono, col numero 5». Vi è poi una classe di figura con dimostrazioni improprie, «il cui numero caratteristico è il prodotto di due fattori, 3 e 5, ossia 15. La prima figura di questa classe è il pentadecagono». L’ultima sezione (L, “Confronto delle figure o delle divisioni del cerchio”) elenca dunque i poligoni regolari secondo il loro grado di conoscenza: «Per primo viene il diametro, essendo esprimibile in lunghezza. Secondo è il lato dell’esagono, eguale al semidiametro, e dunque esprimibile in lunghezza. Al terzo posto ci sono il tetragono e il trigo- no, poiché hanno lati esprimibili solo in potenza. Al quarto vi sono i lati del dodecagono e del
164 Ibidem.
165 Ibidem. Cfr. FIElD 1988, p. 102. I termini sono direttamente mutuati da Euclide. Keplero tra-
duce letteralmente l’aggettivo euclideo ῥητη con effabilis (esprimibile). 166 KGW, VI, p. 36. Cfr. FIElD 1988, p. 103.
167 Cfr. FIElD 1988, p. 104.
decagono e le relative stelle […]. Al quinto posto vi sono i lati del pentagono e la sua stella, così come i lati dell’ottagono e la sua stella».169 Oltre alle proprietà di questi lati, vi è poi un altro
indicatore «di nobiltà», quello che distingue la perfezione dell’area racchiusa dalle figure. In questo caso, dopo il diametro, che divide l’area del cerchio in due parti uguali, troviamo per primi il tetragono e il dodecagono, e subito dopo il trigono, l’esagono e l’ottagono.
Vi è poi un’altra proprietà utile per classificare i poligoni regolari, ossia quella della loro congruenza, che è indagata da Keplero nel Libro II dell’Harmonice mundi. Se infatti finora si è discusso della «natura essenziale delle singole figure regolari»,170 quello che segue concerne
una proprietà che le figure dimostrano quando son combinate tra loro, ossia la capacità di un poligono regolare, sia da solo che assieme ad altre poligoni, di tessellare un piano, ossia di ricoprirlo attraverso ripetizioni della figura senza sovrapposizioni, o di formare figure solide. Keplero, come si è detto, è il primo autore che si occupa in maniera sistematica di questo aspetto geometrico e il suo interesse per questo argomento, risalente all’estate del 1599, è erede della costruzione platonica dei solidi illustrata nel Timeo.
Keplero descrive tre tipi di congruenza: il primo relativo al piano, il secondo allo spazio, mentre il terzo concerne la capacità dei solidi di riempire lo spazio attorno a un unico punto. Solo il cubo e il dodecaedro rombico presentano però quest’ultima qualità.
Anche qui, come nel Libro I, Keplero individua per ogni tipo di congruenza dei gradi di perfezione: il grado di congruenza perfetto si ha quando gli angoli della figura si incontrano in ogni punto in modo tale che lo schema possa essere ripetuto all’infinito; ed è ancora più perfetta se le figure sono dello stesso tipo. Anche la congruenza nello spazio è di grado perfet- tissimo quando le figure sono dello stesso genere: in questo caso, la congruenza genera i solidi più perfetti che possano esistere, ossia i cinque solidi platonici, ai quali Keplero aggiunge due poliedri regolari da lui stessi scoperti.171 Una congruenza meno perfetta si ha invece quando
tutti gli angoli delle figure toccano la stessa superficie sferica, e le figure sono però di tipo di- verso. In questo caso hanno invece origine i tredici solidi archimedei: la sezione in cui è inserita la loro dimostrazione è di particolare rilevanza storica perché Keplero è il primo matematico a provare che ci sono esattamente tredici solidi di questo tipo e il primo a descriverne sistema- ticamente la loro struttura.172
Come nel Libro I, anche alla fine del II Keplero classifica i poligoni regolari, stavolta secon- do il loro grado di congruenza. Ad esempio il triangolo e il quadrato appartengono al primo grado perché danno vita a congruenze sia nel piano che nello spazio, ed entrambi sia da soli che in combinazione con altre figure.
L’ordine stabilito dai gradi di congruenza non coincide però con quello stabilito dai gradi di conoscenza del Libro I. La “dimostrabilità” si riferisce infatti a un singolo poligono, men- tre la congruenza considera la combinazione tra più poligoni; inoltre, il numero dei poligoni
169 Ivi, p. 63. 170 Ivi, p. 67.
171 Su questi poliedri si veda FIElD 1979.
regolari dimostrabili è infinito, mentre il numero di poligoni che presentano la proprietà della congruenza si limita a otto figure fondamentali e a quattro stelle. Tutti i poligoni congruenti sono comunque anche dimostrabili.
Keplero si sofferma particolarmente nell’evidenziare le differenze tra queste due classifica- zioni perché esse avranno un ruolo ben distinto come cause delle armonie dei libri che segui- ranno. Come vedremo, infatti, Keplero sarà attento nell’individuare due diverse spiegazioni per le armonie musicali da una parte e le armonie degli aspetti astrologici dall’altra: se infatti le prime hanno la loro origine nelle figure regolari dimostrabili del Libro I, dalle quali attingono a loro volta i propri gradi di perfezione, le seconde sono invece originate dall’ordine di con- gruenza dei poligoni illustrato nel Libro II. In questo Keplero si differenzia volontariamente da Tolomeo, che negli Harmonica aveva invece spiegato le armonie astrologiche tramite quelle musicali.173