In che modo l’uomo percepisce le armonie sonore? Che rapporto vi è tra questa percezione sensoriale e «quell’incredibile piacere che, grazie alle consonanze armoniche, percepiamo così profondamente, fin nel più intimo del nostro animo»? In che modo, in sostanza, la musica influisce sull’animo umano? A questi interrogativi Keplero dedica più di un passo sia nel Libro IV, nel quale la percezione delle consonanze è parte integrande della gnoseologia armonica esposta nei primi quattro capitoli, che nei capitoli XIII, XIV e XV del Libro III, in cui vengo- no illustrati gli effetti della melodia e dei modi sull’animo umano.
Tutte le parti del canto su descritte, infatti, nonché i modi e le tecniche di composizione adoperate dai musici, non hanno nessun altro fine se non quello di procurare piacere in chi ascolta. E nonostante questo diletto possa sembrare «una forma di passività, anche se dolce e suadente, per cui anche i filosofi, per questo patire, dicono “simpatia” degli animi col canto», esso è in realtà «un’attività dell’anima, che, per un movimento naturale, agisce su sé stessa, eccitandosi; e a ciò è portata non per un atto deliberativo, o volontario, ma per istinto natu- rale».354 Nel fare questo l’anima sfrutta, come abbiamo visto nel Libro IV, le proprie energeticas facultates.
Come la facoltà armonica discorsiva, anche quella costituita dalle energeticas facultates, ossia quella operativa, è suddivisa in due specie:
- la prima agisce in sé stessa ed più simile a un qualcosa di passivo. Per questo appartiene alla parte inferiore dell’anima, ed è sottoposta alle forze della Natura.
- la seconda agisce invece nelle cose ad essa esterne, e senza dubbio ha a che fare con l’agire. Riguarda quindi la parte superiore dell’anima, e dipende dalla volontà dell’uomo.
Delle due specie è la prima quella che permette all’anima di godere delle armonie sonore, in quanto questa specie di facoltà «è davvero efficace per il movimento dell’alterazione che procura al suo corpo, in modo tale da essere completamente sottomessa alla facoltà vitale».355
Infatti, seguendo Proclo, i paradigmi degli enti matematici, nonché dunque di quelli armonici,
354 KGW, VI, p. 228. 355 Ibidem.
risiedono nella mente intellettivamente (νοερῶς) e nell’anima, invece, vitalmente (ζωτικῶς). E allo stesso modo, dunque, risiederanno sonoramente nella facoltà dell’udito. Ma non certo i «paradigmi puri interni», precisa Keplero, quando piuttosto le loro immagini (icones), le loro rappresentazioni ricavate dall’esterno.
E certamente l’uomo, spiega l’astronomo, non si ferma alla semplice percezione sonora, poiché «il fatto che non solo proviamo piacere per l’armonia del canto, ma vi adattiamo anche il movimento delle dita, della bocca, dei piedi e del corpo, ciò è garantito dalla facoltà anima- le, unita alla volontà». L’uomo è infatti capace di adoperare assieme le due facultas energeticas: quando «adattiamo anche la voce alle armonie intellegibili, meditando un canto armonioso mai udito prima, allora utilizziamo tutte le facoltà, superiori e inferiori: le superiori, in quanto ci serviamo dell’atto volitivo e di quello deliberativo; le inferiori, invece, perché siamo capaci, anche senza la conoscenza delle proporzioni, di esprimere col canto le sole idee degli intervalli, impiantate dalla natura, escludendo ogni intervallo ecmele, e muovendosi solamente tra quelli emmeli».356
Questo perché, a differenza dei suoni prodotti dai movimenti degli astri, che presentano continui accrescimenti e decrementi di quantità, mantenendo anche intervalli ecmeli, assieme a quelli emmeli e consonanti, nel canto umano, invece, eliminati tutti i suoni ecmeli, possono essere mantenuti solamente quelli consonanti e gli emmeli. La gola umana è infatti più adatta ai suoni articolati piuttosto che a continui e intensi accrescimenti come accade negli strumenti, nelle corde o nei movimenti planetari. Inoltre questi ultimi hanno tutto un altro compito da adempiere rispetto al canto umano, e per essi «il temperamento armonico è solamente acces- sorio»; il canto, invece – o la musica – «non ha nient’altro a cui rivolgersi se non le armonie, nient’altro da ricercare: l’unico fine cui tende è procurare piacere».357 Grazie all’abile strumen-
to di cui è stato dotato, la gola, l’uomo può dunque trovare piacere nell’esprimere quelle che sono «le proporzioni più perfette», ossia quelle tra i suoni: questo perché «ogni essere vivente ha in suo potere soprattutto i suoni, giacché modellati al suo interno, emessi dal suo stesso dia- framma, e a totale disposizione di ogni volere della mente e di ogni moto del cuore».358
Vi è poi un altro motivo per cui la natura dell’uomo è particolarmente incline alle propor- zioni armoniche dei suoni.
Come si è visto nel Libro IV, le armonie risultano più evidenti, considerata una grandezza, se essa è attraversata da un movimento, poiché «col succedersi dei movimenti le proporzioni armoniche si enucleano da quelle disarmoniche e, separate dalla mescolanza con esse, vengo- no poste in luce quasi pure, offrendosi per essere comprese dai sensi».359 Il «soggetto genuino»
di una proporzione armonica deve essere dunque un corpo che abbia una grandezza, ossia che in essa vi sia una lunghezza, e che in essa vi siano almeno due punti, se è una circonferenza, e tre, se è una retta, che la percorrano con un movimento, diventando i termini delle parti tra cui vi è una proporzione. Ci sono però dei casi in cui a muoversi non sono solamente i punti
356 Ibidem.
357 KGW, VI, p. 231. 358 KGW, VI, p. 232. 359 Ibidem.
che delimitano la grandezza, ma anche le parti in cui è stata tagliata: in questo modo son posti in relazione non i corpi ma piuttosto i movimenti dei corpi (in realtà «le specie dei movimenti in- corporati, o dei corpi costituitisi nel movimento»), che dipendono dalla lunghezza e ampiezza non, si badi, temporale, ma corporale. Il corpo, dunque, e la sua figura, influenza qualitativa- mente il movimento e, dunque, il suono, in quanto specie emessa dal corpo.
Il corpo della gola umana, e la figura della sua conformazione, si comporta proprio allo stesso modo, con i suoi continui restringimenti e allungamenti, emanando la specie che giunge fino all’udito, e portando «la sensazione (della trachea stessa, così come è costituita nel mo- vimento) all’anima senziente». Alla base di questa spiegazione vi è certamente la teoria delle specie già incontrata lungo il Libro IV, teoria che Keplero aveva già spiegato più accuratamen- te nella Dioptrice: qui l’astronomo aveva spiegato che le specie, ossia le immagini o forme, delle cose sensibili sono recepite dagli organi di senso e, attraverso gli spiriti (i pneuma delle arterie) interni all’uomo, sono trasportate fino al senso comune, che ha sede nel cervello. E poiché sentire col senso comune significa «fruire delle specie delle parti del corpo, così come sono influenzate, e per così dire, formate dai diversi movimenti», è dunque attraverso questo senso che l’uomo, «per la frequente sensazione della sua rozza trachea determinata dal movimento, assorbe una certa idea della conformazione dei corpi che in qualche modo risuonano», e così facendo individua e riconosce i corpi attorno a lui che muovendosi emettono dei suoni, ponen- doli a confronto secondo le leggi delle proporzioni armoniche.
Nell’esperienza musicale l’anima dell’uomo gioca dunque un ruolo eminentemente attivo: è solo la capacità dell’anima di relazionare i dati sensibili, una volta recepiti attraverso gli organi di senso, che permette all’uomo di rilevare nel mondo le armonie sensibili, copie di quelle archetipali. Ma poiché l’uomo patisce gli oggetti sonori, essi, «per un segreto ma evidente com- mercio con le facoltà dell’anima»,360 influenzano e modificano l’animo umano, che riceve al
suo interno le armonie, trasferendole in vari affetti.
E come è possibile muovere gli affetti nell’animo di chi ascolta, cosa per cui «sono state predisposte tutte le parti del canto armoniose e naturali?» Nel rispondere a questo quesito Ke- plero si unisce a quella schiera di teorici – e compositori – che a partire dalla prima metà del XVI secolo si occuparono delle questioni riguardanti la capacità della musica di muovere gli affetti nell’ascoltatore, stimolate dal recupero degli umanisti della retorica classica e dal mito dei “prodigiosi effetti della musica”. Gli scritti di Keplero a riguardo, influenzati dalle opere di Calvisio, Glareano, e specialmente Galilei padre, si inseriscono in quell’insieme di teorie sugli affetti elaborate tra il XVI e il XVII secolo che precedono i pensieri a riguardo di Descartes, Mersenne, Kircher e soprattutto Mattheson, ossia coloro che contribuiranno in maniera inci- siva alla costruzione di una Affektenlhre, di una teoria coerente degli affetti.361
Nel Capitolo XV, intitolato «Quali modi o toni siano utili per quali affetti», Keplero costru- isce il suo discorso attorno ad alcuni punti fondamentali che determinano quali affetti possano produrre non soltanto ognuno dei modi a cui fa riferimento il titolo del capitolo, ma anche le
360 KGW, VI, p. 236.
parti e i generi del canto già descritti dall’astronomo.
Innanzitutto bisogna tener conto del carattere che contraddistingue ognuna delle parti del canto, suggerito dai loro stessi nomi greci. Una di esse in particolare, l’agoge, ha effetto diverso a seconda della sua direzione, se verso il basso o verso l’alto, e ha grande forza se utilizzata nei salti d’intervallo. Sempre per ciò che riguarda il canto in generale ha poi importanza l’ampiez- za dell’intervallo che esso ricopre nell’intera composizione.
Ma ciò su cui Keplero si sofferma maggiormente è l’importanza del semitono nel distingue- re sia i generi che i modi. Come si è visto, infatti, è la posizione del semitono nel tetracordo in- feriore del sistema dà luogo a due terze diverse, quella molle e quella dura, ognuna delle quali è l’origine dei due diversi generi di canto. La differenza di semitono tra le due terze è anche all’origine della forte polarità che Keplero attribuisce ai due generi e che finora era rimasta solamente implicita. Il genere molle è infatti adatto per l’astronomo per esprimere le passioni femminili, il duro per le azioni maschili, «così come la femmina è stata fatta soprattutto per essere passiva, il maschio per essere attivo, specialmente nell’atto della riproduzione».362
L’opposizione sessuale dei due generi, probabilmente ispiratagli dalle analogie sessuali pre- senti nel Monochordum di Reinhard,363 ha anch’essa, per Keplero, spiegazione geometrica: le
due terze infatti – la terza dura direttamente, la terza molle indirettamente – hanno entrambe origine dal pentagono, figura relazionata da Keplero alla proporzione aurea.364 Tale propor-
zione è per egli strettamente affine all’idea della generazione: una generazione di tipo mate- matico che dà vita a una serie di coppie di figure composte da numeri, ognuna delle quali è composta da un termine maschile e da uno femminile poiché risultano complete solamente dalla loro unione.365
362 KGW, VI, p. 175.
363 Keplero racconta che le analogie e i simboli sessuali gli sono stati in parte suggerite da quest’o- pera di Reinhard, che ne contiene alcune (KGW, XVI, p. 154 sgg.), tenendoci a precisare di essere consapevole che si tratta comunque di semplici similitudini: «gioco coi simboli sapendo che sto giocan- do. Poiché niente è provato dai simboli, niente di ciò che è nascosto può essere trovato nella filosofia naturale mediante simboli geometrici, solo le cose già note sono adattate ad essi; a meno che con ragioni certe non sia dimostrato che essi non sono semplici simboli ma descrizioni dei modi in cui le due cose son connesse e delle cause di questa connessione (KGW, XVI, p.158, cit. in WAlkER 1978, p. 55)».
364 Cfr. WAlkER 1978, pp. 50-53; DICkREItER 1983, pp. 168-169; uRREIztIEtA 2013, pp. 110-111.
365 È la cosiddetta “generazione gnomonica”, attraverso la quale i Pitagorici davano origine alla serie dei numeri pari o dispari mediante la squadra a due branche uguali detta appunto gnomone; cfr. CAPPAREllI 2003, pp. 465-472. L’idea della generazione, spesso applicata agli enti matematici, e spesso
in termini sessuali, la ritroviamo più volte lungo tutto l’Harmonice mundi: si veda ad es. KGW, VI, p. 135 (terze maggiori e minori), p. 292 (cubo e dodecaedro maschili, ottaedro e icosaedro femminili), pp. 326- 7 (terra maschile, Venere femminile), etc.; cfr. WAlkER 1978, p. 53.
(KGW, VI, p. 175)
Ammirate le qualità generative della proporzione “divina”, non ci si deve dunque mera- vigliare, spiega Keplero, «se anche la prole del pentagono, la terza dura o 4:5 e quella molle 5:6, muova gli animi, immagini di Dio, ad affetti paragonabili all’atto della riproduzione».366
E una volta stabilito che l’unione delle due terze rappresenta l’unione di maschile e femminile, è facile dunque assegnare ad esse, e ai rispettivi generi, i rispettivi caratteri sessuali. Ed in ciò ci aiuta ancora il semitono, intervallo che per la sua piccolezza invita sempre a essere superato nel canto: per questo la terza minore, che contiene il semitono, è fatta per essere superata e per essere passiva, come una gallina stesa al suolo «pronta a essere coperta dal gallo», mentre la terza dura, che manca del semitono, è attiva, piena di impeto, e dunque maschile.
La disposizione del semitono è inoltre importante nella caratterizzazione affettiva dei modi. Se il semitono è infatti situato nella posizione più alta del tetracordo inferiore, ossia dopo il tono maggiore e il tono minore, la serie degli intervalli sarà allora naturale, e gli affetti prodotti dai modi con questa disposizione non potranno che essere di letizia e di ardore. Affetti opposti si avranno invece quando l’ordine è rovesciato, con il semitono nella posizione più bassa, mentre otterremo sentimenti di mitezza e tranquillità quando il semitono è in posizione intermedia.
Nella determinazione degli affetti sono poi importanti i gradi che compongono lo scheletro d’ottava di ciascun modo: innanzitutto, la loro essenza, vale a dire il grado di consonanza, per- fetta o imperfetta, che ciascuna di esse ottiene in relazione con la radice di ciascun modo; e in secondo luogo, la loro disposizione nei modi in rapporto all’intero sistema musicale.
Con queste indicazioni si completa il quadro piuttosto complesso entro cui Keplero disegna la propria teoria degli affetti, entro la quale risulta impossibile concepire il tradizionale stere- otipo dell’assegnazione di un unico, o di pochi, particolari affetti per ciascun modo. In questa esposizione articolata è comunque possibile intravedere l’importanza preminente di due parti- colari aspetti: i due generi di canto, che si rivelano essere superiori ai modi in quanto primo cri- terio di caratterizzazione; e la sequenza degli intervalli emmeli all’interno della specie d’ottava. Ad ogni modo, lo stesso Keplero è consapevole che è possibile «esprimere tutti gli affetti indistintamente in ogni tono»367 e che un’indagine sugli effetti della musica sull’uomo è «varia
366 KGW, VI, p. 176. 367 Ivi, p. 179.
e complicata, talmente tanto da essere quasi infinita».368 Tuttavia, seppure tentato da lasciare
quest’impresa ai pratici, «che senza insegnamenti, guidati solamente dalla natura, diventano sovente autori di meravigliose melodie»,369 l’astronomo ha tentato di approfondire, da teorico
e filosofo, le cause della musica anche in questo aspetto.
Da pratico, o da compositore, invece, come egli stesso ammette più volte, le possibilità di Keplero per ciò che riguarda la musica son piuttosto limitate, non ritenendosi tale.370 Lo di-
mostra il Capitolo XVI, l’ultimo, le cui considerazioni riguardano più che altro la polifonia, ossia «il concento di più voci con il costante mutamento delle armonie», invenzione dei musici moderni. Le indicazioni rimangono però piuttosto generiche, limitandosi a osservazioni sulla natura e sulle proprietà delle quattro voci principali che compongono il movimento armonico (Discanto, Alto, Tenore, Basso), sull’importanza degli intervalli emmeli nel formare le disso- nanze, «principale condimento del canto melodico», sulle sincopi e le clausole, e sul divieto di cantare in successione quarte e quinte.
Ciò che interessa Keplero per quanto riguarda le regole della composizione, e più in gene- rale, la musica practica, può infatti limitarsi a queste poche informazioni, tratte per lo più dalla
Seconda parte dell’Arte del contraponto (Venezia, 1589) di Giovanni Maria Artusi, e dai Melopoeia seu melodiae condendae ratio (Erfurt, 1592) e Compendium musicae pro incipientibus (Leipzig, 1594) di
Seth Calvisius. Immaginiamo però, che se avesse avuto maggiori conoscenze a riguardo, se si fosse considerato più a suo agio con la musica practica, Keplero avrebbe sicuramente celebrato in maniera più estesa l’invenzione dei moderni della polifonia, la cui importanza è sottolineata dall’astronomo in più passi dell’Harmonice mundi in modo assai più insistente rispetto ai suoi contemporanei; anche a chi, come Zarlino, credeva che la musica degli antichi fosse mono- dica.371 Keplero, invece, influenzato dagli scritti di Calvisius,372 è pienamente convinto che la
368 Ivi, p. 173. 369 Ibidem.
370 Nel rispondere a Robert Fludd, che si era dimostrato piuttosto critico verso le sue teorie ar- moniche, Keplero chiarisce che l’opera dell’alchimista inglese è diversa dalla sua «così come un pratico differisce da un teoretico, poiché dove lui tratta degli strumenti, io indago le cause delle cose o delle con- sonanze. […] In una parola, nello studio dell’armonia, uno di noi dimostra di essere un musico, vocale e strumentale; l’altro un filosofo e un matematico (KGW, VI, p. 374)».
371 Walker ritiene che per Zarlino e i suoi seguaci la musica moderna abbia acquisito dolcezza e varietà con l’uso della polifonia, ma che allo stesso tempo i musici del suo tempo debbano ancora imparare molto per ciò che riguarda il ritmo e il trattamento del testo; è stato dunque sviluppato un aspetto dell’arte, mentre un altro aspetto, di uguale, o anche maggiore, importanza, è stato trascurato. Cfr. WAlkER 1978, p. 40.
372 Calvisius, nel saggio De initio et progressu musices, aliisque rebus eo spectantibus, all’interno dell’Exerci- tationes musices duae, fornisce una breve storia della teoria e della pratica musicale a partire dall’Antichità fino ai fasti dei suoi giorni: «la musica ha raggiunto ora tali risultati che non sembrano possibili ulteriori miglioramenti; ciò che ora possiamo fare è adoperarla per ringraziare Dio, che in quest’ultima era del mondo ha portato quest’arte, tra le altre arti liberali, alla sua più alta perfezione (Exercitationes, p. 138)». Cfr. WAlkER 1978, pp. 40-41.
polifonia dei moderni sia stata il culmine del percorso di perfezionamento musicale iniziato dagli antichi greci, e che ciò è stato possibile grazie alla considerazione dei moderni per il giudizio dell’orecchio, che ha portato all’inclusione delle terze e delle seste tra le consonanze e all’adozione del sistema d’intonazione “giusta” al posto di quello pitagorico. Un’invenzione fondamentale per la storia dell’uomo non soltanto per la sua valenza artistica, ma soprattutto per il suo significato teologico: attraverso la polifonia l’uomo può infatti esprimere, anche se solo «nel breve spazio di un’ora», la musica che Dio stesso ha espresso nel movimento dei cieli, che per la prima volta nella storia della speculazione sulle armonie del cosmo danno luogo ad accordi armoniosi, invece che a un’unica melodia.
È questo l’unico modo che ha Keplero, non essendo un musico pratico, ma un teorico e un astronomo, per celebrare la conquista dei moderni: dimostrare che la rivoluzione messa in atto dai musici rinascimentali si ricollega alla rivoluzione astronomica iniziata da Copernico e con- clusa da Keplero stesso. Attraverso la geometria «vi è una reale connessione causale tra le due polifonie, celeste e umana»,373 e l’uomo può dunque partecipare del disegno divino. La musica,
come arte dei suoni, indipendente da altre arti, non aveva mai rivestito un ruolo così profondo, quale passo cruciale nel percorso di avvicinamento a Dio dell’uomo.374 Non è un caso che Ke-
plero non consideri particolarmente l’importanza del testo poetico nel determinare i “prodi- giosi effetti della musica”: ciò che a lui interessa sono i valori matematici, anzi geometrici, alla base delle consonanze musicali, ossia gli stessi alla base dei rapporti dei movimenti planetari.
L’esposizione dei fondamenti naturali del canto nel Libro III, fondati sugli archetipi geome- trici divini, ha avuto infatti l’unico scopo di preparare la materia che verrà trattata nel Libro V. Come dice lo stesso Keplero:
«La materia di questo libro è l’unico fine che mi son prefissato nell’intera opera. Poiché, in quanto astronomo, così come discuto delle figure regolari non tanto geometricamente (se non dove la geometria mi è sembrata ancora incompleta) quanto astronomicamente e metafi- sicamente, allo stesso modo scrivo anche sulle proporzioni del canto non tanto musicalmente quanto geometricamente, fisicamente, e infine, come prima, astronomicamente e metafisica- mente».375
373 WAlkER 1978, p. 62.
374 Ibidem: «Per queste analogie tra musica umana e movimenti planetari, e tra musica e deside-