Una volta completato il compito di fornire base geometrica alla sua armonia del mondo, Keplero può dunque occuparsi di svelare nei restanti tre libri in quale modo essa si esplica nelle proporzioni armoniche.
A questo punto è legittimo però chiedersi che cosa Keplero intenda precisamente con “ar- monia”: l’astronomo dedica un’ampia sezione di approfondimento “metafisico e psicologico” a questo argomento all’inizio del Libro IV, ovvero subito dopo aver concluso il Libro III musi- cale, che vedremo in seguito.
Keplero, dopo aver trattato dell’armonia concreta nel canto umano, è spinto a parlare dell’essenza dell’armonia sia perché «la maggior parte dei filosofi, appena si accenna all’ar- monia, pensa subito alla musica sonora degli astri, e che questa possa essere percepita con l’udito»,174 cosa che è di grande ostacolo per chi voglia avvicinarsi ai segreti della Natura e alla
verità; sia perché Tolomeo aveva anch’egli aveva cominciato a discutere dell’argomento armo- nico, nel libro III degli Harmonica, dopo i primi due musicali, partendo dalla stessa questione che sta a cuore a Keplero: ossia «sotto quale genere di cose dev’essere ricondotta la natura o la forza armonica e la sua scienza».175
Per Keplero, del resto, pochissimi hanno discusso dell’essenza delle armonie in particolare; e chi l’ha fatto ne ha comunque discusso in modo poco chiaro. È necessario allora fare subito una distinzione: una cosa è l’armonia sensibile, altra cosa è l’armonia pura e separata dalle cose sensibili. Le prime sono molteplici e differenti, mentre l’armonia pura è unica e sempre la medesima. L’esempio proposto è quello dell’armonia originata dalla proporzione doppia, che è la stessa sia che essa si presenti nei suoni o la si ritrovi nelle radiazioni degli astri o tra i corpi celesti.
173 FIElD 1988, p. 111.
174 KGW, VI, p. 209. 175 Ivi, p. 210.
Perché possano esserci delle armonie sensibili è necessario che vi siano quattro fattori: «1. Due realtà sensibili dello stesso genere, e di una determinata grandezza, in modo che possano essere confrontate tra di loro secondo la grandezza; 2. L’anima che le confronti; 3. La ricezione del sensibile nell’anima; 4. Un’idonea proporzione, che si definisce armonia».176 In mancanza
anche di uno solo di questi elementi, non può esserci l’armonia sensibile.
Possono dunque esserci, per esempio, suoni diversi, ma se non vi è tra di essi un certo ordine, definito da determinate proporzioni matematiche, non vi sarà alcuna armonia tra i suoni.177
Ciò che è dunque fondamentale non sono tanto gli enti sensibili in sé, quanto l’ordine, ossia la relazione che si instaura tra di essi. Perché così come in Aristotele il numero risiede ma- terialmente nelle cose, e non è niente al di fuori di esse senza una mente che le numera, 178
similmente in Keplero «l’ordine dei suoni e di altri enti sensibili, di cui stiamo trattando, non è nient’altro che gli stessi molteplici suoni, se non vi è una mente che metta in relazioni i suoni tra di loro, differenti per acutezza».179 E se è vero per l’ordine, o la relazione, lo è a maggior
ragione per ciò che a esso, come genere, subordiniamo, ossia l’armonia, «che consiste nella proporzione e nella numerazione di parti uguali di quantità»:180 senza un’anima che le mette a
confronto saranno sì degli oggetti sensibili, ma non un’unica armonia, un ente della ragione.181
L’unione dei termini sensibili non può dunque avvenire all’esterno, ma solamente dentro l’anima. Ma in che modo essi vengono accolti dentro l’anima? Risponde Keplero: «in parte agendo, in parte subendo».182 Agendo, poiché essi, gli oggetti sensibili, penetrano nell’anima
tramite l’emissione delle specie;183 e subendo, invece, poiché questa emissione comporta anche
una certa forma di passività, dato che le specie, quando son percepite, o confrontate, subisco- no sempre un qualche effetto. L’essenza dell’armonia sensibile, ossia l’unione di due oggetti nell’animo, la loro commisurazione e il loro confronto, è infatti per le cose qualcosa di molto simile a ciò che è l’essere viste o l’essere ascoltate, ossia alle loro passioni. Le cose infatti pati- scono sia quando si muovono, quando vengono mosse, cambiano stato, etc., e sia quando ven- gono percepite dai sensi, perché la percezione implica una modificazione delle cose attraverso la loro emanazione delle specie. La comparazione che si istituisce, ad opera della mente, tra le cose stesse, è dunque in qualche modo sia un agire che un patire da parte loro.184
Dunque in qualche modo le armonie anche sensibili sono da considerarsi astratte dalle cose stesse, in quanto prodotto delle loro specie immateriali, ossia delle loro immagini, che pene- trano dentro l’animo attraverso i sensi, per essere poi condotte al «tribunale dell’anima» e di-
176 Ivi, p. 211. 177 Ivi, p. 212.
178 Cfr. Topici, I, 6, 102b-103a; Fisica, IV, 14, 222b-223a; Metafisica, XIII, 1076a-1087a. 179 KGW, VI, p. 212.
180 Ibidem. 181 Ibidem. 182 Ivi, p. 213.
183 “Specie” è un termine scolastico relativo alla teoria omonima concernente la percezione sen- soriale. Per questa teoria l’oggetto della percezione emette una specie immateriale, ossia un’immagine dell’oggetto che ne preserva le proprietà, e colpisce, modificandolo, l’organo di senso.
ventare i termini della proporzione armonica sensibile. D’altra parte però le armonie sensibili devono essere ritenute anche concrete, sia perché esse non sono immagini della sola quantità ma anche della qualità sensibile, e sia perché, essendo sensibili, non possono entrare nell’ani- mo se le cose di cui sono immagini non permangono al di fuori. Tolto il sensibile, è infatti tolta anche la loro specie, pur rimanendo una qualche impressione negli organi di senso.185
A questo punto Keplero risponde a chi potrebbe obiettare che non vi è dunque bisogno dell’anima per garantire l’essenza dell’armonia, in quanto l’anima non crea, ma solamente ritrova la giusta proporzione. Per l’astronomo è vero il contrario: «trovare nelle cose sensibili la proporzione idonea è scoprire e riconoscere e portare alla luce la somiglianza di quella proporzione nelle cose sensibili con un qualche certo archetipo della più vera armonia che è dentro l’anima».186 Se non ci fosse questo archetipo, l’anima non potrebbe trovare ordine e
proporzione nelle cose sensibili, perché è proprio il confronto con l’archetipo che rende questa proporzione armonica.
Tali archetipi o paradigmi delle armonie sensibili costituiscono l’altro genere di armonia, ossia quelle «purae et secretae», prive di ogni sensibilità. Anche questo tipo di armonia è una proporzione, e richiede dunque anch’essa dei termini. I termini dell’armonia pura, come il- lustrato nei libri precedenti, sono la circonferenza e una sua parte o delle sue parti, dunque degli enti matematici. A questi termini, secondo questa ben definita configurazione, si rifanno le armonie sensibili, che si avvicinano in modo maggiore o minore alla verità dell’armonia archetipa. E per quest’ultima, come si è visto per le armonie sensibili è inoltre necessario che vi sia, oltre a una figura dimostrabile che rescinda una sua parte, anche una mente in qualche modo efficiente.187
La tesi che gli enti matematici costituiscano i termini della proporzione armonica pura e risiedano nell’animo umano prima di ogni attività ricettiva risente naturalmente dell’influenza della filosofia platonica, a cui Keplero si rifà esplicitamente più volte, citando in favore della sua tesi il passo procliano a cui si è già fatto riferimento, che si oppone fermamente all’opinio- ne di Aristotele che la mente sia come una tabula rasa in cui non c’è scritto nulla. L’anima, al contrario, «è una lavagna che è sempre stata scritta, su cui scrive anche se stessa, ed è riempita di scritture dalla mente. Poiché l’anima è una mente, o un qualche intelletto, che si svolge se- condo un intelletto a essa precedente, essendo diventata un’immagine di quello, e una figura o un tipo esterno ad esso».188 Ogni ente matematico risiede, secondo Proclo, in primo luogo
nell’anima: «prima dei numeri, ci sono i numeri che mettono se stessi in movimento; e prima delle figure apparenti, ci son le figure che danno vita, e prima delle cose concordanti o armo- niose vi sono gli stessi rapporti delle concordanze, o rapporti armonici; e prima dei corpi che si muovono in cerchio, gli stessi cerchi invisibili».189 A parte i numeri, a cui Keplero non attri-
buisce nessun significato, poiché sono in qualche modo di seconda intenzione, o anzi di terza e
185 Ivi, p. 215. 186 Ibidem.
187 KGW, VI, p. 216. 188 Ivi, p. 221. 189 Ibidem.
di quarta, per il resto, e per quanto riguarda le grandezze continue, l’astronomo è in completo accordo con Proclo nel porre i termini innati delle armonie, ossia le circonferenze e gli archi rescissi da figure, nell’anima e nella mente quali essenze insieme agli altri enti matematici.
Si può dunque ora comprendere cosa intendeva precisamente Keplero nel Libro I quando parlava di figure conoscibili: non è infatti possibile conoscere senza una mente capace di co- noscenza. Infatti la conoscenza, spiega Keplero, consiste in un confronto (comparatione): come quando, per esempio, un lato di una figura è uguale al semidiametro. Senza la possibilità di questo confronto, di questo rapporto, l’oggetto in questione non ha dunque possibilità di essere conosciuto. E le figure non devono inoltre essere solo conoscibili, ma è necessario che siano anche conosciute, ossia che i termini dell’armonia, il cerchio e la sua parte, siano già presenti nell’animo e possano essere conosciute da esso “per istinto”. Questi enti geometrici, si ribadisce ancora, sono passati all’uomo assieme all’immagine di Dio, poiché «la geometria è coeterna alla mente di Dio prima dell’origine di ogni cosa».190
Dopo aver approfondito le proporzioni armoniche nella loro essenza, Keplero si concentra quindi sulla facoltà armonica dell’anima, cioè del suo agire secondo proporzioni, che divide in due specie: una discorsiva, o per così dire mentale (per discursum, mentalis), e l’altra operativa. Quella mentale è anch’essa di due specie, poiché o essa scopre le proporzioni nelle quantità astratte (inventiva), e in questo fa parte della parte superiore dell’animo, oppure riconosce le proporzioni nelle cose sensibili (agnitiva seu animadversiva).
Quest’ultima è la facoltà inferiore dell’anima, che non è presente solo negli uomini, ma an- che negli animali e nell’anima sublunare, nonché nelle piante. Non essendo questa facoltà ca- pace di operazioni razionali, essa accoglie interiormente le proporzioni armoniche derivando- le dall’istinto naturale, in cui le armonie sono innate, e le percepisce inoltre dalle cose esterne tramite i sensi, raffrontandole non per ragionamento ma per istinto. È così, ad esempio, che «i giovani, gli ignoranti, i contadini, i barbari, e quasi le stesse bestie, percepiscono le armonie dei suoni, sebbene non sappiano nulla della scienza armonica».191 Essi, però, percepiscono sola-
mente che ci sono delle armonie, ma non sanno esattamente cosa siano o come differiscano.192
Per quanto riguarda le facoltà operative, o energetiche, dell’anima, anch’esse son divise in due specie: o agiscono in sé stesse, o agiscono nelle cose esterne. La prima specie dipende dalle forze della Natura, la seconda dalla volontà dell’uomo. Il diletto che proviamo dunque nella percezione delle armonie, come si vedrà meglio in ciò che riguarda la percezione delle conso-
190 Ivi, p. 223. 191 Ivi, p. 226.
192 Marin Mersenne si esprime in maniera simile nell’Harmonie universelle. Anche per lui non è necessario essere consapevoli dei rapporti musicali per godere la musica; il piacere musicale è dunque naturale, e non è fondamentalmente differente dai piaceri forniti dagli altri quattro sensi. L’unica diffe- renza è che nel caso della musica siamo capaci di quantificare i fenomeni naturali che sono responsabili delle nostre sensazioni, e dunque «i suoni possono dare molta più luce sulla filosofia che qualunque altra qualità, ed è per questo che la scienza della musica non deve esser trascurata, anche se tutti i canti e le musiche fossero abolite e vietate (Harmonie universelle, Live premier des consonances, prop. 33, coroll. 3, Paris, 1636, p. 88)». Cfr. CohEN 1984, p. 108.
nanze, è dunque un’attività dell’anima, che agisce su se stessa e si eccita, per un atto istintivo e naturale; a esso aggiungiamo poi l’atto volontario: in questo modo son messe insieme tutte le facoltà dell’anima, sia le più alte che le più basse.
L’armonia è dunque possibile poiché, da una parte, vi sono degli enti agenti che la generano e la formano, e, dall’altra, vi sono le cose che hanno l’armonia come enti già formati. Questi sono i generi τῶν ἡρμοσμένων, ossia i generi di enti armonizzati, o armonici, che, come tutte le cose, afferma Keplero, «o sono immateriali o partecipano della materia».193 Immateriale è
certamente l’anima, la cui essenza è stata – platonicamente – determinata da Dio secondo le proporzioni armoniche. Le cose che invece partecipano della materia partecipano anche del numero e della grandezza. Alla grandezza segue poi il loro essere situati in un luogo e il loro movimento. E poiché il movimento avviene nel divenire, e mai nell’essere, ne consegue allora che le proporzioni armoniche che si trovano nei corpi a causa del loro sito e dei loro movimenti locali mantengono il carattere del movimento stesso, e sono dunque incostanti e diverse nei diversi tempi.194
È per questo che in questi enti le armonie non possono presentarsi in tutto il tempo del movimento, o in ogni distanza o velocità dei movimenti, ma solo in momenti ben determinati di tempo, come accade del resto anche nel cerchio o nella linea retta, nei quali non si presen- tano in tutti i loro punti, ma solo in alcuni punti ben definiti. Questo perché Dio, colui che ha dato inizio al movimento delle cose, ha stabilito anche tutti i punti intermedi, sia quelli non proporzionali, che sono infiniti, che quelli proporzionali e armonici, in numero ben stabilito.195
Oltre al canto, in cui l’uomo prova più piacere e più facilità nell’esprimere le armonie, egli è capace di introdurre con la mente relazioni di armonia, anche se in maniera più oscura e più comune, anche nei movimenti dei corpi, ossia nelle danze, nei movimenti ritmici dei versi poetici, secondo le sillabe di natura lunga e breve, e in architettura nei rapporti della lunghezza con la larghezza e nello spessore. È da notare inoltre che tutte queste proporzioni armoniche sono più facilmente rilevabili dalla mente quando intercorre tra le parti un movimento: è infat- ti impossibile per essa distinguere in una grandezza le proporzioni armoniche senza immagini di movimento, mentre invece essa diviene attiva quando, per esempio, una corda è sottesa in un cerchio e le permette di individuare ciò che è armonico e ciò che non lo è.196
Stabilite queste cose, Keplero comincia la discussione di quello che è il vero oggetto del
193 Ivi, p. 229. 194 Ibidem. 195 Ivi, p. 230.
196 Ivi, p. 231-232. Keplero concede spazio anche a un’applicazione politica delle proporzioni armoniche (assieme a quelle geometriche e aritmetiche) nella sezione “Digressione politica sulle tre medie” (KGW, VI, pp. 186-205), illustrando i pensieri su quest’argomento che il filosofo francese Jean Bodin (1530-1596) ha pubblicato nell’ultimo capitolo del Libro VI del suo Les six livres de la République (Paris, 1576; ripubblicato in latino, De Republica libri VI, Parisiis, 1586), intitolato: “De tribus iustitiae generibus proportione goemtrica, arithmetica et harmonica constitutis, quaeque sit earum ad unius principis populive aut optimatum Imperia similitudo”.
quarto libro, ossia non più le armonie delle cose umane, ma quelle create dalla Natura nelle posizioni degli astri nello Zodiaco.
L’astrologia dell’Harmonice mundi, in confronto alla parte dedicatale nel Mysterium cosmographi-
cum, non è solo più complessa in termini matematici, ma è anche parte integrante del disegno
filosofico globale dei cinque libri dell’opera di Keplero. Ad ogni modo, se nel 1598 Keplero poteva definirsi «un astrologo luterano, che getta via le sciocchezze e mantiene il nocciolo»,197
è pur vero che ciò che sia «sciocchezza» e ciò che non lo sia sembra leggermente variare ne- gli anni, e da ciò Keplero ne ricava più una serie di principi strettamente relazionati alle sue convinzioni astronomiche, che un corpo definito di dogmi.198 Ciò che rimane costante nei
suoi pensieri è però l’esigenza che la teoria debba rendere conto delle osservazioni, e dunque anche le sue credenze astrologiche, come per esempio il fatto che gli eventi atmosferici siano influenzati dagli aspetti, devono trovare fondamento empirico.199
Questa convinzione fu talmente radicata in lui da ritenere che a partire dalle osservazioni era possibile aggiungere ulteriori aspetti a quelli tradizionalmente accettati. Se nelle lettere del 1599 non poteva accettare che la sua teoria della causa delle consonanze originasse aspetti mai accettati prima,200 nel 1601 era pronto a pubblicare nel De fundamentis astrologiae certioribus (1602)
la descrizione dei suoi tre nuovi aspetti, riguardanti le divisioni dello zodiaco per un quinto, due quinti e due ottavi.201
La differenza tra il numero degli aspetti e quello delle consonanze risultò comunque per anni un problema importante per Keplero. La descrizione tolemaica descritta nella lettera a Herwart del 1599, che stabiliva una sostanziale analogia tra aspetti e consonanze, viene però rifiutata nel Tertius interveniens, e Keplero può così imboccare una nuova strada: «Finalmente ho compreso la differenza tra musica e astrologia. […] Ho dunque cominciato a cercare nella geometria».
La classificazione degli aspetti descritta nel Libro IV dell’Harmonice si basa infatti su principi geometrici, che sono però essenzialmente differenti da quelli che sono alla base della classi- ficazione delle consonanze del Libro III, ordinate secondo i gradi di conoscenza delle figure regolari. Pur essendo entrambe armonie, gli aspetti dello zodiaco si differenziano dalle conso- nanze poiché essi sono originate dalle armonie che si creano tra gli angoli stabiliti dai pianeti
197 KGW, XIII, p. 184. Su queste tematiche si veda FIElD 1988, pp. 127-142.
198 Cfr. FIElD 1988, p. 127, JuStE 2010, SIMoN 1975 e 1979. Per esempio, se da un lato Keplero
era solito affermare la sua opposizione verso il fatto che possano essere riferiti particolari caratteri a particolari segni zodiacali, dall’altro dà più volte esempio del fatto che gli astri abbiano grande influenza al momento della nascita delle persone, sia quando non dà colpe al carattere della madre poiché nata sotto una cattiva stella, e sia quando dice che il suo carattere derivi dall’influenza di Giove: «deriva da Giove che si trova al centro del cielo (medium coeli) il fatto che io provi più piacere nella geometria espressa nelle cose fisiche che in quella astratta; e deriva da Giove che porta davanti a sé l’asciuttezza di Saturno il fatto che io mi interessi più di fisica che di geometria (KGW, VI, pp. 279-280)».
199 Alcune di queste osservazioni sono state pubblicate da Keplero nel Tertius interveniens del 1610, opera in cui cercò di mediare tra le superstizioni astrologiche e la scienza fisica basata sulle osservazioni.
200 KGW, XIII, pp. 349-350.
all’interno del cerchio dello zodiaco; essi dunque si riferiscono alle sole divisioni del cerchio, e non anche a quelle delle linee rette, come invece si è fatto nella discussione delle consonanze. È poi da precisare che gli aspetti non sono propriamente armonie celesti, quanto piuttosto terrestri, poiché essi vengono percepiti dalla terra, essendo angoli derivati dalle posizioni degli astri rispetto alla terra. E se, come si è detto, è necessaria un’anima per cogliere le armonie, è dunque necessario, conclude Keplero, che anche la terra abbia un’anima, come del resto è stato già affermato dall’autorità di Platone nel Timeo.
Il principio vero e proprio di classificazione degli aspetti, che è derivato dalla congruenza delle figure dimostrabili del Libro II, è illustrato da Keplero nell’Assioma I del Libro IV: «L’ar- co dello zodiaco rescisso dal lato della figura o stella congrua e conoscibile misura l’angolo di una configurazione efficace»202 (con “efficace” Keplero intende «la configurazione dei raggi
di due pianeti che formino un angolo atto a stimolare la natura sublunare e le facoltà inferiori degli esseri animati»203); e nell’Assioma II: «L’angolo della figura o stella conoscibile e congrua
è la misura dell’angolo di una configurazione efficace».204 La congruenza è dunque il principio
di classificazione scelto da Keplero per gli aspetti. Essa è infatti molto più capace di stabilire configurazioni efficaci che consonanze: questo sia per il numero, in quanto le figure congruenti sono poche e limitate, come gli aspetti, e sia per l’essenza, perché, a differenza delle consonan- ze, che, in quanto movimenti, sono considerate nel divenire, poiché occupano il tempo, i raggi