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crescere in un paese fragile

Nel documento il TEMPO dEi baMbini (pagine 63-68)

Nell’Italia del dissesto idrogeologico, oltre 6 milioni di abitanti risiedono in aree ad elevato e medio rischio di alluvioni; oltre 1, 2 milioni persone vivono in aree a rischio elevato o molto elevato di frane (mappa a sinistra). In un Paese geologicamente tra i più

fragili d’Europa - dove nel 2017 è stato localizzato un terremoto ogni 12 minuti e sono state rilevate 172 frane importanti - più di 1 edificio scolastico su 2 non ha il certificato di agibilità, e quasi un terzo non ha fatto il collaudo statico.

cinque gradi, localizzati principalmente lungo la dorsale appenninica, dell’arco calabro e delle Alpi. Quattro terremoti devastanti si sono impressi nella memoria collettiva negli ultimi 10 anni, provocando distruzioni e lutti in Abruzzo (6 aprile 2009), in Emilia Romagna (20 maggio 2012) e al confine tra Lazio, umbria e Marche (24 agosto e 26 ottobre 2016). una mappa realizzata dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia per Save the Children, associata ai dati demografici relativi alla popolazione 0-14 anni, mostra come circa il 70% delle province italiane, in tutto o in parte, ricada nelle aree di medio-alta e alta pericolosità, un territorio popolato da quasi cinque milioni e mezzo bambini e ragazzi under 15, e sul quale insistono 45 città superiori ai 50 mila abitanti (tra le altre Messina, Catania, Siracusa, Reggio Calabria, Cosenza, Potenza, Benevento, Campobasso, Perugia, Forlì e Verona. Save the Children 2016, p. 124).

La fragilità del Belpaese non è imputabile peraltro solo alla conformazione del territorio o al verificarsi di eventi eccezionali, ma è «dovuta anche al forte incremento, a partire dagli anni Cinquanta, delle aree urbanizzate, industriali e delle infrastrutture lineari di

comunicazione, spesso avvenuto in assenza di una corretta pianificazione territoriale» (ISPRA 2018b, p.1), nonché al proliferare dell’abusivismo, con 4 milioni di edifici sorti fuori da ogni piano tra il 1970 e il 1997 (AA. VV.,1998). Il sacco del territorio è continuato a pieno ritmo nell’ultimo decennio: per effetto del rallentamento del mattone legale negli anni della crisi, tra il 2007 e il 2017 l’indice di abusivismo è balzato da 9 a 19,6 costruzioni abusive ogni 100 autorizzate, raggiungendo dimensioni che non hanno riscontro nelle altre economie avanzate (Istat Bes 2018, p. 125).

Davanti a un paesaggio geologico così vivace e in continuo movimento, atteso a nuove prove per effetto delle intemperanze climatiche, anche la scuola - la più importante infrastruttura educativa del Paese, il luogo nel quale i bambini trascorrono gran parte della loro infanzia - appare completamente impreparata. Su un totale di 40.151 edifici censiti nell’anagrafe dell’edilizia scolastica, ben 7.000 sono classificati come «vetusti», circa 22.000 risultano costruiti prima degli anni Settanta e delle norme che hanno introdotto l’obbligo del certificato di collaudo statico, un numero ancora maggiore prima del 1974, anno di entrata in vigore delle norme antisismiche. Anche per questa ragione buona parte degli istituti che, tra tante altre cose, devono insegnare il rispetto delle regole, sono clamorosamente fuori norma: 15.550 sono prive del collaudo statico, 21.662 non hanno nemmeno il certificato di agibilità, 24.000 non sanno cos’è il certificato di prevenzione incendi. Fatto ben più grave, dei 17.187 edifici scolastici compresi nelle aree con una pericolosità sismica alta (zona 1) o medio-alta (zona 2), ben 13.714 non sono stati progettati per resistere a un terremoto. Nelle aree considerate a rischio di uno dei paesi più sismici del mondo è antisismica appena 1 scuola su 5!

Visti questi dati, e considerando che il 4,3% delle strutture scolastiche ricadrebbe in aree a pericolosità idraulica elevata (ovvero con un tempo di ripetizione degli eventi compreso in 20-50 anni ) e 1 edificio su 10 in aree a pericolosità intermedia (mappa.italiasicura.gov.it/#/home), che

davanti a un paesaggio geologico così vivace e in continuo movimento, atteso a nuove prove per effetto delle intemperanze climatiche, anche la scuola - la più importante infrastruttura educativa del Paese, il luogo nel quale i bambini trascorrono gran parte della loro infanzia -appare completamente impreparata.

crolli e distacchi di intonaco sono all’ordine del giorno (Cittadinanzattiva ne ha censiti 250 a partire dal 2013), c’è da meravigliarsi che le giovani vittime dell’insicurezza scolastica siano state ‘solo’ 39 negli ultimi vent’anni. Tra loro i 27 bambini sepolti con la loro maestra sotto le macerie della scuola Francesco Iovine di San Giuliano di Puglia, abbattuta da una scossa di terremoto alle 11,32 del 31 ottobre 2002, unico edificio a crollare nel paesino pugliese. Le indagini hanno decretato che nonostante la scuola avesse subito

rimaneggiamenti e persino una sopra-elevazione, alunni e maestre vi erano stati fatti entrare senza collaudo, e si sono concluse con la condanna definitiva di funzionari, tecnici e imprenditori incaricati dei lavori di adeguamento. Si è concluso con diverse condanne anche il processo per il crollo di un pesante controsoffitto nel liceo Darwin di Rivoli, alle porte di Torino, che nel 2008 provocò la morte di un diciassettenne, Vito Scafidi, e la paralisi di un suo compagno di scuola.

A L’Aquila, Amatrice, e durante altri eventi sismici accaduti di notte o nei giorni festivi, fortunatamente le aule erano vuote, ma la sicurezza dei bambini non può essere affidata al caso. Per questa ragione Save the Children e Cittadinanzattiva ad aprile del 2019 hanno presentato un Manifesto in 9 punti che chiede ai parlamentari di tutti gli schieramenti di depositare e discutere una proposta di legge che superi l’attuale frammentazione normativa e garantisca a studenti, personale docente e non docente, spazi sicuri e protetti dove poter apprendere o lavorare senza rischiare la vita. uno dei tasti fondamentali su cui batte il documento è quello di promuovere la conoscenza e la partecipazione degli studenti, oltre che del personale scolastico, a tutti i processi legati al tema della sicurezza: gli alunni devono essere informati in maniera comprensibile sulle condizioni degli edifici; devono poter partecipare alle attività connesse alla sicurezza scolastica, inclusi i processi di progettazione degli edifici scolastici danneggiati da eventi calamitosi; devono essere sensibilizzati alla prevenzione, informati sui rischi che attengono al territorio di appartenenza, sulle misure di prevenzione e autoprotezione, sui piani di emergenza e di evacuazione della scuola e sul Piano comunale di protezione civile.

La scuola deve diventare un luogo centrale di promozione di una nuova cultura della prevenzione e della sicurezza. Save the Children e Cittadinanzattiva propongono che tutti questi temi entrino a far parte degli obiettivi formativi e della progettazione curricolare del primo e del secondo ciclo di istruzione.

Per questa ragione Save the children e cittadinanzattiva ad aprile del 2019 hanno presentato un Manifesto in 9 punti che chiede ai parlamentari di tutti gli schieramenti di depositare e discutere una proposta di legge che superi l’attuale frammentazione normativa e garantisca a studenti, personale docente e non docente, spazi sicuri e protetti dove poter apprendere o lavorare senza rischiare la vita.

Nel 2013 una serie di frane ha colpito il Parmense. Nella foto, una famiglia di Boschetto di Tizzano (Pr) contempla la forza distruttiva della frana che ha portato via parte della collina a pochi metri di distanza dalla loro casa. Come rileva l’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto IFFI) realizzato dall’ISPRA, l’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessati al fenomeno, con 620.808 frane che interessano un’area di circa 23.700 km2, pari al 7,9% del territorio nazionale

(www.progettoiffi.isprambiente.it ). Solo nel 2017 sono stati censiti 172 eventi franosi principali con vittime, feriti, evacuati e danni a edifici, beni culturali e

A le ss a n d ro G a n d o lfi /P a ra lle lo ze

MEnSE E SPrEcO aliMEnTarE

Vale davvero la pena promuovere il recupero di queste eccedenze perché lo spreco, ciò che si getta via inutilmente, si può trasformare in risorsa, almeno per qualcuno: e sono tante le persone che potrebbero utilmente usufruire di quei beni alimentari. Anche se, non mi stancherò mai di ripeterlo, il recupero delle eccedenze alimentari, lo spreco insomma, non è la soluzione del problema degli affamati. Altrimenti basterebbe continuare ad aumentare gli sprechi, tanto poi si potrebbero dare a chi ne ha bisogno: e i bisognosi aumentano parallelamente agli spreconi… Intanto però, finché almeno non si risolve il problema dello spreco, i prodotti invenduti, eccedenti, perduti possono essere considerati come una potenziale offerta. Così come, dall’altro lato, esiste e cresce una domanda inespressa proprio per quegli stessi prodotti. Da parte dei consumatori (temporaneamente) senza potere di acquisto. I poveri. Affido a voi z la strategia dello Spreco zero, a chi altri se no?

Andrea Segrè, Il gusto per le cose giuste, 2017

Il territorio italiano è stato edificato tanto (e spesso molto male) negli ultimi decenni: gli esperti stimano che la superficie impermeabilizzata sia quasi triplicata in meno di 70 anni, passando dai circa 8.100 chilometri dell’inizio degli anni Cinquanta, quando venivano al mondo ogni anno circa 900.000 bambini, ai 23.000 attuali, e si continua a costruire a pieno ritmo anche se di bambini ormai ne nascono ormai meno della metà. «Il consumo del suolo ha subito un lieve

rallentamento all’inizio dell’ultimo decennio in seguito alla crisi, ma non si è mai fermato e oggi prosegue a un ritmo di quasi 2 metri al secondo. Se si continua così, nei prossimi 18 anni (il tempo necessario ai 440.000 neonati in Italia per raggiungere la maggiore età), avremo consumato altri 1000 chilometri quadrati: 3 nuove città come Roma o 10 città come Milano », spiega Michele Munafò, responsabile dell’Area monitoraggio e analisi integrata uso del suolo, trasformazioni territoriali e processi desertificazione all’ISPRA, che dal 2012 diffonde dati con sempre maggiore puntualità e precisione grazie alle informazioni satellitari rese disponibili dal programma europeo di geo-osservazione Copernicus (e a una rete di soggetti preposti alla loro verifica su tutto il territorio nazionale). «La crescita della superficie impermeabilizzata nei principali comuni mostra quanto siamo ancora lontani dal raggiungimento dell’obiettivo 11 dell’Agenda 2030 che prevede l’allineamento del consumo del suolo alla crescita demografica. Eppure consumo e degrado del suolo sono la seconda fonte al mondo di gas di serra, dopo i combustibili fossili. Determinano la perdita, per sempre, di una risorsa limitata e di tutti i servizi ecosistemici che garantisce la capacità di immagazzinare anidride carbonica (il suolo è la seconda più grande riserva di carbonio del pianeta dopo gli oceani), trattenere l’acqua disinnescando fenomeni di pericolosità idraulica, produrre cibo». Se è vero che per formare

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25 millimetri di suolo adatto ad ospitare l’agricoltura occorrono 500 anni, in meno di 50 anni, dal 1970 a oggi, cementificazione e abbandono delle campagne hanno determinato la perdita di circa 5 milioni di ettari di seminativi, prati, orti familiari, arboreti e colture permanenti, prati e pascoli, una superficie equivalente a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme. La continua perdita dei terreni più fertili, facilmente lavorabili e accessibili, erode la sicurezza alimentare e porta l’Italia a dipendere sempre più dall’estero per l’approvvigionamento delle risorse alimentari. Nel 2012 il Ministero delle Politiche Agricole stimava che l’Italia produce oggi appena l’80-85% delle risorse alimentari necessarie a coprire il fabbisogno dei propri abitanti, ovvero il consumo di 4 italiani su 5. Lo sperpero delle risorse, d’altra parte, prosegue ogni giorno a casa nostra sotto forma di spreco alimentare. Il progetto europeo Fusion 2016 ha calcolato che ogni anno nell’unione europea vengono gettati senza essere consumati circa 88 milioni di tonnellate di alimenti, 173 kg a persona, il 20% della produzione alimentare europea. Ben 143 miliardi di euro in alimenti, che per essere prodotti hanno richiesto il consumo di acqua, energia

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ETTARI CEMENTIFICATI TRA IL 2012 E IL 2018

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NATI NEL 2018 RISPETTO AL 2012

là dove c’era l’erba oggi c’è una città diffusa

Nel documento il TEMPO dEi baMbini (pagine 63-68)