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il ripiegamento delle politiche abitative

Nel documento il TEMPO dEi baMbini (pagine 146-149)

un altro caso esempio paradigmatico del tempo perso in Italia sul fronte delle politiche sociali, con pesanti ricadute anche sui bambini ai tempi della crisi, è il ripiegamento su tutta la linea delle politiche abitative già a partire dagli anni Novanta. Da almeno tre decenni l’Italia destina al welfare abitativo una quota irrisoria della spesa sociale (lo 0,1% nel 2016), ben lontana da quella investita in questo settore cruciale da altri paesi.

Nel frattempo le politiche di liberalizzazione del mercato immobiliare - varate negli anni Novanta con l’obiettivo di calmierare i prezzi introducendo un regime di concorrenza nell’offerta (leggi 359/1992 e 431/1998) - non hanno prodotto i risultati attesi, il canone annuo medio ha conosciuto un’impennata del 130% (sfiorando il 150% nelle grandi città), poco o nulla è stato fatto per assicurare lo sviluppo e la regolamentazione degli affitti, mentre il fondo sociale pensato per tutelare le fasce più deboli è stato progressivamente ridotto al lumicino (e quindi azzerato nel 2018), lasciando migliaia di famiglie in mezzo alla strada.

Ma il problema non è solo economico. Lo dimostra l’intero impianto normativo che regola la casa fermo ormai agli anni Sessanta, quando in pieno boom economico e demografico, in un Paese attraversato da imponenti flussi migratori interni, si cercava di risolvere l’emergenza abitativa di migliaia di baraccati investendo ingenti risorse - oggi introvabili, vista la crisi della Bilancio pubblico - nella costruzione di grandi complessi popolari pensati per alloggiare le famiglie numerose del tempo. un modello di intervento centrato quindi sulla logica

dell’emergenza, al contrario di quanto accade nei paesi europei dove le politiche per la casa sono legate alle politiche nazionali sul lavoro, alle misure di contrasto alla povertà e di inclusione sociale, e ad altri strumenti di difesa dei diritti di cittadinanza che in Italia latitano. L’assenza di politiche abitative degne di questo nome si scarica ovviamente sulle famiglie con meno risorse (il 38,9% delle quali vive in affitto, contro il 6,7% delle famiglie più benestanti, ovvero appartenenti al cosiddetto quinto quintile, secondo i dati diffusi nel 2011 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), il bacino potenziale delle nuove periferie sociali: i nuclei in grave difficoltà, la classe media impoverita negli anni della crisi e le famiglie giovani con figli

da almeno tre decenni l’italia destina al welfare abitativo una quota irrisoria della spesa sociale (lo 0,1% nel 2016), ben lontana da quella investita in questo settore cruciale da altri paesi. nel frattempo le politiche di liberalizzazione del mercato immobiliare -varate negli anni novanta con l’obiettivo di calmierare i prezzi introducendo un regime di concorrenza nell’offerta (leggi 359/1992 e 431/1998) -non hanno prodotto i risultati attesi, il canone annuo medio ha conosciuto un’impennata del 130%.

Dida foto accanto che necessitano di alloggi più spaziosi e non troppo lontani dai servizi essenziali ma non

dispongono di reddito e ricchezza sufficiente per acquistare casa. L’ultima stima dell’Istat sulla spesa delle famiglie con figli minori per l’anno 2017 mostra come i nuclei con la spesa più bassa (il primo decimo) destinino alla voce ‘abitazione, utenze e manutenzione’ circa il 40% della spesa totale mensile della famiglia (Istat 2017, elaborazioni per Save the Children), una quota esorbitante di spesa ‘incomprimibile’ che lascia ben poco margine ad investimenti per l’istruzione e la cura dei figli. La spesa per la casa, d’altra parte, prosciuga anche i bilanci del ceto medio, visto che una famiglia appartenente al quinto decimo spende, per questa voce, ben il 30% del suo budget mensile.

E così, in un paese nel quale circa 2 milioni di appartamenti rimangono sfitti e inutilizzati, negli anni della crisi il 9% della popolazione italiana e il 14% dei minori ha patito condizioni di

disagio abitativo grave; il 41% dei minorenni ha vissuto in situazioni di sovraffollamento; e il 25% in appartamenti umidi, con tracce di muffa alle pareti e soffitti che gocciolano (EuSILC 2017). Dati nettamente superiori a quelli che si registrano in Germania, Francia o Olanda, paesi che hanno saputo perseguire politiche abitative efficaci.

Per non parlare dell’«emergenza sfratti», che purtroppo in Italia di emergenziale ha ormai ben poco, costituendo da anni un dato cronico, strutturale, che qualcuno, in assenza di idee e di politiche sociali, pensa periodicamente di (non) risolvere con la scorciatoia dolorosa degli sgomberi. un fenomeno che ha raggiunto il culmine nel 2013, epicentro della crisi, con 65.302 sentenze di sfratto (il 90% delle quale per morosità incolpevole), prima di scendere

gradualmente alle 56.140 sentenze di sfratto attuali (2018), e che nel corso del decennio ha costretto nella precarietà e nell’angoscia oltre mezzo milione di famiglie, molte delle quali

R ic ca rd o V en tu ri p er S a ve t h e C h ild re n

Milano, Quarto Oggiaro. Veduta dall’alto di piazza Capuana, a lungo piazza di spaccio sotto il controllo della criminalità organizzata, oggi al centro di un importante progetto di recupero.

costretto nella precarietà e nell’angoscia oltre mezzo milione di famiglie, molte delle quali giovani e con figli. Solo nel 2018, gli sfratti eseguiti con la forza pubblica sono stati 30.127 e le richieste di esecuzione dell’Ufficiale Giudiziario 118.823. Una situazione di grave sofferenza sociale che spesso si scarica sulle ‘periferie’ (nei quartieri sensibili dei grandi centri urbani ma soprattutto nelle periferie geografiche della provincia: nel 2018, 27.000 delle nuove sentenze di sfratto sono state emesse nei piccoli e medi comuni non capoluogo di provincia) e che condanna migliaia di bambini a convivere fin da piccoli con il trauma dell’allontanamento da casa, alla ricerca di un rifugio dai parenti o in alloggi di fortuna (case occupate, scuole, palestre, baracche, container), separati a volte da uno dei genitori, dagli amici, dai giochi, dalla scuola.

Nel documento il TEMPO dEi baMbini (pagine 146-149)