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i divari immutati dei servizi per la prima infanzia

Nel documento il TEMPO dEi baMbini (pagine 137-140)

un altro indicatore del tempo perduto in questi dieci anni sul fronte della lotta alle diseguaglianze di opportunità dei bambini e delle bambine è rappresentato dal panorama tuttora frammentato, statico e gravemente lacunoso dell’offerta educativa per la prima infanzia. Malgrado in questo campo specifico alcuni tentativi siano stati fatti, e alcune risorse siano state investite, per cercare di sostenere l’iniziativa dei comuni, in particolare nei territori più sguarniti.

un contributo alla diffusione del servizio è venuto alla fine del 2007 dall’approvazione del Piano straordinario nidi da parte del Governo, un’iniziativa che fino al 2012 ha permesso di implementare le risorse in favore degli asili con uno stanziamento complessivo di circa 1 miliardo di euro tra fondi del Dipartimento per le Politiche della famiglia e

cofinanziamenti regionali. Grazie all’impulso del Piano, la spesa destinata dai comuni per i servizi alla prima infanzia è cresciuta fino a un massimo di 1,3 miliardi nel 2012, per poi stabilizzarsi intorno a 1,19 miliardi a partire dal 2014. un ulteriore importante intervento è stato avviato in questi anni all’interno della strategia complessiva del Piano Azione e

Un altro indicatore del tempo perduto in questi dieci anni sul fronte della lotta alle diseguaglianze di opportunità dei bambini e delle bambini è rappresentato dal panorama tutt’ora frammentato, statico e gravemente lacunoso dell’offerta educativa per la prima infanzia.

il confronto temporale dell’indicatore di presa in carico mostra inoltre, al 2016, il fallimento dei tentativi di perequazione messi in campo finora. Qualche timido miglioramento si osserva in Puglia (+1,6%) e in campania (+0,8%), ma è poca cosa rispetto ai passi avanti fatti in friuli Venezia giulia e nel lazio (per non parlare di Trento e bolzano). la calabria, ferma al 2,2%, e la Sicilia (5,2%) perdono addirittura dei decimali rispetto al 2008 (rispettivamente 0,5% e -0,8%). E tutto il Mezzogiorno continua a rimanere

sideralmente lontano rispetto al traguardo di lisbona (33%). coesione (PAC) con l’obiettivo di potenziare i servizi per la prima infanzia nelle quattro

regioni Obiettivo del Mezzogiorno Campania (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e ridurre le differenze con il resto del Paese. Avviato nel 2013, via via prorogato fino al giugno 2021, affidato al Ministero dell’Interno quale Autorità di Gestione responsabile, il programma ha portato alla causa 400 milioni di euro, poi ridotti a 339, ma ha anche evidenziato criticità e ritardi legati alla carenza nella disponibilità finanziaria nei bilanci comunali (che devono anticipare il 90% dell’investimento), nella capacità tecnica e amministrativa dei comuni, viste anche le oggettive difficoltà delle regole di gestione del fondo. L’impatto di questi interventi, tuttavia, non è stato finora all’altezza delle

aspettative e il quadro dell’offerta pubblica dei servizi per la prima infanzia al 2016 è rimasto di fatto quasi identico a quello che si leggeva nel 2008, ed è addirittura

peggiorato rispetto a qualche anno fa. Dopo aver raggiunto il 14% nel 2010 (14 bambini 0-2 anni iscritti al servizio ogni 100 coetanei), l’indicatore di presa in carico è retrocesso al 13% nel 2016. Ancora più clamorosa è la conferma dei colossali baratri regionali che caratterizzano da un decennio le possibilità di sviluppo e di futuro dei bambini della penisola (e di accesso al lavoro per le donne). Se in Emilia e Toscana 25 e 23 bambini su 100 frequentano un servizio per la prima infanzia comunale o sovvenzionato dai comuni, in Campania questo accade a meno di 4 bambini (il 3,6%) e in Calabria a circa 2 su 100 (il 2,2%). Il confronto temporale dell’indicatore di presa in carico mostra inoltre, al 2016, il fallimento dei tentativi di perequazione messi in campo finora. Qualche timido

miglioramento si osserva in Puglia (+1,6%) e in Campania (+0,8%), ma è poca cosa rispetto ai passi avanti fatti in Friuli Venezia Giulia e nel Lazio (per non parlare di Trento e Bolzano). La Calabria, ferma al 2,2%, e la Sicilia (5,2%) perdono addirittura dei decimali rispetto al 2008 (rispettivamente - 0,5% e - 0,8%). E tutto il Mezzogiorno continua a rimanere sideralmente lontano rispetto al traguardo di Lisbona (33%).

Anche in questo campo, infine, impressiona la disparità nei livelli di spesa pro capite tra una regione e l’altra. Per ciascun bambino 0-2 anni presente sul territorio la provincia autonoma di Trento investe in servizi per la prima infanzia 2.200 euro annui, seguita dalla Valle d’Aosta leggermente al di sotto dei 2000 euro, dall’Emilia Romagna e dal Lazio (1.600 euro annui). Seguono le altre regioni del Centro-Nord, la Sardegna e il Veneto con poco più di 500 euro, e staccatissime, le altre regioni del Mezzogiorno: la Puglia con 285 euro pro-capite, la Campania con 219, la Calabria con 90.

In tutti questi anni, nelle regioni del Mezzogiorno centinaia di migliaia di bambini piccoli sono stati privati di un’importante opportunità di sviluppo.

SOnnO dElla POliTica E nUOVE POVErTà

Non è vero che da noi i giovani sono stati sempre sacrificati. Mezzo secolo fa le persone dagli zero ai 17 anni avevano un rischio di povertà pari a un terzo di quello delle persone con più di 65 anni. Oggi hanno una probabilità di diventare poveri cinque volte più alta dei loro nonni e, come certificato dall’Istat, la metà dei poveri ha meno di 34 anni. La storia recente dei giovani nel nostro Paese è una storia di inesorabili revisioni al ribasso delle loro aspettative

Tito Boeri, 4 luglio 2018

Nella prima edizione dell’Atlante osservavamo come il giovane protagonista dell’Isola del tesoro vivesse anche lui in una condizione di «relativa povertà». Jim Hawking «non soffre la fame ma sbarca il lunario dando una mano nella locanda di famiglia, una ‘bettola’ (come la ribattezza il pirata Silver) ‘disgraziatamente non molto frequentata’, che alla morte del padre dovrà mandare avanti insieme alla madre. Ed è forse anche per questo che deciderà di partire alla ricerca del tesoro». Negli anni seguenti lo spirito del nostro giovane mentore ha continuato ad aleggiare e a indicarci il cammino, se è vero che il discorso sulle povertà minorili, sui suoi molteplici volti e sui ritardi delle politiche volte a contrastare il fenomeno, è stato il principale filo conduttore delle edizioni successive. Questa unità di intenti si deve ovviamente al fatto che la redazione e la pubblicazione dell’Atlante a partire dal 2010 è venuta a coincidere purtroppo con uno dei periodi più neri della storia economica nazionale: un tempo segnato dal manifestarsi in sequenza di due crisi gravissime (2008 e 2011-2012) cadute nel bel mezzo di un ventennio di

perdurante stagnazione dell’economia (1995-2015), nel corso del quale l’Italia (unico paese occidentale insieme alla Grecia) ha visto calare i redditi disponibili delle famiglie di 5 punti percentuali, a fronte di una crescita di 20-25 punti in paesi come la Francia o la Germania (A. Brandolini, et al.1 aprile 2019).

Questa fase «critica» della nostra storia ha finito per gravare, da noi assai più che altrove, soprattutto sulle spalle delle famiglie con bambini, producendo nuovi squilibri generazionali e penalizzando, sotto diversi aspetti, le aspirazioni e le possibilità di crescita dei più piccoli, in un periodo strategico della loro crescita personale. Com’è noto la deprivazione multidimensionale sperimentata fin dalla tenera età può dispiegare i suoi effetti lungo tutto il corso della vita, producendo effetti duraturi sulle condizioni di salute, sul percorso scolastico, sulla possibilità stessa di immaginare il futuro e di nutrire

aspirazioni, sull’accesso al mercato del lavoro, eccetera.

Nelle mappe e nei grafici che illustrano la crisi dell’infanzia e dei giovani si nasconde però un dato politico più generale, che in questi anni abbiamo cercato di mettere in evidenza e

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Questa fase «critica» della nostra storia ha finito per gravare, da noi assai più che altrove, soprattutto sulle spalle delle famiglie con bambini, producendo nuovi squilibri generazionali e penalizzando, sotto diversi aspetti, le aspirazioni e le possibilità di crescita dei più piccoli, in un periodo strategico della loro crescita personale.

Nel documento il TEMPO dEi baMbini (pagine 137-140)