di Anselmo Roveda
La fantascienza ha vissuto nel corso del Novecento alterne fortune, con un’età d’oro nel secondo dopoguerra e buon rilievo fin dentro agli anni ‘70. Complici anche le temperie politiche con la contrapposizione Ovest-Est: e con il terrore dell’atomica e la corsa spaziale - anch’essi terreno di quella che chiamiamo “guerra fredda” - a stimolare l’immaginario di scrittori e masse. Poi - dopo qualche decennio in sordina, almeno sul versante letterario (visioni cyberpunk di Gibson a parte) - la fantascienza ha conosciuto, a cavallo del primo decennio del 2000, una nuova fioritura e così la possibilità di incontrare nuovi lettori e spettatori, soprattutto tra i più giovani. Tra le molte declinazioni in temi e sottogeneri due in particolare hanno, e stanno, contraddistinguendo l’ultimo decennio: supereroi e distopia. I supereroi ci rassicurano perché hanno superproblemi esattamente come noi, ma soprattutto perché sono capaci di sconfiggere supercattivi esattamente come quelli, meno super, a cui nelle nostre vite non sappiamo dare un nome. Sconfiggono il male, eliminano la sofferenza; e noi con loro, perlomeno nelle due ore di visione. A fianco dei supereroi, le storie fantascientifiche o futuribili (talvolta futur-orribili) di distopia con corollari e derivazioni varie, spesso in intreccio tra loro. una catena narrativa solitamente così sviluppata: catastrofe a piacimento (tempesta solare, glaciazione, pandemia più o meno zombesca, surriscaldamento, impatto di un meteorite, incremento demografico e risorse insufficienti, guerra totale, invasione aliena…), riduzione drastica dell’umanità e sua organizzazione in società ipernormate e ipernormative ma con fasce di totale sbando e anarchia, tentativo più o meno riuscito di salvare la specie. A Hollywood riesce, è atteso, In pagina, due tavole tratte da Prima dell’Apocalisse, albo illustrato da
Réal Godbout, uno dei più importanti fumettisti canadesi, e da sua figlia Adèle Bourget-Godbout. Il diario di una piccola dinosaura che guarda il mondo con curiosità e preoccupazione in attesa del meteorite. Appunti da un passato che ricorda il nostro futuro… come ricorda la frase nel retro di copertina: «C’era una volta, sessantacinque milioni di anni fa, una specie che dominava il mondo intero…». Avant L’Apocalypse, Adèle Bourget-Godbout & Réal Godbout, © Marmaille et compagnie, 2016. Per gentile concessione di Orecchio acerbo.
dovuto. In letteratura per fortuna un po’ meno; si resta sovente, pur conclusasi la vicenda del singolo protagonista (individuo, gruppo o comunità) nei territori dell’incertezza, in balia di mondi da rifondare ma ancora profondamente caotici. Caos che investe pure il preteso ordine naturale: mutazioni profonde dell’ambiente e delle vite che lo
popolano aprono scenari inattesi. una letteratura distopica che spesso prende le mosse da un antefatto apocalittico; ma se nella fantascienza del secondo Novecento la
responsabilità è del potere pubblico, politico e militare, e additarlo serve a mettere in guardia, ad esempio,
dall’escalation atomica (è il caso di Cronache del dopobomba di Philip K. Dick; Dr. Bloodmoney, or How We Got Along After the
Bomb, 1965); al contrario la fantascienza del 2000 - finita da
tempo la “guerra fredda”, mutate le paure e accresciuta la sensibilità ecologica - introduce nuovi temi e responsabilità additando questa volta, più spesso, l’interesse privato (con oscure multinazionali a determinare l’apocalisse; e penso, tra gli esempi extraaeditoriali, all’umbrella del videogioco
Resident Evil e alla Donevia del film francese Arés). un
interesse privato, non contrastato da popolazioni intontite dall’intrattenimento di massa (tema questo che ha
precursori illustri, fin da Bradbury), che crea futuri inquietanti e genera non immotivati timori.
Timori che assomigliano molto a quelli espressi oggi dai movimenti giovanili impegnati contro il cambiamento climatico. Non è dunque un caso che nella fantascienza degli ultimi anni prevalgono, ancor più che in precedenza,
narrazioni di mondi al limite, spesso con risorse energetiche, quando non alimentari o addirittura idriche, ridotte al lumicino. Ne sono sovente corollari: imbarbarimento o irrigidimento etico della società, bisogno di redenzione, annuncio di un salvatore (o di una salvezza). Interstellar (2014) di Nolan è in questo senso un film emblematico; affronta temi che paiono pervadere l’odierno immaginario popolare. Almeno dei suoi settori più avanzati, come, per l’appunto, i giovani di Fridays for Future.
No, non è un caso che la fantascienza riemerga proprio ora. Così come negli anni ‘40-‘50 del Novecento, età d’oro del Avant L’Apocalypse, Adèle Bourget-Godbout & Réal Godbout,
genere, il mondo oggi vive una crisi che l’uomo della strada non può controllare e spesso neppure interpretare. Allora la sconfitta dell’orrore nazista lasciò il posto alla
contrapposizione in blocchi planetari, al timore dell’atomica, all’ebbrezza dell’elettronica per analfabeti. A sua volta tutto questo ha lasciato spazio, nel volgere di mezzo secolo, a un mondo frammentato e fuori controllo, al timore del terrorismo dentro o sulle soglie di casa, alla sbornia da tecnologia per laureati. Con un rilevante sovrappiù: la questione ecologica.
La Terra che sembrava risorsa inesauribile, addomesticabile ai desideri dell’uomo, si è rivelata quel che è: un ecosistema complesso, non fragile ma alla fine scava qua, sbuffa là -frangibile. un pianeta, naturalmente regolato per
biodiversità e lentezza, incapace di sostenere sette miliardi di umani tutti con gli stessi desideri di unicità e velocità. L’umanità si credeva razza padrona e si scopre ora, nei suoi settori più consapevoli, razza parassita. E oggi, a differenza degli anni ‘50 del Novecento, i politici e le élite economiche e culturali non sembrano essere messe meglio, in quanto a interpretazioni e soluzioni, dell’uomo della strada. Il punto di rottura indicato dalla scienza non è troppo lontano da quello rappresentato dalla fantascienza; ovvero dalla crisi planetaria che spinge Cooper - l’agricoltore, con passato da cosmonauta, interpretato da Matthew McConaughey in
Interstellar (2014) - a cercare altri mondi abitabili; dal
disfacimento delle strutture sociali che porta Eric - il disperato personaggio di Guy Pearce in The Rover (2014) -ad affrontare l’outback australiano in cerca di un’impossibile requie; dall’alienazione del diritto che costringe Memo Cruz - il lavoratore sfruttato interpretato da Luis Fernando Peña in Sleep Dealer (2008) - a reinventarsi oltre i margini della società. Esiti diversi per narrazioni che rispondono, forse, a un bisogno profondo e urgente delle persone del nostro tempo (narratori e no) ovvero provare a individuare e percorre vie d’uscita - collettive dove possibile, individuali dove necessario - capaci di mettere in salvo dalla crisi. La letteratura per ragazzi, sia nei suoi intrecci più espliciti con la letteratura sf sia nelle opere di autori non soliti al In pagina, due tavole tratte da Grand Central Terminal, un racconto
distopico di uno dei padri della fusione nucleare, Leo Szilard, illustrato per Orecchio acerbo da GiPi. «Atterrati dallo spazio siderale a New York, non abbiamo incontrato né uomini né altri animali. È così su tutto il pianeta Terra. Ci sono tracce evidenti di radioattività. È certo che c’è stata un’esplosione nucleare. una guerra? Impossibile. I terrestri, lo sappiamo, erano esseri molto intelligenti.
Ma quei dischetti trovati nei gabinetti del Grand Central Terminal?». Per gentile concessione di Orecchio acerbo.
genere, è protagonista di questa stagione di riflessioni; non solo con alcuni casi editoriali di successo mondiale e d’area anglosassone, ma anche con prove e declinazioni in ambito italiano. All’inizio del decennio due scrittici italiane hanno pubblicato romanzi di buona fattura e fortuna nei quali i protagonisti (in un caso una diciassettenne, nell’altro un gruppo di ragazzini e bambini) si confrontano con un mondo inquietante, profondamente diverso da quello che conosciamo; si tratta di Bambini nel bosco (Fanucci, 2010) di Beatrice Masini, che ebbe anche un seguito in La fine del
cerchio (Fanucci, 2014), e Sopravvissuta (San Paolo, 2011) di
Fulvia degl’Innocenti. Da allora i titoli e gli autori si sono moltiplicati, con prove di autori prevalentemente per ragazzi - come Luigi Ballerini con Io sono Zero (Il Castoro, 2015) e
Imperfetti (Il Castoro, 2016) - e incursioni di autori di solito
fuori dal settore - come Antonella Cilento con il recente e riuscito Non leggerai (Giunti, 2019) - ma anche con l’avvio di serie - i volumi del ciclo Canti delle terre diverse di Francesco Gungui (Fabbri) o quelli del ciclo Berlin (Mondadori) di Fabio Geda e Marco Magnone. Per orientarsi tra i titoli, Martina Russo ha realizzato una pista bibliografica: Distopie di carta. Impossibile invece censire qui le moltissime narrazioni sugli stessi temi circolanti tra i giovani attraverso i circuiti web delle piattaforme di fanfiction (e quindi, perlopiù, scritte da adolescenti) o attraverso ebook di autori autopubblicati riconducibili a quella tendenza che potremmo definire u.F.I. (underground del fantastico italiano); due fenomeni che di rado arrivano sulla carta e alla critica ma che sono ben presenti nelle abitudini di lettura dei giovani.