Lavoro e prospettive di cambiamento Fernando Codonesu*
4. Crescita–decrescita, sviluppo, benessere, felicità
In una fase di crescita è relativamente facile affrontare i problemi occupa- zionali. Nella storia recente nelle fasi di crescita è sempre stato riscontrato un aumento dell’occupazione.
Dall’introduzione della rivoluzione cibernetica che inizia nell’imme- diato secondo dopoguerra del ‘900 questa affermazione non è più vera. Si può avere e si ha crescita con diminuzione di occupazione.
C’è chi parla di crescita felice e di decrescita felice.
Si tratta di aggettivazioni di cui noi facciamo a meno volentieri e so- prattutto è la crescita che può fare a meno di queste aggettivazioni super- flue.
La crescita è un fatto quantitativo che normalmente si misura con il PIL (Prodotto Interno Lordo). Dopo tanto tempo, a partire dal 2007, anno di inizio della crisi, il PIL è tornato a crescere e per l’anno corrente lo si stima pari all’1,5%, a fronte di un indice europeo pari al 2,2%: cresciamo sì, ma meno degli altri paesi europei come costantemente verificatosi ne- gli ultimi 25 anni.
Per cui non è accettabile alcun racconto trionfalistico da qualsiasi parte esso provenga, anche perché la ripresina in atto in parte è dovuta alle po- litiche della BCE che ha favorito le esportazioni. I consumi interni, infatti, continuano a mostrare segni di difficoltà. Quanto al PIL, va ancora osser- vato che siamo a – 6% se prendiamo come riferimento il PIL dell’anno di inizio della crisi.
Quindi c’è ancora tanto da fare!
Qui ci interessa annotare che la crescita non può essere infinita, come ci insegnano alcuni pensatori del secolo scorso, a partire dal libro deri- vante dal rapporto del Club di Roma “I limiti dello sviluppo, 1972”, ma il titolo esatto era “The limits to growth”, ovvero i limiti della crescita, da Herman Daly con i suoi lavori sulla economia ecologica e lo sviluppo sostenibile, ma soprattutto ci si riferisce a Georgescu–Roegen, fondatore della bioeconomia, e primo ad introdurre i principi della Termodinamica nei modelli econometrici, con quel che ne consegue in termini di crescita con uso (abuso) di risorse limitate e in presenza di entropia crescente.
Solo dopo questi autori appena citati vengono considerati i lavori di La- touche, che da economista e filosofo qual è, fondamentalmente sostiene che si può essere felici indipendentemente dalla crescita economica.
Lavoro e prospettive di cambiamento 35 E come dargli torto?
Per noi la felicità appartiene alla sfera degli umani e si estrinseca e si gode a livello individuale o di piccoli, piccolissimi gruppi familiari e non solo, per limitati periodi di tempo. Se la felicità fosse continua nel tempo sarebbe un’altra cosa, forse soddisfazione personale per esempio, o bea- titudine se pensiamo agli asceti e ai contemplativi, ma nell’esperienza e nella percezione delle persone normali la felicità in quanto tale ha una limitazione temporale innegabilmente legata alla psicologia umana e alle relazioni intessute nel momento e/o nella fase temporale in cui tali mo- menti di felicità si manifestano.
Certamente si può essere felici in fasi di crescita e in tali periodi si può ritenere più probabile che la felicità possa riguardare molti più individui rispetto a periodi di decrescita e di recessione.
La felicità rimane comunque all’interno di una dimensione individuale e può sussistere indipendentemente dalle fasi economiche, così come dal lavoro che si svolge o che non c’è.
Talvolta si parla di diritto alla felicità come diritto naturale, ma tale diritto non esiste e solo gli sprovveduti possono reclamarlo dalla società o dallo Stato di appartenenza. La stessa costituzione americana che si cita al riguardo non prevede il diritto alla felicità, ma il diritto alla “ricerca della felicità” da parte di ogni cittadino, che è obiettivo alquanto diverso e diffi- cile da raggiungere.
Altro è il concetto di benessere che interessa le moltitudini e le società umane organizzate all’interno delle quali si dipana la vita degli individui. Il benessere esprime la qualità del vivere dei singoli e delle comunità siano esse urbane o rurali.
Se ci rapportiamo al pianeta come componenti della natura e non come elementi che devono dominarla, se ci rapportiamo all’ambiente e alla biosfera in termini di sostenibilità dell’impronta antropica, ammesso che lo si voglia fare, per riportare in equilibrio gli ecosistemi necessari ad una continuità della vita umana con limiti accettabili nella produzione di entropia, solo la decrescita in alcuni settori e per determinati e con- cordati periodi tempo su scala internazionale può garantirne il successo. Altrimenti si tratterà di buoni propositi e accordi come quello di Kyoto destinati al fallimento.
Sicuramente fasi di crescita economica possono determinare uno svi- luppo più equilibrato e maggior benessere delle popolazioni. Al di là della
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misura quantitativa, la qualità del vivere si misura necessariamente con indicatori e parametri diversi dal PIL, come la qualità dei servizi di cui di- spone una collettività, tra questi ricordiamo la sanità, la scuola, le strade, il sistema del welfare, ecc.
È dall’insieme di qualificati e funzionali servizi di cui dispone la cittadi- nanza nel suo insieme che si misura il benessere.
E qualità dei servizi, per uno Stato che si preoccupi realmente dei pro- pri cittadini, significa garantire a tutti Livelli Qualitativi Uniformi di tutti i servizi a qualunque latitudine, sia che si parli di sanità che di scuola, di strade come di assistenza sociale, di messa in sicurezza dei territori come di salubrità ambientale.
5. L’organizzazione del lavoro attuale, trasformazioni in atto e pro-