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Il lavoro come realizzazione della nostra umanità Ettore Cannavera*

Nel documento Programmazione unitaria (pagine 69-73)

* Sacerdote, fondatore della comunità “La Collina a Serdiana”.

Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti

ISBN 978-88-255-1626-5 DOI 10.4399/97888255162652 pp. 69-72 (luglio 2018)

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zazione dell’umanità è nel completare il benessere del mondo realizzato dall’uomo. Ecco perché il non lavoro genera nel tempo una menomazione. Chi non lavora è una persona monca, manca qualcosa della sua persona- lità. Lo dice l’antropologia, lo dice la filosofia, lo dice la psicologia. Ecco perché non è qualcosa su cui possiamo transigere, deve essere il nostro impegno quotidiano, culturale, politico, di primo ordine. È gravissimo se penso che ci sono persone, soprattutto tra i più giovani che non posso- no realizzarsi nel lavoro, perché è così che si realizza la nostra umanità. Questo deve essere l’obiettivo principale della politica, non l’arricchimen- to di pochi, ma il lavoro arricchimento di tutti. È questo che deve essere sempre l’obiettivo principale. La parola solidarietà è una parola ambigua, a mio avviso: essere solidali molte volte è stato interpretato nel senso di beneficenza, del volemose bene, la solidarietà invece vuol dire riconosce- re il diritto fondamentale di ciascuno di realizzare pienamente la propria umanità. E allora: quale è il nostro compito? Ebbene i cristiani, i cattolici (oggi riferendosi a questo Papa) richiamano questi contenuti. Ma non c’è un serio impegno in questo settore. Troppo spesso le nostre parole dentro le nostre chiese sono parole vuote, sono parole che non gridano al diritto fondamentale perché tutti gli uomini abbiano un lavoro. Ancora prima di avere l’accesso alla preghiera, l’accesso al tempo libero.

La mia esperienza come cappellano nel nostro carcere minorile di Quartucciu, mi ha convinto che la cosa peggiore non è la condanna della privazione della libertà, ma la più disumana è la condanna all’ozio. Che non è quell’ozio (positivo) di cui si parlava prima: è l’ozio di ragazzi dai 14 ai 25 anni, distesi nei loro letti in attesa che passi il tempo, che sia espiata la loro pena, la loro condanna. Ma la condanna peggiore è quell’ozio a cui sono condannati dentro il carcere. Anche nel nostro carcere di Uta, dei 650 detenuti lavorano solo 60–70 persone mentre tutti gli altri sono condan- nati all’ozio. Questa è la cosa più grave della condizione detentiva. Anche l’accoglienza dei rifugiati è orientata più verso l’assistenzialismo, piutto- sto che al rispetto dei diritti spettanti a tutti gli esseri umani: il lavoro.

L’assistenza si dà a chi non è in grado di lavorare, a chi ha diverse diffi- coltà, ma assistere uno che arriva in Italia in cerca di dignità, perché scappa non solo dalla persecuzione, ma scappa dalla povertà, in cerca di un dirit- to: il lavoro dignitoso. L’assistiamo? Diamo loro un compenso per vivere? Ecco perché la destra gioca molto su questo. Perché si spende troppo per assistere queste persone che arrivano da noi. Non siamo in grado di or-

Il lavoro come realizzazione della nostra umanità 71 ganizzare le opportunità lavorative! Perché ancora prima del bisogno di nutrirsi hanno necessità di realizzare la loro umanità. Per questo il compi- to principale del nostro Governo, deve essere improntato sulla ricerca di opportunità lavorative. Nella mia esperienza nella gestione dello SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo Rifugiati) accogliamo 35 rifugiati: quale è il nostro compito principale? Quello di creare una svolta, dare loro possibilità di vivere del loro lavoro. Questo è il rispetto della dignità uma- na. Non assistenza, ma rispetto, con una retribuzione dignitosa, non sfrut- tamento. Perché questo sta capitando ai nostri rifugiati, invece ci vuole un riconoscimento del loro diritto fondamentale: il lavoro. Il nostro compito, e credo sia l’obiettivo di questo nostro incontro, è quello di avere una coscienza, di rispetto della dignità della persona che non può non passare se non attraverso il lavoro, la realizzazione delle proprie potenzialità, in- tellettive, manuali, artistiche. L’aspetto più importante dell’uomo è poter dire che vive del proprio lavoro. In conclusione, il convegno di stasera deve giustamente ribadire questo rispetto della dignità e dei diritti. La dignità è legata ai diritti. Il diritto fondamentale è poter vivere del proprio lavoro. E che dire del lavoro precario, del modo in cui stiamo vivendo questa situa- zione storica, in Sardegna e nel mondo intero? L’invito finale che vorrei fare è proprio questo: non pregare per queste persone, ma pregare perché tutti abbiano pienamente dignità nel rispetto del loro impegno, della loro capacità per poter dire che si vive del proprio lavoro. In fondo l’impegno principale di un politico nel gestire la polis non è altro che creare per tutti opportunità di lavoro. Ed è per questo che tutti noi dobbiamo batterci e credo sia il messaggio di questo convegno.

La mia aspirazione è che si prenda consapevolezza della necessità del superamento del concetto e soprattutto della pratica dell’assistenzialismo. Sto male quando i mass media pubblicano i dati delle Comunità, in parti- colare parlo ad esempio del Sant’Egidio di Roma, o della Caritas. dicono: «questa Pasqua siamo passati ad assistere da 3000 a 6000 persone». Come dire «abbiamo fatto bene!» Invece lo devono dire con tristezza: più au- menta l’assistenza più vengono dimenticati i diritti. Ecco perché dico al nostro mondo cattolico: superate questa visione strabica che quasi si bea del bene fatto e non cerca di superare questa discriminazione. Se aiuto, giustamente, chi ha bisogno, nello stesso tempo devo lavorare perché non ci sia più bisogno del mio aiuto. Questo è a mio avviso il rispetto della dignità della persona, dei diritti della persona. L’assistenzialismo va supe-

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rato. È ammissibile assistere solo se nello stesso tempo vado a chiedere politica perché vi sia sempre meno bisogno di assistenza, proprio perché vengono riconosciuti i diritti di ciascuno. Questa è un’azione veramente politica anche seguendo l’insegnamento evangelico perché si basa sul ri- spetto della dignità di tutte le persone.

73 I gruppi d’acquisto solidale (Gas) sono gruppi informali di cittadini che si incontrano e si organizzano per acquistare insieme prodotti alimentari o di uso comune. L’acquisto avviene secondo il principio della solidarietà, che li porta a preferire produttori piccoli e locali, rispettosi dell’ambiente e delle persone, con i quali stabiliscono una relazione diretta (http://www.economiasolidale.net/content/cose–un–gas).

I GAS non sono isolati. Dopo anni di attività è stata organizzata una rete di mutuo aiuto, la Rete di economia solidale. Nel sito web http:// www.economiasolidale.net/ sono riportati i principi generali (pagina http://www.economiasolidale.net/content/cose–un–gas) e indicazioni per l’organizzazione e l’attività (http://www.economiasolidale.net/con- tent/risorse–e–strumenti–i–gas) dei GAS.

Della rete di economia solidale, a livello distrettuale e regionale, fanno parte oltre ai GAS anche produttori e fornitori legati ai GAS (http://www. economiasolidale.net/content/rete–di–economia–solidale–res).

Il documento fondativo e programmatico della rete di economia so- lidale è la Carta per la rete italiana di economia solidale (http://www. solidariusitalia.it/2012/04/carta–per–la–rete–italiana–di–economia–soli- dale–res/).

Dopo questa breve introduzione al GAS e alla rete di economia soli- dale, propongo le mie personali valutazioni su alcuni aspetti dell’attività dei GAS, rilevanti sia per i suoi soci sia per i piccoli produttori e i fornitori locali. In questo intervento farò riferimento all’esperienza particolare del GAS Pietrasanta. Occorre infatti tener presente che ogni GAS è autonomo pur facendo riferimento ai principi dell’economia solidale e che la rete

Il gruppo di acquisto solidale (GAS)

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