Sergio Sulas*
* Presidente GAL Marghine.
Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti
ISBN 978-88-255-1626-5 DOI 10.4399/97888255162652 pp. 125-129 (luglio 2018)
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mento fibroso e a basso costo, rappresenta l’80% della razione giornaliera. Il resto sono mangimi concentrati. Niente a che vedere con la variabilità descritta in precedenza.
La qualità ambientale dei territori rurali, la biodiversità intesa come composizione pabulare dei pascoli e una zootecnia estensiva (con basso carico di bestiame per ettaro di pascolo) portano all’ottenimento di pro- dotti agricoli con elevate caratteristiche nutrizionali. Questi elementi am- bientali, pertanto, caratterizzano queste produzioni agricolo–zootecniche conferendo loro elementi di unicità e di pregio.
La qualità ambientale dei territori rurali e il loro utilizzo nel pieno ri- spetto delle condizioni pedoclimatiche comportano l’ottenimento di pro- duzioni per il consumo finale solo in alcuni periodi dell’anno. Nel caso della zootecnia da carne in regime di produzione biologica il picco pro- duttivo viene raggiunto alla fine del periodo primaverile, perfettamente allineato con i noti diagrammi della produttività dei pascoli mediterranei (di pianura, collinari e montani). In altri termini, un prodotto veramente biologico non può essere presente tutto l’anno negli scaffali del supermer- cato!
Nel comparto carni bovine, la zootecnia estensiva sarda rappresenta la quasi totalità delle produzioni zootecniche regionali. Unica importante eccezione è rappresentata dal comprensorio produttivo di Arborea, preva- lentemente orientato alla produzione di latte e con una nuova specializza- zione produttiva indirizzata al finissaggio dei vitelli da ristallo.
Importiamo oltre l’80% del fabbisogno regionale di carne e questo vale anche per molte altre produzioni agricole.
Abbiamo il dovere di valorizzare le produzioni dei territori rurali perché: — sono uniche, in quanto l’unicità deriva da condizioni irripetibili al-
trove;
— incorporano il patrimonio genetico e ambientale di riferimento; — sono di elevata qualità in quanto la scienza già ipotizza positive cor-
relazioni con le caratteristiche organolettiche e nutrizionali;
— derivano da sistemi produttivi che valorizzano e tutelano l’ambien- te e perché vengono prodotte senza nessuna esternalità negativa. Valorizzare queste produzioni significa strutturare e organizzare il comparto produttivo al fine di incrementare la quota di valore aggiunto
Le filiere agroalimentari e la valorizzazione dei prodotti di qualità nei territori rurali 127 prodotto dall’impresa agricola, rendendo il lavoro in campagna economi- camente sostenibile e dignitoso per chi lo svolge.
Valorizzare i prodotti dei territori rurali significa puntare solo su pro- duzioni di qualità, biologiche o “nobili”, solo in alcuni periodi dell’anno (stagionalità), solo su una integrazione verticale a valle dell’impresa agri- cola, solo su nuovi percorsi di filiera e/o modifica degli assetti dei canali distributivi esistenti.
La grande distribuzione ha modificato le abitudini di consumo: fideliz- zazione del cliente, molta comunicazione, elenco delle offerte, prodotti “civetta”. Il fatto che gli “scaffali” debbano essere sempre occupati impo- ne la presenza dello stesso prodotto durante quasi tutto l’arco dell’anno. L’origine e la sua provenienza hanno una importanza secondaria. Queste logiche commerciali hanno il loro impatto nei rapporti con i fornitori: vincoli contrattuali stringenti, continuità di fornitura, impegno a soste- nere i costi delle offerte speciali e delle attività di promozione, impegno a sostenere i costi della logistica, tempi di pagamento mediamente lunghi.
Nel comparto del bovino da carne il percorso di filiera è abbastan- za articolato. Nella generalità dei casi, oltre all’allevatore, sono presenti i seguenti operatori: intermediario animali da ristallo (operatore quasi sempre locale), impresa di finissaggio o ingrasso finale (operatore quasi esclusivamente continentale), impresa di macellazione, impresa di porzio- namento (quando destinato prevalentemente alla grande distribuzione), macelleria per la vendita al dettaglio (anche punti vendita presso strutture della GDO), consumatore professionale (somministratore) e consumato- re finale. Nel percorso di filiera descritto, il prodotto base (il vitello da ristallo) perde le sue caratteristiche qualitative originali, passando da un allevamento al pascolo ad un allevamento in stabulazione fissa.
Nel canale distributivo descritto, purtroppo, il ruolo dell’impresa che alleva gli animali è marginale: non ha nessuna possibilità di determinare o incidere sul prezzo del prodotto che il consumatore finale sostiene. Il potere contrattuale è concentrato tra gli operatori a valle della filiera o, come succede nella stragrande maggioranza dei casi, è in capo ad un uni- co operatore, il gruppo di acquisto della grande distribuzione organizzata. In altri termini, i percorsi di filiera e i canali distributivi sono composti da molti operatori che svolgono un ruolo opportunistico: a chi produce e a chi si assume il doppio rischio imprenditoriale (rischio climatico/ambien- tale e rischio di impresa) non viene riconosciuto il dovuto.
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Per valorizzare le produzioni del comparto agricolo abbiamo il dovere di immaginare e costruire nuovi percorsi di filiera in cui predomini la col- laborazione tra gli operatori e in cui all’impresa agricola venga riconosciu- to il suo ruolo. Banalmente, un “percorso” è quello che prevede la vendita diretta, senza nessun intermediario. In questo caso, l’impresa agricola ha la possibilità di concordare un prezzo direttamente con il consumatore professionale o consumatore finale. Il valore aggiunto non si disperde tra gli operatori della filiera o non finisce presso quello più forte!
È possibile immaginare struttura di filiera un po’ più articolate rispetto al percorso appena descritto, dove comunque il potere contrattuale (che banalmente potrebbe coincidere con il potere di determinare il prezzo del prodotto intermedio o finale) sia equamente distribuito e dove prevalgano forme di collaborazione.
Un migliore riconoscimento di prezzo “sostenibile” ed economicamen- te vantaggioso — nel senso di ottenere da questo lavoro uno stipendio equivalente a quello di altri settori produttivi — renderebbe nuovamente attrattivo il lavoro in campagna, incentivando verso un settore produttivo che nel tempo ha perso imprese ed occupati. Le nuove tendenze dico- no che ci sono molti giovani che vogliono dedicarsi ad attività produttive agricole. L’Unione Europea sta incentivando questa tendenza e a livello regionale esistono specifici finanziamenti per l’insediamento dei giovani agricoltori. Questi sono tutti ottimi segnali, ma bisogna essere più incisivi e sperimentare veramente questi “nuovi percorsi di filiera”. Questo è uno dei progetti su cui il Gal Marghine investirà delle risorse finanziarie e non solo!
In termini più generali, il fatto che esistano produzioni agricole estre- mamente varie, di nicchia e non, impone una seria riflessione sul fatto che occorra concentrare l’attenzione alla segmentazione della clientela. Ogni prodotto agricolo ha il suo mercato; l’importante è individuare il mercato o il segmento di clientela in grado di riconoscere ed apprezzare le caratte- ristiche qualitative e il relativo prezzo.
Strutturare e organizzare queste produzioni significa quindi anche ri- costruire un rapporto diretto produttore–consumatore, non mediato da altri operatori, basato su un semplice patto: assoluta qualità del prodotto, senza nessuna forzatura, biologico, “nobile”, in cambio di un riconosci- mento di prezzo — sostenibile ed equo anche per il consumatore — che valorizzi e renda sostenibili queste produzioni.
Le filiere agroalimentari e la valorizzazione dei prodotti di qualità nei territori rurali 129 Punti oggetto delle considerazioni di sintesi.
1. La qualità ambientale dei territori rurali (salubrità, spiccata biodi- versità, ecc.) associata a ed una elevata qualità dei prodotti agricoli e zootecnici (unicità, elevate caratteristiche nutrizionali, equilibrio di composizione, sapidità, gusto).
2. Valorizzazione economica di queste produzioni (= maggiore fattu- rato delle imprese agricole) per rendere il lavoro in campagna eco- nomicamente sostenibile e dignitoso per chi lo svolge.
3. Ricostruzione di un rapporto diretto con il consumatore finale (sot- tolineo, finale…) basato su un semplice patto: assoluta qualità del prodotto (senza nessuna forzatura, biologico, “nobile”) in cambio di un riconoscimento di prezzo che valorizzi e renda sostenibili que- ste produzioni.
4. Offerta di un prodotto di qualità a condizioni economiche vantag- giose per il consumatore finale. Non esiste che un prodotto buono debba avere un prezzo impossibile. Un prezzo equo anche per il consumatore.
5. Una nuova organizzazione di filiera in cui il potere contrattuale è equamente distribuito e non concentrato presso l’operatore più for- te (come ad esempio nel caso delle centrali acquisto GDO o oligo- polisti del comparto della macellazione…).
131 Nella crisi che abbiamo affrontato a partire dal 2008 ci sono alcuni spunti che vanno sottolineati per individuare idee, progetti e percorsi di impresa. Dal mio punto di vista, non tutto è negativo: ovunque si sviluppano nuove idee imprenditoriali e la Sardegna risulta tra le regioni più attive a livello nazionale.
Intanto cominciamo col dire che il digitale crea lavoro e sviluppo. Al riguardo, Enrico Moretti nel libro La nuova geografia del lavoro1
analizza il tessuto economico americano e confronta le dinamiche di svi- luppo di diverse città americane di industrializzazione “pesante” e ”digi- tale”. L’affermazione è netta: ogni posto di lavoro creato negli hub tecno- logici è mediamente meglio retribuito e ne genera almeno cinque in altri settori produttivi, e tutti retribuiti meglio che altrove.
Al di qua dell’Atlantico, le più grandi città europee avviano politiche di sviluppo economico con alti investimenti in R&S e creando ambienti at- traenti per gli investimenti delle grandi multinazionali digitali. In Europa Londra, Berlino e Parigi si contendono il primato.
Per esempio Google ha investito un miliardo di dollari per l’apertura di un nuovo quartier generale a Londra che creerà almeno 3000 nuovi posti di lavoro entro il 2020; Facebook ha incrementato di 500 unità i posti di lavoro nel Regno Unito e prevede un incremento di un ulteriore 50% de- gli occupati nella sede di Londra. Nonostante la Brexit, Londra continua ad essere molto attrattiva per i capitali di investimento al punto che nel primo semestre del 2017 ci sono stati investimenti pari a 4.5 miliardi di sterline nel settore delle tecnologie digitali. Allo stesso tempo, sempre a
* Cofondatore di Net Value, Cagliari. 1. Edito da Mondadori, 2013.