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Tavolo tematico su Economia Sociale e Solidale Un’introduzione

Nel documento Programmazione unitaria (pagine 59-69)

Franco Meloni*

* Aladinpensiero news, CoStat.

Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti

ISBN 978-88-255-1626-5 DOI 10.4399/97888255162652 pp. 59-67 (luglio 2018)

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2. Le finalità economiche e sociali dell’economia sociale e solidale: creazione di nuovi mercati, risposta a nuovi bisogni sociali, creazio- ne di posti di lavoro, inclusione sociale, rafforzamento del capitale sociale, perseguono complessivamente un grande progetto politico di democratizzazione dell’economia.

Alcuni autori come Jean–Louis Laville (1999) definiscono l’Economia Sociale e Solidale (ESS) come «l’insieme delle attività che contribuiscono alla democratizzazione dell’economia a partire dall’impegno civile».

Emerge allora una scelta di radicale alternativa rispetto alla classica con- cezione dell’economia di mercato, che oggi è dominata dalla sua versione neo–liberista. Ci piace osservare come tale concezione, purtroppo egemone in quasi tutto il pianeta, contrasti con i principi della nostra Costituzione.

Al riguardo, per l’articolo 42

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

Fatta questa premessa vediamo ora l’ambiente in cui concretamente si manifesta e pratica l’economia sociale e solidale, cioè il Terzo Settore, avvertendo che lo stesso non ne è il campo esclusivo, tuttavia ne è sicura- mente il più rilevante.

Il Terzo Settore (TS) è costituito da un insieme, vasto ed eterogeneo, di aggregazioni collettive (associazioni, gruppi, comitati, cooperative, fonda- zioni, enti, ecc.). Può essere così definito:

Complesso di soggetti/enti privati che si pongono all’interno del sistema socio–eco- nomico, collocandosi tra Stato e Mercato e che sono orientati alla produzione di beni e servizi di utilità sociale per soddisfare bisogni a cui né lo Stato né il mercato privato sono in grado di dare risposta. I destinatari dei servizi offerti nel TS sono l’enorme

Tavolo tematico su Economia Sociale e Solidale 61 fetta di popolazione che rimane scoperta dall’assistenza pubblica e che non si può permettere di rivolgersi a un mercato sempre più caro(Bruni, Zamagni, 2009; Wei- sbrod, 1977 e 1988; Hansmann, 1980).

La complessità del TS è rilevata da due fondamentali documenti che sono il Libro bianco sul TS (Zamagni, 2011) e il Terzo Censimento del non profit (Istat, 2013). Il primo, curato dal Prof. S. Zamagni, allora presidente dell’Agenzia per il TS, descrive lo stato di salute del non profit italiano, i suoi punti di forza e i nodi da sciogliere: «La chiamano l’altra economia. È quella prodotta dal sistema del TS che arriva ormai a sfiorare il 5% del PIL, occupando in forma retribuita 750.000 persone e 3.300.000 volontari» (Zamagni, 2011).

Il Libro bianco sottolinea che con 4 milioni di operatori, pari al 18% del totale dei lavoratori italiani, il non profit rappresenta il contenitore sociale più grande in Italia: l’età media si aggira intorno ai 40 anni, il 60% è costituito da donne e quasi l’80% delle organizzazioni censite si è costi- tuito negli ultimi vent’anni, a testimonianza della forte espansione che ha caratterizzato l’intero settore.

Il Terzo Censimento del non profit (il primo è del 1999, il secondo del 2001) fornisce la rappresentazione organica più aggiornata della dimensio- ne nazionale del non profit che fotografa i dati al 31 dicembre 2011: esso è costituito da 301.000 organizzazioni (+ 28% rispetto al 2001) ed i privati collegati al mondo non profit (volontari, dipendenti, altro) sono 5.700.000 (+46% rispetto al 2001). In particolare, sono due i segmenti più dinamici: quello a orientamento imprenditoriale (cfr. le 11.264 cooperative sociali quasi raddoppiate) e quello della filantropia (cfr. le 6.220 fondazioni più che raddoppiate) che sempre più si orienta anch’essa in senso produttivo.

Campi di intervento

Gli Enti del Terzo Settore perseguono finalità di interesse generale. La definizione di “interesse generale” è volutamente ampia: sono comprese le attività nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’arte e della cul- tura, della ricerca e della formazione, dell’ambiente e degli animali, dello sport e del tempo libero, della tutela dei diritti civili, e ovviamente della cooperazione internazionale.

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Per quanto riguarda i dati regionali, il non profit cresce soprattut- to nel Nord e nel Centro Italia, con punte più alte di presenza e attivi- tà in Lombardia, Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Quasi la metà dei dipendenti impiegati nelle istituzioni non profit (46,9%) è concentrata in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.

Fonte: Il terzo settore quale volano per l’economia dei territori, Aldo Ca- vadini, Fondazione Sodalitas, Milano, e–mail: aldo.cavadini44@gmail.com. Addetti e volontari per regione/provincia autonoma e ripartizione ge- ografica. Censimento 2011, valori assoluti e rapporto di incidenza sulla popolazione. Sardegna (tra parentesi Italia):

Addetti v.a. per 10mila ab.Addetti Volontari v.a. Vol. per 10mila ab. 16.976 (680.811) 104 (115) 140.794 (4.758.622) 859 (801) Fonte: ISTAT. LA RILEVAZIONE SULLE ISTITUZIONI NON PROFIT: UN SETTORE IN CRESCITA

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1. Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106. (17G00128) (GU Serie Generale n.179 del 02–08–2017 – Suppl. Ordinario n. 43) – Entrata in vigore del provvedi- mento: 03/08/2017

Art. 1

Finalità ed oggetto

1. Al fine di sostenere l’autonoma iniziativa dei cittadini che concor- rono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione, il presente Codice provvede al riordino e alla revisione organica della disciplina vi- gente in materia di enti del Terzo settore.

Tavolo tematico su Economia Sociale e Solidale 63 Art. 2

Principi generali

1. È riconosciuto il valore e la funzione sociale degli enti del Terzo settore, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e plurali- smo, ne è promosso lo sviluppo salvaguardandone la spontaneità ed auto- nomia, e ne è favorito l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di colla- borazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali. 2. (…) Il Codice del Terzo settore è legge. Cosa cambia con il grande “riordino” CSVnet 02 Ago 2017 Scritto da Stefano Trasatti.

Primo: vengono abrogate diverse normative, tra cui due leggi stori- che come quella sul volontariato (266/91) e quella sulle associazioni di promozione sociale (383/2000), oltre che buona parte della “legge sulle Onlus” (460/97).

Secondo: vengono raggruppati in un solo testo tutte le tipologie di quelli che da ora in poi si dovranno chiamare Enti del Terzo settore (Ets). Ecco le sette nuove tipologie: organizzazioni di volontariato (che dovran- no aggiungere Odv alla loro denominazione); associazioni di promozione sociale (Aps); imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali), per le quali si rimanda a un decreto legislativo a parte; enti filantropici; reti as- sociative; società di mutuo soccorso; altri enti (associazioni riconosciute e non, fondazioni, enti di carattere privato senza scopo di lucro diversi dalle società).

Restano dunque fuori dal nuovo universo degli Ets, tra gli altri: le am- ministrazioni pubbliche, le fondazioni di origine bancaria, i partiti, i sinda- cati, le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro. Mentre per gli enti religiosi il Codice si applicherà limitatamente alle attività di interesse generale di cui all’esempio successivo.

Gli Enti del Terzo settore saranno obbligati, per definirsi tali, all’iscri- zione al Registro unico nazionale del Terzo settore (già denominato Run- ts…), che farà quindi pulizia dei vari elenchi oggi esistenti. Il Registro avrà sede presso il ministero delle Politiche sociali, ma sarà gestito e aggiorna- to a livello regionale. Viene infine costituito, presso lo stesso ministero, il Consiglio nazionale del Terzo settore, nuovo organismo di una trentina di componenti (senza alcun compenso) che sarà tra l’altro l’organo consulti- vo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia.

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Terzo: vengono definite in un unico elenco riportato all’articolo 5 le «attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale» che «in via esclusiva o principale» sono esercitati dagli Enti del Terzo settore. Si tratta di un elenco, dichiaratamente aggiornabile, che “riordina” appunto le attività consuete del non profit (dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’am- biente) e ne aggiunge alcune emerse negli ultimi anni (housing, agricoltu- ra sociale, legalità, commercio equo ecc.).

Gli Ets, con l’iscrizione al registro, saranno tenuti al rispetto di vari obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci, i rapporti di lavoro e i relativi stipendi, l’assicurazione dei volontari, la de- stinazione degli eventuali utili.

Ma potranno accedere anche a una serie di esenzioni e vantaggi econo- mici previsti dalla riforma: circa 200 milioni nei prossimi tre anni sotto for- ma, ad esempio, di incentivi fiscali maggiorati (per le associazioni, per i do- natori e per gli investitori nelle imprese sociali), di risorse del nuovo Fondo progetti innovativi, di lancio dei “Social bonus” e dei “Titoli di solidarietà”.

Senza contare che diventano per la prima volta esplicite in una legge al- cune indicazioni alle pubbliche amministrazioni: come cedere senza oneri alle associazioni beni mobili o immobili per manifestazioni, o in comodato gratuito come sedi o a canone agevolato per la riqualificazione; o incenti- vare la cultura del volontariato (soprattutto nelle scuole): o infine coinvol- gere gli Ets sia nella programmazione che nella gestione di servizi sociali, nel caso di Odv e Aps, «se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato».

***

Un esempio di incentivazione e collaborazione da parte delle Pubbli- che Amministrazioni nei confronti degli Enti del Terzo Settore, previsto dalla recente legge di riordino

Articolo 71 (Locali utilizzati)

1.Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le rela- tive attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Mini- stero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.

Tavolo tematico su Economia Sociale e Solidale 65 2. Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione del- le imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent’anni, nel corso dei quali l’ente concessionario ha l’onere di effettuare sull’immobile, a pro- prie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi ne- cessari a mantenere la funzionalità dell’immobile.

3. I beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l’uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, che svolgono le attività indicate all’articolo 5, comma 1, lettere f ), i), k), o), z) con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite in- terventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svol- gimento delle attività indicate, ferme restando le disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La concessione d’uso è fi- nalizzata alla realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne as- sicuri la corretta conservazione, nonché l’apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Dal canone di concessione vengono detratte le spese sostenute dal concessionario per gli interventi indicati nel primo periodo entro il limite massimo del canone stesso. L’individuazione del concessionario avviene mediante le procedure semplificate di cui all’arti- colo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Le conces- sioni di cui al presente comma sono assegnate per un periodo di tempo commisurato al raggiungimento dell’equilibrio economico–finanziario dell’iniziativa e comunque non eccedente i 50 anni.

4. Per concorrere al finanziamento di programmi di costruzione, di recu- pero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di strutture o edifici da utilizzare per le finalità di cui al comma 1, per la dotazione delle relative attrezzature e per la loro gestio- ne, gli enti del Terzo settore sono ammessi ad usufruire, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, al ricorrere dei presupposti e in condizioni di parità con gli altri aspiranti, di tutte le facilitazioni o agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene all’accesso al credito agevolato.

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Una parte consistente del Codice (sei articoli, dal 61 al 66, pari al 14% dell’estensione del testo) è dedicata ai Centri di servizio per il volontariato (CSV), interessati da una profonda revisione in chiave evolutiva che ne riconosce le funzioni svolte nei primi 20 anni della loro esistenza e le ade- gua al nuovo scenario. A cominciare dall’allargamento della platea a cui i CSV dovranno prestare servizi, che coinciderà con tutti i «volontari negli Enti del Terzo settore», e non più solo con quelli delle organizzazioni di volontariato definite dalla legge 266/91 (anche se in realtà era già cospicua la quota di realtà del terzo settore “servite” in questi anni).

I Centri – che dovranno essere di nuovo accreditati – verranno governati da un inedito Organismo nazionale di controllo (Onc) e dalle sue articola- zioni territoriali (Atc), le cui maggioranze saranno detenute dalle fondazio- ni di origine bancaria. Sarà inoltre ridotto il numero complessivo dei Centri in riferimento ad alcuni parametri territoriali. Nella governance dei CSV potranno entrare tutti gli Ets (secondo il cosiddetto principio delle “porte aperte”), lasciando però al volontariato la maggioranza nelle assemblee. Saranno previsti nuovi criteri di incompatibilità tra la carica di presidente di un CSV e altre cariche, ad esempio ministro, parlamentare, assessore o consigliere regionale o di comuni oltre i 15 mila abitanti. I CSV, insieme alle Reti associative nazionali, potranno essere autorizzati dal ministero delle Politiche sociali all’«autocontrollo degli Enti del Terzo settore». Viene infi- ne centralizzato e ripartito a livello nazionale il fondo per il funzionamento dei CSV, che continuerà ad essere alimentato da una parte degli utili delle fondazioni di origine bancaria e da un credito di imposta fino a 10 milioni, a regime, che queste ultime si vedranno riconoscere ogni anno.

***

Nel nostro tavolo di lavoro intendiamo rappresentare questo mondo con alcune esperienze esemplari che spaziano in più campi e con alcune riflessioni di carattere generale, affidate a Ettore Cannavera, Antonello Caria, Gisella Trincas, Giuliano Angotzi, Remo Siza.

Avendo sviluppato la tematica anche in iniziative di riflessione e dibat- tito precedenti all’odierno incontro, anticipiamo di seguito alcune conclu- sioni, meglio definite come “Proposte impegnative”.

Impegno a sviluppare in Sardegna l’Economia Sociale e Solidale (ESS), favorendo l’associazionismo e la partecipazione dei cittadini (Enti del Ter-

Tavolo tematico su Economia Sociale e Solidale 67 zo Settore e ulteriori modalità di organizzazione dei cittadini attivi), attra- verso le sinergie tra pubblico e privato.

Individuazione e utilizzo sociale dei “beni comuni”, con il coinvolgi- mento della finanza etica e partecipata e in particolare delle Fondazioni ex bancarie.

In materia di ESS massimo sostegno soprattutto pubblico alla ricerca scientifica e alla formazione in tutte le sue possibili articolazioni.

Obbiettivo: portare la Sardegna a raggiungere i risultati delle migliori regioni italiane, in un tempo massimo di tre anni.

69 Nei 10 minuti a disposizione voglio esprimere i miei pensieri quasi per battute, senza poter approfondire più di tanto. E parto dalla frase di papa Francesco, da altri appena citata, ma soprattutto ricordando la mia appar- tenenza alla Chiesa Cattolica: Il lavoro che vogliamo: Libero, Creativo, Parteci-

pativo, Solidale. Siamo molto lontani da questo obiettivo.

Questa aspirazione nasce dalla realizzazione del nostro essere uomini. Il lavoro non è qualcosa che possa esserci o non esserci, ma il lavoro è es- senzialmente la realizzazione della nostra umanità. Permettetemi di citare Freud. La vita — secondo Freud — si realizza per il 50% nel vivere la no- stra sessualità, l’altro 50% nella realizzazione delle nostre potenzialità, del- le nostre capacità nel lavoro, sia intellettuale che manuale. Uno che non lavora è — oserei dire — parzialmente realizzato nella sua umanità. Ecco perché parlare del lavoro non è uno dei tanti argomenti di cui la politica possa occuparsi, ma il primissimo obiettivo di cui la politica si deve occupa- re perché deve pensare alla realizzazione dei cittadini di cui è responsabile.

Perché il lavoro?

Perché il lavoro dà la possibilità di mettere a frutto tutte le nostre po- tenzialità: intellettive, manuali, artistiche, relazionali, ecc.

Ciascuno di noi è in quanto realizzato nel proprio lavoro oltre che nelle relazioni affettive.

Ecco perché è un argomento di cui non si può non parlare. Ed ecco perché noi dobbiamo richiamare i nostri responsabili politici perché lo sviluppo del mondo si realizza nello sviluppo delle proprie potenzialità. Se uno è credente può appellarsi alla visione biblica: Dio non ha creato il mondo, lo ha appena iniziato — dice così la Bibbia — e allora la realiz-

Il lavoro come realizzazione della nostra umanità

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