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Il criminale atavico: il caso Villella

I L DELINQUENTE NATO COME MOSTRO

3. Il criminale atavico: il caso Villella

«Quanti errori e quante illusioni risparmierebbe il criminalista ed il psichiatro cui fossero note le risultanze della moderna antropologia, e che sapesse, con istrumenti e cifre, convincersi come alle aberrazioni del senso morale e della psiche corrispondano anomalie del corpo, e del cranio in ispecie!»239. In questa incisiva

affermazione di Lombroso è racchiuso il suo iniziale approccio allo studio del criminale, a partire dal 1870, quando comincia a catalogare i segni della diversità colpevole, certificandone scientificamente le differenze, non solo tra delinquenti e “normali”240 ma anche tra i diversi tipi di delinquenti241, nella

convinzione che la mostruosità fisica rispecchi quella morale242.

Lombroso intraprende così una ricerca affannosa sui corpi e sui volti di detenuti delle stigmate inequivocabili della devianza, prove inconfutabili che l‟uomo delinquente sia già predeterminato a commettere il male poiché biologicamente diverso243 dagli altri

esseri umani. È all‟interno di tale incessante ricerca che va collocato il primo approdo dei suoi studi sul criminale,

Effect. On Making Italians, 1860-1920, The University of Chigago Press, Chicago 2007).

239 C. Lombroso, Studi clinici ed antropometrici sulla microcefalia ed il cretinismo, in «Rivista clinica di Bologna», 1873, s. II,a. III, n.7, p. 193.

240 Cfr. C. Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, giurisprudenza e alle discipline carcerarie. Aggiuntavi la teoria della tutela penale del Prof. Avv. F. Poletti, 2a edizione, Bocca, Torino 1878, p. 50.

241 Cfr. C. Lombroso, L'uomo delinquente (1896)5, cit., pp. 274-278. 242 Cfr. D. Le Breton, Des visages, cit., pp. 97 e 282.

243 «È innegabile che nella nostra tradizione di pensiero (quella occidentale) la differenza sia stata descritta in termini negativi, configurandosi come una sorta di “inferiorità peggiorativa” in grado di svolgere un ruolo strutturale di conferma della superiorità del soggetto dominante su ciò che è appunto diverso, “altro”, deviante, mostruoso» (U. Fadini, La vita eccentrica. Soggetti e saperi nel mondo della rete, Dedalo, Bari 2009, p. 52).

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concretizzatosi nella teorizzazione della somiglianza tra delinquente e selvaggio. Nonostante il vivo interesse dimostrato da Lombroso già a soli venticinque anni, quando da neolaureato in medicina a Pavia, aveva manifestato la sua intenzione di approfondire l‟ambizioso tema “il genio e il delitto studiato in manicomio”244, c‟è un momento esatto in cui, si fa storicamente

ricondurre la nascita dell‟antropologia criminale: quella “grigia mattina del novembre del 1870” (come ci racconterà in seguito la figlia, Gina Lombroso)245 in cui analizzando il cranio di Giuseppe

Villella, contadino calabrese settantenne sospettato di brigantaggio e deceduto in carcere, nota una strana anomalia: al posto della consueta sporgenza, conosciuta con il termine anatomico di cresta occipitale interna, rilevò una concavità a fondo liscio, che prese il nome di fossetta occipitale interna o fossetta cerebellare mediana. Questa “scoperta”, del tutto smentita da tempo dalla scienza, per Lombroso, costituisce la prova dell‟esistenza nei criminali di «frequenti regressioni mostruose, che avvicinano l‟uomo ad animali inferiori»246 nonché la premessa della teoria del delinquente-nato.

Il nucleo centrale attorno a cui ruota la concezione del delinquente atavico247 (dal latino, atavus, antenato) è l‟idea che, per delle

malformazioni congenite craniche (come l‟esistenza della fossetta)

244 Questo era il titolo della conferenza proposto da Lombroso nel 1860 al preside della Società di Scienze e Lettere a Milano (D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., p. 97).

245 Cfr. G. Lombroso Ferrero, Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere, Zanichelli, Bologna 19212, pp. 130-131.

246 C. Lombroso, Della fossetta cerebellare mediana in un delinquente, in «Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 1872, vol. V, fasc. 18, p. 1062.

247 Sull‟atavismo nell‟opera lombrosiana si rinvia a R. Villa, Il deviante e i suoi segni, cit., pp. 144-149 e Id., L‘atavismo: il ritorno al primitivo, in U. Levra (a cura di), La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‘Ottocento, cit., p. 246.

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il delinquente è un uomo tornato indietro248 ad un stato primitivo e

selvaggio, che tuttavia si discosta totalmente dal mito del “buon selvaggio” di rousseauiana memoria avvicinandosi piuttosto all‟orda primordiale di cui parla Freud. I delinquenti, per Lombroso, non sono difatti soggetti progrediti, anzi sono rimasti indietro nel tempo, né hanno la capacità di adattarsi alla società moderna, con cui entrano quasi inevitabilmente in conflitto, apparendo come «selvaggi viventi in mezzo alla fiorente civiltà europea»249, alla stessa stregua dei selvaggi “autentici” che proprio

in quegli anni fanno bella mostra nei freak show di tutto il mondo250. Ciò spiegherebbe l‟indole e la diffusione di alcuni delitti,

caratterizzati da una ferocia disumana e inspiegabile, l‟uso frequente del tatuaggio e di un gergo “furfantesco”, la tendenza al cannibalismo anche immotivata e tutto ciò che deriva da «quegli istinti animaleschi, che rintuzzati, per un certo tempo, nell‟uomo dall‟educazione, dall‟ambiente, dal terrore della pena, ripullulano, a un tratto, sotto l‟influenza di date circostanze»251. Ma davvero il

calabrese Villella può racchiudere in sé tanta ferocia, divenendo una sorta di raffigurazione della malvagità primitiva? È alquanto paradossale che proprio il caso più celebre e discusso tra quelli

248 Da qui si spiegherebbe anche il termine reversion, utilizzato dai francesi per spiegare l‟atavismo.

249 C. Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, Hoepli, Milano 1876, p. 108.

250 A New York, Parigi, Milano o in qualche altra brulicante città a partire dalla seconda metà dell‟Ottocento si cominciano a moltiplicare gli spettacoli che, facendo leva su un esotismo da cartolina, hanno come principale attrazione accanto agli “anormali” fisici e mentali i c.d. selvaggi come nel caso del pigmeo Ota Benga o della sudafricana Saartjie Baartman, meglio nota come la “Venere Ottentotta”. Su tale inquietante “moda” si rinvia a S. Lemaire, P. Blanchard, N. Bancel, G. Boëtsch, É. Deroo (a cura di), Zoo umani. Dalla Venere ottentotta ai reality show, Ombre Corte, Verona 2003 (ed. or., Zoos humains. De la Vénus hottentote aux reality shows, Éditions la Découverte, Paris 2002).

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studiati da Lombroso sia anche quello su cui si sa meno: la figura del brigante calabrese è avvolta dal mistero per le diverse e contraddittorie descrizione fatte da Lombroso nell‟arco della sua vita, in cui viene dipinto ora come un semplice brigante o un ladruncolo252, ora come un feroce e sanguinario criminale, se non,

come riporterà la figlia Gina nell‟edizione inglese, una sorta di Jack Lo Squartatore italiano253. Ma, al di là delle innumerevoli

incongruenze che riguardano il profilo criminale di Villella e persino la sua conformazione fisica254, ciò che ci preme chiarire è

l‟impatto dell‟atavismo, sviluppato a partire da tale caso, nella teorizzazione del “delinquente-nato”. Dando uno sguardo complessivo all‟articolata costruzione lombrosiana, si può ben comprendere come il tentativo di risolvere la questione della criminalità con l‟atavismo costituisca una tappa fondamentale della ricerca di Lombroso e, seppure non rappresenti la soluzione definitiva all‟ambiziosa questione intorno alla natura stessa del criminale, essa lasci una traccia indelebile in tutta la sua riflessione, condizionando anche di non poco l‟immaginario e persino la letteratura. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che a creare una sorta di aurea mitica intorno al cranio di Villella sia

252 «Un certo Villella, di Motta S. Lucia, circondario di Catanzaro, d‟anni 69, contadino, sospetto di brigantaggio e condannato tre volte per furto, e per ultimo per incendio di un mulino a scopo di furto» (C. Lombroso, Esistenza di una fossa occipitale mediana nel cranio di un criminale, in «Archivio per l‟antropologia e l‟etnologia», 1871, vol. 1, p. 63).

253 «An italian Jack The Ripper, who by atrocious crimes had spread terror in the Province of Lombardy» (G. Lombroso Ferrero, Criminal man according to the classification of Cesare Lombroso, Putman‟s and Sons, New York and London, 1911, p. 6).

254 In realtà, la figura di Villella nei vari luoghi della riflessione lombrosiana assume una connotazione tutt‟altro che univoca, essendo descritto ora come un essere “tutto stortillato”, ora come un ladro “famoso per l‟agilità e gagliardia muscolare” (R. Villa, Il deviante e i suoi segni, cit., pp. 147-149).

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stato lo stesso Lombroso. La „scoperta‟ della fossetta, avvenuta, come abbiamo visto, alla fine del 1870 è descritta da Lombroso solo trentacinque anni più tardi, nel suo discorso di apertura, pronunciato in francese, del sesto Congresso Internazionale di Antropologia Criminale, con tono teatrale di chi, ormai scienziato acclamato in tutto il mondo, può permettersi di parlare di una vera e propria „illuminazione‟ che gli aveva addirittura permesso di risolvere l‟intero problema della natura del delinquente255. Che

Lombroso abbia enfatizzato tale ritrovamento per dare maggiore credito alla sua tesi256 o solo per difendersi ancora una volta dalle

accuse di lavorare a partire da dei pregiudizi e non da dei „fatti‟257,

non è poi così rilevante. Ciò che appare ben più importante è che il ritrovamento di questa anomalia - per Lombroso l‟atto di nascita dell‟antropologia criminale - spiega l‟esistenza del crimine con il fenomeno, per certi rassicurante per la nascente borghesia italiana, dell‟atavismo258 e fa di Villella l‟emblema di una nuova

255 In quello che forse è uno dei suoi passaggi più citati, Lombroso afferma: «A la vue de ces étranges anomalies, comme apparaît une large plaine sous l‟horizon enflammé, le problème de la nature et de l‟origine du criminel m‟apparut résolu: les caractères des hommes primitifs et des animaux inférieurs devaient se reproduire de nos temps» (C. Lombroso, Discours d‘ouverture au VI Congrés d'anthropologie criminelle, in Comptes-rendus du VIE Congrés international d'anthropologie criminelle: Turin, 28 avril-3 mai 1906, Bocca, Torino 1908, p. XXXII).

256 Anche in questo caso Lombroso aveva volutamente aggiunto molti elementi di fantasia in linea con il suo metodo, caratterizzato dall‟accumulare caotico e disordinato di segni e indizi la cui mancanza di oggettività comportava la necessità di doversi spesso ricorrere all‟invenzione (R. Villa, Il deviante e i suoi segni, cit. p. 149).

257 Questa è la conclusione di Marc Renneville, il quale osserva come la narrazione di tale scoperta permettesse a Lombroso di «precisare per l‟ennesima volta le sue scelte a quei contraddittori che pretendevano che egli avesse abusato troppo dei fatti isolati» (M. Renneville, Un cranio che fa luce? Il racconto della scoperta dell‘atavismo criminale, in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», cit., p. 110).

258 Il tema dell‟atavismo non è stato tuttavia introdotto ex novo da Lombroso, essendo già presente nel dibattito ottocentesco: cfr. amplius, S. Nicasi,

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disciplina tesa a formulare una vera e propria scienza dell‟anormale. Non a caso, il cranio di Villella diviene per stessa ammissione di Lombroso una sorta di feticcio o di totem dell‟antropologia criminale259 che apre le porte alla sua spasmodica

ricerca dei fondamenti biologici del crimine.

4. L‟ «amore mostruoso» di Vincenzo Verzeni,