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Il fascino ambiguo del mostro

I L DELINQUENTE NATO COME MOSTRO

1. Il fascino ambiguo del mostro

Il genio, come abbiamo visto, insieme al criminale, al folle, alla donna, al mattoide e così ogni altro deviante, tali poiché si discostano dai tranquilli binari di una cristallizzata e asfittica normalità, destano in Lombroso sentimenti contrastanti di repulsione e fascinazione, condanna e ammirazione, come può suscitare solo una figura soprannaturale, terribile e mitica allo stesso tempo. Per questo, ad uno sguardo scevro da facili condizionamenti ed aprioristici giudizi la ricerca di Lombroso tesa a trovare un ordine laddove regna il caos, provando e riprovando a catalogare tutti i segni, palesi o latenti di diversità, può essere spiegata come una ricerca dei sintomi della mostruosità, intendendo con tale termine non tanto la “scienza dei mostri” in senso medico come teratologia che mira a studiare dal punto di vista biologico e anatomico, le malformazioni congenite, ma come qualcosa di ben più profondo e sfaccettato che si collega direttamente al suo significato storico-etimologico originario, che rimanda ad una duplicità congenita di sacralità e dannazione. Per comprendere tale concetto non è superfluo ricordare il lapidario e provocatorio monito lanciato da Nietzsche nel 1886: «chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l‟abisso scruterà dentro

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di te»205. Questo aforisma riesce per molti versi, a riassumere

l‟ancestrale rapporto che l‟uomo ha sempre vissuto con il proprio lato oscuro, con qualcosa che genera insieme attrazione e ribrezzo: il mostro. L‟aforisma nietzschiano ci ricorda quanto labile e confuso sia il confine tra vittima e carnefice, tra normale e patologico. È come se vittima e carnefice si sovrappongano e si rincorrano vicendevolmente, in un immaginario gioco di specchi. Ad un simile ribaltamento di ruoli si assiste, ad esempio, nell‟epilogo del racconto di Edgar Allan Poe, Il gatto nero (1843), in cui il carnefice alla fine si trasforma in vittima a conferma del rapporto di identità-alterità che li lega indissolubilmente206. Lo stesso scambio

di parti avviene nel celebre film di Fritz Lang, M. il mostro di Düsseldorf (1931), in cui l‟odioso violentatore e uccisore di bambine, Hans Beckert, acciuffato dai “comuni criminali” e sottoposto da essi ad un sommario giudizio sembra mostrare tutta la sua fragilità e umanità207. Del resto, l‟abissale ambiguità del

mostro, si evince già dal suo significato letterale originario. Con tale termine si designa tutto ciò che, mettendo insieme aspetti contrari e di impossibile coesistenza per uno sguardo normale, esce dall'ordinario e viola in modo orribile e terrificante l'andamento consueto della realtà: «il mostro appare a sconfessare ogni

205 F. Nietzsche, Al di là dal bene e dal male, Adelphi, Milano 1977, p. 79 (ed. or., Jenseits von Gut und Böse , CG Naumann, Lipsia 1886).

206 Cfr. S. Anelli, Edgar Allan Poe e la «perversità»: tra orrore e razionalità, in M. Bellini (a cura di), L‘orrore nelle arti. Prospettive estetiche sull‘immaginazione del limite, ScriptaWeb, Napoli 2007, p. 145. Sulla “matrice demoniaca del perverso” e la dimensione tragica e insondabile dell‟uomo secondo Poe cfr. le interessanti considerazioni di M. Galzigna, La malattia morale, cit., pp. 273-277.

207 P. Cattorini, L‘occhio che uccide. Criminologi al cinema, Franco Angeli, Milano 2006, p. 19.

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normalità»208. La sua esistenza ci fa capire come la natura possa

inventarsi fuori da ogni ordine trascendente o comunque predeterminato. “Mostro” deriva, secondo quanto sostiene Benveniste, sia dalla parola latina monstrum, ricollegabile all'infinito monstrare e quindi l‟azione di indicare, additare, sia dalla parola latina monestrum, che, a sua volta, si ricollega all'infinito monere, ovvero insegnare una via da seguire o prescrivere una condotta209. La specializzazione, anche nelle lingue

neolatine, di monstrum come essere che presenta una conformazione contro natura - come dirà nel Cinquecento anche Ambroise Paré210 sviluppando un‟idea antica - è lontana dal suo

significato originario, e comunque inspiegabile dal punto di vista etimologico211, nonostante Moussy212 creda di poter rilevare, un

incrocio ed un‟influenza su monstrum del polisemantico téras greco213, che stava ad indicare, in maniera ambivalente214, sia

l'infinito, il bestiale, il subnormale soggetto alla massima esecrazione e all'ammonimento, sia il miracoloso, il divino, il più

208 T. Negri, La linea del mostro, in U. Fadini, A. Negri, C.T. Wolfe (a cura di), Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio della politica, Manifestolibri, Roma 2001, p. 7.

209 Cfr. E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino 1976, vol. II, pp. 477 ss. (ed. or., Le Vocabulaire des institutions indo- européennes, Minuit, Paris 1969).

210 A. Paré, Mostri e prodigi, a cura di M. Ciavolella, Salerno, Roma 1996 (ed. or., Vingt cinquième livre traitant des monstres et prodiges, in Id. Les Œuvres, Gabriel Buon, Paris 1585).

211 In tal senso, C. Bologna, Mostro, in Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino 1980, vol. IX, pp. 562-563.

212 C. Moussy, Esquisse de l‘histoire de monstrum, in «Revue des Etudes Latines», 1977, pp. 345-369.

213 «Non vi era niente nella forma di monstrum che richiamasse questa nozione di “mostruoso” se non il fatto che, nella dottrina dei presagi, un „mostro‟ rappresentava un “insegnamento”, un “avvertimento” divino» (E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, cit., p. 479.)

214 Sul carattere ambivalente del mostro, oscillante tra sacralità e marginalità cfr. L. Marchetti, Il fanciullo e l‘angelo. Sulle metafore della redenzione, Sellerio, Palermo 1996.

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che normale215. Per tale ragione, il mostro, signum di alterità e

differenza216, innesca sentimenti contrastanti: «impaurisce ed

esaspera, attrae, regolarizza l‟evasione, dà una norma al dissenso […] è considerato con deferenza e sospetto, con una tesa curiosità venerante che rasenta la passione»217. Il mostro, per il suo essere

ibrido rimanda ad una prossimità dell‟uomo con l‟animale e con il divino che si traduce non solo in una occulta minaccia di fronte a cui l‟apollinea umanità deve necessariamente arretrare, ma anche in fertili risorse custodite in un essere “impuro”218. Esso diviene

così ben presto «l‟Altro che risiede ai bordi della differenza e che controlla i confini del possibile»219. Pertanto l‟umanità non si è mai

potuta sottrarre al confronto con tale alterità, interrogandosi sin dall‟antichità sulla mostruosità: basti pensare che già nel diritto romano si distinguevano due categorie di mostro, una relativa all‟infermità (c.d. portentum o ostentum), e l‟altra riguardante il monstrum propriamente detto. Nel Medioevo è invece principalmente mostro l‟uomo bestiale: il misto dei due regni, animale e umano. Nel Rinascimento l‟interesse si concentra sul

215 «Teras/teratos si riferisce sia a un prodigio che a un demone, qualcosa che evoca orrore e fascinazione, aberrazione e adorazione. Ha due facce: l‟angelico e l‟infernale, il sacro e il profano. Ancora una volta la simultaneità degli opposti è ciò che distingue il corpo mostruoso» (R. Braidotti, Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma 2005, p. 111).

216 Per un‟originale rilettura del concetto di mostruosità alla luce del concetto deleuziano di différence v. U. Fadini, Differenza e mostruosità, in U. Fadini, A. Negri, C.T. Wolfe (a cura di), Desiderio del mostro, cit., pp. 111-132.

217 F. Porsia, Introduzione. Il significato del diverso, in Id. (a cura di), Liber monstrorum, Dedalo, Bari 1976, p. 36.

218 E. Canadelli, L‘ibrido uomo/animale. Suggestioni nella cultura di fine Ottocento, in M. Bellini (a cura di), L‘orrore nelle arti, cit., p. 264.

219 M. T. Chialant, I mostri della mente: ambigue presenze nella 'ghost story' del secondo Ottocento, in Id. (a cura di), Incontrare i mostri: variazioni sul tema nella letteratura e cultura inglese e angloamericana, ESI, Napoli 2002, p. 99.

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fenomeno dei di siamesi220, l‘uno che è due, due che sono uno. Nel

Seicento sugli ermafroditi221, considerati figure mostruose poiché

riunivano in un unico corpo il maschile e il femminile; venivano giustiziati, bruciati e le loro ceneri sparse al vento. Tali episodi si registrano, più o meno negli stessi termini, anche nel Settecento ma con una differenza rilevante: l‟ermafroditismo non viene visto più come una mostruosità di natura, ma di comportamento. Non più mescolanza indebita ma semplicemente irregolarità, perversione, comportamento sanzionabile come contrario alla morale e alla pubblica decenza, spia di un possibile comportamento criminoso. Del resto, già ben prima che il termine perverso assumesse una connotazione fortemente legata alla sfera privata e sessuale, si faceva ricondurre la perversione (dal latino, pervertere: ribaltare, capovolgere, invertire ma anche erodere, sregolare)222 ad

un comportamento che rompe con il passato e turba l‟ordine naturale delle cose, destando così spaventosa fascinazione.