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La follia morale ovvero “il morbo della mostruosità”

I L DELINQUENTE NATO COME MOSTRO

5. La follia morale ovvero “il morbo della mostruosità”

Casi come quello del “vampiro della bergamasca”, in cui sembra quasi non esistere più quel sottile «confine fra il delitto e la pazzia»274, e in cui la mostruosità dei gesti criminali sembra ben

celata dall‟assenza di evidenti anomalie fisiche o psichiche, farà interrogare Lombroso su come sia possibile “identificare” tale categoria di soggetti e, soprattutto, se essi vadano ritenuti responsabili o meno per le proprie terribili azioni. Ma l‟indagine lombrosiana, a ben vedere, non rimane isolata, inserendosi in un ampio e vivace dibattito sviluppatosi in Italia e il Francia (e in seguito in tutta Europa), nella seconda metà dell‟Ottocento sulla follia morale, una controversa e sfuggente categoria nosografica, definita come “paralisi del senso morale” o “lucida follia” o ancora nei modi più disparati dai più illustri psichiatri dell‟epoca (per Esquirol si trattava di una “monomania ragionante” per Pinel di

una televisione locale. La “nuova” data risulterebbe proprio dal certificato di morte e sarebbe ulteriormente confermata da un articolo de L‘Eco di Bergamo del 3-4 dicembre 1902 (periodo molto successivo a quello del suo supposto suicidio), in cui è possibile leggere testualmente: «Per l'uscita di Verzeni dall'ergastolo. - Da Bergamo si scrivono le seguenti notizie ad un giornale di Milano, notizie che da assunte informazioni ci risultano vere: La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finita l'espiazione della pena, che dall'ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti» (Cfr. E. Roncalli, Da «Twilight» alla Bergamasca. La storia del vampiro di Bottanuco, «L‟Eco di Bergamo», 25 giugno 2010 e M. Cocco, M. Pinna – Gabrielle, Vincenzo Verzeni. L‘uomo che visse due volte, su http://www.vampiri.net/ombre_20a.html).

274 C. Lombroso, Raccolta dei casi attinenti alla medicina legale, cit., pp. 15- 16.

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una “mania senza delirio”). Tale dibattito infiammò nel 1877 le pagine dell‟allora nascente Rivista di Freniatria e medicina legale coinvolgendo non solo il suo fondatore, Carlo Livi, ma risultando il luogo privilegiato del confronto polemico tra studiosi del calibro di Clodomiro Bonfigli, Arrigo Tamassia, Ugo Palmerini, fino a Enrico Ferri e lo stesso Cesare Lombroso275. Al di là delle divergenze tra i

vari approcci, si ritenevano folli morali coloro che, pur non essendo privi di intelligenza e delle altre facoltà intellettuali, difettavano di sentimenti morali, essendo dei soggetti egoisti, antisociali ed insensibili al dolore altrui. La follia morale così interveniva a spiegare l‟inspiegabile, tanto da convincere Lombroso, ad un certo punto della sua riflessione, a far coincidere i delinquenti nati con i folli morali: «così si completa e si corregge la teoria dell‟atavismo del crimine, coll‟aggiunta della mala nutrizione cerebrale, della cattiva conduzione nervosa; s‟aggiunge, insomma, il morbo della mostruosità»276. Ciò che in tale epoca gli psichiatri e i giuristi

cercheranno strenuamente di scongiurare è, in altri termini, il realizzarsi di quanto affermato da molti romanzieri e filosofi da tempo: l‟idea che il male e la doppiezza della mostruosità non siano altro che manifestazioni eccezionali di un ordine naturale a cui neanche l‟uomo normale sembra poter sfuggire. Se il mostro non si distingue dall‟individuo normale, essendo nient‟altro che una delle possibili combinazioni degli stessi elementi esistenti in natura, di conseguenza, afferma Diderot, «l‟uomo non è che un effetto comune; il mostro un effetto raro; tutt‟e due ugualmente naturali,

275 Su tale dibattito v. amplius D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., pp. 178- 188.

276 C. Lombroso, L‘uomo delinquente in rapporto all‘antropologia, giurisprudenza ed alle discipline carcerarie. Delinquente nato e pazzo morale, 3a ed. completamente rifatta, Bocca, Torino 1884, p. 587.

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ugualmente necessari»277. Nella letteratura ciò risulterà ancora più

evidente. Basti pensare al Doppio osceno, il sé nascosto che abita in ciascuno, esemplarmente rappresentato da Edgar Allan Poe in William Wilson (1840), da Fëdor Dostoevskij ne Il sosia (1851) e da Oscar Wilde ne Il ritratto di Dorian Gray (1890). Ma ancora più significative risultano le opprimenti pagine del celebre romanzo di Robert L. Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde (1886), esempio di doppiezza mostruosa in cui bene e male sono inscindibilmente mescolati, vittima e carnefice indissolubilmente legati in un unico corpo278, poiché se Hyde è la personificazione del

Male, d‟altro canto Jekyll non è del tutto “buono”, poiché è la cattiveria repressa del secondo che trova finalmente sfogo nel primo: «gli esseri umani sono una mescolanza di bene e di male; mentre Edward Hyde, unico nei ranghi dell‟umanità, era male assoluto»279. Al di là della sua peculiarità il romanzo di Stevenson

va ad inserirsi in un più vasto e variegato panorama letterario, che va dal romanzo gotico inglese settecentesco al romanticismo del primo Ottocento che, nei più svariati modi, mette in luce come la scaturigine della mostruosità sia la norma stessa. È una “letteratura satanica” che mette in crisi l‟idea che esista un soggetto sano e probo incapace di macchiarsi delle più atroci nefandezze, padrone delle proprie azioni e del proprio destino, e lo pone dinanzi agli «abissi sconosciuti del suo io, al rovescio opaco

277 D. Diderot, Il sogno d‘Alembert (1769), in Id., Dialoghi filosofici, a cura di M. Brini Savorelli, Le Lettere, Firenze 1990, p. 38.

278 Cfr. B. Lanati, Desiderio e lontananza. Un punto di vista contemporaneo sulla letteratura anglo-americana, Donzelli, Roma 2010, p. 148.

279 R. L. Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Giunti, Firenze- Milano 2004, p. 115 (ed. or., The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, Longmans, London 1886).

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della sua ratio»280 e riportarlo alla consapevolezza del suo

connaturato essere Doppio (Döppelganger)281: da quel momento «il

mostro di Frankestein ha smesso di aggirarsi nelle brughiere per abitare nel tepore paludoso dell‟inconscio»282.

Proprio contro lo “scandalo” della doppiezza, della mescolanza tra bene e male, della continuità tra normale e patologico, cercheranno strenuamente di lottare gli alienisti, prima Pinel, Esquirol, Georget e poi Lombroso e i suoi allievi. Nonostante gli sforzi di quest‟ultimi, i personaggi che popoleranno i tribunali ottocenteschi sembreranno ancora troppo pericolosamente prossimi ai “sani di mente”, evocando gli spettri di una normalità nebulosa ed inafferrabile. Del resto, «i mostri, come in fondo ogni atto di devianza, incarnano la caduta dei confini, sono l‟epifania di un‟ibridazione intollerabile»283, tanto da insinuare sempre più il

dubbio che nel profondo del nostro animo si annidi, in maniera larvata ed equivoca, lo sfuggente fantasma di un mostro284.