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L'orrore e l'estasi della vita: il caso Charles

3. La viola e l‟aconito: genio e degenerazione

3.1 L'orrore e l'estasi della vita: il caso Charles

Baudelaire

Se dunque tra i poeti ritenuti da Lombroso geniali in quanto melanconici rientrano Torquato Tasso, Francesco Petrarca, Samuel Taylor Coleridge oltre ovviamente al “lipemaniaco” Giacomo Leopardi, in questa curiosa galleria lombrosiana di geni degenerati un posto di riguardo spetta senza dubbio, al poeta maudit per eccellenza: Charles Baudelaire. Per Lombroso il poeta francese rientra in quei geni alienati, cioè quei soggetti in cui alienazione e genio sono così fusi insieme da essere indistinguibile il confine tra l'una e l'altro. Che ci sia un legame forte tra Baudelaire e la malinconia99, oggi non ci suona affatto nuovo, tant‟è che la sua è

stata definita una poetica della malinconia che vive e si nutre in un perpetuo autunno dominato dalle «ombre lunghe del crepuscolo»100. Si tratta di quell‟apoteosi del crepuscolo che si

traduce nel dandismo101 che, secondo quanto afferma lo stesso

Baudelaire, «è un sole che tramonta; come l‟astro che declina, è

99 Cfr. G. Macchia, Baudelaire e la poetica della malinconia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 19612, il quale opportunamente precisa che «la malinconia baudelairiana è legata alla reminiscenza, nel suo valore lirico, non psicologico. L‟assenza, in poesia di una tonalità maggiore sufficiente, la tonalità del reale, del presente, del tempo storico, velava le cose cadute sotto lo sguardo del poeta. Nella malinconia era racchiusa l‟essenza della poesia: contemplare il mondo come l‟ombra di un mondo celeste. Non stato di rilassamento, di ripiegamento, quel è la “tristezza”, dolore morale per una cosa perduta di cui non si può più gioire, ma stato spirituale, associato a questa condizione di non- possesso, di inappagamento» (pp. 47-48).

100 Ivi, pp. 99-100.

101 V. amplius, P.G. Hadlock, The Other Other: Baudelaire, Melancholia, and the Dandy, in «Nineteenth-Century French Studies», Vol. 30, 2001, pp. 58-67.

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superbo, senza calore e pieno di malinconia»102. Ma se ciò ai nostri

occhi può sembrare quasi scontato, non può dirsi lo stesso per Lombroso che osserva Baudelaire con lo sguardo dello scienziato analizzando non i versi ma il suo volto. Non a caso proprio nel frontespizio della quinta edizione dell'Uomo di Genio campeggi un dagherrotipo raffigurante Baudelaire, con i capelli incolti e quasi del tutto canuti, la bocca ridotta a smorfia di scontento e le vistose occhiaie che incorniciano il suo sguardo perduto ed infinitamente triste. Tale immagine, inserita anche nella pagine interne del volume, viene così commentata: «mostra […] tutto il tipo del megalomano, nel portamento provocante, nello sguardo di sfida, nella contentezza assurda di se stesso, discende da una famiglia di pazzi e bizzarri: sicchè l'avrebbe indovinato pazzo anche un non alienista; era soggetto ad allucinazioni fin da bimbo, e provava, come confessò fin d'allora, due sentimenti opposti: l'orrore e l'estasi della vita; era iperestatico, e apatico sentiva il bisogno per iscotersi di Une oasis d'horreur dans un désert d'ennui»103. Pur non essendo

un critico letterario, Lombroso con questa citazione individua perfettamente l‟elemento cardine della poetica di Baudelaire: la noia, quel sentimento di profondo sconforto e angoscia cui Baudelaire dà il nome di Spleen104. Ovviamente questo sentimento

agli occhi di un positivista quale Lombroso è, meno romanticamente, pigrizia e indolenza, manifestata dalla incapacità di Baudelaire a mantenere un lavoro fisso, che lo riduce a vivere miseramente dandogli, d'altro canto, un senso di autocompiacimento della propria condizione. A tale atteggiamento

102 C. Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in Id., Poesie e prose (a cura di G. Raboni), Mondadori, Milano 1973, pp. 963-964.

103 Ivi, p. 60.

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si accompagna il suo essere orgoglioso e misantropo che lo porta a prediligere la provocazione e la rottura di ogni norma sociale: «cercava di mostrarsi originale bevendo davanti alle persone altolocate e tingendosi di verde i capelli. D'inverno vestiva panni estivi e viceversa […] Impazzendo era affetto da inversione delle parole: chiudete per aprite ecc.»105. Proprio il disprezzo degli altri,

la superbia e la solitudine contraddistinguono l'io-specchio di Baudelaire106: il soggetto si perde e si spossessa di sé in uno sterile

rispecchiamento, finendo in un isolamento narcisistico che simboleggia il doppio carattere della malinconia nostalgica e della malinconia mortifera107. La genialità degenerata di Baudelaire si

manifesta sopratutto nella sua sessualità sfrenata, perversa e oscena, nel suo vivere l‟amore in maniera patologica: «ebbe passioni morbose in amore: per donne laide, bruttissime, negre, nane, gigantesse: ad una bellissima espresse il desiderio di vederla appesa al tetto per le mani, e baciarle i piedi – e il bacio del piede appare in una sua febbricitante poesia convertito in atto genitale»108. Questo suo oscillare tra superbia ed auto-umiliazione è

un chiaro segno di degenerazione che si evince – a detta di Lombroso - dagli stessi versi di Baudelaire: «“Orribile vita! scontento di tutto e di me, vorrei riscattarmi, inorgoglirmi, un poco, nel silenzio della notte. Dio! accordatemi di produrre qualche verso che provi, a me stesso, che non sono l'ultimo degli uomini, che non

105 Ivi, p. 61.

106 J. Starobinski, La malinconia allo specchio. Tre letture di Baudelaire, Garzanti, Milano 1990, p. 26 (ed. or., La Mélancolie au miroir. Trois lectures de Baudelaire, Juillard, Paris 1989).

107 Cfr. V.E. Morpurgo, Solitudini vitali e solitudini mortali nei percorsi poetici di Giacomo Leopardi e Charles Baudelaire, in E. Morpurgo, V.E. Morpurgo (a cura di), La solitudine forme di un sentimento. Saggi psicologici e psicoanalitici, Franco Angeli, Milano 1995, p. 131.

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sono inferiore a quelli che disprezzo” (Poèmes en proses, X)»109 o,

ancora, quando il Poeta dichiara nella Prefazione de I Fiori del Male: «“Io, confessa, ebbi un di quei caratteri che traggono gioia dall'odio e si glorificano nello sprezzo (Preface aux Fleurs)»110. Il

destino di Baudelaire, dunque, appare all‟alienista già segnato inequivocabilmente: «finì colla paralisi generale progressiva degli alienati di cui l'ambizione eccessiva era un prodromo»111. Malgrado

l‟immagine negativa e malata di Baudelaire delineata da Lombroso egli sembra essere affascinato proprio dai costumi sessuali lascivi e dall‟oscenità dei suoi versi che aveva più volte criticato ma che, in un‟altra occasione, non esita ad elogiare, enumerando i suoi tentativi (insieme a quelli di Zola) di «far sentire con nuove forme l‟amore»112, come uno dei casi in cui esso (anche quello non

platonico) sia ispiratore del bello nell‟arte e senza cui quest‟ultima si ridurrebbe a qualcosa di sterile e vacuo.