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Il Profeta di Arcidosso, David Lazzaretti.

4. La passione per il martirio: i mattoid

4.1 Il Profeta di Arcidosso, David Lazzaretti.

Se queste sono le caratteristiche che accomunano tale curiosa varietà umana, per Lombroso il caso più lampante151 di mattoide è

indubbiamente quello del profeta visionario di Arcidosso, David Lazzaretti, detto anche il Cristo dell‘Amiata152, la cui storia

148 C. Lombroso, Tre tribuni studiati da un alienista, Bocca, Torino 1887, p. 126.

149 Cfr. G. Amadei, I mattoidi, cit., p. 83.

150 C. Lombroso, Genio e follia in rapporto alla medicina legale, alla critica ed alla storia, 4a ed., Bocca, Torino 1882, p. 175

151 Lombroso definisce il caso di Lazzaretti sintomatico della categoria dei mattoidi essendo il suo «l‟esempio che ci riesce più curioso e sicuro per essersi svolto sotto gli occhi di tutti» (ivi, p. 193).

152 I vestiti indossati da Lazzaretti durante la sua uccisione (una tunica rossa con la croce giurisdavidica, una croce tra due C che si riflettono come in uno

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riscosse all‟epoca dei fatti molto clamore. Lazzaretti autoproclamatosi “Cristo, Duce, Giudice” fu considerato eretico e scomunicato dalla Chiesa Cattolica per aver fondato la Chiesa Giurisdavidica basata su una forma di socialismo mistico e utopico (il suo motto: “La Repubblica è il regno di Dio”) ma fu molto amato dalla sua gente, facendo molti proseliti. La sua figura è stata sempre circondata da un alone di mistero e soprattutto ha dato luogo ad animate polemiche tra chi lo ritiene un martire e chi un folle visionario o ancora un ciarlatano a caccia di denaro dai suoi adepti. Le gesta di Lazzaretti vengono enfatizzate anche per la sua fine tragica: la mattina del 18 agosto 1878, mentre guidava una processione pacifica da Monte Labbro verso Arcidosso viene ucciso da alcuni carabinieri e militari che avevano aperto il fuoco contro

specchio costituenti il suo stemma: , un mantello nero ed un copricapo), nonché due bastoni, gli stendardi raffiguranti il suo motto, altri cimeli ed altro materiale riguardante il processo, sono stati custoditi nel Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” di Torino dalla sua morte fino al 1991, quando furono donate (con processo verbale del 14.01.1991 a firma del prof. Mario Portigliatti Barbos, direttore del Museo di Antropologia Criminale “C. Lombroso, l‟Assessore alla Cultura del Comune di Arcidosso, prof. Pier Luigi Marini e la sig.ra Sivana Pedicini Sannazzaro, funzionario delegato dal direttore amministrativo ad assistere alla consegna dei beni) al Centro Studi “David Lazzaretti” di Arcidosso (GR), istituito nel 1981 in seguito alle celebrazioni del 1978 in occasione del centenario della morte di Lazzaretti e presso cui si trovano attualmente. Sulla vicenda di tale singolare personaggio si vedano almeno, A. Petacco, Il Cristo dell‘Amiata. La Storia di David Lazzaretti, Mondadori, Milano 1982 e E. J. Hobsbawm, I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino 1974, pp. 75-94 (ed. or., Primitive Rebels. Studies in Archaic Forms of Social Movement in the 19th and 20th Centuries, Manchester University Press, Manchester 1959); per le immagini del materiale che è stato custodito fino all‟81 presso il Museo Lombroso cfr. G. Colombo, La scienza infelice, cit., pp. 131-140 e U. Levra (a cura di), La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‘Ottocento, Electa, Milano 1985, p. 284-285 nonché, da ultimo, S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», cit., p. 217, ill. 5, che ritrae un grande armadio contenente gli abiti e gli emblemi di Lazzaretti così come disposti in una foto scattata in occasione dell‟Esposizione d‟Antropologia criminale e di polizia scientifica tenutasi a Torino dal 28 Aprile al 3 Maggio 1906. Per informazioni sul materiale raccolto presso il Centro studi “David Lazzaretti” di Arcidosso si veda invece http://www.sistemamusealeamiata.it.

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la popolazione che, del tutto inerme, stava partecipando alla funzione religiosa. Ciò non fece altro che aumentare l‟aurea mitica che circonda ancora oggi la sua figura, tanto che persino Gramsci avrebbe denunciato il disinteresse della politica nei confronti dell‟uccisione di Lazzaretti che considera «di una crudeltà feroce e freddamente premeditata»153 poiché fucilato e non ucciso in

conflitto, in quanto ritenuto un pericolo sia per lo Stato che per la Chiesa Cattolica. Al di là delle rivisitazioni ideologiche della storia del Profeta di Arcidosso, anche Lombroso non esita a condannare la sua barbara uccisione tant‟è che, a distanza di parecchi anni, accuserà Zanardelli, all‟epoca dei fatti Ministro dell‟Interno, il quale «molto più dotto in diritto che in psichiatria […] nonostante le mie più vive proteste, gli mandò incontro carabinieri e soldati, i quali coll‟andazzo solito fucilandolo cedettero aver giovato al paese e tolto di mezzo un terribile cospiratore cattolico-repubblicano»154.

Malgrado Lazzaretti fosse ritenuto dai giudici sano di mente e impostore155, secondo Lombroso, portava inequivocabilmente sul

proprio corpo e sui propri abiti il segno della devianza mattoide (primo fra tutti il tatuaggio a forma di croce sulla fronte, impressogli a suo dire direttamente da S. Pietro)156 esplicata poi

153 Cfr. A. Mattone, Messianesimo e sovversivismo. Le note gramsciane su Davide Lazzaretti, in «Studi Storici», 1981, 2, pp. 371-385 (in particolare, pp. 374-375).

154 C. Lombroso, Il mio museo criminale, in «L‟illustrazione Italiana», XXXIII, 1° aprile 1906, n. 13, p. 306.

155 Come nel caso della condanna a 15 mesi di carcere e un anno di sorveglianza per frode e vagabondaggio, inflittagli dal Tribunale di Rieti nel 1874, in cui a detta di Lombroso, l‟autorità volle sentire il giudizio di periti estranei non solo «alla psichiatria, ma direi quasi anche alle scienze mediche» (P. Nocito, C. Lombroso, Davide Lazzaretti, in «Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell‟uomo alienato e delinquente», 1880, vol. 2, p. 158).

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chiaramente anche nelle proprie azioni e nei propri scritti. La potenza dell‟estasi e del delirio durante i suoi sermoni che come un fuoco interiore lo accendeva gli permetteva di propagare quella che Lombroso definisce una «divina follia»157, che agiva non solo

mediante il «fanatizzare le plebi»158, ma anche facendo «nascere dei

veri alienati»159. Ciò è tipico dei mattoidi i quali proprio per il loro

essere a metà strada tra il genio e il folle hanno maggiore presa sul popolo poiché «la grandezza del primo e la stranezza di concetti del secondo, e in ambedue il contegno sdegnoso, fuor del comune, e la mancanza di tatto, destano diffidenza, ripulsione e ribrezzo: mentre codesti mattoidi essendo bizzarri ma non elevati nei concetti, anzi sovente più bassi del comune, son perciò più accessibili e accetti dalle masse»160. Tuttavia, la peculiarità della

figura di Lazzaretti, non paragonabile a nessuno degli altri casi studiati, lo costringe, in alcuni passi dei suoi scritti, ad affermare che il suo caso fosse difficile da catalogare trovandosi piuttosto in una zona «intermedia tra il mattoide e il monomaniaco, allucinato, ambizioso»161, in cui la follia non aveva cancellato una certa dose

«di furberia o almeno di finezza; la quale è tutt‟altro del resto che deficiente nei matti d‟ingegno (specie poi nei mattoidi), e qualche volta è anzi acuita dal loro morbo»162.