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Il rapporto tra criminalità e immigrazione è senza dubbio il più investigato nel panorama delle ricerche italiane sui media; del resto il più ampio tema della sicurezza86, o per meglio dire, dell‘insicurezza ha interessato e continua a interessare i maggiori teorici delle scienze sociali87. Il bisogno di sicurezza ha conosciuto tra la fine degli anni Novanta e l‘inizio del nuovo millennio un trend in repentina crescita (Diamanti, Bordignon 2001). I fattori coinvolti sono vari e di diversa natura: la sfiducia verso le istituzioni, la globalizzazione e la perdita del senso locale di fronte a un mondo che cambia, il processo di integrazione europea e l‘allargamento verso Est dell‘Unione, il progressivo disgregarsi delle reti di socialità e solidarietà tradizionali, infine l‘aumento esponenziale della presenza straniera sul territorio. In questo periodo il tema della sicurezza inizia a occupare spazi importanti sia nei media sia nei programmi politici di entrambi gli schieramenti, ma soprattutto in quelli delle forze conservatrici88.

La cronaca nera e, più in generale, di episodi criminali ha assunto ormai un ruolo centrale nel quadro dell‘informazione sia televisiva sia a mezzo stampa89

; Stuart Hall, nel suo

86Ci riferiamo alle diverse definizioni di (in)certezza proposte da Bauman (1999a, 2000), in particolare a

quelle che egli presenta come certainty (legata alla comprensibilità del sistema sociale) e safety (che indica, in modo più diretto, la sicurezza o l‘incolumità personale).

87 Solo per citare i più noti, Giddens (1990) e Bauman (1999a; 1999b) identificano proprio

nell‘insicurezza un aspetto fondamentale della vita quotidiana nell‘era della modernità. Nel contesto italiano, e più specificamente per il tema in oggetto in questo capitolo, ovvero la percezione della sicurezza/insicurezza come rischio per la proprio incolumità, si vedano Palidda (1994, 2000); Dal Lago (2003); Dal Lago, Quadrelli (2003).

88 «Alcuni partiti, in particolare, si propongono per primi come interpreti del crescente timore legato alla

sicurezza, svolgendo il ruolo di ―imprenditori della paura‖ (è il caso della Lega Nord, che avvia mobilitazioni ricorrenti su questi temi, proprio a partire dai primi mesi del 1999). Essi tentano cioè di tradurre in consenso politico la grande sensibilità degli elettori su queste tematiche. Ma così facendo contribuiscono, a loro volta, a consolidarne la presenza nella gerarchia delle emergenze delineata dall‘opinione pubblica» (Diamanti, Bordignon 2001: 123).

89 Si veda il volume curato da Forti e Bertolino (2005), e nello specifico Forti e Redaelli (2005: 67-ss),

all‘interno del quale è stato possibile rilevare una forte incidenza delle notizie relative ai crimini su un campione di telegiornali e due quotidiani nazionali (Corriere della Sera e la Repubblica). I dati mostrano come tra i cinque

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fondamentale studio sulla produzione delle notizie e del controllo sociale, riconduce l‘alto valore di notiziabilità degli atti criminali alla loro intrinseca problematicità, in quanto gesti che infrangono il consensus, quell‘insieme di regole e valori ampiamente riconosciuti all‘interno di una società:

We began by noting that news is shaped by being set in relation to a specific conception of society as a 'consensus'. Against this background newsworthy events are those which seem to interrupt the unchanging consensual calm. Crime marks one of the major boundaries of that consensus. We have already suggested that the consensus is based around legitimate and institutionalised means of action. Crime involves the negative side of that consensus, since the law defines what the society judges to be illegitimate types of action. Ultimately, the law, created by Parliament, executed in the courts, embodying the will of the population, provides society with the basic definition of what actions are acceptable and unacceptable; it is the 'frontier' marking 'our way of life' and its connected values. Action to stigmatise and punish those who break the law, taken by the agents formally appointed as the guardians of public morality and order, stands as a dramatised symbolic reassertion of the values of the society and of its limits of tolerance. If we conceive of news as mapping problematic reality, then crime is almost by definition ―news‖ […] (Hall et al. 1978: 66).

Si instaura, dunque, una sorta di «circolo vizioso, secondo il quale ad un aumento della paura, collegato ad un effettivo – per quanto discontinuo e non generalizzato – incremento dei tassi di criminalità, seguono cicli di forte allarme mediatico, che amplificano l‘impatto sociale del tema e ne enfatizzano la percezione stessa agli occhi dei cittadini» (Diamanti, Bordignon 2001: 123).

Lo straniero si inserisce in questo contesto come ulteriore fattore aggravante del rigetto sociale verso ciò che le leggi istituzionalizzano come crimine. L‘alterità, in quanto estraneità per eccellenza a una comunità, renderebbe tali atti ancor più riprovevoli. Un‘intensificazione dello stigma sociale su cui i media hanno agito alimentando l‘associazione tra immigrazione e criminalità.

telegiornali visionati (Tg1, Tg3, Tg4 e Tg5) la percentuale di incidenza di tali notizie sul totale oscilli tra il 20% del Tg1 e il 40% del Tg3. Proporzioni decisamente più contenute, ma comunque importanti, nei quotidiani (sui quali, tuttavia, è necessario considerare le numerose pagine dedicate alle pubblicità), dove le percentuali si attestano al 12 e 17%.

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Diversi studi di ambito soprattutto sociologico hanno infatti mostrato negli anni passati come la figura dell‘immigrato ricorra assai frequentemente in contesti di illegalità. In un‘analisi sulla cronaca locale di area romana, ad esempio, Bracalenti e Rossi (1998) hanno constatato una larga prevalenza di notizie incentrate sul tema della sicurezza e dell‘ordine pubblico, rispetto a tutte le altre possibili categorie90. Anche Stoppiello (1999) attraverso la sua, seppur circoscritta, analisi quantitativa dei titoli del Corriere della Sera registra l‘ampia ricorrenza di termini legati all‘illegalità (come droga, prostituzione, forze dell‟ordine) in articoli i cui protagonisti sono stranieri91. Altre analisi simili sembrano suffragare questa ipotesi; Cotesta, De Angelis (1999), su un campione di articoli di varie testate quotidiane, riscontra la netta prevalenza per il racconto di eventi conflittuali, rispetto all‘approfondimento o al racconto di situazioni cooperative e non conflittuali tra italiani e immigrati. La tendenza viene confermata anche negli anni seguenti; in Binotto (2004) gli articoli relativi alla cronaca e al terrorismo coprono da soli circa il 50% del totale, a scapito di approfondimenti su economia, cultura e integrazione. Perfino le decisioni in merito alle misure cautelari e detentive nei confronti degli immigrati, come evidenziato in Quassoli (1999), soffrono di vizi legati a stereotipizzazioni culturali e delle rappresentazioni di senso comune fornite (anche) dai media92.

90 Per dare un‘idea delle proporzioni, riassumiamo di seguito i dati raccolti da Bracalenti e Rossi:

«Sicurezza e ordine pubblico 46%; Vita e problemi urbani 20%; Servizi di sostegno all‘integrazione 11%; Cultura dell‘integrazione 9%; Lavoro e occupazione 4%; Situazione personale 4%; Programmi locali 3%; Politica dell‘immigrazione 2%; fenomeno in generale 1%» (Bracalenti, Rossi 1998: 116).

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«I termini compresi nella fascia di frequenze medie (fino a 85 occorrenze) delineano invece gli attori e le dimensioni principali del problema: le nazionalità più coinvolte, o meglio più esposte, all‘attenzione dei mass- media (dopo i marocchini): tunisini, cinesi, slavi, nigeriani, nomadi, senegalesi, africani, rumeni e algerini; gli aspetti più rilevanti secondo cui il problema si delinea: la ricerca di un lavoro; il rimpatrio per i profughi; la droga, la prostituzione e la micro-criminalità, come circuiti nei quali gli immigrati sono coinvolti; l‘atteggiamento di alcuni gruppi locali isolati (soprattutto naziskin); la dimensione di emergenza del problema, che bisogna fronteggiare, attraverso interventi legislativi (legge, decreto, governo, espulsione, polemiche, controlli, ministro) da un lato, e la disponibilità della popolazione e delle istituzioni all‘accoglienza e alla solidarietà dall‘altro» (Stoppiello 1999: 423).

92 «Gli attori che operano nel sistema giudiziario usano generalmente tipiche rappresentazioni

dell‘immigrato deviarne e criminale come un dispositivo, cognitivo e morale, per valutare le attività di law enforcement delle forze di polizia. Le interpretazioni della criminalità degli immigrati sono influenzate dalle aspettative cognitive e normative, che legano gli attori nelle diverse fasi dell‘azione penale. La conoscenza e la consapevolezza delle forme di organizzazione sociale in cui vivono gli imputati, così come delle pratiche seguite dalle forze dell'ordine nel reprimere i fenomeni criminali, tendono, mano a mano che si passa dagli agenti delle

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Ma la zona d‘ombra, dal punto di vista legale, in cui vengono relegati, ormai da più di una decade, ovvero da quando le restrizioni all‘ingresso in Italia sono andate via via inasprendosi, i cittadini extracomunitari precede qualsivoglia comportamento deviante. La difficoltà, se non quasi impossibilità, di ottenere e mantenere continuativamente una documentazione in regola fanno sì che il migrante inizi ben presto ad accumulare varie sanzioni amministrative, poi divenute penali con i reati di ingresso e soggiorno illegale e con l‘aggravante della clandestinità:

L‘immigrato che non riesce ad accedere alla regolarità o a mantenerla accumula imputazioni sempre più numerose per vari reati «amministrativi» e penali, diventando spesso pluri-recidivo, soggetto all‘espulsione o anche alla detenzione. Come vedremo, a ciò si accompagna un inasprimento dei reati attribuiti solitamente agli immigrati e delle pene che ne risultano. Comportamenti che in precedenza venivano classificati tra le infrazioni o i reati minori divengono reati più gravi. Per esempio l‘ambulantato abusivo può diventare ricettazione, la detenzione e il piccolo spaccio di droghe anche leggere viene perseguito al pari di quello di droghe pesanti e i piccoli reati «predatori» possono diventare rapine (Palidda 1999: 83).

Il quadro degli studi sui media e l‘immigrazione sia in Italia sia in Europa ha fornito, insomma, nel passato una serie di dati e una visione tutto sommato accurata delle prassi giornalistiche e dei frame interpretativi utilizzati; tuttavia, nel nostro paese, essi hanno riguardato tutt‘al più campioni relativamente ristretti e/o delle sole titolazioni degli articoli, analizzati secondo criteri quantitativi o semplici analisi del contenuto (content analysis). È mancato, contrariamente ad altre realtà di ricerca europea, il necessario approfondimento dal punto di vista linguistico.

Questa breve rassegna non ha l‘obiettivo di esaurire in poche righe lo stato dell‘arte sugli studi su immigrazione, media e criminalità; abbiamo, piuttosto, tentato di gettare alcune delle basi su cui si deve orientare la riflessione sul nesso tra alterità, devianza e racconto della devianza. La rappresentazione mediatica non può essere osservata in isolamento, va messa costantemente in relazione alle pratiche di controllo sociale esercitate dagli apparati dell‘autorità (Hall et al 1978: 30). Tali apparati (forze di polizia, magistratura) non devono

volanti al giudice che emetterà la sentenza o che applicherà la pena richiesta dall‘imputato, a divenire sempre più astratte e generali e ad assomigliare alle rappresentazioni e ai discorsi di senso comune, diffusi dai media. Il senso comune viene così riprodotto nella catena costituita dalle varie fasi della procedura giudiziaria» (Quassoli 1999: 70).

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essere assunti a priori come attori neutri del corpo sociale; essi sono portatori delle proprie credenze e conoscenze, anche stereotipiche, del mondo e, soprattutto, agiscono all‘interno di una serie di consuetudini quotidiane e condizioni materiali che ne orientano e influenzano le decisioni (Palidda 1999; Quassoli 1999). Esattamente come il sistema mediatico, il quale organizza i propri criteri di notiziabilità in virtù delle abitudini redazionali e delle priorità commerciali, che, per quanto viziate, sono lungi dal rappresentare una sorta di manipolazione scientemente messa in atto. Anche se i media non sono da intendersi come un‘entità onnipotente in grado di manovrare direttamente i convincimenti delle persone, essi svolgono, tuttavia, un ruolo di primaria importanza nella definizione e nell‘interpretazione dei fatti che ci circondano.

La costruzione sociale dell‘immigrato, quindi, è sostanzialmente inserita in un circuito che si autoalimenta grazie alle pratiche discorsive messe in campo dai vari attori sociali, siano essi istituzionali o comuni cittadini, la cui richiesta di sicurezza e controllo spinge all‘adozione di misure repressive e azioni, anche solamente simboliche, da parte delle istituzioni:

La circolarità del processo di costruzione sociale non lo rende per questo virtuale. Essa riguarda anche azioni concrete, pressioni e aspettative reciproche che si risolvono in provvedimenti e pratiche (amministrative, penali, di polizia, di ―vigilanza comunitaria‖) che intensificano il controllo sociale diretto nei confronti degli immigrati, producendo risultati che non possono che confermare le proprie premesse (come una contabilità penale ―drogata‖ che fornirà ulteriore prova della criminalità degli immigrati) (Maneri 1998: 264-5).