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Per oltre un secolo, dall‘Unità fino al boom economico, passando per le due Guerre Mondiali, le dinamiche migratorie in Italia sono state contraddistinte dalla pressoché totale esclusività di movimenti in uscita di cittadini italiani36. È necessario attendere la seconda metà degli anni Settanta per conoscere una seppur limitata, lenta e graduale inversione di tendenza. Fino a tale periodo, infatti, gli stranieri residenti in Italia si aggiravano intorno alle 300.000 unità, di cui un terzo era rappresentato da cittadini comunitari; mentre nel decennio successivo non venivano superate le 450.000 presenze (OIM 2011: 28). L‘adozione di misure più restrittive all‘ingresso negli altri paesi europei, in seguito alla ristrutturazione dell‘economie egemoni in Europa (Regno Unito, Francia, Germania), non più bisognose di ingenti ingressi di manodopera non qualificata (Melotti 1993), contribuì a fare dell‘Italia una meta attraente per i migranti. Ma ciò non può che costituire solo una concausa nel sostanziale passaggio del nostro paese dall‘essere un paese d‘emigrazione a uno di immigrazione. I cambiamenti interni al sistema economico e culturale italiano in atto tra gli anni Settanta e Novanta – il calo demografico e l‘istruzione di massa modificano sempre più le disponibilità e le esigenze dei giovani lavoratori italiani – aprirono di fatto ampi settori del mercato del lavoro agli immigrati (Cotesta 1999: 298-ss).

La crescita, si diceva, era ancora contenuta nei numeri e non tale da suscitare sproporzionati allarmismi nelle istituzioni e nei cittadini37, ma allo stesso tempo sufficientemente visibile per consentire l‘avvio del dibattito politico sul tema. Il primo intervento legislativo in merito fu la legge 343/1986, la cosiddetta ―legge Foschi‖, con la quale vennero normati, soprattutto, aspetti legati all‘ambito lavorativo, mentre furono tralasciati quelli legati all‘accoglienza e all‘integrazione.

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Sarebbe inutile, nonché estraneo ai fini della nostra trattazione, tentare in questa sede qualsiasi tipo di sintesi del complesso e duraturo fenomeno dell‘emigrazione italiana all‘estero; tuttavia, allo scopo di approfondire e comprendere la totalità dei flussi migratori del paese, in quanto parte integrante e fondamentale dello sviluppo socioeconomico dello stesso, può essere utile consultare Sori (1979) e Bevilacqua et al. (2002).

37 È solo al volgere degli anni Novanta che la sostanziale indifferenza dell‘opinione pubblica nei confronti

dei migranti si tramuta in aperta ostilità, con i blocchi e le espulsioni dei migranti albanesi (Dal Lago 2009 [1999]: 25).

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Gli anni Novanta sono stati decisivi per conferire all‘immigrazione i connotati di un processo ormai stabile: nel decennio 1991-2001 il numero dei residenti stranieri iscritti all‘anagrafe è balzato da 356.000 a 1.335.000 unità (Istat 2007: 325). Un lustro più tardi la cifra sarà sostanzialmente raddoppiata (2,7 milioni di unità), fino ad attestarsi alla fine della prima decade del nuovo secolo sui quattro milioni di cittadini stranieri presenti sul territorio (Istat 2012). I dati hanno conosciuto un andamento piuttosto sussultorio negli anni, influenzati in particolar modo dai ripetuti interventi che hanno reso possibile l‘emersione dalla irregolarità di un cospicuo numero di cittadini stranieri38. Se da un lato il ciclico riproporsi dell‘uso delle sanatorie ha consentito a centinaia di migliaia di persone di uscire dal limbo dell‘illegalità e di fotografarne con maggiore precisione la consistenza numerica, dall‘altro lato esso è indicativo dell‘inadeguatezza delle risposte politiche e legislative a un fenomeno di così vaste dimensioni. Del resto, le stesse norme elaborate per limitare e/o contrastare l‘immigrazione irregolare, di fatto, ostacolano la possibilità stessa per i migranti di ottenere e conservare una posizione regolare:

da una parte, la legge non prevede meccanismi di regolarizzazione individuale e permanente degli ingressi o dei soggiorni illegali fondati, ad esempio, sul decorso del tempo e sull‘accertamento della sussistenza di indici di integrazione del migrante; dall‘altra, la strada che conduce dalla condizione di regolarità a quella di irregolarità è ben facilmente percorribile, data la difficoltà per il migrante di conservare le condizioni necessarie al rinnovo dei titoli che abilitano al soggiorno (e la stessa farraginosità delle procedure) (Caputo 2009: 99).

La legge Turco-Napolitano del marzo 199839, approvata dopo un aspro dibattito parlamentare e sull‘onda emozionale degli sbarchi di cittadini albanesi in fuga dopo il crollo del regime comunista40, fu la prima a instaurare un netto dualismo tra immigrati regolari-

38 Le sanatorie programmate a seguito dell‘approvazione della legge Bossi-Fini del 2002 rappresentano

un esempio palmare di tale attitudine: nel biennio 2003-2004 si registrarono, infatti, rispettivamente 412 mila e 381 mila nuovi ingressi (vd. Istat 2012: 320).

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Successivamente confluita nel Testo unico dell‘immigrazione.

40 Come efficacemente riportato da Rando Devole, la stampa, e i media più in generale, reagirono agli

arrivi dei profughi in «un crescendo graduale di intolleranza verso gli albanesi. Immagini, servizi, titoli, titoloni, articoli, analisi, opinionisti, tutti si sono prodigati a mandare via etere il messaggio del rifiuto» (Devole 1997: 305). Una dinamica già sperimentata durante il primo esodo albanese degli anni ‘91 e ‘92: «Benché inizialmente nel marzo 1991 i ―boat people‖ fossero accolti benevolmente dalla popolazione e prevalesse un discorso di commiserazione, presto la stampa adottò il discorso ufficiale, cambiando la denominazione degli albanesi da

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irregolari. Un doppio binario che al tentativo di fornire per la prima volta indicazioni sul percorso di integrazione degli stranieri affiancava un trattamento dei flussi migratori di stampo restrittivo nei confronti della libertà personale del migrante, con l‘introduzione della detenzione amministrativa, l‘istituzione dei Cpt (Centri di permanenza temporanea, ora Cie, Centri di identificazione ed espulsione) e l‘espulsione coatta. Le successive modifiche apportate dal governo di centrodestra, nel 2002 con la legge Bossi-Fini, hanno comportato un inasprimento di tali misure. Gli interventi hanno visto sia il ridimensionamento dei diritti e delle tutele degli immigrati (restrizioni ai ricongiungimenti familiari e possibilità di entrare nel paese solo se già provvisti di un contratto di lavoro) sia una maggiore insistenza su aspetti di natura penalistica, come l‘espulsione degli irregolari con l‘accompagnamento alla frontiera, l‘allungamento dei trattenimenti nei centri di detenzione e l‘obbligo della registrazione delle impronte digitali al momento del rilascio del permesso di soggiorno.

Il ―pacchetto sicurezza‖, voluto nel 2009 dall‘allora ministro dell‘Interno Maroni, metterà un marchio legislativo definitivo all‘accostamento tra immigrazione e criminalità: la clandestinità diventa un‘aggravante basata sulla presunta maggiore capacità di delinquere degli stranieri. Il reato di clandestinità non determina solo un trattamento apertamente discriminatorio tra cittadini italiani e non, ma diventa anche lo strumento attraverso cui legittimare le espulsioni di massa.

L‘iniziativa di intervenire sulla condizione giuridica dello straniero con disposizioni inerenti la materia della sicurezza e dell‘ordine pubblico è di per sé una scelta di forte valore simbolico: ha consentito di trasmettere con immediatezza all‘opinione pubblica il messaggio che identifica l‘origine dell‘insicurezza sociale diffusa nella presenza di cittadini che, per il solo fatto di essere nati altrove, sono da considerarsi soggetti propensi alla criminalità per natura (Naletto 2009: 91).

Ma il reato è solo il centro attorno a cui ruota una serie di altre misure41 altamente restrittive e discriminatorie, atte a minare le libertà e i diritti individuali dei migranti.

―profughi‖ in ―immigrati clandestini‖. Gli atteggiamenti di benevolenza mostrati anche da parte della stampa e dei politici nei confronti dei ―fratelli‖ della vicina Albania, si trasformarono in rifiuto ed ostilità aperta nell‘estate del 1991» (ter Wal 2001: 70).

41 «il prolungamento del periodo massimo di trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione

(CIE, sostitutivi dei CPT - Centri di permanenza temporanea); l‘ampliamento del tempo previo necessario per poter presentare domanda di cittadinanza a seguito di matrimonio (in generale da 6 mesi a 2 anni), nonché della durata dell‘arresto per lo straniero che non esibisce i documenti all‘autorità di pubblica sicurezza (da 6 mesi a 1

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Delineare, seppur brevemente, il quadro evolutivo e normativo entro cui si è articolata l‘immigrazione in Italia è fondamentale al fine di decodificare e meglio comprendere le retoriche e le rappresentazioni mediali che l‘hanno accompagnata. In questo capitolo cercheremo, insomma, di analizzare i modi in cui il giornalismo ha interpretato i percorsi migratori verso il nostro paese.

2. Gli arrivi e gli sbarchi