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La linguistica cognitiva e la teoria della metafora

Negli anni Ottanta ha preso corpo una nuova area dell‘esplorazione linguistica, definita

Cognitive linguistics (Cl), la quale non si propone di essere l‘unica ―linguistica cognitiva‖,

impresa tanto ambiziosa quanto pretenziosa (sono varie, infatti, le discipline che si occupano del linguaggio dal punto di vista di ciò che accade nella mente), ma di ordinare all‘interno di un‘etichetta comune una moltitudine di approcci simili e che si riconoscono nel principio fondamentale del primato del significato nell‘esperienza linguistica. La Cognitive linguistics non è altro, di fatti, che l‘evoluzione della semantica cognitiva, sviluppatasi in aperto contrasto con l‘approccio generativista/formalista di Chomsky.

Tra i principi di base della linguistica cognitiva, in quello che Lakoff (1990) ha definito «generalization commitment», ha un notevole peso il rigetto per una visione del linguaggio suddiviso in compartimenti stagni (sintassi, morfologia, lessico) dotati di caratteristiche e funzionamenti propri; per la Cl, invece, le molteplici aree in cui si può suddividere, per praticità teorica, il linguaggio sarebbero accomunate da criteri e meccanismi analoghi. Lo studio della lingua dovrebbe concentrarsi, dunque, sul tentativo di portare alla luce tali affinità, piuttosto che studiare in maniera modulare e separata le sue articolazioni. In modo del tutto simile, viene rifiutata l‘idea di una specificità cognitiva delle capacità del linguaggio; secondo il «cognitive commitment» (Lakoff 1990), infatti, esso dovrebbe riflettere in qualche modo principi cognitivi di ordine generale, che caratterizzano anche altre abilità mentali dell‘individuo, rifiutando ancora una volta la modularità tipica degli approcci formalisti e generativisti.

Si può dire che le principali linee di indagine in questo campo si articolino secondo quattro ipotesi fondamentali: il significato linguistico è prospettico; il significato linguistico è dinamico e flessibile; il significato linguistico è enciclopedico e non-autonomo; il significato linguistico è basato sull‘esperienza e sull‘uso. Le quattro ipotesi si compenetrano e accomunano le varie linee di ricerca; concetti come la non definitezza delle categorie, viste come sfumate e basate su prototipi, o la centralità dell‘esperienza e dell‘uso della lingua nello

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strutturare le forme linguistiche possono essere applicati tanto alla sintassi, quanto alla morfologia o alla semantica.

Esula dai nostri scopi fornire in questa sede una disamina dettagliata delle teorie e dei metodi approntati dagli studiosi della linguistica cognitiva; ci soffermeremo piuttosto su uno degli elementi centrali all‘interno di questo panorama di studi su cui faremo affidamento durante la nostra analisi, ovverosia la metafora.

4.2 La metafora

Tra le applicazioni della linguistica cognitiva, gli studi sulla metafora concettuale sono senza dubbio i più noti; l‘impatto di questa teoria nel mondo della linguistica e dell‘analisi del discorso si è rivelato enorme, tanto che sarebbe impossibile in questa sede dar conto dell‘enorme messe di studi in merito. Tracceremo, piuttosto, le sue direttrici fondamentali per aiutare a comprendere più avanti l‘uso che ne faremo durante l‘analisi.

Nel corso delle nostre osservazioni faremo riferimento alla teoria della metafora concettuale elaborata da George Lakoff (Lakoff, Johnson 1980; Lakoff, Turner 1989; Lakoff 2009 [2008]), secondo cui i processi metaforici non sono visti come semplici strumenti stilistici e retorici, bensì come meccanismi fondamentali dell‘interpretazione del mondo che ci circonda. Le strutture concettuali sono organizzate attraverso mappature che attraversano vari domini o mediante corrispondenze che si stabiliscono tra più domini concettuali. Alcune di queste mappature sono dovute a esperienze corporee pre-concettuali, mentre altre vengono costruite a partire da tali esperienze per dare luogo a strutture concettuali più complesse. Tra gli esempi più classici si può ricordare la possibilità di interpretare la quantità in termini di altezza verticale, come in Lucia ha preso un voto alto all‟esame, dove ‗alto‘ si riferisce solo metaforicamente all‘altezza come qualità fisica. Tale ipotesi è fortemente legata a quella della mente incorporata, per cui le strutture concettuali sarebbero radicate nell‘esperienza fisica quotidiana (Johnson 1987).

Ma facciamo un piccolo passo indietro; per secoli, la metafora è stata considerata semplicemente un tropo, una figura retorica per cui A è uguale/somiglia a B, una forma di comparazione. Metafore come Stefania è un fiore intendono, ovviamente, attribuire ad A i connotati culturali di bellezza e gentilezza associati a B, certo non esprimere un‘uguaglianza di carattere fisico. Grady (1999) ha definito tali metafore come resemblance metaphor, per via del loro carattere di attuare una comparazione sulla base di una somiglianza (resemblance)

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percepita; Lakoff e Turner (1989) hanno, invece, parlato di image metaphor quando metafore di questo genere riguardano espressamente caratteri fisici.

Tuttavia, i due studiosi hanno concentrato maggiormente la loro attenzione su un aspetto più ampio del processo. Nel linguaggio quotidiano ci si esprime continuamente mediante forme che, pur essendo figurate, non esprimono di fatto una comparazione diretta tra un elemento A e uno B, come nell‘esempio precedente. Uno degli esempi più famosi è quello dell‘ARGOMENTAZIONE È UNA GUERRA32;dallo schema riportato sotto si può apprezzare come

le metafore non investano solo uno tra i molti elementi di uno o l‘altro campo, ma siano riccamente strutturate. Ogni aspetto di un fenomeno è interpretato alla luce del dominio metaforico a cui si associa: un‘argomentazione possiede dei punti deboli, o viene attaccata,

demolita, presa di mira, argomentare e controargomentare possono essere visti come le fasi di attacco e difesa di una strategia e così via.

Your claims are indefensible.

He attacked every weak point in my argument. His criticisms were right on target. I demolished his argument.

I've never won an argument with him. You disagree? Okay, shoot!

If you use that strategy, he'll wipe you out. He shot down all of my arguments.

Viene ipotizzato, così, un collegamento convenzionale che struttura le relazioni tra i due campi, in questo caso l‘argomentazione e la guerra. Il primo è definito target domain, poiché è il concetto di arrivo, l‘obiettivo da descrivere attraverso il secondo, il source domain, ovvero la fonte delle descrizioni. La metafora concettuale assume tale denominazione in virtù del tipo di associazione convenzionale che si crea tra i due elementi (una metafora appunto), ed è concettuale dacché agisce non solamente a un livello linguistico, ma a uno più profondo di significato. Quelli che ci troviamo davanti, secondo Lakoff e Johnson, non sono solo modi di esprimere linguisticamente un‘idea, ma modi di strutturare l‘idea stessa, in grado, pertanto, di influenzare anche il genere di azioni quotidiane a esse inerenti:

It is important to see that we don't just talk about arguments in terms of war. We can actually win or lose arguments. We see the person we are arguing with as an opponent.

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We attack his positions and we defend our own. We gain and lose ground. We plan and use strategies. If we find a position indefensible, we can abandon it and take a new line of attack. Many of the things we do in arguing are partially structured by the concept of war. Though there is no physical battle, there is a verbal battle, and the structure of an argument – attack, defense, counterattack, etc. – reflects this. It is in this sense that the ARGUMENT IS WAR metaphor is one that we live by in this culture; it structures the actions we perform in arguing (Lakoff, Johnson 1980: 4).

La metafora dell‘immigrazione come un fenomeno naturale del resto ha una forte componente fisica, richiama la nostra esperienza diretta (o indiretta) con degli aspetti del reale percepiti come inesorabili, implacabili e potenzialmente distruttivi; l‘associazione tra i due campi stabilisce una connessione nella nostra mente che può spingerci a considerare il fenomeno come pericoloso, ansiogeno, fuori dalla nostra possibilità di controllo e, di conseguenza, fonte intrinseca di un senso di insicurezza.

Un altro processo interessante riguarda la costruzione delle cosiddette metafore primarie. Secondo Grady (1997a, 1997b) è necessario, infatti, distinguere tra metafore primarie e complesse. La motivazione per il formarsi delle metafore primarie risiederebbe nella necessità di dare un‘espressione concreta a dei processi cognitivi che operano altrimenti a un basso livello di coscienza. Ciò si realizzerebbe mediante l‘uso di concetti source che coinvolgono esperienze sensoriali percettibili, pertanto accessibili con più immediatezza a livello cognitivo, definiti image content. I concetti primari target si riferiscono, invece, a risposte e valutazioni soggettive (a ciò che proviamo) e vengono definiti response content. Alcuni esempi possono essere: DESIRE IS HUNGER; CHANGE IS MOTION; IMPORTANCE IS SIZE.

All‘interno delle coppie proposte è possibile notare come il primo elemento rappresenti uno stato mentale (il desiderio, l‘importanza, il cambiamento) non esperibile concretamente, mentre il secondo è una condizione strettamente legata alla realtà fisica (la fame, il movimento, la grandezza). Le metafore primarie, per Lakoff (2009 [2008]), potrebbero allacciarsi, inoltre, all‘interno dei collegamenti sinaptici che si stabiliscono tra i sentimenti di benessere o malessere e le valutazioni circa ciò che si ritiene morale o immorale, così che l‘associazione continua tra esperienze gradevoli o sgradevoli può influenzare il nostro giudizio, e il nostro modo di esprimerci, sulla moralità.

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