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La metafora dell‘invasione e il controllo militare dell‘immigrazione

2. Gli arrivi e gli sbarchi

3.1 La metafora dell‘invasione e il controllo militare dell‘immigrazione

A partire dagli anni Novanta, in Italia, l‘iniziale indifferenza nei confronti degli immigrati ha lasciato sempre più spazio ad un‘aperta ostilità, coltivata in larga parte da movimenti politici di destra (Alleanza Nazionale) e territoriali (Lega Nord) e tollerata o non sufficientemente contrastata da quelle forze più progressive e libertarie, spaventate dalla possibile perdita di consensi. La retorica, spesso violenta, della Lega – arrivata nel frattempo al governo del paese – nei confronti degli stranieri76 è stata libera di occupare e influenzare i principali canali mediatici. Il suo immaginario aggressivo e xenofobo ha avuto un esito diretto nell‘attuazione di misure di controllo e prevenzione di tipo militare e poliziesco.

Le rappresentazioni ostili e l‘agire nei confronti dello straniero come un nemico non sono certo un vezzo solamente italiano:

Secondo un modello ormai comune a tutta l‘Europa, i migranti, reali o virtuali, sono un pericolo da contrastare con ogni mezzo – dalla militarizzazione dei confini alla

75 Altri studi hanno messo in luce che tali strumenti possono contribuire anche, in senso opposto, a una

presa di coscienza del fenomeno e favorire prese di posizioni in favore dei migranti (KhosraviNik 2009).

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moltiplicazione di veri e propri campi di internamento, dall‘espulsione generalizzata all‘―assistenza economica‖ prestata ai regimi cui i migranti cercano di sottrarsi. Al rifiuto dei migranti potenziali corrisponde l‘esclusione sociale di quelli presenti (Dal Lago 2009 [1999]: 8).

Di pari passo alle politiche e alle legislazioni restrittive della mobilità, sono andate omologandosi anche le retoriche e le produzioni discorsive dei processi migratori in diversi paesi europei77. Un sistema di controllo e detenzione che si riassume nella nota immagine della ―fortezza Europa‖. La metafora della fortezza evoca immediatamente un clima militare, l‘arroccamento dentro i propri confini da difendere contro una minaccia incombente. Nelle pagine che seguiranno proveremo a verificare la consistenza del campo semantico militare all‘interno del discorso sull‘immigrazione.

Il tema è, ovviamente, oggetto di aspre polemiche e visioni contrastanti nel dibattito politico; tuttavia, il nostro obiettivo è quello di ―filtrare‖, per quanto possibile, l‘elemento del discorso giornalistico da quello politico, pur tenendo conto delle influenze reciproche ed essendo consapevoli dell‘impossibilità spesso di scindere interamente i due.

Sulla scorta di quanto già delineato in precedenza (cfr. § 2.2), in questa sezione analizzeremo, dunque, la metafora concettuale dell‘immigrazione (target domain) come guerra (source domain). La soluzione definitoria più comune in tal senso appare essere quella dell‘invasione; termine ampiamente utilizzato nella prosa giornalistica in molti contesti78

, anche senza alcuna connotazione segnatamente negativa, prova ne siano alcuni esempi estratti da una ricerca casuale sull‘archivio della Repubblica: «L‘invasione argentina / il popolo di Messi già pensa alla finale» (la Repubblica 01/07/2014) oppure «[…] adesso non resta che attendere l‘invasione dei diportisti volanti a Genova» (29/06/2014). Tuttavia il suo impiego con accezioni negative o legato ad ambiti militari rimane nettamente prevalente.

L‘uso è quanto mai problematico all‘interno dei titoli, seppur in contesti citazionali, dove la responsabilità delle parole usate sarebbe da attribuire unicamente alla fonte; ciò implica l‘adozione della retorica dell‘invasione come notiziabile, conferendole una

77 Alcuni tra i più importanti studi in materia sono: per i Paesi Bassi van Dijk (1991); per il Regno Unito

Gabrielatos, Baker (2008); per l‘Austria Reisigl, Wodak (2003 [2001]). Per una panoramica più esaustiva e comprensiva di 15 stati membri dell‘Unione Europea si veda invece ter Wal (2002).

78 Più in generale, la guerra è da sempre uno dei campi metaforici più produttivi tanto nella scrittura

giornalistica (Dardano 1986: 234) quanto nel linguaggio politico (Beccaria 1989: 24-5, Orrù 2013), da cui spesso tali traslati vengono mutuati.

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preminenza che va al di là della singola dichiarazione. Appare piuttosto scontato come tale genere di scelte risponda a quella tendenza al sensazionalismo e alla ricerca di temi e polemiche forti per attirare l‘attenzione dei lettori; tuttavia è doveroso in questa sede rimarcare la problematicità di simili pratiche giornalistiche, che non aiutano un‘interpretazione degli eventi scevra da vizi e pregiudizi. Vediamo nello specifico come le singole testate trattino la metafora dell‘invasione.

Il Corriere cerca di discostarsi dall‘uso disinvolto del termine; esso viene spesso virgolettato per indicare la presa di distanza e l‘attribuzione del suo utilizzo ad una fonte esterna come negli esempi a), d) ed e), anche in sintagmi come «proposta ―anti invasione‖, «―pericolo invasione‖» e «tema dell‘―invasione‖». Sia quest‘ultimo caso sia l‘adozione del vocabolo nelle titolazioni evidenziano come per la storica testata milanese l‘inquadramento dell‘immigrazione sotto questa luce sia rilevante nel dibattito pubblico; è significativo a tal proposito l‘aspetto diacronico: gli esempi ricoprono, infatti, un ampio arco temporale. Nonostante gli impieghi non sempre pacifici, va sottolineato che spesseggiano sul Corriere le posizioni critiche e di ridimensionamento degli allarmi. L‘interpretazione dell‘immigrazione come ‗invasione‘ non appare, dunque, univoca in questo caso.

Nell‘estratto a) possiamo riscontrare l‘accostamento tra la forma neutra presentata nel titolo «Legge sugli immigrati» e la successiva modifica in «Proposta ―anti invasione‖» nel sommario; tale coreferenzialità stabilisce un legame tra la presenza degli immigrati e l‘invasione difficilmente attenuato dall‘uso delle virgolette.

CS-a) «Legge sugli immigrati, asse Berlusconi-Bossi Proposta "anti invasione" di Polo e Lega. Veltroni: il Cavaliere paga il conto al senatur». ROMA - Pene fino a 18 anni per gli scafisti, frontiere "esterne" per proteggere il territorio italiano dall'"invasione", codice fiscale obbligatorio e centri di accoglienza finanziati dai datori di lavoro. Nel cuore della campagna elettorale arriva l'annunciato "giro di vite" di Polo e Lega sull'immigrazione, una proposta di legge di iniziativa popolare che ha come obiettivo lo smantellamento dell'attuale normativa, cioè la Turco- Napolitano (CS 30/03/2000).

In b), invece, l‘aggettivazione («ultima») presuppone semanticamente che vi siano state altre invasioni in precedenza, esattamente come l‘articolo determinativo presuppone l‘esistenza stessa di un referente. Nel passo l‘immagine di «giovani senza segni di fatica» e «uomini sani e forti» conferisce un senso di stupore (accentuato dalla frase «uno sbarco così non s‘era mai visto») e ansia nei confronti dei migranti giunti a Lampedusa.

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CS-b) «Giovani, senza segni di fatica e ―finti palestinesi‖ L'ultima invasione non commuove Lampedusa». Uno sbarco così non s'era mai visto nell'isola che fa da porta europea ai clandestini. In una Lampedusa al collasso. Non solo perché sul peschereccio da 25 metri approdato l'altra notte c'erano quasi 500 uomini incollati tra di loro, appesi a strutture e pennoni, appollaiati sulla cabina del timone, stipati e compressi fra stiva e sala macchine. Ma perché si tratta di uomini sani e forti, tutti fra i 18 e i 30 anni, a bordo di un natante in buone condizioni (CS 13/09/2004).

In c), il tono piano e sostanzialmente equilibrato dell‘articolo mostra tuttavia un impiego acritico della scelta definitoria dell‘invasione, assunta come un elemento ragionevole di timore da parte dello schieramento di centro-destra. La parola, infatti, non viene né virgolettata né modulata da altri interventi mitiganti del giornalista, risultando dunque come un tassello tutto sommato neutro all‘interno del discorso. L‘esempio d) è caratterizzato, invece, dall‘uso di un lessico ansiogeno e allarmista («allarme», «pericolo», «preoccupazione») attorno all‘ingresso della Romania nell‘Ue. Viene, inoltre, messa in rilievo la presenza dei nomadi tra la popolazione romena come fonte di ulteriore pericolo, amplificato dal dato sulla loro incidenza sulla popolazione totale.

CS-c) «Diventeranno regolari 200 mila romeni e bulgari». Da domani i cittadini provenienti da Romania e Bulgaria non saranno più extracomunitari. L'ingresso dei due Paesi nell'Ue consente infatti ai lavoratori di regolarizzare automaticamente ogni posizione. La decisione, adottata dal Consiglio dei ministri del 27 dicembre tra le proteste dell'opposizione che teme un'invasione, apre le porte a colf, badanti, muratori, meccanici, dirigenti. Si parla di circa 200 mila regolarizzazioni (CS 31/12/2006).

CS-d) «Romeni, allarme Caritas: c'è il pericolo di un'invasione L'Ismu: 105 mila arrivi l'anno». ROMA - E' già guerra di cifre sulla possibile invasione di cittadini romeni dopo allargamento dell'Unione europea a 27 membri. La Caritas e l'Ismu di Milano indicano nuove quote di lavoratori in arrivo ogni anno che oscillerebbero tra le 60 mila e le 105 mila unità […] Secondo la Caritas, è difficile fare delle stime. Tuttavia, ―è anche difficile ignorare la diffusa preoccupazione di quanti temono un ―pericolo invasione‖, in particolare dei nomadi che rappresentano il 2,5 per cento della popolazione di quel Paese‖ (CS 03/01/2007).

L‘ultimo esempio consente di mettere in luce come i vari traslati possano interagire tra loro, costruendo una consistente rete di occorrenze complementari. In questo caso la metafora

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della guerra si mescola con quella dell‘ondata. In prima battuta viene attestata l‘esistenza stessa dell‘«ondata» da parte del giornalista, che inserisce acriticamente la forma nel discorso, mentre una seconda presupposizione riguarda il fatto che essa vada «arginata». Il carattere assertivo della proposizione, infatti, non mette in dubbio né l‘esistenza stessa del ―problema immigrazione‖ né tantomeno la necessità di doverla arrestare, entrambe assunte come dati di fatto: «si tratta di dialettica politica sulle misure da prendere per arginare un'ondata alla quale il Paese appare impreparato».

CS-e) «C'è uno scontro culturale in atto fra Pdl e Chiesa cattolica sull'integrazione degli immigrati dal Sud del mondo». Basta registrare la durezza con la quale il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, leghista, attacca il regime libico per gli sbarchi dei clandestini; e la prudenza con la quale invece lo corregge il titolare della Farnesina, il berlusconiano Franco Frattini. Ancora, il tema dell‘―invasione‖ straniera è una delle frontiere polemiche fra maggioranza e opposizione. Ma fin qui, si tratta di dialettica politica sulle misure da prendere per arginare un'ondata alla quale il Paese appare impreparato. La vera divergenza che sta prendendo corpo e spessore, però, è l'altra con la Santa sede (CS 09/10/2008).

Per quanto concerne La Stampa, nel primo esempio, l‘autore costruisce il proprio impianto argomentativo partendo da un appello alla ragionevolezza delle proprie posizioni, fondato su una serie di opposizioni retoriche: «è irresponsabile irridere»/«sensata preoccupazione»; «Pretestuoso insistere»/«occorrerebbe prima regolarizzare»; «stolto sottovalutare»/«infiltrazioni terroristi effettivi» (o «virtuali»). Il giornalista supporta le proprie posizioni attraverso motivazioni di ordine economico («senza la possibilità d una reale, civile integrazione, ai molti clandestini che già lavorano, vivono di espedienti o delinquono nel nostro paese»; «gli extracomunitari che lavorano in nero e sono spesso vittime di sfruttamento») o securitario (il rischio di «infiltrazioni di terroristi»). Il quadro generale che emerge da queste tre argomentazioni è chiaramente rivolto alla necessità di un deciso freno e un rigido controllo al fenomeno migratorio. Le costruzioni discorsive improntate a far percepire le proprie posizioni come ragionevoli e fondate su fattori economici, culturali o sociali sono tra le più frequenti al fine di evitare accuse di razzismo e pregiudizio (van Dijk 1992; Augoustinos, Every 2007; Goodman, Burke 2010).

ST-a) «PANE AL PANE Allarme immigrati servono soluzioni non parole faziose». È irresponsabile irridere alla paura di una invasione, quando si tratta di sensata preoccupazione per un flusso di persone che vanno ad aggiungersi, senza la

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possibilità di una reale, civile integrazione, ai molti clandestini che già lavorano, vivono di espedienti o delinquono nel nostro paese. È pretestuoso insistere sull'esigenza di nuove braccia, quando occorrerebbe prima regolarizzare gli extracomunitari che lavorano in nero e sono spesso vittime di sfruttamento. È stolto sottovalutare le infiltrazioni di terroristi effettivi o virtuali sui barconi che attraccano a Lampedusa (ST 10/10/2004).

È singolare come La Stampa sposi in pieno la retorica dell‘invasione nel caso dell‘approvazione comunitaria della cancellazione dei vincoli ai tesseramenti di calciatori extracomunitari, tanto da inserire la metafora nella titolazione.

ST-b) «EXTRACOMUNITARI CERCANSI UN'ALTRA INVASIONE E' ALLE PORTE DOPO LA LIBERATORIA DELLA CORTE FEDERALE Riquelme un fantasista per sognare». MILANO ASPETTIAMOCI un'invasione. Centinaia di giovani africani sono pronti a farsi proporre da procuratori d'assalto per provini con squadre italiane. Alcuni club brasiliani hanno programmato viaggi in Italia per mettere in mostra i loro gioielli e venderli per risanare i conti deficitari (ST 14/05/2001).

È possibile intravedere, anche in c), l‘adozione acritica del frame dell‘invasione, utilizzato già nel titolo per tematizzare l‘argomento. La perentoria citazione, con l‘esortativo «Fermiamo l‘invasione», è debolmente mitigata all‘interno dell‘articolo dal successivo virgolettato «allarme no, ma preoccupazione sì». La dichiarazione dell‘assessore è ulteriormente contestualizzata «parlando dell'invasione romena che negli ultimi tempi s'è riversata su Torino». L‘autore, mutuando la scelta lessicale del politico, di fatto ne conferma implicitamente l‘interpretazione e la oggettivizza assumendola come un argomento reale all‘ordine del giorno, di cui ―parlare‖.

ST-c) «"Fermiamo l'invasione dei romeni" L'assessore Lepri: sempre piu' disperati arrivano da Bucarest». "Allarme no, ma preoccupazione si'" dice Stefano Lepri, assessore ai servizi sociali, parlando dell'invasione romena che negli ultimi tempi s'è riversata su Torino, spinta dalla grande povertà che affligge Bucarest, le altre città, grandi e piccole, e le campagne. Per la maggior parte dei romeni che ogni settimana passano il confine a Trieste e al Brennero per venire sotto la Mole, il viaggio si riduce all'aver cambiato la miseria in patria con un'altra, forse ancora peggiore, in terra straniera. Basta girare a Porta Nuova e dintorni per imbattersi in

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gruppi di romeni che non hanno trovato nulla di nulla e campano di elemosina, dormono sui treni, dove capita (ST 22/08/2002).

In d), invece, possiamo osservare come la metafora dell‘invasione interagisca con altri tratti già osservati nelle pagine precedenti, come la metafora del flusso («il flusso di disperati»); la quantificazione («600 immigrati», «sei carrette del mare», «centinaia di uomini e donne»); la continuità/inarrestabilità degli eventi («uno sbarco dietro l‘altro») e la metafora corporale dell‘emorragia («come un‘emorragia»), particolarmente produttiva nel linguaggio politico e giornalistico contemporaneo.

ST-d) «IL FLUSSO DI DISPERATI CONTINUA AD AUMENTARE Invasione a Lampedusa Uno sbarco dopo l'altro Il Centro d'accoglienza dell'isola è di nuovo strapieno. Sei carrette del mare sono arrivate in poche ore. Arrestati anche nove scafisti». LAMPEDUSA IN due giorni sulle coste siciliane sono arrivati 600 immigrati provenienti in gran parte dal Corno d'Africa. Da lunedì a Lampedusa si registra uno sbarco dietro l'altro, come un'emorragia, con le carrette del mare che trasportano centinaia di uomini e donne. E' difficile continuare a tenere il calcolo delle persone sbarcate (ST 30/10/2003).

Nell‘esempio e) colpisce il numero di elementi del lessico militare. L‘atto di ingresso nei confini nazionali viene definito «―l‘attacco‖»; le virgolette in questo caso mitigano blandamente la metafora, accompagnata nel testo da altri riferimenti militari come «fronte» e «frontiera» (che occorre ben 3 volte tra il titolo e le prime due righe dell‘articolo). La sensazione prevalente in questo estratto è quella dell‘accerchiamento del paese («non solo via terra ma anche via mare»), ulteriormente amplificato dall‘uso delle cifre («50.000 cinesi») e da altri elementi lessicali che veicolano la prossimità temporale della minaccia («pronti»), lo stato di pericolosità («allarme») e la colletivizzazione e oggettivizzazione di tali sensazioni («si teme») mediante il pronome personale ‗si‘. La Stampa appare, insomma, meno equilibrata rispetto al Corriere della Sera, ricorrendo più frequentemente al frame dell‘invasione in maniera acritica e automatica.

ST-e) «‖Cinquantamila cinesi pronti a entrare in Italia‖» Nuovo allarme, cercano di passare la frontiera del Nord-Est». ROMA Si guarda a Trieste, a Gorizia. A quei sessanta chilometri di frontiera difficilmente controllabile. Si guarda anche più a nord, alla frontiera della provincia di Udine. L'―attacco‖ può arrivare non solo via terra, ma anche via mare, anche dalla laguna di Grado. E' il fronte Nord-Est oggi il

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più esposto alla ―invasione‖. Da questo fronte si teme l'arrivo di cinquantamila cinesi clandestini (ST 02/08/2000).

Il Giornale non mostra indugi nello sposare la cornice interpretativa delle forze di

centro-destra. Nel primo estratto l‘immigrazione viene tematizzata già nel titolo non come una guerra qualsiasi, ma come «la guerra dei clandestini» (e più avanti come una «guerra non tradizionale»). Nell‘articolo la metafora viene amplificata e ulteriormente sviluppata. Lo schema argomentativo paragona l‘arrivo dei migranti all‘«invasione» e le persone alle «forze armate». Sia il riferimento all‘ipotetico «Stato estero» sia quello all‘azione militare fanno presupporre l‘azione pianificata da un soggetto unitario e con un obiettivo specifico, semplificando così la realtà di un fenomeno complesso ed eterogeneo. Il nemico è uno, gli immigrati, e il loro scopo è invaderci. Sensazione ripresa e confermata successivamente («ma, se trattiamo quella violazione dei nostri confini come un insieme di piccoli reati non ne verremo a capo»). Le reazioni dello Stato, poi, non si limitano al semplice controllo, ma arrivano alla repressione («per reprimerlo») attraverso i mezzi militari («non ci rivolgeremmo ai procuratori della Repubblica: faremmo affidamento sul ministero della Difesa»).

GN-a) «EMERGENZA IMMIGRAZIONE - La guerra dei clandestini». Se uno Stato estero invadesse il nostro territorio con le sue forze armate commetterebbe un illecito, ma per reprimerlo non ci rivolgeremmo ai procuratori della Repubblica: faremmo affidamento sul ministro della Difesa, che fa parte dell'esecutivo, non dell'ordine giudiziario. L'invasione dei clandestini non è una guerra tradizionale: molti di loro ci sono utili e la gran maggioranza non ci è ostile; ma, se trattiamo quella violazione dei nostri confini come un insieme di piccoli reati non ne verremo a capo. Individuale essendo la violazione della norma, individuale dovrebb'essere la condanna, previo un dibattimento che rispetti i diritti della difesa. Allora i magistrati avrebbero tutte le ragioni per protestare di essere in pochi e di non avere mezzi bastanti (GN 02/09/2006).

L‘esempio b) sfrutta invece il ―topos del pericolo‖79

(Reisgl, Wodak 2003 [2001]), premesso che in Italia, e in Europa, «non c‘è posto per tutti», lo Stato deve agire per bloccare il pericolo dell‘invasione: «fermare l'invasione prima che ci travolga».

79 «[…] è basato sulle seguenti formulazioni condizionali: se un‘azione o una decisione politica comporta

specifiche conseguenze pericolose o minacciose, non la si deve compiere. O, in altri termini: se vi sono specifici pericolo o minacce, si dovrebbe fare qualcosa contro di essi» (Reisigl, Wodak 2003 [2001]: 319).

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GN-b) «Immigrati, missione impossibile». In un continente già densamente popolato come l'Europa, è impensabile trovare posto per tutti, tenendo conto che parallelamente sta aumentando anche il numero degli immigranti, legali e illegali, dall'Europa dell'Est. Bisogna perciò trovare il modo di fermare l'invasione prima che ci travolga, e dopo molte esitazioni l'Unione ha creato una struttura, il Frontex, per affrontare l'emergenza. Ma non c'è accordo, né ideologico, né pratico, sul modo di procedere (GN 04/09/2006).

La tendenza a giustificare le pratiche di controllo dell‘immigrazione per prevenire le morti e i naufragi alle frontiere80 è ben rappresentata nell‘esempio c). Nella fattispecie lo strumento dei respingimenti in mare viene inquadrato come utile a salvare le vite dei migranti («decine di vite salvate con la linea dura») e per la richiesta di protezione politica e ottenimento del permesso di soggiorno, nonostante la condanna di Unione Europea e Nazioni Unite proprio perché le politiche italiane rendevano impossibile l‘esercizio di tali diritti fondamentali.

GN-c) «Decine di vite salvate con la linea dura». Chi attacca i respingimenti, inoltre, non prende in considerazione l'altra faccia della medaglia. Per chi sopravvive alla traversata e riesce a mettere piede in Italia, fatti i dovuti accertamenti, si muove di pari passo la macchina dell'accoglienza. Testimonia ancora Fortress: "Lo scorso anno lo Stato italiano ha concesso un permesso di soggiorno alla maggior parte dei 2.739 eritrei sbarcati sulle coste siciliane". Pure questo uno schiaffo all'umanità? (GN 22/08/2009).

In d) è evidente un‘altra fallacia argomentativa: ―se le persone percepiscono l‘immigrazione come un‘invasione, allora significa che è vera‖. Un tipo di argomentazione che, dunque, si autoalimenta81. Se Il Giornale racconta l‘immigrazione come un‘invasione e la sensazione è confermata dai cittadini (attraverso un‘indagine demoscopica), allora la linea interpretativa scelta dalla testata non può che essere corretta. Fra il titolo e l‘incipit dell‘articolo vi è poi una evidente contraddizione logica. Mentre il titolo ostenta il fatto che

80 «Tanto la questione dei diritti umani dei migranti quanto quella della morte alle frontiere […] sono

chiamate in causa non solo da una parte, per criticare e mettere sotto accusa (nelle opportune sedi istituzionali, politiche e giudiziarie) le politiche di controllo dell‘immigrazione, ma anche dall‘altra parte, per giustificarle contro quelle stesse critiche, fondendo la retorica securitaria con quella umanitaria» (Cuttitta 2012: 70).

81 Alessandro Dal Lago ha definito simili meccanismi di costruzione del significato «tautologia della