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La crisi economica globale e i tagli della pubblicità

29 copie - gli introiti pubblicitari aumentano con l‟intervento delle multinazionali

3. La crisi economica globale e i tagli della pubblicità

Tutto cominciò con il dissesto finanziario della Lehman Brothers, la società americana di servizi finanziari. Sono nei ricordi di tutti le immagini dei dipendenti che abbandonavano l‟azienda nell‟agosto del 2007 con in mano gli scatoloni pieni degli oggetti che fino a poco prima occupavano le loro scrivanie: era il preannuncio del fallimento a seguito della crisi dei mutui subprime, il più grande caso di bancarotta di tutti i tempi45. La crisi economica sarebbe scoppiata definitivamente nel 2008, prima nella più grande economia del mondo, gli Stati Uniti, dove sono collassati il sistema creditizio e ipotecario sulla scia della cosiddetta “bolla” speculativa finanziaria, arrivando poi attraverso le banche anche in Europa, dove ha colpito duramente alcuni Paesi quali Danimarca e Islanda (con la massiccia svalutazione della corona islandese), e per riflesso anche tutti gli altri componenti dell‟Eurozona. La recessione, da più parti indicata come la peggiore dopo la crisi economica del 1929, è tuttora in corso e molti autori ritengono che la sua fine non arriverà prima del 201046.

44Ferruccio De Bortoli, L’informazione che cambia, La Scuola, 2008, p.60-62

45Wikipedia, alla voce “Lehman Brothers”

46Wikipedia, alla voce “Crisi economica del 2008”

La crisi dei mutui subprime

L’esplosione della bolla speculativa I quotidiani

“palestre di libertà”

Gli effetti di una tale devastazione sul piano finanziario, trasferitasi in un secondo momento anche sull‟economia reale, non potevano non ricadere anche sul mercato dell‟editoria, quindi anche quello della carta stampata che – come abbiamo argomentato sopra- tentennava da tempo con un costante calo delle vendite in edicola. C‟è da dire che i giornali italiani avevano già risposto alle perdite con diversi stratagemmi rivelatisi alla resa dei conti piuttosto positivi: già a partire dagli anni Novanta molte testate iniziano ad apporre alle loro copie in edicola ogni sorta di gadget o regalo accessorio che potesse attirare il lettore, dalla collezione di libri di autori classici alle enciclopedie, i cd o le videocassette. A queste si aggiungevano i supplementi, tuttora molto in voga. Non sempre inoltre veniva imposto un sovrapprezzo, ma in caso lo si facesse il piccolo surplus non scoraggiava il lettore comunque invogliato all‟acquisto grazie all‟interesse per il prodotto offerto. La strada del

“collaterale”, che in certi periodi fece registrare un vero e proprio boom, fu intrapresa da tutte le principali testate italiane e portò con sé anche l‟aumento della diffusione delle cosiddette “services”, ovvero società cooperative esterne, incaricate di produrre gli allegati di un determinato quotidiano47.

Che si sia trattato di un‟operazione di marketing lungimirante e proficua, è dimostrato dai dati diffusi dal Gruppo Rcs, il quale nel marzo 2006 dichiarava che il fatturato per l‟area libri era salito a 708,6 milioni di euro; il Gruppo Espresso aveva invece reso noto nel 2005 che le copie di libri, dvd e compact erano arrivate a 24 milioni48.

In Italia i finanziamenti pubblici sono l‟altro aspetto da considerare quando si parla di introiti dei quotidiani venduti in edicola. Cominciato con gli anni Ottanta a causa dell‟alto costo della carta e della necessità di rinnovare le tipografie adeguandole ai progressi della tecnologia, l‟intervento dello Stato nei bilanci dei giornali raggiunse nel 2006 quota 667 milioni di euro l‟anno, distribuiti tra quotidiani grandi e piccoli fogli di partito. Alcuni esempi fanno perfino sorridere perché dimostrano che il denaro pubblico finanzia anche le realtà editoriali più piccole e irrilevanti: le testate “Cavalli da corsa” e

“Sportsman” arrivano a ricevere bel due milioni di euro l‟anno. Da notare inoltre è come questi finanziamenti siano assegnati sulla base delle copie

47 Paolo Murialdi, Il giornale, Il Mulino, Bologna 2006, p. 32

48 Ivi, p. 33

Gli effetti devastanti sull’editoria

Il boom dei collaterali negli anni Novanta

I

finanziamenti pubblici

stampate e non di quelle vendute, con il risultato di stimolare la tiratura gratuita49.

Tutto questo ha sopperito solo in parte al problema della quadratura dei bilanci dei giornali, sempre più dipendenti dagli inserzionisti pubblicitari per la loro sopravvivenza, diventati “una delle principali fonti di ricavo – in qualche caso addirittura la fonte principale - anche perché i ricavi da diffusione sono in calo dal punto di vista strutturale e sui prezzi più di tanto non si può agire”50. Ciò considerato, in aggiunta alla crisi economica mondiale dell‟ultimo biennio con i conseguenti tagli dal versante pubblicitario, che ha visto peraltro un

“New York Times” vendere la propria sede per pagare i debiti, il fallimento del

“Philadelphia Enquirer” dopo 180 anni di vita, il “San Francisco Chronical”

sull‟orlo della chiusura e il “Los Angeles Times” ridurre il proprio organico da 1300 a 700 giornalisti, vediamo qual è la situazione attuale (drammatica sulla base dei dati Fieg) dei giornali italiani, i cui ultimi dati disponibili si riferiscono al biennio 2006-2008.

Secondo la Federazione italiana editori e giornalisti, “il fatturato editoriale, rappresentato dai ricavi da vendite e da pubblicità, ha subito una preoccupante battuta d‟arresto, mentre i costi di produzione, pur decelerando, si sono mantenuti elevati”.51 Se questo fenomeno si era già presentato nel 2007 per i quotidiani (settore al quale in questa sede ci riferiamo), quando il fatturato aveva già registrato una flessione dell‟1,4%, nel 2008 la situazione si è ulteriormente deteriorata, contrassegnata da una flessione pari al 4,3%, imputabile proprio al calo dei ricavi da pubblicità, che ha toccato quota -6%, e da vendite (-2%).52 Per il 2009 i tagli della pubblicità sono arrivati a quota meno 25-30% 53, come vedremo meglio più avanti.

49 Ivi, p.35

50Ferruccio De Bortoli, L’informazione che cambia, La Scuola, 2008, p. 66

51 Fieg, La stampa in Italia 2006-2008 (sintesi), p.1

52 Ibidem

53“ Affari e Finanza” (supplemento di “La Repubblica”), 20 aprile 2009, pag. 29

La pubblicità la principale fonte di ricavo

Il fallimento dei quotidiani statunitensi

Fieg:

“fatturato in preoccupante battuta d’arresto”

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QUOTIDIANI. EVOLUZIONE INVESTIMENTI PUBBLICITARI (2007-2008)

Spazi (pagine) Fatturato netto (migliaia di euro)

Testate a pagamento

2007 2008 Var.% 2007 2008 Var.%

Commerciale Nazionale

104.671 110.188 5,3 812.333 734.840 -9,5

Di servizio 16.088 16.722 3,9 211.045 198.098 -6,1

Rubricata 30.260 29.995 -0,9 126.670 122.936 -2,9

Commerciale

Sempre sulla base dei dati Fieg, per avere un‟idea complessiva dello stato di crisi dell‟editoria giornalistica, occorre sommare al crollo degli introiti pubblicitari il calo delle vendite – peraltro perenne - che nel 2007 e nel 2008 hanno registrato flessioni dello stesso ammontare, pari al 2%, interrompendo così quella fase di ripresa che si era manifestata nel 2006 (+0,9%), a seguito di un quinquennio negativo. E così le vendite medie giornaliere di 58 testate nazionali sono crollate dalle 6.017.564 del 2001 alle 5.291.300 del 2008, con un costante calo di punti percentuali. E la brutta notizia è che la congiuntura economica non accenna a migliorare, perché i dati ancora parziali per il 2009 non lasciano ben sperare, mentre le previsioni per il 2010 sono ancora nere sotto il profilo della ripresa economica, che secondo gli esperti tarderà a farsi sentire, purtroppo anche a livello occupazionale. Più avanti approfondiremo i dati che descrivono la situazione attuale, dai quali ripartire per una riforma del sistema dell‟informazione.

La riduzione degli introiti pubblicitari si è invece rivelata fatale per la free press (che di ricavi da pubblicità vive esattamente come Internet) nonostante fosse apparsa in un primo momento come la nuova frontiera della carta

mentre in Italia ha cancellato l‟edizione veneta distribuita in tre città. Stessa sorte è toccata a “24Minuti”, il quotidiano gratuito del “Sole24ore”54. In Italia resistono ancora “Leggo”, la testata di Caltagirone leader nel mercato, seguita da “EPolis”, dal 2007 di Alberto Rigotti, e ancora “City” di Rcs, e “Metro”, al termine della scala di distribuzione (naturalmente in questo caso il venduto non esiste), insieme a “Dnews”, l‟ultimo nato con quattro edizioni locali. Come spiega Carli, in Italia, il secondo mercato della free press dopo la Spagna, così come altrove, la crisi ha prodotto come conseguenza il porsi di un bivio per gli inserzionisti, che hanno dovuto scegliere se tenere televisione o quotidiani, e in questo ultimo caso hanno optato per le testate a pagamento. Riferisce Federico Magna, capo dell‟Ufficio studi della Fieg, che i tagli alla free press sono stati pari al 10% con una diminuzione delle copie vendute da 4 milioni a 3,7. In una reazione a catena di effetti negativi, oltre al resto calano anche gli utili, in tutti i casi pochissimi: “Metro” ha chiuso l‟unico bilancio con lieve utile operativo nel 2007, e per il 2009 annuncia una previsione di fatturato di 25 milioni di euro. Per “City” i ricavi sono di 27 milioni mentre “Leggo” ne dichiara 27,3. Per “EPolis” infine, assicura Fabrizio Masini, direttore commerciale, i ricavi si attestano attorno ai 30 milioni (va messo in conto però che questa testata viene venduta in alcune edicole).

Il futuro per i giornali gratuiti che in Italia sono andati a coprire il settore della stampa popolare, quello che in Gran Bretagna è conosciuto come tabloid, resta incerto al pari di quello dei quotidiani in vendita. E se concordiamo con il semiologo Eric Landowski nell‟affermare che “il discorso dei media ci “informa”

non nel senso che quello che leggiamo sia sempre vero, ma nel senso di

“imprimere una forma al modo in cui concepiamo, e al tempo stesso viviamo, il nostro presente”55, costa ammettere che quelle “palestre di libertà”

rappresentate dai quotidiani siano a rischio per colpa di una crisi globale tanto grave da averne compromesso la sopravvivenza in ragione di un elemento così apparentemente estraneo alle logiche dell‟informazione, come i mancati investimenti della pubblicità commerciale.

54 “Affari e Finanza” (supplemento di “La Repubblica”), 20 aprile 2009, pag. 29

55 Eric Landowski, La società riflessa, Meltemi, Roma 2003, p. 155

In Italia resistono

“Leggo”,

“City”,“EPolis”

e “Dnews”

In Italia free press come tabloid britannico

Eric Landowski:

il discorso dei media ci

“informa”

Una nuova generazione di consumatori di media è davanti a noi e chiede di ricevere informazioni quando le

vuole, dove le vuole e come le vuole”, Rupert Murdoch