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69 specializzazione e personalizzazione, in un‟era digitale in cui sono gli utenti di

Internet a scegliere a quali contenuti accedere per tenersi aggiornati. Il funzionamento del progetto dipenderà comunque dai finanziamenti dei lettori, potendo contare al momento solo su scarsi introiti pubblicitari97.

E il giornalismo investigativo? Di tutti quelli della crisi in corso, è l‟aspetto più drammatico, perché il giornalismo investigativo è il meglio del mestiere del giornalismo, il suo fiore all‟occhiello e la sua essenza, che non si può rischiare di perdere. Eppure, è la forma più costosa e come tale la più difficile da mantenere perché implica investimenti in storie che potrebbero rivelarsi “buchi nell‟acqua” sebbene molto promettenti all‟inizio. Che di inchiesta ci sia bisogno ora più che mai, piuttosto che di informazione riformulata e di “seconda mano”, ci viene testimoniato da un articolo di “La Repubblica” riguardante il

“Seattle Times”, il primo giornale della più grande città trend setter della West Coast98. La testata sembrava destinata all‟estinzione proprio per colpa della crisi, così come era accaduto per la rivale “Post-intelligencer” passato alla sola edizione online dopo drastici tagli all‟organico redazionale. Eppure, le vendite del quotidiano sono tornate a salire del 30% raggiungendo le 260mila copie giornaliere, e il bilancio è di nuovo in utile. La crescita delle vendite ha permesso anche di rialzare il prezzo. In questo caso la ricetta del successo è stata nient‟altro che una fede incrollabile nella propria vocazione editoriale, mirata sull‟informazione locale e il giornalismo investigativo.

Così, per seguire le orme di Bob Woodward e Paul Bernstein, che nel 1974 costrinsero il presidente Nixon alle dimissioni con l‟indimenticato scandalo Watergate, e non lasciare che la crisi uccida il giornalismo di inchiesta, in America si sta affermando un sistema per cui fondazioni private, anziché finanziare musei o case di cura, sostengono siti web di reporter d‟assalto, i più a rischio per l‟incertezza dei profitti generati. Simile al “Global Post”, è il caso dell‟agenzia Spot.us specializzata in inchieste finanziate dai lettori, poi rimborsati se l‟articolo viene venduto a una testata. Il suo fondatore, il 26enne David Cohn, aveva convinto la Knight Foundation a investire 340mila dollari nel progetto iniziale. Pro Publica è stata la promotrice del movimento.

Sull‟home page del sito campeggia la scritta “Siamo dalla parte dei deboli

97 Cristina Nadotti, Global Post: il giornalismo non può essere gratis, da Repubblica.it del 23/03/09

98Federico Rampini, La ricetta del Seattle Times, da Repubblica.it del 10/8/09

Il caso

contro i più forti, del pubblico contro gli abusi”; finanziata da un magnate self-made man che le ha concesso 30 milioni di dollari, Pro Publica ha adesso all‟attivo inchieste come quella sui documenti ufficiali che autorizzavano le torture e una sul programma per l‟indipendenza energetica che risulterebbe troppo favorevole al carbone pulito99. E ancora, l‟Huffington Post, il celebre blog di Arianna Huffington che ha raccolto finanziamenti da diverse fondazioni e privati per un totale di 1,75 milioni di dollari, e il Texas Watchdog.org che punta i riflettori sull‟amministrazione dello Stato e solo nei primi 4 giorni online ha ricevuto 10mila visite di utenti unici. Gli introiti di quest‟ultimo provengono oltre che dalla Sam Adams Alliance, anche dalle rette del corso di formazione per giovani cronisti.

Non lontana dal fenomeno della charity è anche la proposta lanciata da un docente della scuola di giornalismo della Columbia University e Leonard Downie Jr (direttore per 17 anni del “Washington Post”), che di fronte a una crisi con numeri da capogiro (tagli di 100 unità al “Nyt”, crollo del 53% degli utili della Gannett - che controlla tra gli altri “Usa Today” e 23 reti tv - discesa libera della pubblicità a meno 32% nella prima parte del 2009100) hanno invocato la necessità di finanziamenti statali così come avviene per la scuola, la ricerca scientifica e la difesa del patrimonio culturale.

Queste sono solo alcune delle possibili risposte alla crisi della carta stampata e al crollo delle entrate editoriali, ma si tratta di ipotesi ancora sperimentali, da testare e sviluppare. Solo il tempo ci dirà quale sarà l‟epilogo, mentre per ora l‟unica certezza è che l‟attuale modello di business dovrà cambiare se il settore non vuole finire schiacciato sotto il peso della recessione.

99 Patrizia Feletig, Il reporter d’assalto lo finanzia la Charity, da “Affari e Finanza”, supplemento di “La Repubblica” del 27/4/09

100Massimo Gaggi, Sussidi pubblici ai giornali, da Corriere.it del 22/10/09

3. Intervista a Vittorio Zambardino

Abbiamo chiesto il suo parere sul futuro della carta stampata a un noto giornalista esperto di giornalismo online. Vittorio Zambardino, tra i fondatori di Repubblica online nel 1995, è attualmente autore del blog “Scene Digitali”.

1) Le vendite dei quotidiani sono in costante calo. Solo a settembre 2009 (dati Fieg) sono scese a quota 3,4% rispetto allo stesso mese del 2008. Nel frattempo si moltiplicano gli utenti di Internet. Quale soluzione proporrebbe per far sì che i giornali continuino a vendere nonostante la crescente concorrenza del web?

E' sicura che, In Italia, si tratti, almeno in via esclusiva, di "concorrenza del web"? Vorrei ricordarle il ruolo della televisione, che è oggettivo e

internazionale e soggettivamente italiano. C'è grande informazione in tv (sulla qualità sorvoliamo), c'è uno sciupio di rassegne stampa. Poi c'è la guerra aperta che una parte di tv e potere fanno alla carta stampata. Poi, in questi anni c'è stato, il fiorire dei free press. Intendo dire che i fattori della difficoltà sono molteplici. Non ignorerò il ruolo del web, che però è specifico: il web soddisfa e realizza la dimensione del'informazione per i giovani. Ed è ovvio che si tratti di un fattore cruciale della crisi, perché se si perde il rapporto con i lettori futuri, si è in crisi nera.

2)L’ipotesi delle notizie online a pagamento, lanciata qualche mese fa dal magnate dell’editoria Rupert Murdoch, ha aperto un dibattito nel mondo del giornalismo. Lei cosa ne pensa? Funzionerebbe dopo 20 anni di contenuti gratuiti in Rete?

Si è aperto un dibattito tra gli editori più che fra i giornalisti. Farei una

distinzione fra il concetto: ricerca di forme di remunerazione del contenuto e la proposta di Murdoch, appoggiata anche dagli editori europei. Il concetto è valido. Produrre i contenuti costa, è serio che chi ci mette i soldi cerchi forme di ritorno economico. Se il suo salumiere non guadagna sul pane e la

mortadella, chiude. E questo vale anche per gli editori. Invece la proposta concreta di Murdoch pone parecchi interrogativi: personalmente io non credo

che la strada che porta alla remunerazione per gli editori passi dai "pacchetti a pagamento" e - per altri versi - la guerra in tribunale a Google. Non lo credo proprio.

3) Philip Meyer, autore di «The vanishing newspaper », ha indicato nel 2043 l’anno in cui verrà gettata via l’ultima copia di un quotidiano di carta. Lei crede sia davvero possibile una società futura senza giornali di carta? Se sì, sarebbe una società peggiore rispetto a quella attuale?

Una società senza carta è il nostro futuro. Che sia peggiore o migliore (ma bisogna stabilire il metro, la libertà di espressione? il giornalismo critico?) non dipende dalla materia di cui è fatto il supporto. E' una questione di sopravvivenza e rilancio (metto l'accento sulla seconda parola) del giornalismo critico, in altre parole: la sopravvivenza di una cultura e una attività di effettiva critica del potere e di indagine "terza" sulla sua attività.

4) Qual è secondo lei il più grande vantaggio che la rivoluzione digitale ha apportato all’informazione? Il Web 2.0 migliora il giornalismo?

Il web può essere l'occasione storica per la rinascita del giornalismo e della cultura critica, ma non vedo i segni di tutto questo.

5) Come giudica il fenomeno del citizen journalism?

Una grande idea che non si misura con la natura del giornalismo, l'incidenza nelle dinamiche del potere. Nei fatti ce n'è poco, significative esperienze sono fallite, ma ci sono altri esperimenti italiani in campo. Hanno diritto di nascere e hanno diritto alla simpatia e al tifo di tutti noi, anche se personalmente sono scettico.

6) La raccolta di informazioni originali, e non di seconda mano, è sempre più rara anche “per colpa” del web. Come potrà sopravvivere il

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