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La crisi della carta stampata e i possibili sbocchi futuri

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Academic year: 2022

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Master in Editoria, Giornalismo e Management culturale Università “La Sapienza” di Roma

a.a. 2008/2009

La crisi della carta stampata e i possibili sbocchi futuri

di Ilaria Mariotti

Relatrice: dott.ssa Luana Silighini

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Alla mia famiglia, il mio

ragazzo e i miei amici, la mia insostituibile rete di sicurezza.

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Indice

Introduzione pag. 4

I Capitolo

Internet. Come è cambiato il giornalismo dopo il suo arrivo

1. La transizione verso il digitale. L‟iniziale diffidenza pag.6

2. Le pagine dei quotidiani vanno online. La trasformazione delle redazioni pag.10

3. Il giornalismo tradizionale cambia rotta pag.15

II Capitolo

La doppia crisi dei giornali

1. I problemi del mercato editoriale italiano. Il costante calo delle vendite dei giornali pag.21

2. Il fenomeno della free press pag.27

3. La crisi economica globale e i tagli della pubblicità pag.33

III Capitolo

Come è veicolata l’informazione attraverso i new media

1. Dal blog a Twitter, l‟informazione libera pag.38

2. I canali all news e la web tv. L‟infotainment pag.41

3. Cosa è cambiato per il lettore/utente pag.48

IV Capitolo

Le idee per il futuro

1. I dati attuali e il Murdoch-pensiero pag.59

2. Gli altri possibili scenari della stampa del futuro pag.66

3. Intervista a Vittorio Zambardino pag.71

4. Una nuova era pag.73

Conclusioni pag.81

Bibliografia pag.83

(4)

Introduzione

Ho iniziato a frequentare questo master con l’entusiasmo tipico delle prime volte, amplificato dalla consapevolezza che questa esperienza mi avrebbe avvicinato al lavoro che vorrei fare “da grande”. Ho avuto molto di più, perché ho conosciuto anche un mondo parallelo ma intrecciato a quello del giornalismo, quello delle case editrici, basato anch’esso sulla parola e il racconto, con la differenza però che è spesso più vicino alla fantasia e all’invenzione che non alla realtà.

Quando studiavo all’università, e ancora non avevo iniziato a collaborare per i primi giornali, avevo idee fumose su cosa avrebbe significato fare la giornalista. Immaginavo taccuini, microfoni puntati in mezzo a una folla di cronisti, una lotta quotidiana a caccia di fonti e notizie. Avevo sottovalutato se non dimenticato le potenzialità di Internet che proprio mentre io mi iscrivevo a Giurisprudenza cominciava a entrare prepotentemente nelle redazioni e nel mondo intero stravolgendone i meccanismi. Nel mio stage all’agenzia di stampa Agi, ho avuto la conferma di come questo formidabile strumento stesse ribaltando i presupposti di un mestiere che si fonda sulla ricerca e l’interpretazione di fatti, dei quali oggi apprendiamo qualunque dettaglio ovunque ci troviamo. Inevitabilmente da scrittori e scopritori di notizie, il mestiere comincia a virare verso quello di editor, che riceve materiale grezzo dal Web –in qualunque forma esso sia- ed è chiamato a plasmarlo, dandogli una forma che lo inserisca in un contesto. Come sarà il giornalista del futuro?

Come si destreggerà tra gli strumenti che i new media gli hanno messo a disposizione? Continuerà la sua funzione di mediatore? Tutte queste domande mi hanno fornito lo spunto per questo scritto.

Sogno di fare la giornalista da che ho ricordi e questa tesi è il frutto di una sincera e appassionata dedizione verso questo mestiere. Quando ho iniziato seriamente a pensare al da farsi per accedere al mondo dell’informazione, quello che ti consente di essere sul posto e raccontare i fatti a chi non c’è - un privilegio senza dubbio, percepito come tale da chi come me lo desidera - non pensavo fosse così difficile. Non so come sarà in altri Paesi, ma nel mio è diventata una missione impossibile. Tenterò ancora, finchè sentirò che ne varrà la pena.

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Non nego che ci sia una punta di narcisismo nel voler fare a tutti i costi la giornalista: si tratta pur sempre di voler esprimere un proprio punto di vista, di catturare l’attenzione su di sé, su quello che si ha da dire. Ma non potrei descrivere meglio la spinta che sento se non sposando le parole della prefazione di David Randall nel saggio “Il giornalista quasi perfetto”. E’ un discorso sull’essenza del giornalismo, che faccio mio in questa occasione:

“Bisogna soprattutto fare domande, e in questa maniera riuscire a:

- scoprire e pubblicare informazioni che vadano a sostituire voci e illazioni;

- resistere ai controlli governativi o eluderli;

- informare l’elettore dandogli così maggiore potere;

- rovesciare coloro la cui autorità dipende dalla mancanza di informazione del pubblico;

- analizzare quello che fanno e non fanno i governi, i rappresentanti eletti e i servizi pubblici;

- analizzare l’attività imprenditoriale, il trattamento che riserva a lavoratori e consumatori e la qualità dei prodotti;

- confortare gli afflitti e affliggere chi vive nel comfort, dando voce a quelli che di solito non possono far sentire la loro;

- mettere la società davanti a uno specchio, che rifletta le sue virtù e i suoi vizi, ma sfati anche i suoi miti più cari;

- assicurarsi che giustizia sia fatta, che lo si sappia in giro e che in caso contrario si indaghi;

- promuovere il libero scambio di idee, dando soprattutto spazio a coloro la cui filosofia è diversa da quelle dominanti.

Se riuscite a leggere questa lista senza sentire un brivido lungo la schiena, forse il giornalismo non fa per voi”.

(6)

“Su tutto aleggiavano cupi presentimenti e la diffusa sensazione che un intero mondo, polveroso e

tecnologicamente vetusto, fosse ormai destinato alla scomparsa.” (Alberto Marinelli 12005)

I Capitolo

Internet: come è cambiato il giornalismo dopo il suo arrivo

1. La transizione verso il digitale. L’iniziale diffidenza

E‟ intorno alla metà dello scorso decennio che la parola “Internet” ha fatto la sua prima apparizione nel linguaggio comune, quando ancora non se ne conoscevano in pieno le potenzialità rivoluzionarie. Contemporaneamente la generazione nata agli inizi degli anni Ottanta muoveva i suoi primi passi verso l‟era digitale, mandando gli appena nati sms sul cellulare, scoprendo l‟uso dei sistemi di file-sharing come Napster, sorprendendosi ancora di fronte agli antenati degli odierni schermi piatti dei pc portatili che oggi, a oltre un decennio di distanza, sembrano preistorici.

E‟ in questo contesto che Internet, nato per scopi militari durante la Guerra fredda e diffuso per l‟uso civile agli inizi degli anni Novanta, fece irruzione nelle redazioni italiane, impreparate alla novità, e dove ancora si accatastavano i cumuli di carta degli articoli stampati per precauzione (era presto per fidarsi del solo monitor) o dei quotidiani cartacei, strumento essenziale fino ad allora ma destinato a vedersi ridurre poco a poco il suo ruolo di centralità.

La rivoluzione innescata dalla diffusione del web era pronta a uguagliare se non addirittura superare quella segnata dall‟invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg nel 1456: nato da un‟agenzia indipendente della Difesa americana come progetto “Arpa net”, finalizzato a creare una rete di computer connessi tra loro, fu solo alla fine della Guerra fredda che il sistema

1 Professore ordinario di Teorie e Tecniche dei nuovi media alla Facoltà di Scienze della Comunicazione presso l‟università “La Sapienza”.

L’avvento di Internet negli anni Novanta

(7)

fu messo a disposizione degli impieghi civili, prima universitari e aziendali, e infine domestici. La svolta si ebbe nel 1991, quando il ricercatore Tim Bernes- Lee del Cern definì il protocollo HTTP, che permetteva la lettura “ipertestuale”

di documenti, e il 30 aprile del 1993 -con decisione di portata storica- un comunicato del centro di ricerca più importante d‟Europa annunciava che il World Wide Web sarebbe stato reso pubblico, consentendo collegamenti unidirezionali verso pagine create da altri senza bisogno dell‟intervento dei proprietari.

L‟ingresso di Internet nel mondo del giornalismo fu guardato con diffidenza e sospetto: per redazioni abituate a interagire con rassicuranti fogli di carta, qualcosa di totalmente immateriale e privo di possibilità di riscontri e di conferme come Internet non preannunciava nulla di buono. Il problema che si prospettava, oltre che di attendibilità delle fonti, era anche e soprattutto economico, perché se da una parte si conosceva benissimo l‟elenco delle voci di spesa necessarie alla realizzazione di un sito web, quello delle possibili entrate era ancora un elemento del tutto “nebuloso” 2.

Qualcosa si mosse quando gli investitori di Wall Street cominciarono a puntare capitali su società appena nate su iniziativa di esperti di informatica come Bill Gates: fu allora che gli editori videro crescere i loro budget grazie a quella ricchezza che si riversava anche all‟interno delle redazioni sotto forma di introiti pubblicitari. Ma l‟euforia della cosiddetta New Economy finì presto, non appena la bolla speculativa iniziò a sgonfiarsi e insieme con essa le entrate derivanti dalla pubblicità, lasciando quotidiani come il “New York Times” in situazioni di esubero, con organici eccessivi e decine di giornalisti impiegati nelle redazioni on-line, ancora incapaci di prevedere come sarebbero tornati indietro tutti i soldi investiti nel web. Tutto ciò servì a rincarare la dose di diffidenza in quanti non vedevano di buon occhio l‟avvento delle nuove tecnologie ai fini della conservazione del ruolo di centralità della carta stampata nel giornalismo. Processi simili, fatti di alti e bassi e con investimenti arrivati nel momento sbagliato e con costi eccessivi, si sono ripetuti anche nel corso degli ultimi anni. 3

2 Vittorio Sabadin, L’ultima copia del New York Times, Donzelli, Roma 2007, p.59

3Ibidem

Il progetto Arpa net

La diffidenza nelle redazioni

La bolla speculativa della New Economy

(8)

Giornalisti ed editori si sentirono fondamentalmente spiazzati di fronte a un mezzo ancora misterioso come Internet, con la paura che il mondo conosciuto fino a quel momento potesse scomparire, cedendo il passo alla rivoluzione che l‟avvento delle nuove tecnologie prefigurava. I professionisti dell‟informazione si sentirono attaccati sia sul piano del prodotto che erano abituati a fornire fino a quel momento, sia sul piano della professione. Per quanto riguarda il primo aspetto, era evidente che l‟avvento della Rete scardinava i presupposti stessi dei tradizionali metodi di diffusione della notizia, che sarebbe stata confezionata attraverso una diversa catena distributiva e fruita su un mezzo diverso come il computer, di per sé ostico a certi tipi di contenuti; ma sarebbero anche comparsi nuovi concorrenti sul mercato delle notizie (come i siti di informazione o le news emesse dalle stesse agenzie di stampa che non davano più l‟esclusiva ai giornali di carta), e si sarebbe verificata un‟ibridazione dei formati, adeguati a un pubblico sempre più predisposto alla multimedialità. Per quanto riguarda il secondo elemento, quello della professione, giornalisti ed editori si sentirono esposti a una minaccia senza precedenti che metteva a rischio i capisaldi del mestiere: i giornalisti dell‟era digitale non avrebbero più avuto un accesso privilegiato alle fonti e al loro controllo, la funzione stessa del giornalismo vecchia maniera avrebbe perso la sua centralità, laddove la mediazione del professionista non sarebbe più stata fondamentale come prima quando le notizie andavano scovate e documentate personalmente. E ancora, l‟avvento di Internet metteva in gioco la necessità di sperimentare nuovi linguaggi e strumenti comunicativi che implicavano l‟acquisizione di competenze tecnologiche, e – questo forse uno dei tasti più dolenti- obbligava ad abbandonare un certo tipo di scrittura colta, quasi letteraria (piuttosto cara al giornalismo italiano) per orientarsi invece verso forme più stringate che meglio si addicessero al web4. Di questo clima di dubbio e incertezza verso la novità -quando non proprio di diffidenza si trattasse- risentì anche la copertina della rivista della scuola di giornalismo della Columbia University, la “Columbia Journalism Review”, che nel 1997 titolò a proposito del giornalismo online: “Cuccagna o buco nero?”.

4Mario Morcellini, Multigiornalismi, Guerini e Associati, Milano 2005, p.43-47

La minaccia del nuovo:

nuovi presupposti professionali e nuovi concorrenti

La mediazione giornalistica perde la sua centralità

(9)

Tutto lo scetticismo dell‟epoca si evinceva anche da una serie di espressioni che circolavano come possibile nuova definizione da attribuire ai futuri professionisti dell‟informazione, adesso alle prese con la Rete. Come si sarebbero chiamati i giornalisti del futuro? Semplicemente “giornalisti digitali”,

“cibergiornalisti”, “netinformers”, “infomediari” o “onlineisti”? O peggio sarebbero stati solo dei “costruttori di connessioni”?

Uno studio del Censis del 2001, quando Internet era ormai diventato una realtà, dal titolo “Primo rapporto sulla comunicazione in Italia”, dava l‟idea di come la categoria dei giornalisti si ponesse di fronte alla prospettiva di un nuovo modo di esercitare il loro mestiere, che facesse affidamento in larga parte sul web. Se per il 48,8% Internet e i new media erano “un inevitabile cambiamento”, per il 44,6% era “un‟opportunità‟”, per il 19,8% si trattava di una “vera rivoluzione”, mentre per il 9.9% sarebbero stati uno “strumento di democrazia”. Alcuni tuttavia non ne erano così convinti e ancora mostravano scetticismo di fronte all‟avvento di Internet: per il 13,2% si trattava di una

“scommessa”, mentre per il 12,4% era una “incognita rischiosa” o addirittura

“la fine dell‟informazione approfondita” secondo un 18,7% degli intervistati, peraltro tutti appartenenti a settori tradizionali del giornalismo5. Gli stessi si mostravano però anche consapevoli del cambiamento in atto, e –interpellati su come sarebbe stato il futuro della loro professione- rispondevano che sarebbe accresciuto il ricorso a service e fornitori di servizi completi (54,8%), a free lance e liberi professionisti (51,6%), che ci sarebbe stata una figura più ampia di comunicatore (43%), e per un pessimista 3,3% non ci sarebbero più stati giornalisti6.

A testimonianza di questo atteggiamento di chiusura nei confronti del nuovo, un giornalista di prestigio quale è Ferruccio De Bortoli (da aprile 2009 direttore del “Corriere della Sera”) ha dichiarato in un‟intervista come il lavoro dei giornalisti della Rete sia forse tuttora considerato come accessorio a quello della carta stampata, se non di serie B. “E‟ un atteggiamento storico difensivo”, ha spiegato, “all‟inizio di questo processo, nelle redazioni del web finivano giornalisti a fine carriera, oppure che non trovavano collocazione

5 Sergio Lepri, Professione giornalista, Etas, 2005, p.236

6 Ibidem

Rapporto Censis 2001: per il 12,4%

Internet è una “incognita”

De Bortoli:

“nel

giornalismo atteggiamento di chiusura verso il web”

(10)

all‟interno di altre redazioni”7. Si tratta di un comportamento duro a morire e che fa sì che molti colleghi, aggiunge De Bortoli, “siano ancora vittime della pericolosa sindrome dell‟accerchiamento tecnologico e non sappiano guardare alle novità con atteggiamento diverso e attivo”.8 Mentre all‟estero la rivoluzione sul web è già avviata e queste resistenze sono state superate, da noi persiste in parte questa chiusura, tale da spingere i giornalisti in alcuni casi a non pubblicare subito sul web la notizia in esclusiva di cui sono venuti a conoscenza, ma a tenersela pronta per il giorno dopo, da annunciare sulla tradizionale carta del quotidiano, con i dovuti approfondimenti. Secondo De Bortoli però questa forma di chiusura non potrà durare a lungo: il futuro sarà quello in cui la notizia viene prima anticipata sul web, e l‟approfondimento viene lasciato alle pagine del quotidiano dell‟edizione dell‟indomani9.

2. Le pagine dei quotidiani vanno on-line. La trasformazione delle redazioni

Passato il turbamento iniziale, il mondo del giornalismo non ha potuto che

fare i conti con l‟avanzata del web e cominciare ad adeguarsi al nuovo fenomeno. Non poteva più ignorarsi il fatto che le persone ormai avevano la possibilità di informarsi direttamente collegandosi a Internet, che esistevano motori di ricerca come Google e Yahoo in grado di offrire un‟ampia e quasi perfetta copertura del notiziario, o che le stesse agenzie di stampa, fino ad allora un servizio esclusivo per la carta stampata, aprivano l‟accesso alle loro news attraverso siti web in continuo aggiornamento (è il caso dell‟Associated Press, della Reuters e della France Press, per citarne alcune delle più prestigiose a livello internazionale, ma anche dell‟Ansa e dell‟Agi, per fare il caso dell‟Italia). Internet in sostanza era diventato a tutti gli effetti uno strumento di diffusione delle notizie e non era più sinonimo di informazione approssimativa e poco affidabile10.

7 Ferruccio de Bortoli, L’informazione che cambia, La scuola, 2008, p.51

8 Ibidem

9 Ivi, pag.54

10Vittorio Sabadin, L’ultima copia del New York Times, Donzelli, Roma 2007, p.61

De Bortoli: “in futuro la notizia prima sul web e poi approfondita sul giornale”

Il necessario adattamento delle

redazioni

Il web e i blog non sono più sinonimo di approssima zione

(11)

E non poteva ignorarsi neppure il fenomeno dei blog, fino ad allora sottovalutato e ritenuto poco più che una versione on-line del diario personale.

Dagospia ad esempio, il sito di gossip di Roberto D‟Agostino nato nel 2000, è passato a essere uno dei punti di riferimento per i giornalisti di tutto il mondo a caccia di notizie succulente. Ma ancora più eclatante era stato il caso del sito di Matt Drudge, il primo a rivelare uno dei più clamorosi scandali sessuali di tutti i tempi, la storia tra il presidente Bill Clinton e la stagista Monica Lewinsky. E spesso inoltre sono gli stessi blog e i siti di informazione a ricavare le notizie o gli scoop dai giornali, con il paradosso che i primi ottengono ricavi dall‟utilizzo gratuito di materiale che i secondi producono a costi altissimi, come analizzeremo meglio più avanti11.

Impossibile poi chiudere gli occhi di fronte al fenomeno dei siti destinati alle informazioni personali come Myspace (che il magnate dell‟editoria Rupert Murdoch ha acquistato per 800 milioni di dollari) e adesso anche di Facebook, oppure al caso Youtube, un portale costituito per intero dai migliaia di video caricati dalla gente comune, estratti dalla tv o di natura personale: Google lo ha comprato nel 2005 per 1,65 milioni di dollari in azioni proprie, il prezzo più alto mai pagato per un sito web realizzato per intero da contenuti dei consumatori, una cifra con cui si sarebbe forse potuto acquistare perfino il

“New York Times”. E questo solo grazie al fatto che il sito, che nel solo 2006 è passato da 2,8 milioni a 72 milioni di contatti, riesce a catturare l‟attenzione dei visitatori per 20 minuti, un tempo decisamente allettante per gli inserzionisti pubblicitari12.

Ed è stata proprio la vistosa crescita degli investimenti pubblicitari (pari ad un 30-40% l‟anno) a far rompere ogni indugio a editori e direttori dei giornali, che ricorsero alla conversione online dei loro rassicuranti e tradizionali giornali di carta già dagli anni Novanta con siti ancora piuttosto rudimentali, per poi passare a siti sempre più avanzati dal punto di vista tecnologico e accattivanti nella grafica. E‟ il caso de “El Paìs” in Spagna, di “The Guardian”

in Gran Bretagna, di “Le Monde” in Francia, di “Repubblica”, “Corriere”,

“Stampa” e “Sole 24ore” in Italia, solo per citare gli esempi principali. Non

11Ivi, p.62

12 Ivi, p.63-64

Il caso Dagospia e lo scoop Lewinsky lanciato da Matt Drudge

Il fenomeno Myspace, Youtube e Facebook

Boom di investimenti pubblicitari sul web. I primi quotidiani online

(12)

avevano scelta, visti gli introiti garantiti dalla pubblicità sul web, anche se il paradosso che si è creato è che a maggiori guadagni offerti dagli inserzionisti fa fronte una perdita sul piano dei fondi derivanti dalla vendite, in crescente calo proprio perché i lettori non comprano più la loro copia cartacea, ma si limitano a leggere il giornale on-line13. Anche di questo tuttavia parleremo più a fondo in seguito.

Da citare è il caso del “Guardian”, che nel 2006 – su decisione del direttore Alan Rusbridger - cominciò a pubblicare da subito ogni articolo che avesse pronto un suo giornalista: vale a dire che non si sarebbe più aspettato il giorno dopo per inserirlo nell‟edizione su carta, ma lo si sarebbe messo a disposizione di tutti sul web, certi di poter contare su un sito forte, visitato da ben 13 milioni di visitatori unici al mese. Ad alcuni esponenti del giornalismo della vecchia guardia, la decisione apparve rivoluzionaria e quanto mai affrettata. Il rivale direttore dell‟ “Independent”, Simon Kelner, definì la trovata una

follia, sostenendo che “il giornale viene per primo ed è la cosa più importante”, e aggiungendo che “fino a quando non si sarà trovato un modo per ricavare soldi dall‟edizione on-line di un giornale continueremo a destinare le nostre risorse a migliorare il prodotto su carta”14.

Grande scalpore fece anche la rivoluzione che apportò al “Daily Telegraph”, storico quotidiano della destra britannica, la decisione del giovane e brillante direttore Will Lewis che nel 2006 - all‟epoca 36enne - stravolse la struttura della redazione unificando web e carta stampata dopo il drammatico taglio di 133 posti di lavoro, 54 dei quali in redazione, e trasformando il giornale in uno dei più avanzati dell‟era digitale. Innanzi tutto il cambiamento riguardò la sede, spostata al 111 di Buckingham Palace Road, nell‟open space più grande di Londra: qui i desk dei giornalisti furono disposti a raggiera attorno ad un cerchio composto dalle menti decisionali del giornale, il direttore e i vice direttori, che potevano così comunicare a voce con i capi servizio. La rivoluzione però non ha modificato solo il lay out della redazione, bensì anche l‟organizzazione del lavoro giornalistico, che vede i professionisti impegnati nel

13Ivi, p.63-64

14Ivi, p. 66

Dal 2006 il Guardian anticipa le notizie sul web

La redazione integrata del Daily Telegraph

Il lavoro 24 ore su 24

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lavoro sul web, radio, video e podcast in un ciclo di lavoro continuo, 24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana. Inoltre, a testimonianza della nuova filosofia adottata, lo schermo più grande della sede di Buckingham Palace Road è collegato al sito Telegraph.co.uk, mentre schermi più piccoli sono posizionati al tavolo della riunione per consentire ai capi servizio di mostrare come vogliono agire sull‟edizione on-line, visualizzandola di continuo15. Lewis ha tagliato i ponti con il passato, mettendo a disposizione del lettore-utente il suo prodotto a seconda del formato in cui lo preferisce, se non cartaceo on-line, ma con la stessa qualità, e offrendo informazioni anche in video o radio. Una scelta che dimostra di accettare il fatto che il popolo dei fruitori di giornali sia cambiato, e che di conseguenza sia necessario modificare l‟offerta dell‟informazione.

Anche il Financial Times, uno dei giornali più prestigiosi al mondo, ha compiuto un‟operazione simile: il direttore Lionel Barber decise infatti di creare al posto della vecchia redazione una newsroom multimediale che fece storcere il naso a più di uno e comportò l‟allontanamento di circa 50 giornalisti, oltre a introdurre orari di lavoro più lunghi e intensi. Finita l‟era dell‟organizzazione del lavoro in un arco temporale che andava dalle 10,30 alle 19,30, adesso si va in redazione alle 7 per essere pronti a fornire resoconti e analisi degli avvenimenti, senza aspettare 12 o 18 ore come un tempo. Non importa che gli articoli siano scritti come una pagina di Tolstoij, “la buona scrittura e l‟approfondimento richiedono tempo e sono per la carta stampata”, ha spiegato Barber16.

Di capitale importanza il celebre caso del “New York Times”: il più importante giornale americano ha unificato nel 2007 le redazioni web e cartacea sotto la guida di Neil Chase, messo a capo del Continuous News Desk del Nyt. Il suo modello fece scuola perché decretò il passaggio più convinto e definitivo dal cartaceo al digitale, annullando le sottoscrizioni e pagamento e pubblicando on-line l‟edizione cartacea del quotidiano quasi per intero. La decisione di Bob Keller, direttore esecutivo, fu presa nel 2007 a dieci anni dalla prima comparsa sul web del Nyt. La storica sede fu trasferita dalla 43a strada

15Ivi, p. 13;159

16 Ivi, p.128-129

La nuova filosofia della redazione integrata

La

newsroom multimedial e del Financial Times

Il Continuous News Desk del New York Times

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della Grande Mela al nuovo grattacielo di 52 piani sull'ottava avenue disegnato da Renzo Piano, e del quale il giornale possiede circa il 58%.

La rivoluzione dell‟integrazione di carta e web ha investito anche il “Times”

prestigioso quotidiano della destra britannica il cui sito conta con 15 milioni di utenti unici, con giornalisti impiegati sia sul mezzo cartaceo che su quello web, in un processo di continuo aggiornamento delle notizie 24 ore su 24, e nella logica per cui le informazioni devono andare subito in Rete senza aspettare la pubblicazione sul quotidiano del giorno seguente.

E in Italia? Quanto a un eventuale “superdesk” multimediale del “Sole 24 ore”, progetto di cui si era parlato ma che finì per dissolversi nel nulla, l‟ex direttore Ferruccio De Bortoli, ne ha spiegato che le ragioni: si tratta di problemi contrattuali, perché un‟unica redazione avrebbe comportato stessi diritti e stessi doveri per tutti i giornalisti, che i contratti attuali non consentono. Da noi, spiega il giornalista, certe resistenze fanno sì che il processo verso un‟evoluzione della diffusione delle informazioni come all‟estero, per cui la notizia viene fatta subito circolare sul web, in modo che la gente ne parli e l‟indomani compri il giornale, e il modello per cui alcuni giornalisti lavorano solo nell‟on-line sviluppando molto anche il canale del video, è lontana dal diventare una realtà.17

Pioniere nella conversione al digitale in Italia fu “L‟unione sarda” di Cagliari, rimasto a metà strada, ma poi seguito da “La Repubblica” (con Vittorio Zambardino), “Gazzetta dello Sport”, “Il Corriere della sera”, “La Stampa” e “Il Sole 24 ore”. L‟idea di fondo di questi siti è sostanzialmente quella di offrire una scelta dei migliori articoli del cartaceo, in mezzo ai continui aggiornamenti delle news 24 ore al giorno. Manca ancora l‟impostazione d‟oltralpe, che vede un web per così dire a servizio e traino del cartaceo.

Un‟importante innovazione fu introdotta dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari nel 2006, quando venne lanciato “Repubblica Ultimo Minuto”, in altre parole un giornale gratuito on-line continuamente aggiornato minuto per

17 Ferruccio De Bortoli, L’informazione che cambia, La Scuola, 2008, p.52-53

Il caso analogo del Times

Le resistenze italiane

all’integrazione delle redazioni

La pioniera

“Unione Sarda”

“Repubblica Ultimo Minuto”

(15)

minuto e stampabile da casa, con tutte le informazioni della home page, il meteo e le quotazioni in Borsa, in formato A4 e con un totale di 12 pagine18. Un‟idea che tuttavia sottolinea l‟attaccamento alla tradizione, nella convinzione che il lettore abbia di fondo l‟esigenza di leggere sul cartaceo e non sullo schermo del computer. Tuttora il sito è in continua avanzata tecnologica, offre video e foto in quantità sempre più consistente, e da poco dispone anche di una sezione chiamata “Repubblica Tv”, un prodotto informativo di approfondimento gestito dalla redazione di “Repubblica” e cliccabile dal sito (e nella normale televisione a seguito dell‟attivazione del canale corrispondente sul digitale terrestre). “Il Corriere della sera” dispone invece di una sezione ricca di notiziari video, in continuo aggiornamento, anche su argomenti di gossip o di moda, oltre a due telegiornali quotidiani che informano sulle ultime news. Entrambi i quotidiani hanno di recente pubblicato on-line il loro archivio storico, abbattendo le barriere di accesso alla consultazione di articoli del passato esistenti fino a qualche tempo fa.

3. Il giornalismo tradizionale cambia rotta

L‟avvento dell‟era digitale ha sconvolto il tradizionale modo di fare informazione. Le tecniche e i presupposti stessi del mestiere, come il ruolo di centralità del quotidiano cartaceo, validi fino all‟epoca precedente l‟arrivo di Internet, sono stati spazzati via dalle nuove tecnologie, che hanno rivoluzionato l‟informazione e la comunicazione in generale, mettendo in discussione la possibilità di sopravvivenza degli organi di stampa tradizionali conosciuti fino a quel momento, come gli apparentemente intramontabili giornali di carta. In seguito approfondiremo l‟aspetto della crisi della carta stampata. Ci soffermeremo per ora sulle modifiche che ha subito il giornalismo tradizionale.

I quotidiani online presentano elementi di forte differenziazione rispetto ai giornali tradizionali, sia a stampa che radiofonici e televisivi. Questi nuovi

18 Paolo Murialdi, Il giornale, Il Mulino, Bologna 2006, p.56

Le caratteristiche dei nuovi mezzi di informazione.

La multimedialità

(16)

mezzi di informazione sono innanzi tutto multimediali, vale a dire che usano in modo combinato più linguaggi (lo scritto, il parlato, il visivo nelle foto o nei video, il sonoro, la grafica e l‟animazione, ad esempio nei titoli); hanno la caratteristica dell‟ipertestualità, vale a dire approfondiscono l‟informazione con collegamenti ad altre notizie correlate, con link di archivio che rimandano alle fonti; sono interattivi, quindi stabiliscono un contatto continuo con i lettori, che può così “interagire” appunto con la redazione lasciando messaggi o esprimendo giudizi, o ancora partecipando ai sondaggi e ai forum di discussione; sono personalizzati, perché l‟interattività permette di richiedere informazioni e consente di catturare il numero di contatti, una vera audience di pubblico on-line, e quindi il gradimento del prodotto; hanno uno spazio e un tempo illimitato, a differenza di carta stampata e telegiornali, che offrono loro malgrado un‟informazione condizionata a limiti spaziali e temporali; e infine - forse l‟elemento più importante- sono continuamente aggiornati in tempo reale, informando su tutte le notizie in arrivo (lo stesso servizio che fino a prima di Internet aveva garantito in Italia il Televideo della Rai e il Mediavideo di Mediaset19) .

Insieme con le caratteristiche del giornale, è cambiato pure il lavoro dei giornalisti, diventato nel web per lo più un lavoro di “desk”, dove le funzioni prettamente giornalistiche e quelle fotografiche possono fondersi, e i professionisti dell‟informazione devono essere in grado di usare linguaggi differenti, oltre alle loro competenze “classiche” dello scritto e del parlato. La rivoluzione digitale ha fatto sì inoltre che le informazioni siano raccolte da fonti che non sono più soltanto dirette come la cronaca o le interviste, o tradizionali come le agenzie di stampa, ma anche tutte quelle derivanti da Internet, tra cui le banche dati che possono essere utilizzate per i link, e il materiale visivo o audiovisivo (foto e filmati). Rispetto a tutto il flusso di notizie proveniente dalla Rete e dalle fonti classiche, nelle redazioni on-line ci sarà tuttavia ancora una volta una mediazione giornalistica che gestirà le informazioni, operando una selezione e stabilendo una gerarchia e un controllo.

E‟ nella presentazione delle notizie che invece si manifesta uno dei cambiamenti più evidenti rispetto ai modelli tradizionali: i testi scritti vanno

19 Sergio Lepri, Professione giornalista, Etas, 2005, p. 232

Il lavoro di desk

Internet diventa una fonte

La pagina web come una

“mappa di titoli”

(17)

adesso necessariamente combinati con foto, o immagini in movimento, e suoni, concepiti in un unicum che è dato dal disegno grafico. “La pagina web deve essere pensata come una mappa di titoli, sottotitoli, testi, spazi, indici, parole chiave, e “vista” a colori”20.

Da quando verso la fine degli anni Ottanta il computer ha preso il posto della vecchia macchina da scrivere il cambiamento è stato irreversibile, rendendo il lavoro di desk la parte più ingombrante della vita professionale di chi ha a che fare con l‟informazione. Quello che in sostanza è emerso in modo più evidente è stata una compressione della fase di raccolta e selezione delle notizie, a vantaggio della strutturazione ed editing dei cosiddetti “pezzi” (gli articoli, in gergo). Esauritasi l‟immagine romantica del giornalista, il cui mestiere consisteva sostanzialmente nel possesso di un‟agenda di contatti personali e nel percorrere strade in cerca di storie da raccontare, e che faceva ogni giorno il giro di ospedali e questure per raccogliere i resoconti degli avvenimenti giornalieri, il processo di informatizzazione ha velocizzato e semplificato il lavoro di redazione, dove è lo stesso giornalista a comporre il pezzo già pronto da inserire nel giornale (impensabile in passato quando il processo di impaginazione era affidato ad altre professionalità), trasformandosi in un “multimedia reporter”.21

Se un tempo era l‟abilità del cronista nello scovare storie a fare la differenza tra una testata e l‟altra e a determinare chi avrebbe “bucato” una notizia, adesso questa stessa abilità può consistere tutt‟al più nella velocità e accuratezza con cui si verificano le notizie su Internet, nella fortuita conoscenza di alcuni casi, o –ma questa è tutta un‟altra storia- nel giornalismo d‟inchiesta che ormai è sempre più raro.

Quello che è cambiato è anche il patto comunicativo con i lettori, in relazione alla moltiplicazione dell‟offerta informativa e alla segmentazione del mercato (i canali all news, le pay tv, le pay per view, che svincolano anche dal concetto della fruizione della tv dipendente dai palinsesti, secondo una logica tipica da tv generalista)22. E se l‟enorme database fornito da Internet è diventato irrinunciabile per la professione giornalistica, i rischi restano dietro l‟angolo: innanzi tutto quello delle fonti, perché è evidente che sarà più difficile identificare l‟autore di una notizia che circola sul web piuttosto che attraverso

20 Ivi, p.233

21Mario Morcellini, Multigiornalismi, Guerini e Associati, 2005, p.62

22 Ivi, p.63

Il desk erode la figura romantica del giornalista a caccia di storie

Sul web è la tempestività a fare la

differenza

Cambia il patto

comunicativo con i lettori

Internet, un enorme database pieno di rischio

(18)

il contatto diretto con il fatto, la possibilità di assistervi o di aver parlato con una fonte istituzionale e quindi certa. A questo si sovrappone il problema della mediazione giornalistica, l‟essenza stessa della professione. I parametri di notiziabilità sono inevitabilmente influenzati dall‟enorme flusso di informazioni che arriva all‟interno delle redazioni, che altera la funzione di mediazione tra evento e sua rappresentazione che in qualche maniera è già stata compiuta da altri. Il compito del “media man” diventa quello di arginare questa eccedenza informativa, che gli attribuisce un nuovo ruolo rispetto al passato: quello di potenziare le sue capacità di discernimento sui fatti che è chiamato a interpretare, per poter stabilire con maggiore competenza l‟agenda del pubblico, andando ad attingere a piene mani a un background culturale che dovrà essere quanto mai ricco. Il giornalismo specializzato è del resto un‟altra conseguenza dell‟innovazione tecnologica, che ha prodotto nicchie di mercato che richiedono informazioni sempre più specifiche (ed è anche una delle possibili salvezze di questa professione: lo analizzeremo in seguito).

Altri fenomeni collaterali dell‟era digitale sono poi il ricorso sempre più frequente a “service” informativi, anche se non ai free lance, mai affermatisi nel nostro Paese a causa di impedimenti contrattuali e sindacali, nonostante queste professionalità siano garanzia di un giornalismo di approfondimento e di inchiesta, lontano dalle esigenze di desk più quotidiane e di routine. E in definitiva il confronto del nuovo giornalista con un lettore diverso, che adotta sul web una modalità di lettura non più sequenziale, e naviga su Internet in forma magari distratta o casuale, a seconda dei link o della grafica che più colpisce la sua attenzione23.

In sostanza, per dirla con le parole di De Bortoli, la differenza tra un passato fatto di sola carta stampata con un presente concentrato sul web sta in questo: “Il giornalista della carta stampata è un solitario o perlomeno un professionista che inserito in una struttura ben definita porta lo stesso pezzo a tanti lettori. Sul web c‟è invece colui che non ha una struttura definitiva, non scrive da solo, ma è immerso, suo malgrado, in una sorta di network dai confini incerti, composto di persone che hanno le sue stesse passioni e a volte

23Ibidem

Il “media man” argina l’eccedenza informativa

Il giornalismo specializzato

Il ricorso a service e free lance

Sul web il giornalista “è immerso in un network dai confini incerti”

(19)

ne sanno anche di più, persone che sono anche i suoi certificatori, i suoi revisori” 24.

Il citizen journalism. Il ruolo che per secoli è stato quello tipico del giornalista, come unico e gestore e mediatore delle informazioni, chi stabiliva se un evento doveva essere portato o meno a conoscenza del pubblico, non è più una sua prerogativa. Ogni cittadino che assista per caso ad un evento che abbia interesse per la comunità, se dotato di un cellulare con fotocamera o di registratore, può trasmettere la sua testimonianza ad altri, compresi giornali e siti web. E‟ da questo che nasce il “citizen journalism”, il giornalismo “dal basso”, fatto dai cittadini, che sta prendendo piede in modo sempre più radicale grazie alle nuove tecnologie, che peraltro mettono sul mercato apparecchi sempre più piccoli e facili da portare con sé. La ragione per cui questo metodo di informazione si stia affermando è semplice, un esempio per tutti lo spiegherà: lo tsunami che nel 2004 colpì l‟Indonesia. In quell‟occasione non c‟erano sul posto troupe televisive professionali, che al contrario arrivarono solo il giorno dopo, quando l‟onda già era passata. Ma nel frattempo tutti videro in tv quelle immagini e quei filmati della catastrofe che spazzò via interi villaggi, proprio grazie alle riprese che i cittadini comuni avevano fatto dalle stanze del loro albergo25. E ancora, il caso dell‟attentato alla metropolitana di Londra del luglio del 2005: anche lì l‟accesso al tunnel fu impedito a giornalisti e fotografi, ma tutti i giornali riuscirono a pubblicare le foto delle scene di panico che i passeggeri avevano filmato.

Il “New York Times” si è fatto portatore di un dubbio molto diffuso nel mondo del giornalismo, chiedendosi quanto affidare l‟informazione a gente comune non possa rappresentare un rischio in termini di affidabilità e credibilità per i professionisti. Nel giornalismo fai-da-te manca infatti un codice etico, un responsabile a cui rispondere, un adeguato training. Ma nonostante questo, il successo è sempre maggiore soprattutto sul web, e veri colossi dell‟informazione, come la stessa Bbc, vi fanno ricorso in modo crescente. Sul suo sito, il network britannico ha creato una sezione “Have your say” dove i comuni cittadini possono esprimere il proprio parere, ha inserito una parte di formazione in cui spiega come raccogliere le informazioni, e da questo scambio

24 Ferruccio De Bortoli, L’informazione che cambia, La Scuola, 2008, p. 49

25 Vittorio Sabadin, L’ultima copia del New York Times, Donzelli, Roma 2007, p.88-90

Il citizen journalism

Il giornalismo dal basso nella sciagura dello tsunami del 2004 e negli attentati di Londra del 2005

Successi e polemiche per il giornalismo fai-da-te

(20)

con i lettori sta anche acquisendo la capacità di interpretarne i gusti, offrendo quindi le notizie che più interessano e incontrano le esigenze del pubblico. Non bisogna quindi sottovalutare l‟importanza di un contributo anche inesperto dato all‟informazione alla gente comune, che potrebbe però saperne di più o comunque aiutare i giornalisti ad avvicinarsi alla verità; così come la più grande enciclopedia on-line – Wikipedia - che oggi tutti usiamo per informarci velocemente, è in continuo aggiornamento grazie a utenti anonimi che mettono a disposizione di tutti il proprio sapere e si correggono a vicenda quando sbagliano, rendendo il prodotto sempre migliore e di qualità26.

Il citizen journalism ruberà insomma il mestiere ai giornalisti professionisti? La risposta, che affronteremo in modo più approfondito più avanti, è per il momento lasciata di nuovo alle parole di Ferruccio De Bortoli, che ha negato che il giornalismo fatto dai cittadini possa essere un pericolo reale, perché se

“consente al web di disporre di una serie di occhi e di antenne sul territorio, deve poi essere in qualche modo „filtrato‟ da una redazione che come nei media tradizionali è chiamata a separare il grano dalla pula, pubblicando il primo e scartando la seconda”27. Il filtro e lo status di notiziabilità di un fatto saranno quindi sempre uno strumento in mano ai professionisti dell‟informazione. Staremo a vedere.

26Ivi, p.102

27Ferruccio De Bortoli, L’informazione che cambia, La Scuola, 2008, p. 56

Lo status di notiziabilità in mano ai professionisti dell’informazione

(21)

21

“Ci occorrono media potenti perché il potere può essere chiamato a rispondere delle proprie azioni soltanto da un altro potere. Dovremo trovare nuove modalità con le quali finanziarli, ma una cosa è sicura: il mondo e la democrazia hanno bisogno del giornalismo e dipende da noi giornalisti fare il possibile per poter continuare ad assicurarlo”.

John Lloyd, direttore del Reuters Institute for the Study of Journalism della Oxford University

II Capitolo

La doppia crisi dei giornali

1. I problemi del mercato editoriale italiano. Il costante calo delle vendite dei giornali.

Affronteremo la spinosa questione della crisi della carta stampata in Italia individuandone due momenti: il primo, quello a partire dagli anni Novanta, in cui la crisi e quindi il calo delle vendite sono riconducibili a una serie di fattori tipici del sostrato culturale italiano oltre che alla concorrenza esercitata dalla televisione prima e da Internet poi (la crisi strutturale); il secondo, quello degli ultimi anni, che ha rincarato la dose, portando a una drastica riduzione degli introiti pubblicitari per i quotidiani a causa della profonda crisi economica che ha colpito tutto il mondo (la crisi congiunturale).

Quello della scarsità di lettori in Italia è un problema remoto, che affonda le sue radici nel terreno socio-culturale del Secondo dopoguerra. Al pari della crisi del giornalismo, si tratta di un problema che non presenta soluzioni rapide, né tanto meno vicine, in quanto profondo e strutturale. E‟ condivisibile a questo proposito l‟analisi del professor Mario Morcellini in Multigiornalismi su questa particolarità tutta italiana, che si è soliti definire come “eccezione italiana”, per la quale – a differenza che all‟estero, sia in Europa che negli Stati Uniti - la popolazione media è più dedita alla fruizione televisiva, o comunque dell‟audiovisivo in generale, piuttosto che alla lettura, soprattutto quella dei quotidiani (mentre quella dei periodici ha sempre riscosso un maggiore successo, anche se ridottosi negli anni).

La crisi strutturale dell’editoria italiana

La popolazione italiana più dedita al consumo di tv

(22)

La tesi di Morcellini è che in Italia si sia instaurata un‟industria culturale che ha fatto prevalere un modello di comunicazione su uno di informazione, e che ha spinto verso l‟audiovisivo affidando un ruolo centrale alla televisione ed

“erodendo lo spazio proprio del testo e della scrittura”28. Si sono perciò creati due popoli, quello della comunicazione (il televisivo), e quello dell‟informazione (i lettori), secondo un percorso storico bizzarro che ha visto demandarsi alla televisione il compito preliminare di diffondere l‟istruzione (un esempio per tutti è stata la trasmissione “Non è mai troppo tardi” condotta dal 1960 al 1968 dal professor Alberto Manzi), che in un‟Italia ancora piegata dall‟ignoranza ha contribuito in modo determinante all‟alfabetizzazione delle masse. Questo stesso percorso è avvenuto in forma rovesciata in altri Paesi, dove sono stati i libri e i giornali a fare largo, solo in un secondo momento, al cinema e alla radio, e quindi alla tv.

In Italia invece, sostiene Morcellini, manca una moderna cultura di massa, laddove si intenda per questa uno spazio senza una rigida suddivisione tra una

“plebea” fruizione televisiva, e una “colta” lettura di stampa e libri, ma dove siano ammessi standard culturali collettivi più elevati che non debbano faticare ad affermarsi solo perché poco televisivi. Una delle colpe –prosegue il professore- risiede nella scuola, dove si trasmettono e si consolidano quelle che saranno le abitudini culturali delle future generazioni: è evidente infatti che in Italia le cose non sono andate nel senso di una commistione tra istruzione e mondo delle istituzioni, tanto che non si è ancora raggiunto l‟obiettivo -apparentemente banale- di introdurre il giornale nelle scuole.

Questo stesso sfaldamento, ribadisce Morcellini, si riflette nella mancanza di partecipazione dei cittadini alla cosa comune, nell‟ ”anoressia del senso comunitario”29, presente anche nel giornalismo.

In un contesto simile, la diffusione dei giornali non poteva che arrancare di fronte alla concorrenza esercitata dalla televisione, e più che mai di fronte ai new media emersi negli anni Novanta. Non è bastato ai giornali cambiare il proprio linguaggio per renderlo più vicino a quello della televisione e del suo

28 Mario Morcellini, Multigiornalismi, Guerini e Associati, 2005, p.29

29 Ivi, p.33

Morcellini: in Italia manca una moderna cultura di massa

La diffusione dei giornali arranca in Italia

Il popolo della comunicazione e il popolo

dell’informazione

(23)

pubblico, o aggiustare la grafica alle esigenze di un lettore abituato a informarsi più vedendo che leggendo. Il modello di giornalismo nostrano, colpevole di un‟eccessiva vicinanza al potere politico e carente in questo senso di un vero ruolo di mediazione tra poteri forti e società civile, non è riuscito in molti casi a seguire il passo dei mutamenti, aggravando il problema preesistente della scarsa abitudine alla lettura e disperdendo un potenziale bacino di nuovi e futuri lettori qual è il pubblico dei giovani. Il giornalismo ha perso la sua occasione di fidelizzare il lettore, compito al quale si può assolvere solo assumendo le distanze dal potere per avvicinarsi al cittadino, informandolo e consentendo così la formazione dell‟opinione pubblica. Per tutti questi fattori messi insieme la crisi è stata inesorabile.

Analizzeremo ora alcuni dati che dimostrano come questo stato di cose abbia influito – negli anni Novanta e agli inizi degli anni Duemila - sulle vendite dei giornali e sulle loro tirature, in costante calo da alcuni anni per quanto riguarda la versione cartacea, a fronte invece di un aumento della loro fruizione online (come vedremo in seguito).

EVOLUZIONE DELLE TIRATURE E VENDITE DEI GIORNALI QUOTIDIANI (MEDIE GIORNALIERE 1999-2001)

Fonte: Fieg, La Stampa in Italia 1998-2001 (proiezione in base ai dati forniti da 49 testate quotidiane)30

Anno Tirature

medie

Variaz.% Vendite Variaz.%medie

1990 9.763.197 1,2 6.808.501 0,6

1991 9.492.087 -2,8 6.505.426 -4,5

1992 9.492.087 -0,7 6.525.529 0,3

1993 9.245.797 -1,9 6.358.997 -2,4

1994 9.030.007 -2,3 6.208.188 -2,4

1995 8.599.394 -4,8 5.976.847 -3,7

1996 8.503.177 -1,1 5.881.350 -1,6

1997 8.143.897 -4,2 5.869.602 -0,2

1998 8.156.405 0,2 5.881.421 0,2

1999 8.204.477 0,6 5.913.514 0,5

2000 8.469.856 3,2 6.073.158 2,7

2001 8.639.253 2,0 6.098.058 0,4

Fonte: Fieg, La Stampa in Italia 1998-2001 (proiezione in base ai dati forniti da 49 testate quotidiane)31

30 Carlo Sorrentino, Il Giornalismo, Carocci, Roma 2008, p.177

Il calo delle copie cartacee e l’aumento della fruizione online

In Italia un giornalismo colpevole di eccessiva vicinanza al potere

(24)

Il calo delle vendite dei quotidiani dal 1990 al 2001 è stato causato non solo dall‟assestamento del mercato in seguito al picco di vendite registrato negli anni Ottanta, ma soprattutto in virtù della concorrenza di altri media, in primis quello televisivo che proprio in questo decennio lanciò, come obbligo per l‟emittenza sia privata che pubblica, i notiziari. Sono di questi anni infatti i Tg delle reti Mediaset32.

Va anche notato come in Italia, a differenza che in altri Paesi – in primis la Gran Bretagna – non si sia mai affermato un doppio mercato per il giornalismo, costituito da un pubblico diversificato, uno per prodotti di èlite e un altro per prodotti di massa. Da questo è derivato, oltre al basso numero di copie diffuse per abitante, l‟effetto di una sostituzione della stampa popolare con i periodici (settimanali e mensili), che hanno scalzato i quotidiani ottenendo soprattutto in passato un buon seguito (ormai attenuato dai new media e dalla “super-concorrenza” televisiva)33.

La differenza dell‟Italia rispetto agli altri Paesi nelle abitudini di lettura dei quotidiani è lampante, come emerge da questa tabella:

DIFFUSIONE DEI QUOTIDIANI NEL MONDO AL 1996 (Copie vendute ogni 1000 abitanti)

Quotidiani Copie vendute

Norvegia 592

Giappone 582

Finlandia 456

Svezia 438

Svizzera 357

Lussemburgo 348

Nuova Zelanda 344

Regno Unito 330

Germania 318

Danimarca 311

Paesi Bassi 307

31 Carlo Sorrentino, Il Giornalismo, Carocci, Roma 2008, p.177

32 Ivi, p.89

33 Ivi, p.90

La

concorrenza di altri media negli anni Novanta, in particolare la tv

In Italia manca un pubblico diversificato (massa e élite) come in Gran Bretagna

(25)

Stati Uniti 297

Repubblica ceca 254

Austria 230

Malesia 228

Francia 182

Canada 175

Repubblica slovacca 174

Estonia 171

Belgio 163

Ungheria 161

Irlanda 157

Croazia 110

Polonia 105

Spagna 105

Italia 105

Cipro 96

Portogallo 93

Grecia 78

Fonte: Wan, World Press Trends34

Vediamo ora invece come l‟uso di Internet sia cresciuto in modo esponenziale già dai primi anni dopo la sua diffusione su larga scala (fine anni Novanta), innescando a sua volta una forte concorrenza nei confronti della carta stampata.

UTENTI DI PC

1997 1998 1999 2000

Utenti pc 5.130 6.100 6.800 10.140

Utenti Internet 493 749 1.094 4.600

Età utenti Internet (anni)

31,3 32,5 34,3

Scolarità utenti Internet (anni)

13,3 13,3 12,5

Uso Internet (minuti/giorno)

30,0 29,6

Fonte: I-Lab. Centro di ricerca sull’economia digitale della Bocconi, L’utenza Internet 200035.

34 Ibidem

35 Ivi, p.190

(26)

Inseriamo ora i dati che indicano quali sono i mezzi preferiti dagli italiani per aggiornarsi: la riprova che la televisione resta il mezzo favorito, seguito però dai quotidiani.

LE OPINIONI SUI MEZZI DI INFORMAZIONE

Telegiornali Giornali radio

Quotidiani Periodici Internet

Mezzo preferito per

aggiornarsi

81,5 15,5 42,9 13,1 5

Mezzo più credibile

70,3 12,9 43,9 8,4 4,9

Mezzo più completo

69,2 9 44 9,1 6,2

Fonte: Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, 200036

Un altro dei motivi all‟origine del calo delle vendite dei quotidiani, si evince da un brano di un saggio pubblicato 50 anni fa.In un tempo in cui l‟era digitale era qualcosa di sconosciuto, e “Internet” una parola che ancora doveva nascere, un famoso giornalista collaboratore di quotidiani tra cui “La Stampa”

e “La Repubblica”, faceva alcune riflessioni che testimoniavano la paradossale lontananza tra giornali e pubblico di lettori a cui i primi dovrebbero essere rivolti, denunciando un‟incomunicabilità tra due mondi che tuttora potrebbe valere come spiegazione della loro scarsa diffusione, o quanto meno giustificare perché non siano in aumento i cittadini che vi si affidano per informarsi. Era il 1959, e l‟autore un Enzo Forcella che parlava di un vizio di fondo del giornalismo politico, estendibile a volte a tutti i campi della professione. Ecco il suo illuminato intervento su “Tempo presente”, nel giugno 1959.

“Il giornalista politico, nel nostro Paese, può contare su circa millecinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari (tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, sindacalisti, alti prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto

36 Ivi, p.91

La lontananza giornali-pubblico

I

millecinquecento lettori del giornalista politico di Enzo Forcella

(27)

27

non conta, anche se il giornale vende trecentomila copie. Prima di tutto non è accertato che i lettori comuni leggano le prime pagine dei giornali, e in ogni caso la loro influenza è minima. Tutto il sistema è organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di lettori privilegiati. Trascurando questo elemento, ci si esclude la comprensione dell‟aspetto più caratteristico del giornalismo politico, forse della intera politica italiana: è la atmosfera delle recite in famiglia, con protagonisti che si conoscono fin dall‟infanzia si offrono a vicenda le battute, parlano una lingua allusiva e, anche quando si detestano, si vogliono bene. Si recita soltanto per il proprio piacere, beninteso, dal momento che non esiste pubblico pagante”37.

2. Il fenomeno della free press

Un altro duro colpo al mondo dell‟editoria e al mercato dei quotidiani cartacei fu inferto dall‟improvviso arrivo della stampa cosiddetta “free”, quindi gratuita, un sistema mutuato dalla televisione e da Internet. Anche in questo caso l‟Italia tardò nell‟accedere al nuovo spazio per l‟informazione gratis offerta all‟ “uomo della strada”, il passante in uscita dalla metropolitana o che si dirigeva al lavoro.

Come era capitato anche per Internet e tutte le novità degli ultimi anni nel mondo editoriale, anche la free press fu inizialmente snobbata dagli editori che, insieme ai giornalisti, guardavano con aria di sufficienza e senso di superiorità tali pubblicazioni fatte soprattutto di lanci di agenzia e confezionate secondo metodi –a loro dire- da giornalismo di serie B, e destinato quindi a un rapido declino in favore dei giornali tradizionali di sempre, garanzia di qualità e professionalità. Naturalmente, come nel caso precedente, tutte queste previsioni si sono rivelate più che mai miopi, e sono state ampiamente smentite dal corso degli eventi (nonostante la più stretta attualità ci parli di una insistente minaccia alla sopravvivenza di queste testate a causa del brusco crollo dei finanziamenti derivanti dalla pubblicità, vitali per la free press).

37 Enzo Forcella, Millecinquecento lettori. Confessioni di un giornalista politico, Donzelli, Roma 2004, p. 3

La free press e il colpo all’editoria

L’iniziale snobismo di editori e giornalisti

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