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La crisi globale come conseguenza di fallimenti della regolazione e della supervisione finanziaria

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 86-92)

Questo capitolo intende affrontare due principali aspetti: i fallimenti di mercato e le loro cause, e più in generale i fallimenti della regolazione finanziaria messi a nudo dalla crisi del 2008-2009, con un particolare accento nel campo della supervisione dei mercati e la conseguente “capacità regolatoria” messa in campo a livello globale e più particolarmente dall’Unione europea, in risposta alla crisi medesima, che qui accenneremo, poiché sarà sviluppata nel capitolo successivo.

Un fallimento di mercato si verifica quando il settore privato, in assenza di un intervento governativo, se lasciato a sé stesso, produrrebbe un risultato sub-ottimale.

Goodhart et altri (1998) hanno individuato tre specifiche ragioni principali per un intervento dello stato nel settore finanziario, allo scopo di evitare fallimenti di mercato:

• Asimmetria informativa: i clienti e più in generale le unità in surplus dispongono di meno informazioni e anche capacità di gestirle al meglio, delle istituzioni finanziarie. La supervisione finanziaria ha lo scopo di proteggere i consumatori contro gli effetti dell’informazione asimmetrica.

• Le esternalità: il fallimento di una istituzione finanziaria oppure di una infrastruttura finanziaria di mercato può compromettere la stabilità del sistema

finanziario. La supervisione sistemica ha come obiettivo quello di promuovere la stabilità finanziaria e di contenere gli effetti di un fallimento sistemico.

• Il potere espresso dal mercato: le istituzioni finanziarie o le infrastrutture finanziarie di mercato, possono esercitare indebiti o eccessivi poteri di mercato.

Compete quindi alla politica della concorrenza proteggere i consumatori dagli svantaggi a loro derivanti da uno sfruttamento dei monopoli121.

Il secondo fallimento di mercato che può dare luogo ad un intervento pubblico è quello delle esternalità. Tra le esternalità per esempio ritroviamo il contagio, che è il rischio che si verifica quando il fallimento di un’istituzione finanziaria può ingenerare il fallimento di altre istituzioni finanziarie appartenenti alla stessa filiera o in stretto rapporto con l’istituzione che fallisce. Il contagio non è incorporato nel processo decisionale dell’istituzione finanziaria. Una banca è soggetta al contagio allorquando le attività fortemente illiquide presenti nel suo bilancio sono finanziate da depositi rimborsabili a breve tempo o a vista. Informazioni sul possibile fallimento di una banca, ad esempio, possono indurre i depositanti a ritirare i loro depositi in un arco di breve e massicciamente. Questo determina un problema di liquidità per la banca, che non altro che accelerare il fallimento. Il fallimento contestuale di più banche può ingenerare un processo di fallimenti a cascata e determinare una crisi sistemica. Di qui la grande importanza della supervisione macroprudenziale e del ruolo delle banche centrali come fornitori di liquidità di emergenza (che nel caso della BCE interviene attraverso la procedura ELA -Emergency Liquidity Assistance).

Infine, al riguardo del terzo tipo di fallimento di mercato collegato al potere del mercato, ad esempio in un monopolio o un oligopolio, caratterizzati rispettivamente da un solo o pochi produttori di un certo bene o servizio, il prezzo viene stabilito dalle forze di mercato con la conseguenza che sarà sicuramente molto più alto di quello che si sarebbe formato in un mercato perfettamente concorrenziale. I monopoli o gli oligopoli sono appannaggio di diversi settori economici, la specificità di quello

121 Goodhart, C., et altri, op.,cit., pagg. 4--12

finanziario consiste nel fatto che la mancanza di concorrenza comporta le economie di scala e di rete all’origine rispettivamente di fusioni e acquisizioni e di sistemi di pagamento o di mercati borsistici, che determinano una riduzione della concorrenza.

La risposta pubblica all’asimmetria informativa consiste nella introduzione di strumenti di tipo macroprudenziale. Come, ad esempio, la predisposizione di una solida supervisione prudenziale associata alla creazione ad una rete di safety net rappresentata ad esempio dagli schemi di protezione dei depositi dei consumatori al dettaglio (come introdotto nell’UE, fino a centomila Euro con la direttiva Deposit Guarantee Scheme).

I problemi derivanti dalle esternalità negative possono essere risolti attraverso l’autoregolazione, come suggerito tra l’altro anche Black (2001) il quale aveva individuato diverse categorie di regolazione e più precisamente: auto-regolamentazione obbligatoria, sanzionata, coercitiva, volontaria, ispirata dalle parti interessate, monitorata da parti terze, accreditata da parte di un altro ente non governativo122.

Tuttavia, l’autoregolazione o i contratti non sempre sono possibili. Poiché per esserlo dovrebbero essere vantaggiosi per entrambi le parti. Una spiegazione di ciò è nell’asimmetria informativa tra le parti. Errori di valutazione di una parte, relativamente alla reale situazione dell’altra, conduce con buona probabilità al fallimento dell’accordo. Anche se entrambi le parti stanno agendo razionalmente. Il fallimento della via contrattuale alla soluzione dei problemi derivanti da esternalità negative può essere dovuto altresì alla mancanza di uno spazio di contrattazione per ragioni legate alla distanza fisica fra le parti o all’eccessivo numero di parti interessate, o infine alla non conoscenza degli effetti esterni derivanti da una esternalità.

Il secondo tipo di soluzione alle esternalità negative è attraverso l’intervento di norme giuridiche, e quindi attraverso una regolazione esterna ai soggetti chiamati a conformarsi ad essa, che crei degli incentivi finanziari per ridurle oppure se l’obiettivo

122 Black, J., “Mapping the contours of contemporary financial services regulation”. Discussion Paper N. 17. Centre for the Analysis of Risk and Regulation (CARR), London School of Economics, October 2003.

è la riduzione del danno lo strumento adatto per intervenire è la tassa di tipo pigouviana (l’economista Pigou è stato il primo a studiare le esternalità negative), cioè quel tipo di tassa correttiva che viene pagata in via anticipata allo stato sulla base dell’eventuale danno che effettivamente un soggetto economico può arrecare.

Infine, l’ultima soluzione ai problemi derivanti dalle esternalità è attraverso il funzionamento di specifici mercati, come i mercati basati sullo scambio delle quote di emissione ETS, basato sull’idea di fissare un tetto massino alle emissioni di alcuni agenti inquinanti ad effetto serra, come la CO2, e la relativa quotazione monetaria delle emissioni, la quale consente il commercio delle quote fra unità eccedenti e unità in deficit.

Analogamente ai fallimenti di mercato, possono realizzarsi anche fallimenti del settore pubblico, allorquando l’intervento governativo causa una minore efficienza nella allocazione dei beni e servizi che non si sarebbe verificata in assenza di un intervento pubblico. Di qui la necessità secondo Besley (2007) di soppesare le conseguenze derivanti dal fallimento dell’intervento pubblico e quelle che derivano dal fallimento del mercato123. In sintesi, le conseguenze di un fallimento dell’intervento pubblico sono riconducibili agli effetti negativi della protezione indotta del governo sugli incentivi per i consumatori, la eccessiva regolazione governativa del settore finanziario potrebbe comportare un aumento eccessivo della burocrazia, restringendo di fatto le attività e il campo di azione delle istituzioni finanziarie.

Un tema di così ampio spessore evidentemente ha diviso il mondo accademico fra coloro i quali sostengono che gli effetti negativi, particolarmente sulla regolazione del settore finanziario, di un fallimento dell’intervento pubblico potrebbero essere ancora più ampi di quelli eventualmente provocati dai fallimenti di mercato. Dowd (1996) ritiene una politica imperniata sul laissez-faire, ovvero sulla capacità del settore finanziario di autoregolarsi è ottimale e di gran lunga preferibile ad un intervento pubblico poiché quest’ultimo andrebbe a minare le forze di mercato che rendono sicuro

123 Besley, T., “The New Political Economy”, in The Economic Journal, 117, 2007, pagg: 570-581.

il sistema finanziario124. Ancora prima Coase (1988), aveva enfatizzato il libero mercato, sostenendo che liberi mercati richiedono importanti infrastrutture al loro interno e una auto-regolazione per funzionare efficientemente con costi di transazione minimi125.

Contrariamente, altri accademici si sono espressi in favore di un limitato intervento dello stato nella regolazione finanziaria, attraverso l’introduzione requisiti prudenziali minimi allo scopo di contrastare le esternalità (da contagio ad esempio), senza tuttavia allargare ulteriormente l’elenco di requisiti e di standard, poiché non sono necessari per la protezione del consumatore126.

Il quadro regolatorio precedente alla crisi era basato sostanzialmente su strumenti di natura microprudenziale, poiché la stabilità della singola istituzione finanziari era di gran lunga considerata prioritaria rispetto alla stabilità del sistema finanziario127

Nell’analisi delle motivazioni che precedettero la crisi del 2008-2009, che segnò un momento di distacco dal precedente periodo, tanto che è possibile parlare di un vero e proprio cambio di paradigma, faremo riferimento al concetto di “capacità regolatoria”

riferita in particolare modo all’UE, per la quale s’intende la capacità di una giurisdizione di formulare, monitorare e applicare un insieme di regole che riguardano il mercato128. La diffusione della crisi a livello globale è stata all’origine di un numero elevato di regole globali per i mercati finanziari e la mole di lavoro ha portato regolatori, legislatori e parti interessate, quantomeno nei primi dallo scoppio della stessa, più a concentrarsi sulla nuova regolazione da predisporre, e anche con una certa

124 Dowd, K., The Case for Financial Laissez-faire”, The Economic Journal, n. 106, 1996, pagg. 679-687.

125 Coase, R.H., “The Firm, The Market and The Law”, Chicago University Press, 1988.

126 Benston and Kaufman: “The Appropriate Role of Bank Regulation”, The Economic Journal, n. 106, 1996, pagg: 688-697.

127 Brunnermeier, M., Crocket, A., Goodhart, C., Persaud, A., Shin, H. (2009): The Fundamental Principles of Financial Regulation. Geneva Reports on the World Economy 11, Centre for Economic Policy Research (CEPR), London, pp. 15-18.

128 David Bach & Abraham L. Newman (2007) The European regulatory state and global public policy: micro-institutions, macro-influence, Journal of European Public Policy, 14:6, 827-846, pag. 831, DOI: 10.1080/13501760701497659

urgenza, più che sulle cause della crisi, su cui solo in anni più recenti sono state prodotte analisi più compiute e con un certo distacco dalla contingenza.

Le motivazioni alla base della crisi 2007-2008 sono molteplici, al di là dei singoli eventi scatenanti (il fallimento di Fannie e Freddie Mac, di Lehman Brothers negli Stati Uniti), essa è stata dovuta sostanzialmente a motivazioni che vengono da più lontano, riconducibili 1) alla incapacità dei regolatori di controllare, con gli strumenti a disposizione (supervisione in modo particolare) il rischio sistemico definibile come il “Rischio di perturbazione del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il mercato interno e l’economia reale”129, unitamente all’eccessivo affidamento alle valutazioni e quindi enorme potere attribuito alla Agenzie di Rating (Credit Rating Agencies – CRAs-) che sono entità private; 2) al fallimento della governance della supervisione, in molti casi non svincolata dal potere politico; 3) ai fallimenti da coordinamento a livello internazionale, dovuti alla mancanza o inappropriatezza della vigilanza dei grandi gruppi finanziari aventi un’operatività internazionale o addirittura globale alla mancanza di regole vincolanti a livello internazionale riguardanti la gestione delle crisi e la risoluzione delle crisi bancarie. Se quelli appena elencati erano definibili come le motivazioni che hanno scatenato la crisi, la sua estensione all’economia reale ed espansione a livello internazionale mostrò ben presto le cause alle radici della crisi che erano riconducibili a: 1) un’architettura della vigilanza strutturale, fondamentalmente incentrata sui soggetti, che aveva ben funzionato per molti anni e fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, che a ridosso della crisi invece mostrava tutta la sua arretratezza e incapacità a rispondere ai cambiamenti dovuti alle innovazioni; 2) alle inadeguatezze normative riconducibili al mancato contenimento del carattere pro-ciclico delle norme alla base dell’intermediazione finanziaria, i principi di Basilea III ampiamente trasposti negli ordinamenti nazionali, avevano focalizzato l’attenzione sui requisiti patrimoniali e molto meno sulla effettiva rischiosità del portafoglio delle banche (trading book), di

129 Regolamento UE N. 1092/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario dell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico.

quelle dedite alle negoziazioni in proprio e non solo per conto del cliente, oppure al criterio del fair value utilizzato per calcolare le minusvalenze originatesi a causa del crollo dei prezzi dei titoli quotati e alla rarefazione delle transazioni finanziarie per effetto delle crisi a cavallo fra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo secolo; ed infine 5) alle imperfezioni nella disciplina di mercato e nella condotta degli affari in particolar modo nella supervisione, dovute alle imperfezioni delle informazioni, all’inefficienza informativa (legata ai meccanismi di formazione dei prezzi delle attività finanziarie) e alle forti distorsioni negli incentivi delle grandi istituzioni finanziarie globali, troppo grandi per fallire (Too-Big-To-Fail).

Davanti a questo scenario quali furono le misure che vennero prese a livello internazionale, e successivamente a livello europeo, per fare fronte a questa serie di fallimenti della regolazione e della supervisione emersi nel corso della crisi? Quali furono le linee di sviluppo del nuovo corso che le autorità internazionali, i regolatori internazionali adottarono e in un secondo momento i legislatori internazionali cercarono di internalizzare all’interno dei sistemi nazionali o regionali. Il modo in cui l’Unione europea ha reagito alla crisi globale e con quali risposte normative lo ha fatto lo vedremo nel secondo capitolo, qui continueremo a concentrarci su aspetti riguardanti il ruolo avuto dai grandi regolatori internazionali nella produzione di nuovi standard internazionali, con un occhio particolare al lavoro svolto dalla CPMO-IOSCO e dal FSB per quanto concerne le infrastrutture finanziarie di mercato, oggetto della nostra ricerca, e del Comitato di Basilea, in considerazione del fatto che alcuni dei principi adottati da quest’ultimo sono correlati con le CCP, i cui membri sono delle banche.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 86-92)