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L’Unione europea e la crisi finanziaria del 2008-2009

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 92-96)

quelle dedite alle negoziazioni in proprio e non solo per conto del cliente, oppure al criterio del fair value utilizzato per calcolare le minusvalenze originatesi a causa del crollo dei prezzi dei titoli quotati e alla rarefazione delle transazioni finanziarie per effetto delle crisi a cavallo fra la fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo secolo; ed infine 5) alle imperfezioni nella disciplina di mercato e nella condotta degli affari in particolar modo nella supervisione, dovute alle imperfezioni delle informazioni, all’inefficienza informativa (legata ai meccanismi di formazione dei prezzi delle attività finanziarie) e alle forti distorsioni negli incentivi delle grandi istituzioni finanziarie globali, troppo grandi per fallire (Too-Big-To-Fail).

Davanti a questo scenario quali furono le misure che vennero prese a livello internazionale, e successivamente a livello europeo, per fare fronte a questa serie di fallimenti della regolazione e della supervisione emersi nel corso della crisi? Quali furono le linee di sviluppo del nuovo corso che le autorità internazionali, i regolatori internazionali adottarono e in un secondo momento i legislatori internazionali cercarono di internalizzare all’interno dei sistemi nazionali o regionali. Il modo in cui l’Unione europea ha reagito alla crisi globale e con quali risposte normative lo ha fatto lo vedremo nel secondo capitolo, qui continueremo a concentrarci su aspetti riguardanti il ruolo avuto dai grandi regolatori internazionali nella produzione di nuovi standard internazionali, con un occhio particolare al lavoro svolto dalla CPMO-IOSCO e dal FSB per quanto concerne le infrastrutture finanziarie di mercato, oggetto della nostra ricerca, e del Comitato di Basilea, in considerazione del fatto che alcuni dei principi adottati da quest’ultimo sono correlati con le CCP, i cui membri sono delle banche.

portata - e soprattutto la risposta legislativa dell’Unione europea – e cosa cambia in termini di paradigma rispetto al passato.

Questo nuovo paradigma unitamente alla fiducia (sproporzionata) nell’autoregolamentazione degli intermediari finanziari al pari dei mercati ha creato i presupposti affinché la finanza creativa e i prodotti finanziari strutturati, in primis i derivati, sempre più raffinati, fossero percepiti come uno sviluppo positivo perché in grado di mettere un argine agli arbitraggi regolamentari e a quelli fiscali fra gli Stati e all’esistenza di forti disallineamenti fra le vigilanze nazionali.

Per quanto riguarda l’Unione europea sul finire del primo decennio del nuovo millennio in concomitanza con il propagarsi al suo interno della crisi finanziaria, a partire dalle economie più deboli, si mostra sostanzialmente impreparata a far fronte alla crisi e come vedremo a dare una risposta univoca a situazioni di crisi che avrebbero investito di lì a poco istituti creditizi transfrontalieri. A mostrare per primo i segni di questa impreparazione agli urti della crisi era proprio il Mercato Unico dei servizi finanziari, sostanzialmente frammentato e ben lontano dall’integrazione poiché basato su un quadro normativo armonizzato spesso al minimo livello, ma non integrato e con una vigilanza, ovvero l’attività di controllo finalizzata a verificare l’effettiva applicazione della regolamentazione, che rimaneva un affare sostanzialmente nazionale. A creare problemi erano le differenze evidenti tra gli ordinamenti nazionali, non tanto in materia di norme primarie, quanto con riguardo all’interpretazione e all’applicazione delle regole, alle prassi di vigilanza e ai regimi sanzionatori130. A tutto ciò si aggiungeva la contemporanea trasposizione e quindi implementazione di un quadro di regole sui requisiti di capitale, deciso nell’ambito del Comitato di Basilea131, che avrebbe dovuto offrire un sostegno considerevole all’attività di vigilanza

130 Ciraolo, F., “Il processo d’ integrazione del mercato unico dei servizi finanziari. Dal metodo Lamfalussy alla riforma della vigilanza finanziaria europea”, in Il diritto dell’economia”, n.2, 2011, p. 415 e ss.

131 Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria è un’organizzazione creata all’interno della Banca Internazionale dei Regolamenti a seguito di una iniziativa dei governatori delle Banche centrali del G10 nel 1974 e riunisce gli organismi nazionali di vigilanza prudenziale di ben ventisette paesi tra cui Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera.

prudenziale. Esso era stato pensato prima del propagarsi della crisi iniziata nel 2007-2008, in una fase espansiva del ciclo economico, e destinato a essere applicato in una situazione economica ben diversa da quella in cui era stato immaginato, nonostante gli accorgimenti anticiclici in esso introdotti.

La crisi del 2007-2009 mette seriamente in discussione questi assunti, anche se a dire di Rainer Masera, ciascuno di essi conteneva delle verità, ma fondamentalmente erano errati i presupposti alla base degli stessi132. Tuttavia, l’esigenza di fare fronte alla deregolamentazione degli anni Ottanta si manifestò ancora prima dello scoppio della crisi. Come altre volte nella storia, il processo partiva da oltreoceano, poiché proprio negli Stati Uniti, in coincidenza con le due amministrazioni Reagan, era stato avviato un generalizzato processo di deregolamentazione che aveva toccato i settori più diversi dell’economia. Questo processo si era esteso subito dopo al mondo anglosassone e, in misura molto più contenuta, al resto del continente europeo; conseguentemente si era assistito a una progressiva riduzione del peso dello Stato nell’economia e l’attribuzione di un ruolo maggiore alle forze di mercato nell’allocazione delle risorse. Gli effetti, talora anche positivi, di questo processo non tardarono a manifestarsi in termini di produttività e crescita del sistema finanziario. Nello specifico si era tradotto in:

• un rafforzamento della concorrenza dovuto alla diminuzione delle segmentazioni fra settori, che aveva interessato anche le banche e le imprese quotate;

• un’elevata crescita delle fusioni e delle acquisizioni tra intermediari di paesi diversi;

con evidenti ripercussioni sulla stabilità finanziaria del sistema;

• nella creazione di nuovi strumenti finanziari, frutto dell’ingegneria finanziaria, con conseguenze sulla trasformazione delle regole di scambio di questi strumenti sui mercati organizzati e sull’accrescimento nel tempo delle negoziazioni di strumenti finanziari strutturati sui mercati over the counter.

132 Masera, R., “The Basel III global regulator framework: a critical review”, in Rivista trimestrale di Diritto dell’Economia, Scritti Fondazione Capriglione, n. 3/2011 pag. 509 e segg.

A fronte di taluni aspetti positivi della deregolamentazione, la prima e importante conseguenza negativa di questo processo è consistita in una maggiore disponibilità di risorse finanziarie per il sistema economico, che nel medio e lungo termine ha contribuito ad accrescere gli episodi d’instabilità dei sistemi bancari. Nondimeno, la percezione dei rischi da deregolamentazione tardò a manifestarsi. Ciò si è palesato in tutta la sua ampiezza, quando è diventata chiara e non più eludibile l’insufficienza degli obblighi di trasparenza riguardante i bilanci societari, l’inadeguatezza delle norme in materia di responsabilità degli amministratori e la presenza di conflitti d’interesse nelle società di rating. L’enorme sviluppo di contratti derivati finanziari, e particolarmente di quelli OTC133, unitamente alla nascita e al proliferare di nuovi mercati caratterizzati da un elevato livello di complessità e l’attribuzione di un peso sempre maggiore a intermediari che, pur operando in settori caratterizzati da un livello di regolamentazione inferiore rispetto al sistema bancario tradizionale, erano con quest’ultimo strettamente interconnessi (Shadow-Banking System), ha accresciuto notevolmente la vulnerabilità del sistema finanziario mondiale. Negli USA, sul piano delle regole una prima risposta alla deregolamentazione era stata data con l’adozione del Sarbanes Oxley Act, una legge federale emanata nel 2002 dal governo a seguito di diversi scandali contabili che hanno coinvolto importanti aziende americane (Enron su tutte). Questi scandali hanno causato grande sfiducia da parte degli investitori nei confronti dei mercati, sollevando forti dubbi circa le loro politiche di sicurezza. Anche in Italia, si sono avute politiche volte a una prudente ed incisiva attività di supervisione bancaria oltre al recepimento di tutte le direttive a garanzia del mercato interno europeo. Tanto che il sistema bancario italiano ha ben resistito all’urto della crisi finanziaria dei primi anni, grazie fondamentalmente a una vigilanza prudenziale e

133 Il dato ufficiale risalente alla fine di giugno 2013 della Banca Internazionale dei Regolamenti quantificava il valore nozionale dei Derivati OTC in circolazione in 693 trilioni di Dollari USA in: http://www.bis. org/publ/otc_hy1311.pdf.

Il valore nozionale diminuirà negli anni successivi alla riforma dei mercati dei Derivati OTC nell’UE come oltreoceano con il Dodd-Franck Act. Tuttavia, dopo una iniziale diminuzione, nel 2018 si registra un aumento, poiché aumenterà da 532 trilioni di Dollari USA alla fine del 2017 a 595 trilioni alla fine di giugno 2018.

Il dato va completato con quello della proporzione dei contratti derivati compensati attraverso una controparte centrale che nel 2018 raggiunge il 76% dei IR derivatives e il 54% dei credit default swaps (CDS).

Trattasi dell’ultimo dato ufficiale disponibile, consultabile al seguente indirizzo:

https://www.bis.org/publ/otc_hy1810.htm .

ispettiva (basata sulle ispezioni in loco) solida e efficacemente gestita dalla Banca d’Italia.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 92-96)