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Critica dei sistemi di morale

Dacché il pensiero umano si è dato a riflettere sul problema della morale, tre concetti fondamentali si contendono la vittoria su questo campo della filosofia. Invero uno studio per poco attento non tarda a mostrare che tre soli possono essere i determinanti dell'atto morale, ossia che il bene può farsi soltanto per interesse, per piacere o per dovere-, onde (a prescindere dalle dottrine eclet-tiche) tre teoriche nitidamente distinte, che rannodano l'atto mo-rale all'una od all'altra di codeste cause generatrici. Ora soltanto l'analisi delle basi economiche della morale consente di avvertire il vizio organico di queste dottrine, nonché di apprezzare il fram-mento di verità, che in esse è contenuto e che spiega il loro tem-poraneo successo nelle differenti fasi della civiltà.

Prima fra tutte s'incontra la teoria, secondo la quale il criterio della moralità delle azioni sarebbe la felicità individuale dell'agente. Afferma questa dottrina che l'atto vantaggioso agli altri uomini ed alla collettività si compie per ¡spontanea elezione, poiché è immediatamente o definitivamente vantaggioso all'agente mede-simo (1). Ora il vizio di codesta dottrina — vizio per vero assai frequente anche in altri campi della ricerca scientifica — è di

ap-(1) Difendono tale dottrina scrittori delle età più diverse, da Platone a Spinoza ed a Larocbefoucauld (Cfr. Guvio, La morale d'Épicure, Paris, 1878, 225 e seg.), e più di recente Landry.

plieare al periodo di associazione coattiva di lavoro teoremi, i

quali valgono esclusivamente per l'associazione di lavoro spontanea.

Invero non v'ha dubbio che, nella forma economica limite, l'uomo,

il quale agisca in conformità al proprio interesse, agisce per ciò

stesso in coerenza all'interesso dei proprii simili e della societii;

niun dubbio pertanto che in questa fase economica l'interesso

in-dividuale coincida essenzialmente eoll'interesse collettivo, ossia elio,

in tali condizioni, la morale dell'egoismo riesca perfettamente ad

assicurare ed a perpetuare la coesione e l'armonia sociale. Ma

invece, nelle varie forme dell'associazione di lavoro coattiva, l'in-teresse individuale si trova sovente in contraddizione recisa all'in-teresse collettivo; e sopratutto poi questo è vero della associazione coattiva a reddito distinto, in cui la maggioranza sfruttata della popolazione è indotta dal suo tornaconto effettivo ad insorgere contro l'ordinamento economico esistento e ad annientarlo, mentre la mi-noranza sfruttatrice è spinta dal proprio immediato interesse ad

esorbitanze, minaccianti la persistenza della compagine sociale. È

così poco vero che, in queste forme economiche, la condotta mo-rale dell'uomo sia dettata dal suo tornaconto individuale, che, se gli nomini agissero veramente secondo il proprio egoismo, quelle forme sociali crollerebbero al pari di castelli di carta (1). Chi non sia convinto di ciò legga Max Stirner. Il troppo noto suo libro (2) ó una caricatura ed una satira a un tempo dell'io-ismo, della mo-rale fondata sull'esclusivo criterio della utilità dell'agente; e non-ostante, od in grazia delle sue aberrazioni, dimostra a qual grado di anarchia brutale, a quale scompiglio in permanenza addurrebbe lo sferrarsi degli egoismi individuali in seno ad una società, quale la nostra, fondata sulla negazione sistematica degli interessi della massa a beneficio di pochi privilegiati (3).

Questa verità, che sgorga evidente dalle passate considerazioni, non fu, del rimanente, un mistero pei più chiaroveggenti scrittori delle passate età: i quali hanno perfettamente intuita la

incom-( I ) Su cib ha eccellenti osservazioni HEKTZKA, Die Gesetze der sozialen Ent-teicMunj. Leipz., 1886, 274.

12) MAI STIEXER, Der Einzige und sein Eigenthum (Edizione Reclami. Vedi, p. e»., pag. 303.

(3) Lo stesso Kant lo riconosce apertamente in un luogo d'oro della Critica della Ragion pratica (Ed. Reclam, 32).

pati bili tù del sistema capitalista colla adozione della morale spon-tanea, fondata sull'egoismo dell'agente. Non vogliamo qui ram-mentare Mably e Morelly, i quali affermano ad una voce che l'egoismo non pub essere il principio della morale se non in una società di eguali - poiché le velleità utopiste di codesti scrittori sminuiscono l'autorità delle loro dottrino. Ma ricorderemo soltanto alcune riflessioni di D'Alembert, le quali dimostrano come questo possente intelletto abbia chiaramente intuito il carattere della mo-rale moderna. A Federico il Grande, che interrogavalo circa le basi della morale, il filosofo francese scriveva, il 29 gennaio 1770: " N e ' miei Elementi di Filosofia... io considero l'amore illuminato di noi stessi come il principio d'ogni sacrificio morale. Un punto solo, Sire, mi ha impedito di rendere assolutamente universale ed illimitato codesto principio della morale ; poiché io mi son chiesto se coloro che non posseggono nulla, che dànno tutto alla società ed a cui la società tutto ricusa; se questi uomini, dico, possono avere altro principio di morale che la legge e come si potrebbe convincerli che il loro vero interesse è d'essere virtuosi, nel caso in cui essi potrebbero impunemente non esserlo. S'io avessi trovata una so-luzione soddisfacente a tale quesito, è gran tempo che avrei pub-blicato il mio Catechismo di morale E in altra lettera, del 30 aprile successivo, dopo avere affermato che la morale del-l'egoismo giustifica il povero, il quale commette un furto a danno del ricco, più esplicitamente soggiunge: " E vero, Sire, che questa dottrina, comunque razionale, non è tale che possa enunciarsi in un trattato, né in un catechismo di morale, a motivo dell'abuso, che la cupidigia, o l'indolenza potrebbero farne. Ma tale inconve-niente impedisce di scrivere un'opera completa di morale ad uso di tutte le classi della società... La chiave dell'enigma, a mio cre-dere. è che la distribuzione dello fortune nella società è di una ineguaglianza mostruosa. Ma, ne' grandi Stati in ¡specie, codesto male è irreparabile; e si può esser costretti a sacrificare delle vit-time, anche innocenti, per impedire che i membri più poveri della società s'armino contro i ricchi, come sarebbero tentati e forse in diritto di fare „ (1).

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C R I T I C A DEI S I S T E M I D I M O R A L E 1 0 9

Ora, ciò che impediva a D'Alembert di portare a compimento

li suo Catechismo di morale, dedotto dall'amore illuminato di noi

stessi, è appunto quel fatto, cui accennavamo poc'anzi : che in ogni

società capitalista l'egoismo spontaneo sollecita gli uomini ad azioni

essenzialmente antisociali, e che perciò soltanto la perversione si-stematica dell'egoismo può indurli al compimento di azioni

compa-tibili colla persistenza della collettività. Senza dubbio coloro, che

sono stati convinti dalle nostro precedenti considerazioni, non ac-corderanno a D'Alembert che la condotta umana, e nemmeno quella delle classi superiori, sia normalmente, o dirottamento determinata dall'egoismo spontaneo, nò che quella delle classi povere sia esclu-sivamente rattenuta dalle sanzioni punitive; giacche - lo vedemmo

— una serie ili poderoso coazioni morali contribuisce a disciplinar la condotta delle diverse classi della società. Ma ciascuno dovrà

tuttavia riconoscere allo scrittore francese il merito insigne d'aver perfettamente compreso che la proprietà capitalista rende la mo-rale fondata sull'egoismo irrealizzabile ed irrazionale; e raffron-tando colle parole, teste ricordate, del grande filosofo le dottrine che vanno oggidì sciorinandosi innanzi al pubblico sapiente ed in-dotto. ciascuno dovrà convenire che la scienza morale, almeno per parecchi rispetti, ha subito uno spaventoso regresso. N e la cagione di tale regresso, a primo tratto sorprendente e contraddittorio alle nostre illusioni ottimiste, è difficile a rintracciarsi da chi ponga mente per poco alle influenze prepotenti, cui subisce il pensiero. Essa rannodasi a questa legge psicologica da lungo tempo av-vertita — che il pensiero è tanto più libero o ricerca con tanto più sereno coraggio la verità, quanto più le condizioni organiche della società rendon difficile l'applicazione pratica delle sue meditazioni. E infatti, a norma di tale principio, evidente che là dove il pen-siero non pretende di influir sulla vita, ma si aggira in una sfera puramente teorica, com'è nella Grecia antica, nella Francia fino allo scorcio del secolo X V M e nella Germania fino ai nostri tempi, ivi la mente indagatrice analizza con serena imparzialità la ragion delle cose e ne fa critica acerba: mentre all'opposto la tendenza, cosi diffusa al dì d'oggi, a tradurre immediatamente in atto l'idea, ed il nesso, oggidì sempre più saldo, fra la teoria e l'applicazione deve esercitare sulla serenità ed imparzialità della prima una in-fluenza accasciante. Nessuna meraviglia pertanto se gli scrittori d'altri tempi hanno enunciata la vera teoria della morale, mentre

i moderni non sanno darne che una grottesca ed artificiosa con-traffazione ( l ) .

Se però la dottrina utilitaria della morale è assolutamente inap-plicabile ai fenomeni di una società capitalista, sarebbe ingiusto disconoscere ch'essa, anche riferita ad una società cosiffatta, con-tiene una particella di verità; poiché la morale capitalista, se non ha la sua base nell'egoismo dell'uomo in generale, l'ha pur sempre nell'egoismo della classe proprietaria; e perché la condotta mede-sima delle classi povere, per quanto di fatto in antitesi al loro tornaconto reale, é pur sempre conforme al loro tornaconto ap-parente, quale viene ad esse artificialmente dimostrato da un abile macchinario di coazioni psicologiche.

Merita più speciale menzione, perchè più generalmente seguita, una dottrina intermedia, secondo cui la morale sarebbe il prodotto dell'egoismo di specie* come dicono alcuni o, come altri dicono, degli istinti egoaltruisti, ossia di istinti egoisti bensì, ma che tro-vano appagamento soltanto nelle azioni giuste, o benefattrici. Così, secondo alcuni scrittori, l'azione morale è il prodotto del piacere, che l'uomo prova nel fare il bene, o del sentimento di pietà, che vibra nella massima parte degli umani e li spinge con forza fatale al compimento di azioni disinteressate (2). Secondo altri, l'uomo compie le azioni vantaggiose alla società, perchè sente di formare un tutt'uno con essa, perchè l'ama e vuole liberamente servirla (3); o, come altri dice, ciò che sollecita al compimento dell'atto morale è il senso del gruppo, la solidarietà istintiva coi proprii simili e coll'aggregato (4). Ma anzitutto si può domandare a questi teorici, se gli istinti ego-altruisti, sui quali essi si fondano, esistono effettivamente ed influiscono di fatto sulle azioni umane; e si può domandarlo con tanto maggior fondamento, quanto che lo stesso teorico della pietà riconosce candidamente che, se l'uomo

(1) Si debbono però ricordare, quale luminosa eccezione, alcune osservazioni di GCYAC (La morale anglaise contemporaine, Paris, 1S79), che rivelano un pro-fondo intuito del vero in così controversa questione.

(2) SCHOPENHAUER, 1. c., 118 seg..— Tale concetto, che risale a Cristiano Wolff, è pur sostenuto da ARDIGÒ, La morale dei positivisti, Milano, 1879, 166 seg.

(3) ALEXANDER Maral order and progress, Lond., 1899, 408, 412, ecc. (4) FRAGAPANE, Contrattualismo e sociologia contemporanea, Bologna, 18H2, 208, 212.

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fosse abbandonato al proprio talento, se la resistenza degli altri uomini non lo contenesse, esso non esiterebbe ad uccidere i suoi simili, unicamente per ungere col loro grasso le proprie scarpe (1). Si può soggiungere che lo spiegare le azioni benevole come il pro-dotto di un istinto, è mezzo troppo comodo di evitare ogni ricerca profonda sulle cause delle azioni o dei sentimenti, e elio tutti i ragionamenti, con cui si è cercato di dare una baso logica, meta-fisica o positivista, all'istinto di cui qui si tratta, son pur seinpro molto arbitrari (2). Anche potrebbe aggiungersi conio lo stesso Spencer avverta che la simpatia è tanto più eccezionale, quanto maggiore e più diffusa è la sciagura, ossia che la pietà ò meno frequente là dove sarebbe più necessaria. Ma un argomento ben più valido si oppone alla accennata dottrina. So infatti la molla delift azioni umane fosse veramente la pietà e la soddisfazione che pro-vasi nel fare il bene, la scissione della società in duo classi, l'ima dotata l'altra priva di opzione, questa scissione cho caratterizza le forme economiche capitaliste, non darebbe più luogo ad alcun sinistro risultato, o ad usurpazione di sorta; poiché le classi pri-vilegiate. ispirandosi ai sentimenti ego-altruisti, si asterrebbero da qualsiasi azione prepotente o illegittima, così eliminando ogni danno, che potesse derivare alle genti povere dalla loro condizione infe-riore o soggetta. Ora appena ò d'uopo soggiungere, che nulla di. tutto questo si avvera e che l'usurpazione, lo sfruttamento e la più scellerata rapina si danno libero corso nei rapporti fra pro-prietari e lavoratori. Convien dunque riconoscere che nelle rela-zioni più normali e più importanti, cho intercedono fra gli uomini, il sentimento ego-altruista non ha alcuna presa, mentre sovr'esse impera esclusivo il più assoluto egoismo; e che, ove pure la pietà abbia una reale influenza sulle azioni umane, questa non può es-sere che affatto secondaria, intesa a mitigare e riparare in parto quei danni, che le azioni egoiste dell'uomo hanno cagionati. Per-tanto l'egoismo sarebbe la base della morale per eccellenza, o delle azioni individuali più consuete ed importanti, mentre la pietà for-merebbe la base di una morale secondaria, o gioverebbe nulla più che a smussare le punte troppo acuminate e dolorose della morale

11) ScilMPRXHAI'EB, 1. e., 107.

egoista. L'umanità procederebbe insomma, ad usare un paragone del Lango, come quei merendanti inglesi di idoli indiani, i quali nella loro qualità di trafficanti favoriscono il buddismo, mentre nella loro qualità di cristiani sussidiano le chiese evangeliche e ne promovono il culto; l'uomo cioè, nella sua qualità di capitalista, eserciterebbe a danno di altri uomini le più brutali estorsioni,

mentre, nella sua qualità di essere pietoso, colmerebbe di benefici le proprie vittime (1). Ma questa coesistenza di due morali così contraddittorie appare a ciascun essere pensante come il supremo fra gli assurdi; poiché noi domandiamo quale importanza può at-tribuirsi a codesta pietà, come si può considerarla un elemento autonomo della morale ed una guida della nostra condotta, quando essa non giunge a dirigerci nelle azioni più importanti e più gravi della vita, che abbandona invece all'impero del più sconfinato egoismo. Quando si riconosca, come è necessario, che la pietà non è che un fattore sussidiario della morale, il quale impera solo nella sfera ristretta, che gli è lasciata dal prevalente egoismo, si è già schiusa la via all'opinione più sintetica, più armonica e vera, se-condo cui l'egoismo determina non solo la morale essenziale, ma anche la inorale sussidiaria e si asconde al disotto del sentimento ego-altruista, che sembra dominare quest'ultima. La pietà forma la veste appariscente e visibile, ma l'essere invisibile ed inconsa-puto, che vi si nasconde, non è che l'egoismo (2), il quale consiglia la stessa classe dominante ad alleviare le sventure da essa cagio-nate, affine di evitare le reazioni che potrebbero derivarne e che ricadrebbero sullo stesso suo capo. Certamente questo egoismo è

(1) Tolstoi, uel Che fare?, raffigura assai bene la carità dei ricchi nell'e-sempio seguente: Un uomo si fa portare sulle spalle da un altro; e quando vede costui ansante, trafelato ed esausto, lo compiange amorosamente, gli dà a bere una limonata, gli terge con cura il sudore dalla madida fronte ma però non gli scende di dosso! — Del resto non aveva già Kant deplorato che nel mondo si trovi tanta benevolenza e cosi poca giustizia?

(2) Già Spinoza aveva detto : " La pietà è per sè medesima inutile e dan-nosa in un'anima che vive secondo ragione. Quanto al bene che ne risulta, cioè a quello che noi facciamo sforzandoci di redimere dalla miseria l'oggetto della nostra pietà, la ragione soltanto ci induce a desiderare di compierlo ,

(Etica, Parte IV, Propos. 50). Ed un filosofo, non certamente sospetto di eccessi materialisti, il Gabelli, conchiude: La. pietà degli altri non i che pietà di noi stessi {L'uomo e le scienze morali, Milano, 1869, 29).

11.1 t r o p p o p r o f o n d o p e r p o t e r essere d i r e t t a m e n t e s e n t i t o dallo classi, che ne sono i s p i r a t e ; c e r t a m e n t e alla coscienza di questo non ap-paro di t u t t o ciò che un m i r a g g i o , il quale r a p p r e s e n t a la l o r o a z i o n e s i c c o m e d e t t a t a e s c l u s i v a m e n t e dalla pietà o d a l l ' a m o r e ; nò c e r t o ad alcuno c a d r e b b e in m e n t e di a f f e r m a r e che colui, il q u a l e s o c c o r r e il p o v e r o od il d i s g r a z i a t o , sia indotto a ciò dal m e d i t a t o p r o p o s i t o di e v i t a r e le reazioni possibili della classe sof-f i e n t e . Ma non è men v e r o che l ' a l l e v i a m e n t o della s v e n t u r a è nel-l ' i n t e r e s s e di q u e nel-l nel-l e stesse cnel-lassi, che ne sono i n c o n s c i a m e n t e nel-la causa, e che questo interesse f o r m a la baso r i p o s t a d e l l e loro azioni b e n e f a t t r i c i (1).

V ' h a infine una terza dottrina, la q u a l e a f f e r m a che l ' a t t o m o

-li La generosità dell'Arabo, avverte WAKK, non è da altro ispirata e-lio dal suo egoismo: poiché il possesso della riceliema non da alcuna influenza in mezzo al deserto, mentre sovente vi prevale l'uomo povero e forte che ìt d'uopo perciò di amicarsi (1. c„ 1, 475). La distribuzione dei grani nell'antica Roma, nota lo stesso scrittore, non era un atto di carità, ma bensì di politica (I e., I. 461). - Ma altrettanto si dica della legge ingleso sui poveri, dei Toynbee H„1U, delle missioni dell'esercito .Iella salute e perfino di quella filan-tropo telescopica in pro dei poveri degli antipodi, che Dickens ha cosi argu-tamente canzonata. - • La beneficenza capitalista, cosi si esprime un relatore ufficiale, deriva non già dalla simpatia, ma dalla presenza di un comune pericolo . (Flfth annual Iìeport of the Bureau of statistica of Labor. New-York 1»8<. 19). - Cno scrittore tedesco si esprime anche più crudamente • Li' opere di beneficenza fondate dai capitalisti sono di rado ispirate dalla carità Sovente l'interesse del capitale di fondazione è inferiore alla somma ch'essi dovrebbero sborsare per sovvenire ai bisogni dei poveri . (SINOEK, Sotial. Ziistñnde in Boh.n.n, Leipzig, 1885. 102). - ' La ragione principale, soggiunge un patologo egregio, per cui, dopo tanta fatalistica acquiescenza, noi vedemmo sorgere sotto . nostri occhi un movimento cosi vasto, grandioso e benefico qual c quello della lotta contro la tubercolosi, si é la necessità economica, la quale persuade le amministrazioni, le società di assistenza, gli assicuratori e gli economisti, con una efficacia che eguaglia, se forse non supera, quella del sentimento d. pietà verso il misero , (Eoi, I sanatori polari per la tubercolosi. Milano, 1899. 11). - ]n f i n e u n a rívisU |e c u ¡ u|tra.liberali sono troppo note, cos, riassume lo stato delle cose: • Quando lo sfruttamento è al limite, V, ha «empre una parte de' più miserabili che soccomberebbe ove non fosse alimentata. Cosi la carità ufficiale, che non è mossa da senso di sim-patia personale, interviene ad impedire che la capacità lavoratrice dei meno forti esaurisca... Elemosina e repressione sono state in passato e sono tut- tora due misure ,1, governo, le quali prolungano la vita al sistema politico del privilegio economico ('Giornale degli Economisti., marzo 1898).

rule è ili sua natura disinteressato e si compie, non già per con-seguire un vantaggio od un godimento, reale od immaginario, ma per obbedire alla leggo morale rivelata da Dio alla creatura (1). Ed ecco Kant, il quale trae la coazione morale dai recessi della ragione, che grida all'uomo: agisci secondo una norma, delinquale tu possa in ogni tempo volere che divenga legge universale. Tale teoria, affrettiamoci a riconoscerlo, ha senza dubbio una parvenza di vero, quando sia riferita alla classe lavoratrice; e di certo essa dev'essere stata concepita in seguito ad una esperienza secolare, compiuta sulla condotta di codesta classe. Niun dubbio, infatti, che la classe priva di opzione segue una condotta, la quale di fatto è altruista e sembra per ciò inesplicabile alla teoria del puro egoismo; niun dubbio ancora che, ove almeno prescindasi dal periodo della schiavitù, questa condotta altruista viene imposta mercè una serie di precetti ascetici, religiosi, morali, predicanti ai volghi poveri il disinteresse e la mansuetudine; n'è v'ha pertanto a stupirsi se ciò riesce grado grado a diffondere il concetto di una legge morale astratta, rivelata, imposta all'uomo siccome un dovere, indipenden-temente ed anche contraddittoriamente ai dettati dell'egoismo in-dividuale, od alla felicità, cui esso per natura ricerca. Ma l'appa-renza. di certo plausibile, di tale conclusione non giunge a celarne il vizio essenziale; dacché una disamina per poco attenta non tarda a mostrare che la condotta delle classi più numerose e più povere, per quanto di fatto e definitivamente altruista, obbedisce