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La morale nella associazione di lavoro coattiva

Che se dalla forma-limite dell'economia ci volgiamo alle sue forme concrete, fondate sulla associazione coattiva di lavoro, ci accorgiamo di leggieri come una ben diversa norma di condotta sia, in seno ad esse, dettata dall'egoismo individuale; poiché la stessa coazione, che associa i produttori, toglie che l'atto nocivo ad un cooperatore de-termini la secessione dell'offeso dal consorzio e con ciò risulti di no-cumento all'agente medesimo; ossia fa che l'atto antisociale possa riuscire effettivamente conforme al tornaconto individuale. Il che, se

è vero rispetto alla stessa associazione coattiva a base di reddito

indistinto, od all'economia della terra libera, lo è molto più rispetto

al reddito distinto, od all'economia della terra occupata. Infatti in questa forma economica la società non è più un aggregato di esseri

economicamente eguali, ma si scinde in due classi, quella degli uomini privi e quella degli uomini dotati di opzione: i quali ultimi poi si frammentano in una serie di sottospecie e di gruppi. Per-tanto in questo sistema di economia una classe d'uomini giunge a sopprimere a proprio vantaggio la terra libera ed a fondare su tal soppressione la propria potenza economica ; onde l'egoismo usur-patore è ora per la prima volta proficuo e perciò razionale. Quindi la superiorità di forza individuale, che nella economia della terra libera non può essere sfruttata a danno dei deboli, viene, nella forma economica oppósta, sfruttata a loro svantaggio, coll'escluderli violentemente dalla terra, appunto perchè da questa usurpazione i

CAP* l i - L A MORALE N E L L A A S S O C I A Z I O N E D I L A V O R O C O A T T I V A 2 9

più forti trafiggono ora un duraturo profitto. Una volta poi elio ha soppressa violentemente la terra libera, la classo dotata d'opzioni' può esercitare il suo egoismo nel modo piìi illimitato a carico della

classe che ne è priva, senza che quest'ultima possa staccarsi dal

rapporto di soggezione ed infrangere l'associazione coattiva di

la-voro. Cadute pertanto le barriere, che, nella economia della terra

libera, l'egoismo di un essere incontra nella coesistenza di esseri

egualmente forti che saprebbero rintuzzarne le offese, divisa la

società in una classe di privilegiati ed una di servi, l'egoismo doi

primi si dà libero corso e si fa lecito ogni sorta di usurpazioni a

danno degli altri, appunto perchè tali usurpazioni arrecano agli

agenti i più certi vantaggi, neppure amareggiati dal timore ili una

secessione vittoriosa degli sfruttati dal comune consorzio; onde

l'egoismo individuale provoca ora, per la prima volta, una serie di

azioni dannose alla pnrte più numerosa della società.

Ma anche in seno alla stessa classe proprietaria, l'usurpazione di

un essere a detrimento dell'altro è resa possibile dalla disparità di

ricchezza dei suoi componenti, la quale consonte ai proprietari mag.

giori di compiere appropriazioni ed abusi a danno dei minori

pro-prietari. Infatti i rapporti fra proprietari intercedono, non più,

come quelli or ora accennati, fra persone, di cui alcune hanno la forza ed altre ne sono prive e fra le quali perciò la lotta è impos-sibile e possibile solo un rapporto di dominio; non più, come nell'as-sociazione libera di lavoro, fra persone dotate di egual forza econo-mica e fra le quali perciò è impossibile, od infeconda ogni lotta; ma fra persone indipendenti l'una dall'altra e dotate di forza eco-nomica diversa, quindi poste in condizione siffatta da rendere la contesa fra loro possibile e feconda di risultati. Ora questi con-flitti fra i proprietari dotati di diversa forza economica dànno luogo necessariamente ad usurpazioni dei maggiori sui minori proprietari: le quali tuttavia incontrano un limite nella forza stessa dei proprie-tari concorrenti e nelle condizioni organiche della proprietà. E per vero i proprietari minori possono — a differenza dei lavoratori — prevenire in qualche modo le usurpazioni dei maggiori proprietari, associando i loro capitali ed attenuando per tal guisa la propria inferiorità economica. Onde un primo freno, che è opposto alla con-dotta dei maggiori verso i minori proprietari. Ma un freno ulte-riore e non meno efficace viene opposto dalle condizioni organiche della proprietà, le quali escludono, o inceppano almeno le

usurpa-zioni di una parte dei proprietari sull'altra ; al che si aggiunge che i proprietari maggiori e minori sono fra loro associati, se non economicamente, politicamente, e perciò indotti dal loro stesso tornaconto a non infierire di troppo nelle loro usurpazioni reciproche. Quindi l'egoismo dei proprietari, che nelle sue esplicazioni contro la classo proletaria trascende fino al limite estremo, non trovando alcun ostacolo da parte delle sue vittime, soggiace invece a limiti ferrei nelle sue esplicazioni contro gli altri componenti della classe proprietaria, poiché lo frena la forza stessa dei competitori e le condizioni organiche della proprietà.

Ma se gli operai ed i piccoli proprietari non giungono a frustrare gli sforzi, né a prevenire le offese dei capitalisti e dei grandi proprietari, perchè non possono essi ricorrere &W ultima ratio degli oppressi, l'insurrezione? Ammettasi pure che i minori proprietari trovino un salutare ritegno nel timore legittimo, che una insurre-zione abbia a scotere l'intera compagine dei rapporti di proprietà; ma simile ritegno non ha più ragion d'essere rispetto ai lavora-tori ed ai diseredati, cui il tornaconto più elementare consiglia invece la distruzione violenta del sistema sociale che li comprime (1). Dunque l'assetto economico fondato sulla soppressione della terra libera trovasi fatalmente in una condizione di equilibrio instabile, quanto che la parte più numerosa della popolazione, ch'esso esclude dalla terra, è spinta dal proprio reale interesse a rovesciarlo. Ed è quindi assolutamente necessario di ricorrere a provvedimenti che assicurino tale equilibrio, prevenendo in guisa perentoria le rivolte, che riuscirebbero a comprometterlo.

E tale necessità appare di tanto più urgente, quando si avverta il carattere essenzialmente artificiale del reddito distinto, il quale, anziché persistere per virtù propria, non può durare se non mercè una serie di complessi e delicati ingranaggi. S'intende per verità a primo tratto, che se il reddito distinto persistesse per una

ne-(1) MAINE {Ancien droit. Paris, 1874, 241) si pone il quesito: Perchè sorse nell'animo umano il rispetto della proprietà? E risponde che questo si è svolto come risultato della tradizione e del tempo. — Ma è evidente che tale risposta non ispiega nulla, poiché rimane sempre a sapersi come mai, al primo suo sorgere, quando ancora non militava a sua difesa l'elemento del tempo, la proprietà fosse rispettata dai non proprietari, i quali pure dal loro tornaconto sarebbero stati indotti a violarla.

cessità naturale, che l'imperversare di influenze dissolventi non avesse virtù di sopprimere, anche l'insurrezione delle classi più numerose non presenterebbe più alcuna minaccia all'ordinamento economico vigente. Di certo, anche in tali condizioni una rivolta popolare potrebbe dar luogo a conseguenze nocevoli alle persone dei proprietari, ove riuscisse a strappar loro la ricchezza per darla

in preda alle plebi vittoriose. Ma all'infuori di una mutazione,

quanto si voglia significante, nelle persone dei proprietari, la

ri-volta non avrebbe, in tali condizioni, alcun risultato durevole; ed

i nuovi proprietari seguiterebbero a possedore le ricchezze

con-quistato, secondo lo stesso modo od i processi medesimi con cui

le tenevano gli spossessati. Se non che ben diverse e più gravi

son le conseguenze di una insurrezione popolare scoppiente in seno

ad un ordinamento economico, il quale ha d'uopo, a persistere, di

un laborioso sistema di contrappesi e ripari. Perchè 1111 tal sistema

è di natura sua fragilissimo e fatalmente precario, e perchè lo

stesso enorme dispendio di forza, necessario a reggerlo in vita,

ne rende minore la resistenza alle influenze dissolvitrici. Dunque,

ad assicurare la persistenza del reddito distinto, per sè stesso squilibrato ed instabile, conviene non soltanto provvedere acche i

ripari economici, destinati a preservarlo, funzionino sempre a do-vere, ma prevenire inoltre le insurrezioni della classe oppressa, le quali potrebbero da un istante all'altro spezzarlo. " La società, dice Lamennais, poggia tutta sulla rassegnazione dei poveri „.

Rendiamo la cosa più nitida con un esempio. Suppongasi che un

dato numero d'uomini trovinsi rinchiusi in un carcere. Se questo è privo di porte, o finestre laterali, e cinto di solide mura, il carceriere non ha preoccupazioni di sorta circa le eventuali

insur-rezioni, 0 violenze de' prigionieri, le quali, comunque irruenti e brutali, non approderanno mai ad alcun risultato. Ma se invece la prigione ha una porta d'uscita, la quale si chiude a mezzo di un meccanismo, od ordigno delicato, le preoccupazioni del carce-riere cominciano. Infatti in tal caso v'ha anzitutto il pericolo che l'ordigno non funzioni a dovere e che perciò i carcerati riescano a fuggire ; e, dato pure che su ciò si possa star tranquilli, v'ha il pericolo che i carcerati mandino in pezzi il fragile ordigno con una violenta sommossa ; la quale riuscirà tanto più probabilmente vittoriosa, a motivo del rilevante dispendio di forza che si con-suma a mantenere in attività il meccanismo e che attenua di

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I.E BASI ECONOMICHE

tanto quella che può contrapporsi ai ribelli. Dunque in tali con-dizioni è perentoriamente necessario che il carceriere non soltanto provveda acciò la serratura funzioni sempre a perfezione, ma si adoperi inoltre a tener tranquilli i carcerati, somministrando loro ogni sorta di narcotici e di debilitanti. Ebbene, la società a red-dito distinto è precisamente questo carcere mal serrato ed i lavo-ratori sono i prigionieri, che vi stanno rinchiusi e dei quali, a motivo appunto delle chiudende imperfette, fa d'uopo ottenere la piena docilità, debilitandoli a disegno con ogni sorta di deprimenti morali e psicologici.

Ma non basta agir sugli oppressi, per guisa da renderne meno probabile la riscossa ; è d'uopo inoltre agir sugli stessi oppressori, acciò non trascendano nelle proprie usurpazioni, così da provocare gli oppressi alla rivolta ; ossia la condotta dei proprietari verso i poveri ed i minori proprietari dev'essere disciplinata da una serie di freni, che le impediscano di eccedere al punto da compromet-tere la persistenza del reddito distinto. Per verità può a prima giunta sembrare assurdo che si debba ricorrere a sanzioni ed a freni per imporre una norma di condotta, la quale è, nel caso concreto, positivamente conforme al tornaconto medesimo dell'a-gente. Se non che l'egoismo basta da solo a dirigere la condotta umana, quando il risultato di questa sia evidente e consaputo; il che appunto si avvera nella associazione libera di lavoro, ove è evidente ed immediato il danno, che infligge all'agente ogni conato d'usurpazione, e può anche eventualmente avverarsi nella associa-zione coattiva di lavoro a base di reddito indistinto. Ma invece nella società a reddito distinto i rapporti sociali sono di lor natura

inconsci ed il risultato definitivo dell'azione rimane inconsaputo all'agente. Ed un'azione malvagia, commessa in seno a questa forma sociale, non ricade su colui che la compie se non dopo un processo complicato, che intercetta all'agente la possibilità di com-prenderne il carattere a se dannoso e la necessità di astenersene. D'altra parte la stessa complicazione dei rapporti capitalisti rende possibile all'agente di ripercotere effettivamente sovr'altri il danno che dalla sua azione gli potrebbe derivare, e rende perciò meno razionale e meno per lui necessario di astenersi da quell'azione. Ecco perchè l'egoismo da solo non basta a contenere entro i do-vuti confini la condotta dei proprietari verso i poveri e verso gli altri proprietari, e perchè tale condotta deve, di conseguenza, venir

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contenuta e frenata mercè una coazione morale. Così quella stessa

coazione, che si richiedo per indurre la classo povera ad una con-dotta contraria al suo egoismo reale, si richiede del pari per in-durre la classe ricca ad una condotta contraria al suo egoismo apparente ; e per tal modo si assiste allo spettacolo singolare ed a prima giunta incomprensibile di una classe obbligata ad agire in conformità al proprio vantaggio.

Dunque, ad assicurar la coesione della società a reddito distinto

per sù squilibrata, uopo è ricorrere ad una serio di processi, i

quali costringano le classi proprietarie ad agire in conformità, le

classi povere ad agire in antitesi al loro tornaconto reale. Ora

questi processi in che consistono? quale ne è la natura e l'es-senza? Ecco ¡1 quesito che a questo punto si affaccia alla nostra

investigazione. Ma noi non potremmo ndeguatamente risolverlo,

ove prima non facessimo cenno di una classe assai ragguardevole,

mercè cui que' processi particolarmente si effettuano, e che noi

chiameremo quindi innanzi dei lavoratori improduttivi.

I lavoratori improduttivi, il nome stesso lo insegna, son coloro che non producono ricchezze, ma le ricevono dai loro produttori.

0 possessori, dando in cambio servigi o, come altri dicono, beni

immateriali. Di codesti servigi prestati dai lavoratori improduttivi alcuni son davvero inapprezzabili e supremamente benefici agli acquirenti ed all'universale; e tali son quelli che debbonsi ai sommi artisti e poeti, ai grandi pensatori ed agli utili inventori. Ma ac-canto a questi uomini, che rappresentano l'eletta della propria classe, v'ha una interminabile schiera di lavoratori improduttivi, 1 quali, o rendon servigi di scarso rilievo, sproporzionati affatto alla loro rimunerazione, od anche non rendono assolutamente alcun servigio utile, e partecipano in qualità di parassiti ai prodotti del lavoro altrui. Già questa genia non è ignota al divino Platone, il quale nell'VIII libro della Rriiubbtica descrive i calabroni che suggono i ricchi e sottraggono ad essi il loro miele, ed esclude dal suo stato ideale i poeti, che adulano i tiranni. Vent'anni dopo la scoperta dei libri di Numa. i retori e i filosofi vengono espulsi da Roma, perchè l'opera loro ritiensi superflua e dannosa. In tempi più prossimi a noi, Rousseau denuncia la bassezza dei lavoratori improduttivi ed in particolare dei letterati, che piaggiano i ricchi (1);

11 Bfpmttr au roi de Ihloijne, (Eutrrt, Genève. 1782. XIII, 128, 1M.

Melchiorre Delfico, l'imperatore Teodosio e Ferdinando V re di Spagna non s'illudono circa l'improduttività essenziale degli avvocati e giuristi. E i'revost (1) caratterizza assai bene codesta classe vario-pinta : " Les uns prennent part aux richesses des grands en ser- vant à leurs plaisirs ; ils en font des dupes. D'autres servant à leur instruction ; ils tachent d'en faire des honnêtes gens. 11 est rare à la vérité qu'ils y réussissent, mais ce n'est pas là le but do la divine sagesse ; ils tirent toujours un fruit de leurs soins, qui est do vivre aux dépens de celui qu'ils instruisent; et de quelque façon qu'on le prenne, c'est un fond excellent de revenu pour les petits que les sottises des riches et des grands ». —

Quasi tutti gli elementi di codesta classe multiforme si ritrovano nelle fasi sociali più dissimili, dacché tutte le età storiche hanno domestici e mimi, grecettori e ballerini, prostitute, causidici e preti. Ma nello differenti età storiche son diverse le specie di la-voratori improduttivi che prevalgono. Nella società schiavista, ad es., la classe dei lavoratori improduttivi è specialmente composta dei clienti, che vivono a spese dei proprietari e fanno loro co-dazzo (2). Nel medio evo campeggiano invece in quella classe gli ecclesiastici, i militari e i giuristi ; laddove nell'età nostra accanto a costoro e su costoro "prevalgono i giornalisti, gli impiegati, gli affaristi, i commercianti, gli intermediari, gli ingegneri ed i me-dici. — Ma, per quanto diversamente costituita nelle differenti età storiche, codesta classe presenta una assoluta ed ineccepibile

so-(1) Mintoti Lesraut.

{'2) 11 Barth trova che codesta dipintura dei clienti romani è puramente fan-tastica. Il fatto vero, egli dice, e che nei tempi primi, in cui vige la costitu-zione gentile, i clienti romani sono i servi della gens e partecipano alla .pro-prietà fondiaria di questa; mentre più tardi essi, in qualità di liberi possessori-stanno verso i grandi in un rapporto di pietà, che ha per iscopo essenziale la tutela giuridica, ed il più delle volte persiste, senza alcuna base economica, per la semplice forza della tradizione (l. e., 344). Ma un tale rapporto di pietà non manteneva forse il cliente a spese del proprietario? 0 dove dunque si vuol trovare un rapporto, il quale avesse più che questo una base essenzial-mente economica? — Del rimanente, come sia tutt'altro che fantastica l'al-leanza dei clienti coi proprietari greco-romani, dimostrano i fatti addotti da MARQUAKDT, Jtomìsche Priratalterthuiner, Leipzig. 1876, II, 197, 202 e già TACITO,

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lidariotà d'interessi colla classo dei proprietari, dal cui reddito

trae lo proprie sussistenze e la sposso cospicua ricchezza.

Ora la presenza dei lavoratori improduttivi arreca un primo e poderoso presidio alla classe capitalista, per ciò solo che rende meno sensibile la prevalenza numerica degli esclusi dalla terra e quindi meno probabile il trionfo della loro riscossa. Tuttavia

s'in-tendo tosto che tale presidio non può mai eliminare la prevalenza

numerica degli oppressi, nò impedirne la rivolta, la quale, in virtù

appunto del loro numero s o v e r c h i a l e , sarebbe di necessità

vitto-riosa. — Dunque, a prevenire il pericolo, la classe capitalista non

può affidarsi alla sola presonza dei lavoratori improduttivi, ma

deve inoltre sfruttarne accoramento l'opera e l'attività. A tal

uopo, una parte dei lavoratori improduttivi viene addestrata a

ricreare lo classi lavoratrici, a dissuaderlo mercè le feste e gli spettacoli dai torvi pensieri di rivendicazione o di sommossa (1).

È l'antica storia tante volte narrata. Racconta Giustino che Ciro,

domata appena la rivolta dei Lidi, no fiaccò lo spirito irrequieto

col sedurli ad occuparsi di arti belle e coi pubblici trattenimenti.

Altrettanto faceva lo Stato romano, allorché prodigava ai proletari

i circenses, affine di assopirne gli istinti ribelli ; nè v'ha dubbio che gli stessi saturnali, associando per un giorno, nel tripudio dell'orgia, i padroni e gli schiavi, dovessero in qualche modo in-fluire a smorzare le velleità rivoluzionarie di questi ultimi. Ma anche in tempi più recenti, son riusciti e riescono al medesimo risultato le feste e gli spettacoli pubblici. Per tale riguardo il carnevale può veramente considerarsi come una possente istituzione connettiva, quanto che fa obliare per un istante ai proletari lo sfruttamento di cui sono vittima, cancella dall'animo loro il sen-timento della dignità personale, e vi ammortisce l'ultima nota, che tuttora potesse per avventura vibrarvi, di rivolta e di riven-dicazione. Ai di nostri, mentre il vecchio carnovale tramonta, sor-gono sulle sue ruine altre istituzioni, le quali raggiungono per diverso modo il medesimo intento. — Tali sono, ad esempio, le

(1) Tutto ciò è stupendamente compreso dall'Ortes, il quale anzi, benché (o perchè) prete, pone fra i lavoratori improduttivi, aventi ufficio di ricreare le turbe, anche gli ecclesiastici, da lui, per tale riguardo, appaiati ai giocolieri ed agli istrioni (Lettere .tuli'Economia nazionale. Custodi P. M., XXIII, 24).

esposizioni, queste mascherate industriali, organizzate sopra una scala enorme dal capitalismo cosmopolita, nelle quali la società moderna, chiassosamente abbigliata, mostra alle turbe attonite il volto imbellettato e festante, celando però con gelosa cura ai loro sguardi le sue deformità e le sue piaghe. Tutte codeste istituzioni sono preziosi narcotici, i quali pervengono mirabilmente ad asso-pire le classi escluse dalla terra ed a trattenerle da una riscossa, che riuscirebbe terribilmente minacciosa alla compagine sociale.

Ma anche questi metodi, per quanto indubbiamente efficaci, non possono, e si comprende, bastare da soli all'intento : ond'è che la classe capitalista pon mano ad un processo più decisivo, che si effettua, al par dei precedenti, a mezzo dei lavoratori improduttivi, ma non ha più un carattere materiale, ne uno scopo ricreativo, bensì un contenuto-ed uno scopo morale. Imperocché la classe dei lavoratori improduttivi, accanto alla occupazione professionale che le compete e che non di rado è prettamente fittizia, adempie un'altra e davvero preziosa funzione ; quanto che si adopera a conciliare le classi oppresse coll'ordine sociale che le preme, e ad assicurarne la completa aquiescenza all'usurpazione capitalista. Anche questa funzione dei lavoratori improduttivi non rimase ignorata dai pensatori più chiaroveggenti delle trascorse età. Così, per esempio, La Boetie già notava nella sua Servitù volontaria : " Non son già gli arcieri e le guardie che difendono il tiranno ;