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Sono passati quasi 30 anni dalla teorizzazione di Brewer. Il successo e l’indubbia fortuna della categoria introdotta non sono stati chiaramente del tutto incontrastati. In primo luogo, il significato e la portata dell’aspetto militare nello Stato inglese sono stati contestati dai sostenitori della visione di una Gran Bretagna caratterizzata da uno sviluppo basato soprattutto sulle istituzioni politiche democratiche, al contrario di un modello assolutistico e militaristico più adatto a spiegare l’Europa continentale163. Abbiamo visto, inoltre, come

O’Brien abbia messo in discussione la cronologia proposta da Brewer, retrodatando l’affermazione dello Stato inglese dal punto di vista fiscale e militare. Nelle sue opere, come in quelli di altri studiosi, troviamo anche un’altra suggestione: è forse preferibile parlare di “Fiscal-Naval State”, anziché di “Fiscal-Military State”, per una potenza militare che spendeva la maggior parte delle proprie risorse per rafforzare la propria flotta e garantirsi il dominio dei mari, a discapito degli investimenti per accrescere le dimensioni di un esercito stanziale in grado di agire sulla terraferma164. Michael Braddick, invece, ha affermato che non

possiamo parlare in quest’epoca di un solo modello di Stato: a suo avviso, il “Fiscal-Military

163 Cfr. R. Lachman, Elite Conflict and State Formation in 16th and 17th Century France, in «American

Sociological Review», 54, 1989, pp. 141-162. Per una ricostruzione del dibattito storiografico immediatamente successivo all’uscita di The Sinews of Power cfr. L. Stone, Introduction, in L. Stone (a cura di), An Imperial State at War: Britain from 1689 to 1815, Londra, 1994, pp. 1-32.

164 Cfr. P. O’Brien, Fiscal and financial for the rise of British naval hegemony, 1485-1815, Londra, 2005; J Glete, War and the State in Early Modern Europe, cit., p. 40.

State” non deve essere considerato come uno stadio nell’evoluzione di una formazione statale, bensì una sua dimensione165. Così, «the fiscal military state coincided in time with a

“patriarchal state”, a “confessional state” and a “dynastic state”»166. Risultano, poi, molto

interessanti le critiche alla tesi di Brewer avanzate da Jeremy Black, indicato da Christopher Storrs come «perhaps the most formidable critic of the concept of the fiscal-military state»167.

Black ha sottolineato come non sia corretto analizzare il successo militare e politico della Gran Bretagna o degli altri Stati europei soltanto dal punto di vista della capacità di estrarre risorse: le vittorie sul campo erano figlie non solo di grandi eserciti e di flotte ben attrezzate, ma anche di una buona leadership e di un pensiero strategico adeguato. In questo senso, sono sicuramente emblematiche le figure di Federico II di Prussia e di Vittorio Amedeo II di Savoia per spiegare la crescita dei rispettivi stati. Non devono, inoltre, essere sottovalutati i fatti, le questioni contingenti, il loro impatto sui processi di strutturazione amministrativa e fiscale, così come in quest’epoca il prestigio e il potere (economico e politico) delle dinastie sovrane continuavano ad esercitare una fondamentale funzione per attivare legami di lealtà, coesione e unità all’interno di Stati spesso molto frammentati dal punto di vista istituzionale e amministrativo. C’è, quindi, da stare attenti per non compiere l’errore di esagerare i successi del “Fiscal-Military State” in termini di centralizzazione amministrativa e di capacità fiscale, peraltro in un’epoca contrassegnata da durissime crisi della finanza pubblica, o di ricondurre tutta la complessa dinamica di evoluzione dello Stato ai fattori enunciati nella tesi di Brewer168.

L’efficienza amministrativa e dei sistemi fiscali degli Stati europei nel XVIII secolo è stata d’altronde messa in discussione per i limiti che frequentemente si incontrano nella documentazione. Per questo periodo storico sono purtroppo rare le serie di fonti integrali da cui trarre sicure conclusioni circa le entrate e le spese di uno Stato. Le lacune nella documentazione ufficiale e il contrastato dibattito coevo, spesso contrassegnato dalla polemica politica, pongono serie difficoltà allo storico che intende addentrarsi in questa

165 M. Braddick, State Formation in Early Modern England, c. 1550-1700, Cambridge University Press, Cambridge, 2000.

166 R. Torres Sanchez, The Triumph of the Fiscal Military State in the Eighteenth Century. War and Mercantilism, in Id. (a cura di), War, State and Development, cit., p. 18.

167 C. Storrs, Introduction, cit., in C. Storrs (a cura di), The Fiscal-Military State, cit., pp. 17-18.

168 Cfr. Ibidem, pp. 18-20; Cfr. J. Black, review of West, Gunpowder, Government and War in the Mid- Eighteenth Century, Woodbridge, 1991, in «English Historical Review», 110, 1995, p. 206.

materia. La consapevolezza di una tale complessità rappresenta un monito importante, poiché invita ad armarsi di un portato di conoscenze extra-fonti che vanno ben al di là della storia economica e delle questioni fiscali, per abbracciare la storia politica, la storia delle idee e delle principali questioni politico-culturali oggetto di dibattito nel periodo storico preso in considerazione. Tuttavia, scoraggiano dall’assunzione di interpretazioni perentorie e onnicomprensive. Un altro invito ad evitare letture eccessivamente rigide ci è statp consegnato da John H. Elliott, storico britannico che ha scritto un’importante mole di classici sulla Spagna moderna e al quale dobbiamo la teorizzazione del concetto di “monarchia composita”169. Proprio nell’indagine compiuta attorno a quest’ultimo concetto, Elliott

dimostrava di diffidare di una lettura delle soluzioni amministrative, fiscali e politiche degli Stati europei dell’Età Moderna lungo una linea di progresso verso la piena “modernità”, partendo da uno stadio arretrato di molteplici realtà giurisdizionali dentro il medesimo Stato e procedendo verso un’efficiente macchina amministrativa centralizzata. La realtà storica ci dimostra come non si debba intendere come “monarchia composita” la sola Spagna – con la nota pluralità di regni, principati e comunità compresenti sotto la Corona spagnola – o compagini statali complesse come l’Impero Asburgico, ma anche Stati come le Province Unite o la stessa Gran Bretagna. Anche queste potenze includevano regioni che hanno a tutti gli effetti erano dotate di poteri giurisdizionali e, quindi, funzioni statali: l’esempio lampante della Scozia e dell’Irlanda portavano Elliott a confrontare l’Inghilterra non con l’intera Spagna, ma con la Castiglia, in quanto stati centrali e trainanti di due monarchie composite. Soprattutto, questi assetti istituzionali non devono essere considerati come progetti incompleti e contraddittori rispetto all’obiettivo di consolidare il potere sovrano: le dinamiche di contrattazione fra potere centrale, da un lato, e istituzioni ed élites locali, dall’altro, sulle questioni economiche e politiche in molti casi non rappresentavano una resa del Sovrano, non erano la spia del fallimento amministrativo dello Stato, bensì erano a tutti gli effetti il migliore equilibrio per la complessità degli attori in campo. Il Sovrano perseguiva, così, con strumenti realistici l’obiettivo di aumentare la propria potenza e le risorse di cui poter disporre; le élites locali, dal canto loro, avevano la possibilità di mantenere un forte controllo sulle comunità di

169 Cfr. J. H. Elliott, A Europe of Composite Monarchies, in «Past & Present», n. 137, 1992, pp. 48-71. Nell’articolo Elliott fa riferimento ai lavori di Koenigsberger che utilizza il termine di “composit state” in H. G. Koenigsberger, “Dominium Regale” or “Dominium Politicum et Regale”, in Id., Politicians and Virtuosi: Essays in Early Modern History, Londra, 1986.

riferimento e di aumentare le proprie opportunità economiche. Guardando al XVIII secolo170,

Elliott faceva i conti proprio con la categoria introdotta da Brewer, riconoscendo come questa fosse da considerare valida per evidenziare le novità che registriamo nei principali Stati europei nel Settecento. Tuttavia, aggiungeva un’altra considerazione: «the eighteenth-century fiscal-military state, with more power at its disposal than its seventeenth-century predecessor, also had more to offer in terms of employment and economic opportunities. Yet the “enlightened” monarchies of the eighteenth century remained essentially composite; and closer integration, where sought, remained difficult to achieve»171. Anche con le nuove

risposte costruite dallo Stato di fronte alle crescenti esigenze finanziarie della guerra nel XVIII secolo, gli Stati rimanevano a suo avviso in qualche modo “compositi”. Se ne deve dedurre che la totale centralizzazione amministrativa non era un’effettiva realtà storica nel Settecento europeo, anche nei casi maggiormente proiettati verso lo sviluppo di una forte e capillare burocrazia a servizio del governo centrale.

Negli ultimi anni sono usciti alcuni contributi che, criticando la tesi del “Fiscal-Military State” per la Gran Bretagna del XVIII secolo, hanno provato a proporre l’elaborazione di nuove categorie interpretative. Ai fini del nostro studio, ne prenderemo in esame due che non solo si sono confrontate direttamente con la parabola storiografica inaugurata da Brewer, ma hanno fatto luce su alcuni aspetti decisivi dello Stato settecentesco, che venivano giocoforza messi in secondo piano seguendo i criteri alla base della tesi del “Fiscal-Military State”. In primo luogo, prendiamo in considerazione l’opera di Aaron Graham, Corruption, Party, and Government in Britain172. Si nota già dal titolo un’impostazione diversa rispetto alle opere

analizzate fino ad ora: le questioni militari e fiscali – la guerra, le tasse, il credito pubblico, la crescita economica – non risultano al centro della monografia di Graham. L’attenzione cadeva, semmai, sul ruolo della corruzione e dei partiti politici nell’influenzare i meccanismi di governo della Gran Bretagna durante la Guerra di Successione spagnola, una fase che, come abbiamo visto, era stata considerata cruciale dalla storiografia per l’affermazione del “Fiscal-Military State” britannico. La tesi centrale di Graham sosteneva che «State formation

170 J. H. Elliott, A Europe of Composite Monarchies, cit., pp. 65-69. 171 Ibidem, p. 70.

172 A. Graham, Corruption, Party, and Government in Britain, 1702-1713, Oxford University Press, Oxford, 2015.

was ultimately a political rather than administrative process»173. L’Inghilterra tra il 1680 e il

1720 conobbe, a suo avviso, in un’epoca significativamente definita “age/rage of party”, un’esaltazione della partigianeria politica attraverso la formazione e la crescita di un sistema partitico come base della vita politica inglese e dello Stato britannico. In questo contesto, l’interesse pubblico non risultava immediatamente evidente, né poteva essere direttamente incarnato dal governo come potere al di sopra della contesa politica: politici, soggetti privati e funzionari erano, piuttosto, alle prese con una lotta quotidiana per armonizzare priorità in competizione tra loro, istanze che si organizzavano in partiti che portavano avanti interessi di parte. In questa lettura, si faceva strada l’invito a riconsiderare e reinterpretare la letteratura sulla formazione dello Stato, sulla società civile e commerciale e sulle politiche di fazione, nell’ottica di riconoscere le profonde sovrapposizioni esistenti tra loro. Graham prendeva in esame proprio la storiografia sullo “Stato moderno”174. A suo avviso, l’analisi tradizionale

sullo Stato lo aveva posto come una forza esterna alla società, ai suoi interessi e ai suoi conflitti. Semmai, era stato descritto un conflitto tra la società e lo Stato, con quest’ultimo alla ricerca del conseguimento di priorità che doveva imporre alla società stessa. Queste priorità potevano essere di carattere religioso, economico o sociale, ma, argomentava Graham, «the military component has dominated studies of European state formation between 1500 an 1800; “the state made war, Charles Tilly argued, “and war made the state”»175. Si era

interpretato lo Stato in primo luogo come strumento principale per l’azione politica nell’interesse pubblico: le strutture intermedie e gli interessi particolari che potevano limitare l’esercizio del suo potere dovevano conseguentemente essere rimossi per compiere avanzamenti di carattere civile, sociale ed economico. Così, l’ascesa dello “Stato moderno” o del moderno Stato-nazione, sin dalla Prima Età Moderna, era stata messa sovente in stretta relazione con la spinta ad epurare gli interessi privati dalle strutture pubbliche, così da consegnare alle autorità centrali un monopolio sul potere giurisdizionale e politico in quanto custodi dell’interesse collettivo. Risalta facilmente agli occhi il riferimento al modello introdotto da Max Weber di “potere amministrativo”176, «in wich structured hierarchies of

173 Ibidem, p. 2.

174 Cfr. A. Graham, Corruption, Party, and Government in Britain, cit., pp. 3-10.

175 Ibidem, p. 3. La citazione di Tilly è tratta da C. Tilly, Coercion, capital, and European states, A.D. 990-1990, Oxford, 1990, p. 73.

176 Cfr. M. Weber, G. Roth, C. Wittich, Economy and society: an outline of interpretative sociology, Londra, 1979, vol. II.

professional bureaucrats facilitate the flow of information and power between centre and periphery, and are bound to the public service by substituiting salaries and pensions for fees and gratuities»177. Le opere di O’Brien e di Brewer sullo Stato britannico potevano, quindi,

essere considerate l’esito di questa riflessione e il più riuscito sforzo di messa a sistema del pensiero sulla formazione dello “Stato moderno”. Quello che veniva contestato da Graham era proprio la chiave di lettura che descriveva la “modernizzazione” e la “formazione dello Stato” come due processi all’interno dell’intermittente, ma progressiva riconfigurazione delle strutture statali attorno a principi burocratici e di efficienza amministrativa, in contrasto con gli interessi privati nelle questioni militari e nella marina, così come nella riscossione delle tasse e nei vari dipartimenti dell’amministrazione. La sua critica riconosceva dei meriti esplicativi a questo modello, ma aggiungeva anche che tale approccio «risks forcing the entire experience of state formation into a Procrustean bed, since it therefore cannot accomodate or explain istances where bureaucratization was either irrelevant or actively destructive»178. La

complessità dell’intero sistema statale non doveva essere ridotta dentro i confini di un modello rigido, pena il rischio di compiere forzature e di non restituire una corretta ricostruzione storica. Gli esempi scelti sul caso britannico da Graham risultano particolarmente significativi, poiché si concentravano su alcuni punti di forza dell’immagine dello Stato amministrato in termini scientifici e rigorosi: per esempio, egli sottolineava come la riforma dei cantieri navali degli anni ‘90 del Settecento ebbe come conseguenza immediata una maggiore confusione anziché un incremento dell’efficienza delle strutture amministrative competenti in materia; così come l’ufficio per l’approvvigionamento, fondamentale per il sostegno alla marina militare, soffriva di problemi cronici dal punto di vista di istanze individuali, corruzioni e frodi, ma la sua crescita sul piano dell’efficacia lungo tutto il periodo preso in esame rifletteva la possibilità di raggiungere avanzamenti logistici e organizzativi anche senza seguire il modello della burocratizzazione. L’attenzione alle riforme burocratiche e al governo razionale omettevano, inoltre, quanto il “Fiscal-Miltiary State” britannico fosse a sua volta composto da diverse agenzie intrecciate tra loro che avevano importanti priorità molto spesso incompatibili tra loro: per restare sull’ufficio per l’approvvigionamento, la sua

177 A. Graham, Corruption, Party, and Government in Britain, cit., p. 4. Sull’immagine di uno Stato con la funzione fondamentale di raccogliere e trasmettere informazione cfr. per il caso inglese E. Higgs, The Information State in England: The Central Collection of Information on Citizens since 1500, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2004.

azione e la sua efficacia in relazione ai propri obiettivi strategici erano fortemente e inevitabilmente connesse a quelle degli altri dipartimenti navali – come quelli dell’ammiragliato, dei trasporti e della marina stessa –, alla cooperazione che si era in grado di instaurare con questi dipartimenti, nonché dalla negoziazione da sostenere con i propri “contractors” e fornitori, a loro volta portatori di determinati interessi. Riprendendo una considerazione di Daniel Baugh, si può concludere che, se tra il 1739 e il 1748 si verificarono diversi problemi di approvvigionamento per la marina britannica, questo fu quasi sempre dovuto a qualcosa che era andato storto dopo che l’ufficio per l’approvvigionamento aveva svolto bene il proprio compito specifico. Questa visione suggeriva, pertanto, che rischiamo di non compiere un’indagine precisa se ci limitiamo a valutare l’efficacia di una struttura amministrativa soltanto dal punto di vista della sua efficienza burocratica: dobbiamo, invece, considerare una rete di interconnessioni in orizzontale fra diversi uffici e in verticale, sia tra uffici e potere centrale, sia tra i singoli uffici e gli attori economici privati che trovavano negli appalti dello Stato un terreno lucroso per le proprie attività. Nessun dipartimento doveva essere considerato come un’isola, né gli interessi privati degli ufficiali, dei privati in appalto e dello stesso personale politico potevano essere derubricati a fattori secondari, che rischiavano al massimo di creare impedimenti al servizio pubblico: erano al contrario elementi cruciali dell’azione dello Stato dentro una società commerciale caratterizzata da una crescente complessità dal punto di vista politico, così come sul piano degli interessi economici e finanziari179. Riprendendo una definizione utilizzata da Robert Knight and Martin Wilcox in

relazione alla Gran Bretagna nel periodo del conflitto continentale contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica180, Graham suggeriva che «the British state was as much a

“contractor-state as well as “fiscal-military state”»181. Da notare come non viene delegittimata

la validità degli spunti forniti dalla tesi del “Fiscal-Military State”: il punto cruciale era che la categoria proposta da Brewer per la Gran Bretagna non poteva dirsi sufficiente per spiegare la complessità delle interazioni tra Stato e società nel XVIII secolo; soprattutto, rischiava di condurre a interpretazioni forzate e scorrette se veniva impiegata come categoria sociologica e ideal-tipica. Era, al contrario, necessario concentrarsi sulla ricostruzione di una rete complessa

179 Cfr. Ibidem, pp. 8-10. Per il riferimento alle considerazioni di Baugh cfr. D. Baugh, British Naval Administration in the Age of Walpole, Princeton University Press, 1965, pp. 431-447.

180 Cfr. E. J. B. Kinght, M. Wilcox, Sustaining the fleet, 1793-1815: war, the British navy and the contractor state, Woodbridge, 2010.

di rapporti che si verificavano nella realtà storica fra i diversi attori in scena, con il contrastante portato di interessi che ciascuno di questi esprimeva. Intendere lo Stato britannico come “Contractor State” aiutava, invece, a spiegare alcune dinamiche fondamentali: il massiccio ricorso a “contractors” privati tramite contratti di appalto era un fatto appurato, basti pensare al volume imponente di trasporto via mare affidato ai privati, sui quali gravavano i costi di gestione e di manutenzione delle navi. Si deve interpretare questa dinamica come un segno di debolezza dello Stato? Per Graham si tratterebbe di un errore, poiché una buona gestione del Pubblico e la realizzazione degli obiettivi strategici dello Stato poteva passare anche dalla costruzione di consolidate reti informali di interessi pubblici e privati, non necessariamente dall’azione incontrastata di uno Stato centralizzato, burocraticamente efficiente e intenzionato ad amministrare direttamente la totalità dei propri affari. Anzi, secondo l’autore, per la Gran Bretagna del XVIII secolo si poteva parlare della capacità di imbrigliare e dirigere gli interessi privati verso il servizio per obiettivi fondamentali dello Stato, grazie alla disponibilità di fondi adeguati per stimolare l’interesse privato e alla forza di una visione strategica efficace. I “contractors” privati rappresentavano, quindi, un importante collegamento fra gli attori commerciali con i loro mercati e il “Fiscal- Military State” britannico per tutto il “Lungo Settecento”, con un impatto sugli obiettivi strategici talvolta più importate delle riforme della struttura burocratico-amministrativa dello Stato182.

L’altra tesi che vogliamo prendere in considerazione si è concentrata sulla spesa dello Stato britannico ed è una delle poche ricostruzioni a mettere in discussione uno degli assunti fondamentali per la letteratura degli ultimi decenni: la spesa militare come componente largamente maggioritaria della spesa governativa e come traino fondamentale per la formazione dello Stato. Steve Pincus e James Robinson nei loro studi più recenti hanno contestato l’immagine della guerra come unico obiettivo degli Stati in Età Moderna, con particolare riferimento proprio alla Gran Bretagna del XVIII secolo, alla quale Brewer aveva applicato la categoria di “Fiscal-Military State”. I due storici hanno preferito parlare di “Interventionist State” per riferirsi al proprio caso di studio, poiché questo investiva una quota significativa delle proprie entrate in infrastrutture, opere del genio civile, sostegni allo

sviluppo di settori strategici, soprattutto nei territori dell’Impero coloniale183. Uno “Stato

interventista”, quindi, che assumeva una funzione attiva non soltanto nell’esercizio del potere giurisdizionale e nella politica estera, ma anche nello sviluppo della società civile e della sua economia. Un’argomentazione del genere non era stata ancora messa a sistema, con