Per comprendere a fondo l’influenza del lavoro di Brewer sulla storiografia sullo Stato in Età Moderna è opportuno prendere in considerazione la fortuna incontrata da questa categoria. L’importanza del termine “Fiscal-Military State” coniato da Brewer è stato immediatamente riconosciuto da diversi storici122 e anche a notevole distanza continua ad
essere impiegato per descrivere l’approccio dello Stato britannico alla problematica del
121 J. Brewer, The Sinews of Power, cit., p. 151.
122 Cfr. J. Hoppit, review of, The Sinews of Power, cit., and of D. W. Jones, War and Economy in the Age of William III and Marlborough, Oxford, 1988, in «Historical Journal», 33, 1990, pp. 248-50;
finanziamento della guerra123. Inoltre, lo sviluppo della riflessione attorno al Fiscal-Military
State è proseguito intensamente lungo due direttrici. Da un lato, l’opera pionieristica di Brewer ha rappresentato un fondamentale punto di riferimento per una generazione di storici che ha provato a rinnovare lo studio della fiscalità e dei suoi cambiamenti nell’Europa moderna. Dall’altro, il Fiscal-Military State è stato utilizzato da decine di studiosi come categoria interpretativa utile per analizzare lo Stato in altre epoche e in altri contesti rispetto a quanto proposto da Brewer.
1.3.1 La “New Fiscal History”
Se l’importanza cruciale della finanza nell’evoluzione dello Stato in Età Moderna era un fatto universalmente riconosciuto da tempo dagli storici, la riflessione di Brewer, come abbiamo visto, si discostava da quella di Dickson, ridimensionando la centralità del debito pubblico nel finanziamento delle crescenti spese militari nel periodo successivo alla Gloriosa Rivoluzione: usando le parole di Christopher Storrs, «Brewer […] noted that borrowing only paid for 30-40 per cent of war cost across the long eighteenth century and pointed to taxation as more important»124. Venne, pertanto, dato nuovo impulso allo studio dei sistemi di
tassazione e ai loro protagonisti – basti pensare appunto all’immagine del capillare sistema di ufficiali governativi preposti alla riscossione dell’accisa – mentre in molti casi nei decenni precedenti ci si era concentrati di più sul ruolo dei principali attori della finanza. Inoltre, The Sinews of Power contribuì ad alimentare l’elaborazione di nuovi concetti per un vero e proprio filone di studi che trovò terreno fertile in ambito anglo-sassone: la “New Fiscal History”. Ci riferiamo a ricerche che hanno concentrato i propri sforzi per definire concetti storiografici utili a delineare l’evoluzione dello Stato – in generale e in riferimento alla storia dei singoli casi – in relazione ai cambiamenti delle istituzioni fiscali125.
123 Cfr. A. Graham, P. Walsh (a cura di), The British Fiscal-Military States, 1660-1783, Routledge, Londra, 2016; E. Charters, The Caring Fiscal-Military State during the Seven Years War, 1756-1763, in «The Historical Journal», vol. 52, n. 4, 2009, pp. 921-941; in questo articolo Charters approfondisce in particolare l’attenzione dello Stato britannico alla salute delle proprie truppe, intesa come componente essenziale del suo modo di fare guerra. e alla spesa sostenuta per questo fine.
124 C. Storrs, Introduction: The Fiscal-Military State in the “Long” Eighteenth Century, in C. Storrs (a cura di), The Fiscal-Military State in Eighteenth-Century Europe. Essays in honour of P.G.M. Dickson, Ashgate, Farnham, 2009, pp. 1-2.
125 Cfr. M. Ormrod, M. Bonney, R. Bonney (a cura di), Crises, Revolutions and self-sustained Growth. Essays in European Fiscal History, 1130-1830, Shaun Tyas, Stamford, 1999; R. Bonney (a cura di), The Rise of the
Questi studi si rifacevano in primo luogo alla tradizione di studi fiorita dapprima in Germania e in Scandinavia, sotto l’influenza della nozione di cambiamento fiscale proposta da Schumpeter. L’economista austriaco fu il primo a parlare di “Fiscal State”, come nozione funzionale ad illustrare la linea evolutiva conosciuta dalle forme di organizzazione del potere politico dal punto di vista della propria struttura fiscale. Le questioni fiscali rappresentavano uno degli aspetti decisivi, se non quello più importante, nella trasformazione dello Stato europeo da forme di organizzazione più arcaica verso forme “moderne”: in particolare, Schumpeter parlava di un ineluttabile percorso dal “Domain state” di carattere feudale – il cui finanziamento si basava quasi esclusivamente sul patrimonio privato della dinastia al potere e sulle regalie che questa era riuscita ad affermare – verso il “Tax state” – caratterizzato dalla prevalenza delle entrate derivanti dalla tassazione ordinaria con giurisdizione sull’intero territorio entro i propri confini. Il rallentamento di questo processo comportava per lo Stato uno svantaggio finanziario troppo importante rispetto alle potenze rivali che finiva col diventare decisivo: proprio in questa chiave, infatti, interpretava il declino degli Imperi centrali e la loro caduta con la Prima Guerra Mondiale126. Nel 1987 lo storico tedesco Kersten
Krüger propose a sua volta un modello ben più sofisticato per la transizione dal “Domain state” al “Tax state”127, individuando i fattori che caratterizzavano i due sistemi fiscali128. A
ben vedere, lo studio di Kruger si concentrava su un caso di studio, il Langraviato di Assia- Kassel del XVII e XVIII secolo: un piccolo Stato con un potere sovrano che si rafforzò progressivamente nel corso del periodo preso in esame parallelamente a una forte militarizzazione della società e dello stesso apparato statale. Si trattava, infatti, di uno dei piccoli Stati di area germanica capaci di sviluppare un forte esercito stanziale e professionale, finanziato con la quasi totalità delle entrate provenienti dal piccolo territorio: le truppe erano
Fiscal State in Europe, 1200-1815, Oxford University Press, Oxford, 1999.
126 Cfr. J. Schumpeter, The Crisis of Tax State, in «International Economic Papers», 4, New York, 1954, pp. 99- 140; crf. Infra, p. 16-17. È importante sottolineare che l’articolo originale è del 1918, all’indomani della sconfitta dell’Impero Austro-Ungarico nella Prima Guerra Mondiale, proprio per interpretare la temperie culturale e politica nella quale l’economista austriaco concettualizza la nozione di “Fiscal state”; cfr. J. Schumpeter, Die Krise des Steuerstaates, in «Zeitfragen aus dem Gebiet der Soziologie», 4, 1918, pp. 1-71. 127 Cfr. K. Krüger, Public Finance and Modernisation: The Change from Domain State to Tax State in Hesse in
Sixteenth and Seventeenth Centuries – a Case Study, in P. C. Witt (a cura di), Wealth and Taxation in Central Europe: The History and Sociology of Puvlic Finance, Leamington spa, 1987.
128 Il modello di Kruger è riportato in M. Bonney, R. Bonney, M. Ormrod (a cura di), Crises, Revolutions and self-sustained Growth, cit., p. viii. Bonney sottolinea il legame solido tra il modello di Krüger e le nozioni di Schumpeter affermando che «his [Schumpeter’s] views have been modified, but (it may be argued) not fundamentally changed, by more recent studies by scholar such as E. Ladewig Petersen and Kersten Krüger», in R. Bonney, Introduction, in Ib. (a cura di), The Rise of the Fiscal State, cit., p. 13.
poi impiegate in vari scenari di guerra sulla base di alleanze politiche con le principali potenze europee, nell’ottica di conquistare vantaggi strategici e di raggiungere obiettivi di carattere dinastico e territoriale, ma anche al fine di riscuotere lauti finanziamenti dagli alleati sotto forma di sussidi. Questo approccio venne in parte criticato da una nuova generazione di storici di area anglo-sassone che rivendicavano per la storia fiscale un posto centrale nell’interpretazione della storia degli Stati europei in Età Moderna e che, soprattutto, esprimevano il bisogno di poter contare su modelli solidi e applicabili nello studio comparativo dei differenti sistemi fiscali. Era loro intenzione, pertanto, affinare i modelli da utilizzare, non solo in uno specifico contesto ma su larga scala, per descrivere le istituzioni fiscali e le nozioni per individuare i cambiamenti di regime, ma al tempo stesso renderli maggiormente utili allo studio storico, quindi aperti alla convivenza, alla reversibilità e alle oscillazioni da un sistema all’altro, senza scadere in una sorta di teleologia che poteva trasparire dalla tesi esposta da Schumpeter. Nell’introduzione al volume collettaneo edito da Mark Ormrod, Richard Bonney e Margaret Bonney troviamo un vero e proprio manifesto, utile per restituire in profondità questo approccio di ricerca129. Innanzitutto troviamo un
riferimento decisivo al tema del cambiamento: Ormrod e Richard Bonney scrivevano nell’introduzione di essere interessati a fornire un modello concettuale in grado di orientare i singoli studi nell’analisi degli elementi costitutivi di un regime fiscale e dei fattori principali che ne determinano il cambiamento. Come indicato nel titolo, il modello ruotava attorno a tre punti focali: le crisi, le rotture rivoluzionarie e la self-sustained growth, da intendere come l’azione dello Stato stesso finalizzata a promuovere tramite il proprio intervento la crescita economica. La raccolta di saggi, infatti, comprende contributi che si concentravano sulle problematiche sollevate da questi concetti. In primo luogo, veniva indagata la nozione di “crisi”, espressione utilizzata non di rado dagli storici in riferimento alle questioni fiscali, soprattutto in vista della caduta dell’ancien régime: per Bonney e Ormrod le crisi occorrevano dentro un sistema fiscale, senza modificarne in profondità la natura essenziale. Le “rivoluzioni”, invece, si verificavano quando i cambiamenti innescati producevano uno spostamento da un sistema fiscale a un altro. Infine, la self-sustained growth veniva indicata come il modello di sviluppo proprio del moderno “Fiscal state”, stadio finale dell’evoluzione
129 Cfr. R. Bonney, M Ormrod, Introduction. Crises, Revolutions and Self-Sustained Growth: Towards a Conceptual Model of Change in Fiscal History, in M. Bonney, R. Bonney, M. Ormrod (a cura di), Crises, Revolutions and self-sustained Growth, cit., pp. 1-21.
fiscale dello Stato nell’Età Contemporanea: «the “natural” stage of development for the modern “fiscal state” in the twentieth century is self-sustained growth, because there are a number of inexorable pressures leading to such a stage»130. Come si può notare, nell’elaborare
un modello anche i due storici britannici oscillavano fra il rigoroso rispetto dei criteri di ricerca storica e la volontà di fornire interpretazioni delle tendenze di lunga durata attraverso ricostruzioni stadiali ed evolutive che lasciavano poco spazio agli scostamenti. Se l’indicazione di un “natural stage” per gli Stati occidentali del XX secolo rispondeva più a questa seconda istanza, il concetto di “Fiscal constitution” – che abbiamo provato a tradurre in questo lavoro come “costituzione fiscale” – risultava molto utile per recuperare la dimensione storica nell’utilizzo di queste categorie: mentre erano indicati con l’espressione “Fiscal system” i differenti sistemi generali di gestione, amministrazione ed esazione fiscale che si erano affermati nel tempo, restituendo di nuovo una visione che ragionava per “stadi” che procedevano da forme più arretrate verso forme più centralizzate e “moderne”, il concetto di “Fiscal constitution” raccoglieva l’insieme delle pratiche e degli approcci che potevano cambiare gradualmente nel tempo, così da poter descrivere la particolare forma che un tipo prevalente di “Fiscal system” assumeva in un Paese specifico in un dato momento storico131.
Inoltre, rispetto alla teorizzazione di Kruger, in questo caso veniva proposto un modello di transizione più complesso e con maggiori passaggi intermedi: l’interesse per i cambiamenti di paradigma e per le rotture nel sistema portava i due storici inglesi a formulare altre categorie, con funzioni periodizzanti132. In principio, con riferimento al Mondo Classico, era individuato
il “Tribute State”, nel quale si registrava un discreto livello di accentramento amministrativo, ma le principali risorse venivano ricavate dai tributi imposti alle popolazioni sottomesse. Da questo si passava al “Domain State”, definito come un «fiscal system in wich the ruler extracts revenues from the exercise of regalian rights»133. Quando la maggior parte delle
entrate del Sovrano provenivano dalle tasse possiamo, invece, parlare a pieno titolo di “Tax State”. La tassazione in questa fase assumeva forme diverse nei singoli contesti, con prevalenza a volte della tassazione diretta, altre volte delle imposte indirette, talvolta con un’amministrazione centralizzata, in altri casi con la concessione in appalto della riscossione,
130 Ibidem, p. 9.
131 Cfr. M Ormrod, R. Bonney, Introduction. Crises, Revolutions and Self-Sustained Growth, cit., pp. 1-3. 132 Cfr. Tabella 0.2 in Ibidem, pp. 4-8.
ma mantenendo una caratteristica fondamentale: la regolarità e la semi-permanenza su tutto il territorio dell’imposizione fiscale dello Stato. Su questo passaggio, Bonney e Ormrod aprivano una riflessione sulla problematica dell’introduzione della tassazione, lasciandola poi sviluppare dai singoli contributi della raccolta: «taxation seems to have arisen from an occasion rather than a right, and only later to have become a right […] The occasion causing the tax was often the war»134. Infine, il modello di transizione proposto si concludeva con il
“Fiscal State”, uno stadio maturo che rifletteva le istituzioni e il comportamento degli Stati contemporanei maggiormente sviluppati. Venivano, a questo proposito, indicati alcuni fattori che definivano nel loro complesso la self-sustained growth: in primo luogo, rispetto allo stadio del “Tax State”, si registrava una maggiore interazione fra spesa, entrate della tassazione e credito pubblico, per la quale assumeva sempre più importanza lo sviluppo del management e dei sistemi di definizione del budget; il debito pubblico raggiungeva dimensioni inedite e alti livelli di affinamento, con la conseguenza primaria che la differenza non si faceva soltanto nella capacità di indebitarsi, ma soprattutto in quella di ristrutturare il debito a lungo termine con la garanzia di un’economia crescente135.
Le considerazioni della “New Fiscal History” ci sembrano particolarmente significative per alcuni aspetti che questi studi hanno messo in evidenza: in primo luogo, la tassazione come terreno di contrattazione e di misurazione del potere sovrano, i successi del quale contribuirono notevolmente a muovere in avanti i limiti della sua capacità coercitiva ed estrattiva sulla società; inoltre, l’intreccio fra guerra e tassazione, che vedeva le spese belliche nel ruolo di motore principale delle innovazioni nei sistemi fiscali e nella finanza pubblica. Due temi che vedevano proprio nell’opera di Brewer, espressamente citata nei volumi sopra riportati, un riferimento fondamentale che aveva segnato una svolta nello studio di queste materie. Peraltro, dalle opere curate da Ormrod e Bonney possiamo valutare come la maggior parte dei contributi in esse contenuti continuò ad approfondire le tematiche che abbiamo trovato nei lavori di Dickson e di Brewer, a partire dall’analisi delle fonti contabili e
134 Ibidem, p. 16.
135 Cfr. M Ormrod, R. Bonney, Introduction. Crises, Revolutions and Self-Sustained Growth, cit., pp. 17-21. Da notare come Ormrod e Bonney individuino le principali differenze tra le Province Unite e la Gran Bretagna nel XVIII secolo nella ristrutturazione del debito e nel sostegno della crescita economica: «The United Provinces had accumulated permanent debts at an earlier date, but found it much more difficult to sustain the burdern of debt servicing costs in eh eighteenth century with a static population, little or no growth in revenues, a higher per capita rate of taxation than in England, and above all a decline in the rate of economic growth»
finanziarie relative ai bilanci generali, ai proventi delle singole imposte dello Stato o al funzionamento del debito pubblico. Questo metodo di indagine assieme a nuove concettualizzazioni come quella della “costituzione fiscale” di un caso di studio consentirono di affinare una tradizione di indagine storica capace di rifarsi a modelli generali per un’efficace comparazione, senza per questo perdere di vista il dato concreto e fattuale del singolo contesto preso in esame.
1.3.2 L’estensione spaziale e temporale della categoria
Nei 20 anni successivi alla pubblicazione di The Sinews of Power si assistette ad una clamorosa estensione spaziale e temporale dell’utilizzo del paradigma interpretativo del “Fiscal-Military State”. A questo proposito, Richard Bonney arrivò ad affermare che «the gradual emergence of the “fiscal-military state” is now a truism for the evolution of European states in general»136. Un’affermazione forte, ma sicuramente supportata dall’evidenza del
dibattito storiografico sugli Stati europei degli anni Novanta e Duemila. Negli stessi studi sull’Inghilterra il lavoro di Brewer venne ripreso per estendere la portata della categoria, retrodatandone le origini: per esempio, Patrick O’Brien e Philip Hunt hanno ricostruito l’andamento della tassazione inglese tra le riforme dei Tudor e il 1688137. Con particolare
riferimento alla principale tassa del ragionamento di Brewer, l’accisa, i due affermavano che guardando l’andamento sul medio-lungo termine le entrate dello Stato registrarono una svolta verso l’alto già a partire dei decenni ‘20 e ‘30 del XVII secolo e, soprattutto, nei decenni centrali del XVII secolo nel pieno della guerra civile138. Non solo, il termine venne impiegato
presto per descrivere anche altri Stati europei impegnati nei conflitti internazionali del XVIII secolo: per esempio, Kwass ha affermato che la Francia, principale rivale della Gran Bretagna, era impegnata in questo periodo in una “Fiscal-military struggle” di livello internazionale che la impegnava a superare problemi analoghi e a superare le stesse sfide139.
136 R.Bonney, Introduction. The Rise of the Fiscal State in Europe c. 1200-1815, in R. Bonney (a cura di), The Rise of the Fiscal State in Europe, cit., p. 10.
137 P. O’Brien, P. Hunt, Excises and the Rise of a Fiscal State in England, 1586-1688, in M Ormrod, R. Bonney, Introduction. Crises, Revolutions and Self-Sustained Growth, cit., pp. 198-223.
138 Cfr. anche M. Braddick, State Formation in Early Modern England c. 1550-1700, Cambridge, 2000. 139 Cfr. M. Kwass, A Kingdom of Taxpayers: State Formation, Privilege and Political Culture in Eighteenth
“Fiscal-Military State” risultava per molti storici una categoria utile per analizzare la parabola delle nuove potenze che nel XVIII passarono dall’essere attori secondari a protagonisti di primo piano: ci riferiamo, soprattutto, alla Prussia, lo Stato forse più emblematico nella prima metà del Settecento per quanto riguarda la crescita dell’importanza del militare e dell’estrazione di risorse da destinare alla guerra140. In questa nuova luce, il confronto tra la
Gran Bretagna e la Prussia del XVIII assunse una dimensione molto diversa rispetto all’impostazione tradizionale: gli studi comparati sui due stati avevano esaltato soprattutto i punti di contrasto, mettendoli agli antipodi sul modello della “eccezione inglese” basato sulle libertà e il basso tasso di coercizione141. Si apriva adesso, invece, una prospettiva diversa che
esaltava un sostrato di convergenze tra l’assolutismo prussiano e il governo parlamentare britannico: entrambi gli Stati, pur nelle evidenti differenze, organizzavano il proprio successo attorno all’incremento delle entrate della tassazione e alla maggiore possibilità di sostenere le crescenti spese belliche. Oltre alla Prussia, il “Fiscal-Military State” si estendeva alla Russia, l’altra potenza emergente dell’Europa orientale142, ma non solo: la categoria tornava utile per
studiare i piccoli stati con scarse risorse economiche e fiscali, ma fortemente militarizzati. Soprattutto in area germanica, questi si affermarono come stati mercenari che mettevano a disposizione il proprio esercito agli alleati in cambio di sussidi economici: l’esercito diventava così la principale entrata economica dello Stato. È stato ampiamente studiato il caso già citato del Langraviato di Assia-Kassel143, fondamentale per fornire truppe proprio alla
Gran Bretagna negli scenari di guerra continentali durante i conflitti del Settecento. Non di rado in questi casi gli storici hanno preferito la definizione di “Military-Fiscal State”, suggerendo un modello diverso e complementare a quello di Brewer: nell’Europa in guerra del “Lungo Settecento”, troviamo alcuni Stati con maggiori risorse in termini di popolazione e di crescita economica, capaci di garantirsi un importante gettito fiscale da investire anche nel
140 Per una ricostruzione della storiografia sulla Prussia del XVII e XVIII secolo cfr. P. H. Wilson, Prussia as a Fiscal-Military State, 1640-1806, in C. Storrs (a cura di), The Fiscal-Military State in Eighteenth-Century Europe. Essays in honour of P.G.M. Dickson, Ashgate, Farnham, 2009, pp. 95-124.
141 Per una ricostruzione coerente con questa visione ricordiamo il contributo di Braun presente nella raccolta curata da Tilly, cfr. R. Braun, Taxation, Sociopolitical Structure and State-Bulding: Great Britain and Brandeburg-Prussia, in C. Tilly (a cura di), The Formation of the National States in Western Europe, cit., pp. 243-327; cfr. anche infra pp. 16-19.
142 Per una ricostruzione della storiografia sulla Russia XVIII secolo cfr. J. Hartley, Russia as a Fiscal-Military State, 1689-1825, in C. Storrs (a cura di), The Fiscal-Military State in Eighteenth-Century Europe, cit., pp. 125-146.
143 Cfr. P. Taylor, Indentured to Liberty, Peasant Life and the Hessian Military State, 1688-1815, Cornell University Press, Ithaca, 1994.
finanziamento degli alleati e delle truppe mercenarie; altri Stati, come l’Assia-Kassel o il Württenberg, poggiavano la propria fortuna in primo luogo sulla forza militare – consolidando eserciti regolari, professionali, permanenti – e sulla possibilità di metterla a disposizione dei